I REATI NEI SOCIAL NETWORK - Breve guida da seguire, su cosa NON fare (o scrivere) su Facebook, Instagram, etc A cura di AVV. RICCARDO LANZO ...

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I REATI NEI SOCIAL NETWORK - Breve guida da seguire, su cosa NON fare (o scrivere) su Facebook, Instagram, etc A cura di AVV. RICCARDO LANZO ...
I REATI NEI SOCIAL NETWORK
Breve guida da seguire, su cosa NON fare (o scrivere) su
Facebook, Instagram, etc

                                           A cura di AVV. RICCARDO LANZO - PARTNER IUS 40 STUDI LEGALI
                                                                riccardo.lanzo@ius40.it
                                                       Trovami su fb e instagram: riccardo lanzo
I REATI NEI SOCIAL NETWORK - Breve guida da seguire, su cosa NON fare (o scrivere) su Facebook, Instagram, etc A cura di AVV. RICCARDO LANZO ...
INTRODUZIONE
Con i social network si condividono foto, video,
commenti, audio, si fa amicizia, si creano gruppi, si
pubblicizzano aziende, associazioni, prodotti, si inviano
messaggi, si gioca … insomma, ci si diverte e si lavora,
spaziando in un universo nuovo, reso possibile dalla
tecnologia di oggi.

Ma I social possono anche diventare motivo di
controversia, davanti alla quale forse non siamo ancora
del tutto preparati, né come giuristi, per affrontarli
nelle aule di giustizia, e neppure come cittadini,
quando ne abbiamo a che fare nella nostra vita
quotidiana.
I REATI NEI SOCIAL NETWORK - Breve guida da seguire, su cosa NON fare (o scrivere) su Facebook, Instagram, etc A cura di AVV. RICCARDO LANZO ...
I social nel diritto
⏤   Diffamazione
⏤   Esclusione della responsabilità di Facebook
⏤   Esclusione della responsabilità degli amministratori di un gruppo di Facebook
⏤   Creazione di un falso profilo o sostituzione di persona
⏤   Il diritto all’immagine, alla riservatezza e alla privacy
⏤   Il diritto d’autore
⏤   Molestie
⏤   Il cyberbullismo
⏤   Ingresso abusivo al profilo di Facebook
⏤   Pedopornografia
I REATI NEI SOCIAL NETWORK - Breve guida da seguire, su cosa NON fare (o scrivere) su Facebook, Instagram, etc A cura di AVV. RICCARDO LANZO ...
IL Post Di   ⏤ Io ve lo dico da anni che sono due idioti palloni
               gonfiati irrispettosi della vita delle persone e degli
 Daniela       animali. Per far parlare di loro non sanno più cosa
 Martani       inventarsi. Fare una festa a casa era troppo normale
               altrimenti chi glieli mette i like
La richiesta di archiviazione del P.M.
sui social accade che un numero illimitato di persone, appartenenti a tutte le classi sociali e livelli
culturali, avverta la necessità immediata di sfogare la propria rabbia e frustrazione, scrivendo
fuori da qualsiasi controllo qualunque cosa, anche con termini scurrili e denigratori che in
astratto possono integrare il reato di diffamazione, ma che in concreto sono privi di offensività
La diffamazione sui Social
⏤ la diffamazione tramite internet costituisce
  certamente un'ipotesi di diffamazione aggravata
  ai sensi dell'art. 595 c.p., comma 3, in quanto
  commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo
  di pubblicità.

⏤ La pena è da 6 mesi a 3 anni di reclusione o della
  multa non inferiore a 516 euro
Hai letto bene…

DA 6 MESI A 3 ANNI DI CARCERE SE INSULTI,
OFFENDI, DILEGGI, ARRECHI OFFESA AL
DECORO DI UN’ALTRA PERSONA
Vuoi qualche esempio?
⏤ È diffamazione utilizzare espressioni che si concretizzino in
  gratuiti attacchi alla persona e in arbitrarie aggressioni al
  patrimonio morale della stessa. Applicando tale principio di
  diritto, la Corte di Cassazione, con sentenza 20 aprile 2020,
  n. 12460, ha confermato la condanna inflitta ad una
  blogger per aver apostrofato una giornalista, rivolgendosi
  alla stessa con l’appellativo di “sgallettata”.
