Frasi della Bibbia Sebastiano Inturri

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Sebastiano Inturri

Frasi della Bibbia
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INTRODUZIONE E
               AVVERTENZE PER LA CONSULTAZIONE

Quest’opera contiene quelle che ritengo le più belle ed efficaci frasi tratte dalla Bibbia -
edizione CEI 2008.
Tra le parentesi tonde ho riportato, in corsivo, il nome del libro, il numero del capitolo e
il numero del/dei versetto/i; se di un versetto ho omesso una parte, questa è sostituita
da tre puntini racchiusi tra due parentesi quadre. Sotto ciascuna frase ho aggiunto, ove
necessario per una migliore comprensione, il contesto da cui è tratta e un eventuale
breve commento.

Roma, 23 dicembre 2011
                                                                                        S.I.

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AA

Antico Testamento

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PENTATEUCO

[…] il suolo […] spine e cardi produrrà per te […] (Genesi, 3, 17-18)

Questa frase è tratta dal discorso che il Signore Dio fece ad Adamo dopo che questi ed
Eva avevano disubbidito all’ordine di non mangiare i frutti dell’albero della conoscenza
del bene e del male. Ecco il contesto da cui la frase è tratta:

All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di
cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, maledetto il suolo per causa tua!
Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te
e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non
ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!»
(Genesi, 3, 17-19)

[…] polvere tu sei e in polvere ritornerai! (Genesi, 3, 19)

V. commento alla frase precedente.

Renderò la tua discendenza come la polvere della terra […] (Genesi, 13, 16)

È il Signore che parla rivolto ad Abram, al quale promette discendenti “come la polvere
della terra”, cioè numerosissimi; infatti successivamente il Signore avrebbe mutato il
nome di Abram in “Abramo”, che significa “padre di una moltitudine” (v. Genesi, 17, 5)

C’è forse qualcosa d’impossibile per il Signore? […] (Genesi, 18, 14)

Il Signore promise ad Abramo che entro un anno sua moglie Sara avrebbe avuto un
figlio. I due rimasero increduli, poiché la donna, data la sua età avanzata, si trovava in
menopausa, e quindi non era più fertile. Allora il Signore rispose loro, appunto: «C’è
forse qualcosa d’impossibile per il Signore?» Nel tempo che il Signore aveva fissato, Sara
concepì e partorì un figlio ad Abramo, che lui chiamò Isacco.

[…] il Signore fece piovere sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco […]
(Genesi, 19, 24)

Sòdoma e Gomorra erano due città situate nei pressi del Mar Morto, le quali furono
distrutte dal Signore per l’empietà e corruzione dei loro abitanti.

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[…] molto numerosa […] come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido
del mare […] (Genesi, 22, 17)

V. commento a Genesi, 13, 16.

[…] spirò e morì in felice canizie, vecchio e sazio di giorni […] (Genesi, 25, 8)

Il soggetto di questa frase è Abramo.

Dio ti conceda rugiada dal cielo,
terre grasse, frumento
e mosto in abbondanza (Genesi, 27, 28)

Questa frase fa parte della benedizione che Isacco, cieco e malato per la vecchiaia, prima
di morire fece al suo figlio secondogenito Giacobbe, credendo di farla al suo
primogenito Esaù, che in quel momento non si trovava a casa. La moglie di Isacco,
Rebecca, avendo preferenze per Giacobbe, gli ordinò di sostituirsi a Esaù, fingendosi lui.
Isacco, essendo cieco, non si accorse dell’inganno e diede, come detto, la sua
benedizione a Giacobbe anziché ad Esaù, cui sarebbe spettata di diritto in qualità di
primogenito. Quando Esaù tornò a casa e chiese la benedizione a Isacco, questi si
accorse del raggiro, ma era troppo tardi, perché ormai la benedizione era stata fatta ed
era irrevocabile.

[…] Davvero tu sei mio osso e mia carne! […] (Genesi, 29, 14)

Questa frase la pronuncia Làbano a Giacobbe, quando viene a sapere che questi è figlio
di sua sorella Rebecca. Quindi Làbano è zio di Giacobbe.