La diffamazione su FB
⏤ La divulgazione di un messaggio tramite Facebook, ha, per la natura di questo mezzo,
  potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, che, del resto,
  si avvalgono del social network proprio allo scopo di instaurare e coltivare relazioni
  interpersonali allargate ad un gruppo di frequentatori non determinato; pertanto se il
  contenuto della comunicazione in siffatto modo trasmessa è di carattere denigratorio, la stessa
  è idonea ad integrare il delitto di diffamazione.
Gli amministratori dei gruppi sui social sono responsabili?
⏤ «Il moderatore o amministratore del sito internet non incorre in penale responsabilità ex art.
  595 c.p. in relazione al messaggio di contenuto diffamatorio pubblicato da un utente sul
  relativo blog, qualora non sia provato che il medesimo abbia consapevolmente esaminato il
  messaggio anonimo e ne abbia volutamente consentito la pubblicazione»

⏤ (App. Trento, 24/6/2016).
Creazione di un falso profilo o sostituzione di persona
⏤ I social network sono strumenti di proiezione sociale dell’immagine, che ciascuna persona
  costruisce di sé. E’ in questa prospettiva che si inserisce la lesione del diritto all’immagine,
  come nel caso di creazione di un falso profilo usando immagini o nomi altrui.

⏤ Si ritiene che tale fattispecie integri il reato di sostituzione di persona, ai sensi dell’art. 494 del
  codice penale.
Creazione di un falso profilo o sostituzione di persona
L'art. 494 cod. pen. punisce chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare
ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui
persona, o attribuendo a sè o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la
legge attribuisce effetti giuridici.
⏤ Integra il reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.), la condotta di colui che crei ed
  utilizzi un "account" di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso
  soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete 'internet' nei confronti dei quali le false
  generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano
  state abusivamente spese, subdolamente incluso in una corrispondenza idonea a lederne
  l'immagine e la dignità (nella specie a seguito dell'iniziativa dell'imputato, la persona offesa si
  ritrovò a ricevere telefonate da uomini che le chiedevano incontri a scopo sessuale)»
Il diritto all’immagine, alla riservatezza e alla privacy
⏤ Il nostro ordinamento tutela il diritto all’immagine e, come noto, le norme di riferimento sono l’art.
  10 del c.c. che espressamente prevede che:
⏤ «qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia esposta, o pubblicata
  fuori dai casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio
  al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su
  richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento del danno
⏤ l’art. 96 della legge sul diritto d’autore (L. n. 633/41) secondo cui
⏤ «il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il
  consenso di questa»
⏤ L’art. 97 del codice civile:
⏤ non occorre il consenso della persona ritratta quando la riproduzione dell’immagine è
  giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia,
  da scopi scientifici, didattici o culturali o quando la riproduzione è collegata ad avvenimenti,
  cerimonie di interesse pubblico svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o
  messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore,
  alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata»
⏤ «Il diritto all’identità personale protegge il diritto di ciascuno a non vedersi all’esterno alterato,
  travisato, offuscato, contrastato con il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale,
  religioso, ideologico, professionale ecc., quale si era estrinsecata o appariva in base a
  circostanze concrete ed univoche, destinato ad estrinsecarsi nell’ambiente sociale»
⏤ (v. Cass., 22.06.1985, n. 3759).
⏤ Il diritto all’immagine è, pertanto, un diritto assoluto della persona che non può essere
  utilizzato da terzi senza il consenso dell’interessato.
⏤ Il consenso può essere prestato senza l’obbligo di forme specifiche e può essere desunto anche
  implicitamente, purché sia inequivocabilmente interpretabile in tal senso (v. Cass., I,
  16.05.2006, n. 11491
⏤ «Ai fini della pubblicazione di un ritratto fotografico di una persona è necessario, a norma
  dell’art. 96, l. n. 633/41, il suo consenso, seppure manifestato tacitamente, il quale può, come
  ogni altra forma di consenso, essere condizionato da limiti soggettivi (in relazione ai soggetti in
  favore dei quali è prestato) od oggettivi (in riferimento alle modalità di divulgazione). Ne
  consegue che il consenso alla pubblicazione del proprio ritratto fotografico su una o su
  determinate riviste non consente la pubblicazione medesima su riviste diverse da quelle
  autorizzate»
⏤ (v. Cass., I, 1.09.2008, n. 21995).
⏤ E’ invero pacifico che le fotografie possono
  contenere immagini e informazioni qualificate
  alla stregua di dati personali
Si possono pubblicare foto dei minori anche se sei un genitore?

⏤ Il Tribunale di Mantova ordinava alla madre, che aveva pubblicato le immagini dei figli, di non inserire
  foto sui social network e di rimuovere immediatamente tutte quelle inserite anche sulla base di
  considerazioni più ampie a tutela dei minori in rapporto allo specifico strumento usato,
⏤ «ritenuto, peraltro, che l’inserimento di foto di minori sui social network costituisce comportamento
  pregiudizievole per essi in quanto ciò determina la diffusione delle immagini fra un numero
  indeterminato di persone, conosciute e non, le quali possono essere malintenzionate ed avvicinarsi ai
  bambini dopo averli visti più volte in foto on-line, non potendo inoltre andare sottaciuto l’ulteriore
  pericolo costituito dalla condotta di soggetti che “taggano” le foto on-line dei minori e, con
  procedimenti di fotomontaggio, ne traggono materiale pedopornografico da far circolare fra gli
  interessati, come ripetutamente evidenziato dagli organi di polizia; considerato che il pregiudizio per il
  minore è dunque insito nella diffusione della sua immagine sui social network sicché l’ordine di
  inibitoria e di rimozione va impartito immediatamente»
⏤ (Trib. Mantova, 19/9/2017).
Il diritto d’autore
⏤ Facebook può assumere numerose implicazioni anche con la disciplina posta a tutela del
  diritto d’autore. Invero, il nostro ordinamento tutela le creazioni intellettuali, fotografie, opere
  letterarie, cinematografiche, disegni, opere musicali, ossia ogni espressione della creatività
  dell’autore per il solo fatto della creazione a prescindere dal compimento di formalità
  particolari
⏤ Secondo l’art. 2575 c.c. e art. 1 della legge sul diritto d’autore infatti sono oggetto del diritto
  d’autore:
⏤ «le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla
  musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il
  modo o la forma di espressione»
⏤ L’art. 106 della legge sul diritto d’autore espressamente prevede che l’omissione del deposito
  dell’opera non pregiudichi l’acquisizione e l’esercizio dei diritti connessi. Inoltre, l’art. 8 della
  medesima legge recita:
⏤ «è reputato autore dell’opera, salvo prova contraria, chi è in essa indicato come tale (… ) ovvero
  è annunciato come tale nella recitazione, esecuzione, rappresentazione o radio diffusione
  dell’opera stessa».
⏤ La legge riconosce altresì all’autore alcuni diritti, di natura patrimoniale, connessi alle
  possibilità di sfruttamento economico dell’opera creata, tra cui, per citarne alcuni, il diritto di
  pubblicazione, di riproduzione, di esecuzione e recitazione in pubblico e, ai sensi dell’art. 25
  della legge sul diritto d’autore:
⏤ «I diritti di utilizzazione economica dell'opera durano tutta la vita dell'autore e sino al termine
  del settantesimo anno solare dopo la sua morte»
⏤ L’autore ha anche la titolarità di diritti morali sull’opera, regolati dagli articoli da 21 a 24 della
  Legge sul diritto d’autore, tra cui il diritto di rivendicare la paternità dell’opera:
⏤ «Art. 21. Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell'opera, previsti
  nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore
  conserva il diritto di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione,
  mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano
  essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione»
STALKING SUI SOCIAL
⏤ «Integrano l'elemento materiale del delitto di atti persecutori le condotte riconducibili alle
  categorie del c.d. stalking vigilante (controllo sulla vita quotidiana della vittima), del c.d.
  stalking comunicativo (consistente in contatti per via epistolare o telefonica, Sms, scritte su
  muri ed altri messaggi in luoghi frequentati dalla persona offesa) e del c.d. cyberstalking,
  costituito dall'uso di tutte quelle tecniche di intrusione molesta nella vita della vittima rese
  possibili dalle moderne tecnologie informatiche e, segnatamente, dai social network (nella
  fattispecie, il giudice per le indagini preliminari ha osservato che le reiterate condotte di
  appostamento, le continue telefonate e le minacce realizzate dai due stalkers avevano
  stravolto la vita di due ragazze sedicenni, aggredite da persecuzioni infamanti in ogni loro
  contesto sociale - famiglia, scuola, amici - cagionandone così un grave stato di ansia e
  preoccupazione)»
STALKING SUI SOCIAL
⏤ (Trib. Termini Imerese Ordinanza, 09/02/2011).
⏤ Integra l'elemento materiale del delitto di atti persecutori il reiterato invio alla persona offesa
  di "sms" e di messaggi di posta elettronica o postati sui cosiddetti "social network" (ad
  esempio "facebook"), nonché la divulgazione attraverso questi ultimi di filmati ritraenti
  rapporti sessuali intrattenuti dall'autore del reato con la medesima. In tal senso, Cassazione
  penale, Sez. VI, nella sentenza del 16/07/2010, n. 32404.