[…] con festa e con canti, a suon di tamburelli e di cetre! (Genesi, 31, 27)

Chi parla è Làbano, che rimprovera a Giacobbe di essere fuggito con le sue figlie Lia e
Rachele. Questa è la frase completa:

Disse allora Làbano a Giacobbe: «Che cosa hai fatto? Hai eluso la mia attenzione e hai
condotto via le mie figlie come prigioniere di guerra! Perché sei fuggito di nascosto, mi
hai ingannato e non mi hai avvertito? Io ti avrei congedato con festa e con canti, a suon
di tamburelli e di cetre! […] » (Genesi, 31, 27-31)

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Di giorno mi divorava il caldo e di notte il gelo, e il sonno fuggiva dai miei occhi
(Genesi, 31, 40)

Giacobbe, accusato da Làbano di avere rapito le sue due figlie (v. Genesi, 31, 27-31), si
adirò e gli rispose:

«Qual è il mio delitto, qual è il mio peccato, perché ti accanisca contro di me? Ora che
hai frugato tra tutti i miei oggetti, che cosa hai trovato di tutte le cose di casa tua? Mettilo
qui davanti ai miei e tuoi parenti, e siano essi giudici tra noi due. Vent’anni ho passato
con te: le tue pecore e le tue capre non hanno abortito e non ho mai mangiato i montoni
del tuo gregge. Nessuna bestia sbranata ti ho portato a mio discarico: io stesso ne
compensavo il danno e tu reclamavi da me il risarcimento sia di quanto veniva rubato di
giorno sia di quanto veniva rubato di notte. Di giorno mi divorava il caldo e di notte il
gelo, e il sonno fuggiva dai miei occhi. Vent’anni sono stato in casa tua: ho servito
quattordici anni per le tue due figlie e sei anni per il tuo gregge e tu hai cambiato il mio
salario dieci volte. Se il Dio di mio padre, il Dio di Abramo e il Terrore di Isacco non
fosse stato con me, tu ora mi avresti licenziato a mani vuote; ma Dio ha visto la mia
afflizione e la fatica delle mie mani e la scorsa notte egli ha fatto da arbitro.» (Genesi, 31,
36-42)

[…] voi fareste scendere con dolore la mia canizie negli inferi (Genesi, 42, 38)

Giacobbe, il cui nome fu mutato da Dio in “Israele”, ebbe, da quattro donne diverse,
dodici figli maschi, che formarono, ciascuno, una delle dodici tribù d’Israele. Due di
questi erano Giuseppe e Beniamino, avuti da Rachele. I figli di Israele (cioè di Giacobbe)
erano invidiosi di uno di loro, Giuseppe, perché questi era il prediletto di Israele. Rosi da
quest’invidia, essi fecero credere al padre che Giuseppe era stato sbranato da una bestia
feroce; in realtà essi lo avevano venduto a dei mercanti. Poi Giuseppe divenne potente,
perché fu scelto dal faraone d’Egitto prima quale suo maggiordomo e poi fu da lui
nominato viceré d’Egitto. Un giorno Israele comandò ai suoi figli di andare in Egitto per
comprare il grano; ma mandò tutti, eccetto Beniamino, il più giovane, perché temeva che
gli succedesse qualche disgrazia. I dieci fratelli partirono quindi dal paese di Canaan e
arrivarono in Egitto. Qui essi si rivolsero proprio a Giuseppe, perché lui vendeva il
grano a tutto il popolo del Paese. Giuseppe riconobbe i suoi fratelli, ma fece finta di
nulla; loro invece non lo riconobbero. Giuseppe impose loro di andare a prendere il loro
fratello più giovane, Beniamino, e di portarlo da lui; nel frattempo Giuseppe tenne
prigioniero uno di loro, Simeone, che avrebbe liberato solo dopo che gli fosse stato
portato Beniamino. I nove fratelli si recarono dal padre, Israele, e gli riferirono le
condizioni imposte da Giuseppe; e lui rispose:
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«Il mio figlio non andrà laggiù con voi, perché suo fratello è morto ed egli è rimasto solo.
Se gli capitasse una disgrazia durante il viaggio che voi volete fare, fareste scendere con
dolore la mia canizie negli inferi.»

[…] tu sei il mio primogenito,
il mio vigore e la primizia della mia virilità […] (Genesi, 49, 3)

Israele (Giacobbe), poco prima di morire, benedisse uno per uno i suoi dodici figli. Tra
questi, il primogenito era Ruben, uno dei sei avuti da Lia, e lo benedisse, tra l’altro, con
queste parole:

Ruben, tu sei il mio primogenito,
il mio vigore e la primizia della mia virilità,
esuberante in fierezza ed esuberante in forza!

[…] ha piegato il dorso a portare la soma […] (Genesi, 49, 15)

Israele (Giacobbe), poco prima di morire, benedisse uno per uno i suoi dodici figli. Tra
questi, Ìssacar, uno dei sei avuti da Lia, lo benedisse con queste parole:

Ìssacar è un asino robusto,
accovacciato tra un doppio recinto.
Ha visto che il luogo di riposo era bello,
che la terra era amena;
ha piegato il dorso a portare la soma
ed è stato ridotto ai lavori forzati. (Genesi, 49, 14-15)

[…] germoglio di ceppo fecondo presso una fonte […] (Genesi, 49, 22)

Israele (Giacobbe), poco prima di morire, benedisse uno per uno i suoi dodici figli. Tra
questi, Giuseppe, uno dei due avuti da Rachele, lo benedisse, tra l’altro, con queste
parole:

Germoglio di ceppo fecondo è Giuseppe;
germoglio di ceppo fecondo presso una fonte,
i cui rami si stendono sul muro. (Genesi, 49, 22)

[…] una terra dove scorrono latte e miele […] (Esodo, 3, 8)

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Espressione ricorrente nella Bibbia, che sta ad indicare la fertilità di Canaan, terra
promessa ad Abramo. In Genesi, 12, 5-7, sta scritto:

Abram (Abramo) prese la moglie Sarài (nome che poi Dio cambierà in “Sara”) e Lot,
figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che
lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra
di Canaan e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la Quercia di Morè.
Nella terra si trovavano allora i Cananei.
Il Signore apparve ad Abram e gli disse: “Alla tua discendenza io darò questa terra”.

Canaan è una regione corrispondente, grosso modo, agli attuali Libano, Palestina, Israele
e parti di Siria e Giordania.

La frase in argomento è tratta dal seguente contesto:

Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian,
condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb [altro nome del Sinai].
L’angelo del Signore [l’angelo del Signore indica il Signore stesso] gli apparve in una fiamma di
fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel
roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande
spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per
guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non
avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo
santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di
Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il
Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo [quello israelitico] in Egitto e ho
udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso
per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e
spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il
Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. […] » (Esodo, 3, 1-8)

[…] Io sono colui che sono! […] (Esodo, 3, 14)

Mosè, a Dio che gli era apparso sul monte Oreb (v. Esodo, 3, 1-8), disse:

«Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”.
Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?».
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-
Sono mi ha mandato a voi”».

                                            ~ 11 ~
Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di
Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome
per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione. […] »
(Esodo, 3, 13-15)

[…] il Signore ti ha fatto uscire dall’Egitto con mano potente (Esodo, 3, 9)

[…] con la potenza del suo braccio il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto (Esodo,
3, 16)

[…] ho sollevato voi su ali di aquile […] (Esodo, 19, 4)

Questa frase fa parte del discorso che il Signore fece a Mosè sul monte Sinai, dopo tre
mesi che li aveva fatti uscire dall'Egitto. Ecco tutto il discorso:

Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla casa di
Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: “Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e
come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me. Ora, se darete
ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà
particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di
sacerdoti e una nazione santa”. Queste parole dirai agli Israeliti.» (Esodo, 19, 3-6)

occhio per occhio, dente per dente […] (Esodo, 21, 24)

Come si vede, il famoso proverbio “Occhio per occhio, dente per dente” è tratto dalla
Bibbia. Fa parte della cosiddetta “legge del taglione”, che Dio consegnò a Mosè affinché
fosse rispettata da tutti gli Israeliti. Essa è basata sulla proporzionalità della pena rispetto
al delitto, e costituisce un progresso rispetto alla vendetta sproporzionata e selvaggia fino
ad allora vigente. Gesù invece insegnerà ai suoi discepoli la “legge del perdono”.
Ecco il contesto da cui è tratta la frase in argomento:

Quando alcuni uomini litigano e urtano una donna incinta, così da farla abortire, se non
vi è altra disgrazia, si esigerà un’ammenda, secondo quanto imporrà il marito della
donna, e il colpevole pagherà attraverso un arbitrato. Ma se segue una disgrazia, allora
pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per
piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido. (Esodo, 19, 22-25)

[…] tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare
vivo (Esodo, 33, 20)

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Mosè chiede a Dio di mostrare le propria “gloria”, cioè il proprio volto. Ma Dio gli
risponde:

«Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti
a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia».
Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e
restare vivo.» (Esodo, 33, 19-20)

Tu non devi prostrarti ad altro dio, perché il Signore si chiama Geloso: egli è un
Dio geloso (Esodo, 34, 14)

Questa frase la dice Dio a Mosè.