Il cyberbullismo
⏤ è stata approvata la legge 29 maggio 2017, n. 71, concernente “Disposizioni a tutela dei minori per
  la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”.
⏤ E’ di tutta evidenza che il fenomeno del cyberbullismo possa trovare manifestazione anche
  attraverso i social network e quindi pure tramite Facebook.
⏤ Al riguardo, si ricorda la legge menzionata che, nell’articolo 1, dispone che l’obiettivo posto è di
  contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere
  preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti,
  sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, assicurando l'attuazione degli
  interventi senza distinzione di età nell'ambito delle istituzioni scolastiche
⏤ Per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto,
  ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d'identità, alterazione, acquisizione illecita,
  manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via
  telematica, nonchè la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più
  componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di
  isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o
  la loro messa in ridicolo.
⏤ E’ di tutta evidenza che tale condotta criminosa possa essere perpetrata altresì tramite
  Facebook
⏤ E «Qualora, entro le ventiquattro ore successive al ricevimento dell'istanza di cui al comma 1, il
  soggetto responsabile non abbia comunicato di avere assunto l'incarico di provvedere
  all'oscuramento, alla rimozione o al blocco richiesto, ed entro quarantotto ore non vi abbia
  provveduto, o comunque nel caso in cui non sia possibile identificare il titolare del trattamento
  o il gestore del sito internet o del social media, l'interessato puo' rivolgere analoga richiesta,
  mediante segnalazione o reclamo, al Garante per la protezione dei dati personali, il quale,
  entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta, provvede ai sensi degli articoli 143 e 144
  del citato decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196».
⏤ E’ sempre la normativa a definire il «gestore del sito internet» come il prestatore di servizi della
  società dell'informazione, diverso da quelli di cui agli articoli 14, 15 e 16 del decreto legislativo 9
  aprile 2003, n. 70, che, sulla rete internet, cura la gestione dei contenuti di un sito in cui si possono
  riscontrare le condotte di cui al comma 2.
⏤ L’articolo 2 di tale norma dispone che «Ciascun minore ultraquattordicenne, nonchè ciascun
  genitore o soggetto esercente la responsabilità del minore che abbia subito taluno degli atti di cui
  all'articolo 1, comma 2, della presente legge, può inoltrare al titolare del trattamento o al gestore
  del sito internet o del social media un'istanza per l'oscuramento, la rimozione o il blocco di
  qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet, previa conservazione dei dati
  originali, anche qualora le condotte di cui all'articolo 1, comma 2, della presente legge, da
  identificare espressamente tramite relativo URL (Uniform resource locator), non integrino le
  fattispecie previste dall'articolo 167 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al
  decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, ovvero da altre norme incriminatrici».
Ingresso abusivo al profilo di FB

⏤ Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di
  sicurezza (3) ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo,
  è punito con la reclusione fino a tre anni.
⏤ La pena è della reclusione da uno a cinque anni: 1) se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o
  da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti alla
  funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o
  con abuso della qualità di operatore del sistema;
⏤ 2) se il colpevole per commettere il fatto usa violenza sulle cose o alle persone, ovvero se è
  palesemente armato;
Ingresso abusivo al profilo di FB

⏤ 3) se dal fatto deriva la distruzione o il danneggiamento del sistema o l'interruzione totale o parziale
  del suo funzionamento, ovvero la distruzione o il danneggiamento dei dati, delle informazioni o dei
  programmi in esso contenuti.
⏤ Qualora i fatti di cui ai commi primo e secondo riguardino sistemi informatici o telematici di interesse
  militare o relativi all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o
  comunque di interesse pubblico, la pena è, rispettivamente, della reclusione da uno a cinque anni e da
  tre a otto anni. Nel caso previsto dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa;
  negli altri casi si procede d'ufficio»
⏤ Assume rilievo quanto asserito dalla giurisprudenza in materia di accesso abusivo a caselle di
  posta elettronica. Fra le più recenti, la Cassazione penale, Sezione quinta, nella sentenza 6 giugno
  – 17 novembre 2017, n. 52572, la quale rileva che «integra il reato di cui all'art. 615 ter c.p., la
  condotta di colui che accede abusivamente all'altrui casella di posta elettronica, trattandosi di una
  spazio di memoria, protetto da una password personalizzata, di un sistema informatico destinato
  alla memorizzazione di messaggi, o di informazioni di altra natura, nell'esclusiva disponibilità del
  suo titolare, identificato da un account registrato presso il provider del servizio (cfr. Cass., sez. 5,
  28.10.2015, n. 13057, rv. 266182)
⏤ Nel caso in esame la ricorrente era a conoscenza della password di accesso al sistema
  informatico, però, operando palesemente in contrasto con la volontà del titolare della casella
  elettronica, aveva effettuato "il cambio della password con impostazione di una nuova domanda
  di recupero ed inserimento di una frase ingiuriosa.