[…] Nessuno venga davanti a me a mani vuote (Esodo, 34, 20)

Anche questa frase la dice Dio a Mosè.

[…] Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo (Levitico, 19, 2)

Altra frase detta da Dio a Mosè.

[…] il fruscìo di una foglia agitata li metterà in fuga […] (Levitico, 26, 36)

Anche questa frase è detta da Dio a Mosè. Costituisce uno dei castighi che Dio infliggerà
agli Israeliti se si opporranno a Lui e alla Sua legge: li farà diventare talmente paurosi che
persino il fruscio di una foglia li farà fuggire.

[…] il tuo nido è aggrappato alla roccia (Numeri, 24, 21)

Questa è una frase simbolica che significa che la dimora cui qui si allude è sicura.

[…] non temerete alcun uomo, poiché il giudizio appartiene a Dio […]
(Deuteronomio, 1, 17)

Questa frase fa parte del discorso che Mosè, per ordine del Signore, fece agli Israeliti
nella valle dell’Araba (tra il mar Morto e il golfo di Acaba).

Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto e che il Signore, tuo Dio, ti ha
fatto uscire di là con mano potente e braccio teso […] (Deuteronomio, 5, 15)

                                          ~ 13 ~
Questa frase fa parte del secondo discorso di Mosè agli Israeliti, e contiene precetti che il
Signore ha ordinato a Mosè di insegnare loro.

Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le
forze (Deuteronomio, 6, 5)

Anche questa frase, come quella precedente, fa parte del secondo discorso di Mosè agli
Israeliti.

[…] l’uomo non vive soltanto di pane, ma […] l’uomo vive di quanto esce dalla
bocca del Signore (Deuteronomio, 8, 3)

È sempre Mosè che insegna agli Israeliti i comandi che gli ha rivolto il Signore. A queste
parole farà riferimento Gesù quando sarà tentato da Satana nel deserto (cfr. Vangelo
secondo Matteo, 4, 4, e Vangelo secondo Luca, 4, 4).

Il versetto intero è il seguente:

Egli [il Signore] dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di
manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti
capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla
bocca del Signore (Deuteronomio, 8, 3)

[…] non accetterai regali, perché il regalo acceca gli occhi dei saggi e corrompe
le parole dei giusti (Deuteronomio, 16, 19)

Anche questa frase è contenuta negli insegnamenti che il Signore ha ordinato a Mosè di
dare agli Israeliti.

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LIBRI STORICI

Sansone disse: «Che io muoia insieme con i Filistei!» […] (Giudici, 16, 30)

Da questa frase biblica è derivato il famoso proverbio “Muoia Sansone con tutti i
Filistei”.
Sansone era un israelitico nato da una donna che, benché fosse sterile, il Signore volle
che diventasse sua madre. Era dotato di forza fisica eccezionale, che gli veniva
direttamente dal Signore, poiché il Signore aveva voluto che i genitori lo consacrassero a
Lui, attraverso il cosiddetto “voto di nazireato”. In base a questo voto, tra l’altro, sulla
testa del consacrato (in questo caso Sansone) “non doveva passare rasoio”. I suoi nemici
Filistei si rivolsero a Dalila, di cui Sansone era innamorato, affinché con la sua arte
seduttrice riuscisse a capirgli il segreto della sua forza. Dopo tre tentativi falliti, la donna
riuscì nell’intento, e durante il sonno tagliò i capelli a Sansone. Questi, divenuto debole
(perché non più benedetto dal Signore), fu catturato dai Filistei, i quali gli cavarono gli
occhi e lo incatenarono. Un giorno i capi dei Filistei lo chiamarono per fargli eseguire dei
giochi in onore del loro dio. Ad un certo punto Sansone, che aveva ripreso un po’ di
vigore grazie al fatto che la capigliatura era nel frattempo un po’ ricresciuta, invocò il
Signore di dargli la forza almeno per quel momento, dopo di che appoggiò le mani sulle
due colonne portanti dell’edificio, dicendo :«Che io muoia insieme con i Filistei!» Quindi
si curvò con tutta la forza e le ruppe, determinando il crollo dell’edificio e la morte, oltre
che di sé stesso, anche dei capi e di tutto il popolo filisteo che vi era dentro. Furono più i
morti che Sansone causò con la sua morte di quanti ne aveva uccisi in vita.