⏤ «Ne consegue – proseguiva la Suprema Corte - che correttamente la corte territoriale,
  nell'evidenziare, inoltre, come gli accessi abusivi abbiano anche temporaneamente escluso l' A. dal
  fruizione del servizio di posta elettronica, ha concluso nel senso di ritenere "pienamente provato il
  superamento da parte dell'imputata dei limiti intrinseci connessi con la conoscenza della password"
  (…) Come affermato, infatti, dall'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, integra
  la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto, prevista
  dall'art. 615 ter c.p., la condotta di accesso o di mantenimento nel sistema posta in essere da
  soggetto che, pure essendo abilitato, violi le condizioni e di limiti risultanti dal complesso delle
  prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l'accesso (cfr., ex
  plurimis, Cassazione penale, sez. un., 27/10/2011, n. 4694, rv 251270). E certo non può ritenersi
  rispettosa delle regole dettate dal titolare della casella elettronica per consentirne l'accesso, la
  condotta di chi utilizza la password, fosse anche ottenuta con il consenso del titolare, per modificarla
  indebitamente, impedendo a quest'ultimo di accedervi»
⏤ Tribunale di Lecce Sez. II, 03/05/2017, «la fattispecie di reato p. e p. dall'art. 615-ter c.p.,
  concernente l'accesso abusivo ad un sistema informatico, si configura quando l'agente "pur essendo
  abilitato", acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto violando le
  condizioni ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per
  delimitarne oggettivamente l'accesso, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato,
  gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l'ingresso nel sistema».
⏤ Conformemente, Cassazione penale, Sez. V, nella sentenza del 5/12/2016, n. 11994, per cui «In tema
  di delitti contro la inviolabilità del domicilio, integra la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un
  sistema informatico o telematico protetto, prevista dall'art. 615-ter c.p., la condotta di accesso o di
  mantenimento nel sistema posta in essere da soggetto che, pure essendo abilitato, violi le condizioni
  ed i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne
  oggettivamente l'accesso, ovvero ponga in essere operazioni di natura ontologicamente diversa da
  quelle per le quali l'accesso è consentito. Non hanno rilievo, invece, per la configurazione del reato,
  gli scopi e le finalità che soggettivamente hanno motivato l'ingresso al sistema» (conforme, ad
  esempio, fra le recenti, Cass. pen. Sez. V, 26/10/2016, n. 14546; Cass. pen. Sez. V, 13/06/2016, n.
  33311; Cass. pen. Sez. V, 13/01/2016, n. 6906).
⏤ Tribunale di Cagliari nella sentenza 17 maggio 2016, in punto competenza, che «In materia penale, ai
  fini della determinazione della competenza territoriale, nel reato di accesso abusivo ad un sistema
  informatico il momento consumativo va individuato nel luogo in cui si trova l'utente che, tramite
  elaboratore elettronico o altro dispositivo per il trattamento automatico dei dati, digitando la "parola
  chiave" o altrimenti eseguendo la procedura di autenticazione, supera le misure di sicurezza apposte
  dal titolare per selezionare gli accessi e per tutelare la banca-dati memorizzata all'interno del sistema
  centrale ovvero vi si mantiene eccedendo i limiti dell'autorizzazione ricevuta».
⏤ L’accesso abusivo ad un profilo di Facebook può quindi essere assimilato all’accesso abusivo ad un
  account di posta elettronica e integrare l’art. 615 ter c.p.
Pedopornografia
⏤ E’ stato ritenuto che, ai fini dell'integrazione del reato di pornografia minorile di cui all'art. 600
  ter del codice penale, è necessario che la condotta del soggetto agente abbia una consistenza
  tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto, sì che
  esulano dall'area applicativa della norma solo quelle ipotesi in cui la produzione pornografica sia
  destinata a restare nella sfera strettamente privata dell'autore.
⏤ “Postare” immagini di pornografia minorile su Facebook integra il reato di cui all’art. 600 ter c.p.