[…] Il mio cuore esulta nel Signore,
la mia forza s’innalza grazie al mio Dio […] (Primo libro di Samuele, 2, 1)

Questa frase fa parte del cosiddetto “cantico di Anna”. Questa era una delle due mogli
che aveva un israelita di nome Elkanà; a differenza dell’altra moglie, però, Anna era
sterile. Malgrado fosse sterile, Elkanà amava Anna, ma lei era presa in giro dall’altra
moglie per il fatto che non poteva avere figli, e questo accresceva la sua umiliazione. Un
giorno Anna pregò così il Signore: «Signore, se avrai pietà di me e mi darai un figlio
maschio, io lo offrirò a te per tutta la sua vita.» Il giorno dopo Elkanà si unì ad Anna e il
Signore si ricordò di lei. Così al finire dell’anno Anna partorì un bambino e lo chiamò
Samuele. Questi crebbe al servizio del Signore, e quando fu adulto divenne giudice
d’Israele [“giudice” nel senso biblico di capo militare e civile ispirato da Dio] e profeta.

[…] l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore (Primo libro di Samuele, 16,
                                           ~ 15 ~
7)

Il Signore era deluso del re di Israele, Saul, e perciò aveva deciso di sostituirlo; il sostituto
lo avrebbe scelto tra uno degli otto figli di un certo Iesse, abitante a Betlemme. Quindi
comandò al giudice Samuele di recarsi a Betlemme per consacrare, per mezzo
dell’unzione, il figlio di Iesse che Lui avrebbe scelto. Per primo a Samuele fu presentato
Eliàb, che era il figlio primogenito di Iesse. Samuele, vedendo l’imponenza fisica del
giovane, disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a
Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché
non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il
cuore».
Al cospetto di Samuele furono portati, uno ad uno, tutti gli altri figli di Iesse, ad
eccezione del più giovane, che si chiamava Davide; ma il Signore non scelse nessuno di
loro.
Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più
piccolo [Davide], che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a
prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a
chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto. Disse il Signore:
«Àlzati e ungilo: è lui!».

[…] Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome
del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d’Israele […] (Primo libro di Samuele, 17,
45)

Un giorno due accampamenti nemici, quello israelita e quello filisteo, erano posti uno di
fronte all’altro. Dall’accampamento filisteo uscì il loro capo, di nome Golia, alto tre metri
ed armato di elmo, corazza, lancia e spada, e rivolto agli Israeliti gridò: «Scegliete un
uomo tra di voi che combatta con me: se lui mi batterà, noi saremo vostri schiavi; se
invece prevarrò io su di lui, sarete voi nostri schiavi.»
Nel frattempo Golia con i suoi uomini avanzava minacciosamente verso
l’accampamento israelitico.
Dopo quaranta giorni Davide seppe della sfida lanciata da Golia, e decise di affrontarlo
lui.
Davide rifiutò di indossare l’armatura, e si avvicinò a Golia armato solo di un bastone e
una fionda. Il Filisteo [Golia] scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo,
perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell’aspetto. Il Filisteo disse a Davide: «Sono
io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?». E quel Filisteo maledisse
Davide in nome dei suoi dèi. Poi il Filisteo disse a Davide: «Fatti avanti e darò le tue
carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche». Davide rispose al Filisteo: «Tu vieni a

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me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli
eserciti, Dio delle schiere d’Israele, che tu hai sfidato. In questo stesso giorno, il Signore
ti farà cadere nelle mie mani. Io ti abbatterò e ti staccherò la testa e getterò i cadaveri
dell’esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche; tutta la terra saprà che vi è
un Dio in Israele. Tutta questa moltitudine saprà che il Signore non salva per mezzo
della spada o della lancia, perché del Signore è la guerra ed egli vi metterà certo nelle
nostre mani».
Dopo un po’ Davide con la fionda colpì Golia in fronte, uccidendolo. Poi il ragazzo si
avvicinò al cadavere e con la sua spada gli tagliò la testa. I Filistei videro che il loro eroe
era morto e si diedero alla fuga.