⏤ Cassazione penale sezione III, nella sentenza del 12 marzo 2015, n. 16340:
⏤ «Tale delitto di pornografia minorile costituisce reato di pericolo concreto, "mediante il quale
  l'ordinamento appresta una tutela penale anticipata della libertà sessuale del minore,
  reprimendo quei comportamenti prodromici che, anche se non necessariamente a fine di lucro,
  ne mettono a repentaglio il libero sviluppo personale con la mercificazione del suo corpo e
  l'immissione nel circuito perverso della pedofilia", come insegnano le Sezioni Unite nella
  sentenza 31 maggio 2000 n. 13 citata anche nel ricorso; pertanto, insegnano ancora le Sezioni
  Unite, sussiste, salva l'ipotizzabilità di altri reati, quando ricorre "una consistenza tale da
  implicare concreto pericolo di diffusione del materiale prodotto".
⏤ Detto pericolo deve essere accertato di volta in volta dal giudice, sulla base di vari elementi
  sintomatici, tra i quali le Sezioni Unite annoverano anche l'esistenza di una struttura
  organizzativa, seppure eventualmente rudimentale, "atta a corrispondere alle esigenze di
  mercato dei pedofili" e "la disponibilità materiale di strumenti tecnici di riproduzione e/o
  trasmissione, anche telematica, idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o
  meno vaste di destinatari". Insegnamento che si è consolidato nella giurisprudenza successiva
  di questa Sezione, la quale ha sempre colto come parametro della sussistenza del reato la
  consistenza del pericolo concreto di diffusione materiale (Cass. sez. 3^, 21 gennaio 2005 n.
  5774; Cass. sez. 3^, 1 dicembre 2009 n. 49604), tale da non limitare la fruizione del prodotto
  pornografico in una sfera strettamente privata (Cass. sez. 3^, 20 novembre 2007 - 14 gennaio
  2008 n. 1814), e supportata dall'inserimento della condotta in un contesto come minimo
  embrionale da cui derivi una destinazione almeno potenziale del materiale ad una fruizione
  successiva di terzi (Cass. sez. 3^, 11 marzo 2010 n. 17178; v pure Cass. sez. 3^, 5 giugno 2007 n.
  27252, correttamente citata anche nel ricorso).
⏤ Non si può non rilevare, peraltro, che l'intervento dirimente delle Sezioni Unite da cui si origina
  la giurisprudenza di legittimità che allo stato governa l'interpretazione dell'art. 600 ter c.p.,
  comma 1, si colloca ormai in una data che può definirsi risalente, essendosi negli ultimi quindici
  anni espanso ad un livello all'epoca non percepibile e non prevedibile da chi non fosse
  particolarmente inserito nel settore il fenomeno dei cosiddetti social networks, ovvero la
  intensa potenza comunicativa anche tra privati nella rete, pervenuta ad una sorta di ubiquità in
  re ipsa di quanto prende le mosse dall'utente di un tale apparato. Laddove, pertanto, le Sezioni
  Unite chiedevano al giudice di merito di accertare di volta in volta la potenzialità concreta di
  diffusione pure mediante uno strumento telematico, l'odierno notorio insegna che
  l'inserimento di materiale entro un social network come Facebook più non necessita, in realtà,
  alcuno specifico accertamento sulla potenzialità diffusiva. E parimenti anche il riferimento a
  organizzazioni "rudimentali" o "embrionali" risulta ormai superato, ovvero anacronistico,
  tenuto conto della disponibilità quanto mai agevole che le strutture di comunicazione
  telematica sociale offrono oggi a chiunque se ne voglia avvalere, senza alcuna necessità di
  adoperarsi per porre in essere propri personali apparati.
⏤ La "piazza telematica" è aperta a tutti e la sua idoneità a diffondere quanto tutti vi versano, incluso il
  materiale pornografico, ha raggiunto un livello notoriamente così elevato da esonerare la necessità di
  valutazione del concreto pericolo, nel momento in cui il materiale, appunto, è inserito entro un
  frequentatissimo social network, come è avvenuto nel caso di specie, in cui l'imputato lo ha veicolato
  su Facebook e precisamente sul profilo di un'altra minore che, di per sè, aveva già circa
  centocinquanta contatti. Il convogliamento di materiale, in questi casi, sulla bacheca di un account si
  traduce in una metastasi diffusiva con la massima facilità. La "cerchia sterminata di pedofili" - come si
  esprimeva con suggestiva efficacia e oggettivo ribrezzo l'arresto sopra citato delle Sezioni Unite -,
  quindi, ormai non è più agevolmente e specificamente estrapolabile da una platea così estesa,
  miscelata e in ultima analisi onnicomprensiva come quella di un social network quale Facebook, per
  cui l'inserimento del materiale nel relativo meccanismo diffusorio è già di per sè potenzialmente
  idoneo, ovvero integra il pericolo concreto di diffusione anche tra i pedofili.