[…] la tua amicizia era per me preziosa,
più che amore di donna (Secondo libro di Samuele, 1, 26)

I Filistei uccisero i tre figli del re d’Israele, Saul; questi, vistosi accerchiato e senza
speranza, piuttosto che farsi catturare preferì suicidarsi gettandosi sulla sua spada.
Saputa la notizia, Davide, che era affezionato a Saul, ne fu molto addolorato, e
pronunciò un’elegia (cioè un lamento) per Saul e per uno dei suoi tre figli uccisi, Gionata.
La frase in oggetto è contenuta in tale elegia.
Il trono di Israele passò a Is-Baal, altro figlio di Saul, mentre re di Giuda (la tribù che si
era separata da Israele) diventò Davide. Dopo due anni Is-Baal fu ucciso nel sonno da
due uomini appartenenti alla tribù di Giuda, che gli tagliarono al testa, e i rappresentanti
di tutte le tribù d’Israele vollero che loro re fosse Davide. Pertanto Davide divenne re,
oltre che di Giuda, anche di Israele.

[…] i ciechi e gli zoppi ti respingeranno […] (Secondo libro di Samuele, 5, 6)

Una volta divenuto re di tutto Israele (inclusa, cioè, la tribù di Giuda), Davide con i suoi
uomini mosse verso Gerusalemme, che in quel tempo era abitata dalla tribù dei Gebusei.
Questi si opposero all’ingresso di Davide, dicendogli: «Tu qui non entrerai: i ciechi e gli
zoppi ti respingeranno», per significare che Davide, secondo i Gebusei, era così debole
che persino i ciechi e gli zoppi sarebbero stati capaci di respingerlo. Ma Davide riuscì ad
espugnare Gerusalemme, e la nominò capitale del suo regno.

[…] siamo come acqua versata per terra, che non si può più raccogliere […]
(Secondo libro di Samuele, 14, 14)

La prima parte del versetto, completa, è “Noi dobbiamo morire e siamo come acqua

                                              ~ 17 ~
versata per terra, che non si può più raccogliere, e Dio non ridà la vita […]”, e fa parte di
un discorso che una donna fece a Davide.

[…] hanno l’animo esasperato, come un’orsa privata dei figli nella campagna […]
(Secondo libro di Samuele, 17, 8)

Sono parole che pronunziò un amico di Davide, di nome Cusài, ad Assalonne, figlio di
Davide.

[…] Chi governa gli uomini con giustizia,
chi governa con timore di Dio,
è come luce di un mattino
quando sorge il sole,
mattino senza nubi,
che fa scintillare dopo la pioggia
i germogli della terra (Secondo libro di Samuele, 23, 3-4)

Queste fanno parte delle cosiddette “ultime parole di Davide”.

[…] tu confidi su questo sostegno di canna spezzata […], che penetra nella mano,
forandola, a chi vi si appoggia […] (Secondo libro dei Re, 18, 21)

Questa frase simboleggia il fatto che confidare sull’aiuto sbagliato non solo non apporta
benefici, ma addirittura arreca danni.

[…] il Signore scruta tutti i cuori e conosce ogni intimo intento […] (Primo libro delle
Cronache, 28, 9)

Sono parole che Davide dice a suo figlio Salomone. Il versetto completo è il seguente:
Tu, Salomone, figlio mio, riconosci il Dio di tuo padre, servilo con cuore perfetto e con
animo volenteroso, perché il Signore scruta tutti i cuori e conosce ogni intimo intento: se
lo cercherai, ti si farà trovare; se invece l’abbandonerai, egli ti rigetterà per sempre.

Se non siete capaci di scrutare il profondo del cuore dell’uomo né di afferrare i
pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore […] e conoscere i suoi
pensieri e comprendere i suoi disegni? […] (Giuditta, 8, 14)

Al tempo in cui Nabucodonosor era re degli Assiri, la città di Betùlia, che era abitata
dagli Israeliti, fu attaccata dall’esercito assiro, comandato dal generale Oloferne. Questi,
per costringere alla resa gli Israeliti, chiuse loro l’accesso all’unica fonte da cui essi