La corte territoriale, peraltro, ha riconosciuto che la giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte,
non ritenendo ovviamente sufficiente la presenza del materiale sul computer personale dell'agente,
esige il pericolo concreto di diffusione del materiale pedopornografico a una pluralità di soggetti,
richiamando anche il tradizionale contesto organizzativo "almeno embrionale"; e, di conseguenza,
giunge correttamente e logicamente a identificare il quid pluris necessario a integrare il reato proprio
nell'avere "l'imputato effettivamente inviato le foto pornografiche relative alla minore su una bacheca di
un profilo facebook, con il pericolo di una concreta, non controllabile, ulteriore diffusione
⏤ Non si vede, d'altronde, quale contraddittorietà abbia introdotto il giudice d'appello nella sua
  motivazione affermando subito dopo che "la ratio della norma incriminatrice è certamente quella di
  combattere il mercato della pedofilia", considerato che, per quanto si è sopra rilevato come notorio, il
  mercato della pedofilia può attuarsi anche attraverso social networks come quello utilizzato
  dall'imputato. E che poi questo avesse intenzione non di condividere con il mondo dei pedofili quel
  materiale, bensì di soddisfare i propri impulsi sessuali (come nella pagina precedente la corte
  territoriale afferma) non ha evidentemente alcun rilievo, poichè in effetti l'imputato si è avvalso della
  tutt'altro che rudimentale organizzazione Facebook, la quale è intrinsecamente finalizzata ad ogni
  diffusione; e tale natura di Facebook - che allo stato effettivamente non riesce ad arginare la
  circolazione di questo tipo di materiale - è talmente notoria che la sua utilizzazione rappresentata dal
  versarvi materiale pornografico integra, quanto meno come dolo eventuale, proprio una consapevole
  volontà di divulgazione (cfr. Cass. sez. 3^, 11 dicembre 2012-31 luglio 2013 n. 33157; Cass. sez. 3^, 25
  ottobre 2012 n. 44914; Cass. sez. 3^, 10 novembre 2011 n. 44065; Cass. sez. 3^, 12 gennaio 2010 n.
  11082; e cfr. altresì Cass. sez. F, 7 agosto 2014 n. 46305)»
⏤ In tale prospettiva si è posta anche la Cassazione penale, Sezione III, nella sentenza del 10 marzo 2016, n.
  19112, secondo cui
⏤ «mentre il delitto di cui all'art. 600 - quater c.p., presuppone una detenzione "fine a se stessa" del
  materiale pedopornografico, essendo richiesta la consapevolezza (dolo generico) con riferimento alla
  condotta di "procurarsi" o "detenere" il predetto materiale realizzato utilizzato minorenni, la fattispecie
  dell'art. 600 - ter c.p., comma 1, n. 1, oggetto di contestazione, punisce la "produzione" di tale materiale
  a prescindere dalla finalità commerciale (v. art. 600 - ter c.p., comma 2) e presuppone ovviamente una
  detenzione "qualificata" del materiale prodotto, in quanto non destinata "ex se" al mero
  soddisfacimento delle pulsioni sessuali dell'agente, ma preordinata al perseguimento di una finalità
  ulteriore che può essere anche quella di un utilizzo del materiale per finalità illecite, qual è sicuramente
  quella di detenerlo per ricattare il minore che ne è involontario protagonista, prospettandogli
  l'alternativa tra soggiacere ai desideri sessuali del reo o vedersi pubblicate su internet le immagini
  pornografiche che lo ritraggono; la detenzione, quindi, nel caso in esame, non poteva qualificarsi come
  "fine a se stessa" ma finalizzata al perseguimento di ulteriori obiettivi e, dunque, in tale detenzione, era
  insito - e peraltro esternato anche ex professo dallo stesso ricorrente - il pericolo di diffusione che è
  richiesto dalla fattispecie incriminatrice per la configurabilità dell'illecito penale de quo.