                                           ~ 18 ~
potevano attingere l’acqua. Dato che molti Israeliti cominciavano a morire di sete, il
popolo si rivolse ai capi della città affinché si arrendessero agli Assiri. Allora uno dei
capi, di nome Ozia, rispose loro: «Coraggio, fratelli, resistiamo altri cinque giorni, e nel
frattempo il Signore Dio nostro ci verrà in soccorso. Se neanche in questi cinque giorni
ci aiuterà, allora ci arrenderemo agli Assiri.» Venuta a sapere la cosa, una giovane donna
di Betùlia, di nome Giuditta, disse ai capi della città: «Ascoltatemi, capi dei cittadini di
Betùlia. Non è un discorso giusto quello che oggi avete tenuto al popolo, e quel
giuramento che avete pronunciato e interposto tra voi e Dio, di mettere la città in mano
ai nostri nemici, se nel frattempo il Signore non verrà in vostro aiuto. Chi siete voi
dunque che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di lui in mezzo
ai figli degli uomini? Certo, voi volete mettere alla prova il Signore onnipotente, ma non
comprenderete niente, né ora né mai. Se non siete capaci di scrutare il profondo del
cuore dell’uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il
Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri e comprendere i suoi
disegni? No, fratelli, non provocate l’ira del Signore, nostro Dio. Se non vorrà aiutarci in
questi cinque giorni, egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che vuole o anche di
farci distruggere dai nostri nemici. […] »

In quel giorno digiunarono e si vestirono di sacco, si cosparsero di cenere il capo
e si stracciarono le vesti (Primo libro dei Maccabei, 3, 47)

Il digiunare, il vestirsi di sacco, il cospargersi la testa di cenere e lo stracciarsi le vesti
sono tutte espressioni che ricorrono spesso nella Bibbia. Erano compiute dagli Israeliti
in segno di umiliazione per sottomettersi alla potenza e alla volontà di Dio, ed indicano
lo stato d’animo dell’uomo consapevole della caducità del proprio corpo (polvere tu sei e
polvere ritornerai! - Genesi, 3, 19). Venivano inoltre compiute in segno di pentimento,
dolore o penitenza.

[…] ci vorranno sudori e veglie (Secondo libro dei Maccabei, 2, 26)

Quest’espressione indica la difficoltà con cui l’autore del Secondo libro dei Maccabei
(Giuda Maccabeo) dovrà riassumere i fatti narrati da un altro autore (Giasone di Cirene):
per farlo, ci vorranno, appunto, “sudori e veglie”, cioè fatica e sonno perso. Questi i
versetti completi:

questi fatti, narrati da Giasone di Cirene nel corso di cinque libri, cercheremo di
riassumerli in uno solo. Considerando infatti la caterva delle cifre e l’effettiva difficoltà
per chi desidera inoltrarsi nei meandri delle narrazioni storiche, a causa della vastità della
materia, ci siamo preoccupati di offrire diletto a coloro che amano leggere, facilità a
quanti intendono fissare nella memoria, utilità a tutti gli eventuali lettori. Per noi, certo,
                                          ~ 19 ~
che ci siamo sobbarcati la fatica di questo riassunto, l’impresa non si presenta facile: ci
vorranno sudori e veglie, così come non è facile preparare un banchetto e accontentare
le esigenze altrui. Allo stesso modo per fare cosa gradita a molti, ci sarà dolce sopportare
la fatica, lasciando all’autore la completa esposizione dei particolari, preoccupandoci
invece di procedere secondo le linee essenziali di un riassunto (Secondo libro dei Maccabei, 2,
23-28)

                                           ~ 20 ~
LIBRI POETICI E SAPIENZIALI

[…] la collera uccide lo stolto
e l’invidia fa morire lo sciocco (Giobbe, 5, 2)

I miei giorni […]
volano […]
come aquila che piomba sulla preda (Giobbe, 9, 25-26)

Nei canuti sta la saggezza
e in chi ha vita lunga la prudenza (Giobbe, 12, 12)

il trionfo degli empi è breve
e la gioia del perverso è di un istante […] (Giobbe, 20, 5)

[…] il timore del Signore, questo è sapienza,
evitare il male, questo è intelligenza (Giobbe, 28, 28)

Se il mio passo è andato fuori strada
e il mio cuore ha seguìto i miei occhi,
se la mia mano si è macchiata,
io semini e un altro ne mangi il frutto
e siano sradicati i miei germogli (Giobbe, 31, 7-8)

Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.
È come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene (Salmi, 1, 1-3)