⏤ La "cerchia sterminata di pedofili" - come si esprimeva con suggestiva efficacia e oggettivo ribrezzo
  l'arresto sopra citato delle Sezioni Unite -, quindi, ormai non è più agevolmente e specificamente
  estrapolabile da una platea così estesa, miscelata e in ultima analisi onnicomprensiva come quella di
  un social network, per cui l'inserimento del materiale nel relativo meccanismo diffusorio è già di per
  sè potenzialmente idoneo, ovvero integra il pericolo concreto di diffusione anche tra i pedofili.
⏤ La Corte territoriale, peraltro, ha riconosciuto che la giurisprudenza consolidata di questa Suprema
  Corte, non ritenendo ovviamente sufficiente la presenza del materiale sul computer personale
  dell'agente, esige il pericolo concreto di diffusione del materiale pedopornografico a una pluralità di
  soggetti, richiamando anche il tradizionale contesto organizzativo "almeno embrionale"; e, di
  conseguenza, giunge correttamente e logicamente a identificare il quid pluris necessario a integrare
  il reato proprio nell'essere destinato il materiale pedopornografico alla successiva fruizione di un
  numero imprecisato di terzi, il che equivale a dire - in altri termini - palesare il pericolo di una
  concreta, non controllabile, ulteriore diffusione.
Non si vede, d'altronde, nemmeno quale vizio motivazionale abbia mai potuto inficiare la sentenza
d'appello laddove, correttamente, afferma che la ratio della norma incriminatrice è certamente volta a
reprimere le più gravi condotte di aggressione ad una serena evoluzione della identità sessuale del
minore, considerato che, per quanto si è sopra rilevato come notorio, il mercato della pedofilia può
attuarsi anche attraverso social networks come quello utilizzato dall'imputato. E che poi questo avesse
intenzione non di condividere con il mondo dei pedofili quel materiale, bensì di soddisfare i propri
impulsi sessuali (come sostenuto anche in ricorso) non ha evidentemente alcun rilievo, poichè in effetti
l'imputato si è avvalso della tutt'altro che rudimentale organizzazione Facebook, la quale è
intrinsecamente finalizzata ad ogni diffusione; e tale natura di Facebook - che allo stato effettivamente
non riesce ad arginare la circolazione di questo tipo di materiale - è talmente notoria che la sua
utilizzazione rappresentata dal versarvi materiale pornografico integra, quanto meno come dolo
eventuale, proprio una consapevole volontà di divulgazione (cfr. Cass. sez. 3, 11 dicembre 2012-31
luglio 2013 n. 33157; Cass. sez. 3, 25 ottobre 2012 n. 44914; Cass. sez. 3, 10 novembre 2011 n. 44065;
Cass. sez. 3, 12 gennaio 2010 n. 11082; e cfr. altresì Cass. sez. F, 7 agosto 2014 n. 46305)»
⏤ (Cass. Pen., Sez. III, 10/3/2016, n. 19112)
⏤ Interessante altresì il caso, più risalente nel tempo, che aveva riconosciuto la sussistenza del reato di
  cui all’art. 600 ter c.p. nel caso di una ragazzina che aveva ricevuto una richiesta di amicizia sul social
  network "Facebook" dalla sedicente M.J. Questa, dopo avere prospettato alla minore l'ingresso nel
  mondo dell'alta moda e offerto in regalo denaro e capi di abbigliamento, se avesse accettato di fare
  la modella, l'aveva contattata tramite webcam e le aveva richiesto di spogliarsi e di toccarsi le parti
  intime; laragazzina, a quel punto aveva interrotto il contatto e aveva informato la madre
  dell'accaduto
⏤ Corte di Cassazione Sezione terza penale nella sentenza 21759 del 28.05.2014, che:
⏤ «la condotta dell'agente - consistita nel contattare mediante il social network "Facebook" con la
  richiesta di amicizia da parte di una sedicente M.J. la dodicenne L.E., prospettandole l'ingresso nel
  mondo dell'alta moda e offrendole denaro e capi di abbigliamento se avesse accettato di fare la
  modella, e nel chiederle tramite webcam di spogliarsi e toccarsi le parti intime - in quanto
  palesemente rivolta a ottenere dalla minore un'esibizione lasciva dell'organo genitale, costituisce
  attività idonea alla produzione di materiale pedopornografico potenzialmente destinato alla
  fruizione di terzi e inequivocabilmente diretta a questo scopo, - non conseguito esclusivamente per
  l'interruzione del contatto da parte della destinataria, che del fatto aveva informato la madre, e
  quindi configura nella forma del tentativo il delitto previsto dall'art. 600 ter c.p.»
⏤ (Cass. Pen. Sez. III, 28.05.2014, n. 21759).
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