[…] il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina (Salmi, 1, 6)

                                         ~ 21 ~
In pace mi corico e subito mi addormento,
perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare (Salmi, 4, 9)

[…] tu benedici il giusto, Signore,
come scudo lo circondi di benevolenza (Salmi, 5, 13)

Signore, mio Dio, in te ho trovato rifugio:
salvami da chi mi perseguita e liberami,
perché non mi sbrani come un leone,
dilaniandomi senza che alcuno mi liberi (Salmi, 7, 2-3)

Confidino in te quanti conoscono il tuo nome,
perché tu non abbandoni chi ti cerca, Signore (Salmi, 9, 11)

Custodiscimi come pupilla degli occhi,
all’ombra delle tue ali nascondimi (Salmi, 17, 8)

Le parole di questa frase sono rivolte al Signore.

Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? […] (Salmi, 22, 2)

Questa frase fu pronunciata da Cristo sulla croce.

Salvami dalle fauci del leone
e dalle corna dei bufali (Salmi, 22, 22)

Le parole di questa frase sono rivolte al Signore. Le fauci del leone e le corna dei bufali
sono qui prese come il simbolo delle insidie che si incontrano durante la vita.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce (Salmi, 23, 1-2)

Hai mutato il mio lamento in danza,
mi hai tolto l’abito di sacco,
mi hai rivestito di gioia,
perché ti canti il mio cuore, senza tacere;
                                       ~ 22 ~
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre (Salmi, 30, 12-13)

I giusti avranno in eredità la terra
e vi abiteranno per sempre (Salmi, 37, 29)

Come la cerva anela
ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela
a te, o Dio (Salmi, 42, 2)

Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora (Salmi, 68, 6)

Salvami, o Dio:
l’acqua mi giunge alla gola.
Affondo in un abisso di fango,
non ho nessun sostegno;
sono caduto in acque profonde
e la corrente mi travolge (Salmi, 69, 2-3)

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore (Salmi, 103, 8)

Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono (Salmi, 103, 13)

Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino (Salmi, 119, 105)

Le parole di questa frase sono rivolte al Signore.

Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità (Salmi, 145, 18)

Ascolta, figlio mio, l’istruzione di tuo padre
e non disprezzare l’insegnamento di tua madre,
perché saranno corona graziosa sul tuo capo
e monili per il tuo collo (Proverbi, 1, 8-9)
                                          ~ 23 ~
Non negare un bene a chi ne ha il diritto,
se hai la possibilità di farlo.
Non dire al tuo prossimo:
“Va’, ripassa, te lo darò domani”,
se tu possiedi ciò che ti chiede (Proverbi, 3, 27-28)

Va’ dalla formica, o pigro,
guarda le sue abitudini e diventa saggio.
Essa non ha né capo
né sorvegliante né padrone,
eppure d’estate si procura il vitto,
al tempo della mietitura accumula il cibo (Proverbi, 6, 6-8)

Osserva i miei precetti e vivrai,
il mio insegnamento sia come la pupilla dei tuoi occhi.
Légali alle tue dita,
scrivili sulla tavola del tuo cuore (Proverbi, 7, 2-3)

Soggetto di questa frase è la Sapienza personificata, la quale qui come in quasi tutto il
libro “Proverbi” istruisce il lettore. Tutto il libro contiene massime attribuite al re
Salomone e ad altri ignoti sapienti.

Chi corregge lo spavaldo ne riceve disprezzo
e chi riprende il malvagio ne riceve oltraggio.
Non rimproverare lo spavaldo per non farti odiare;
rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato.
Da’ consigli al saggio e diventerà ancora più saggio;
istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere (Proverbi, 9, 7-9)

Come l’aceto ai denti e il fumo agli occhi,
così è il pigro per chi gli affida una missione (Proverbi, 10, 26)

Un anello d’oro al naso di un maiale,
tale è la donna bella ma senza cervello (Proverbi, 11, 22)

La via del malvagio è retta ai propri occhi,
il saggio, invece, ascolta il consiglio.
                                         ~ 24 ~
Lo stolto manifesta subito la sua collera,
ma chi è avveduto dissimula l’offesa (Proverbi, 12, 15-16)

Chi sorveglia la bocca preserva la sua vita,
chi spalanca le sue labbra va incontro alla rovina (Proverbi, 13, 3)

La ricchezza venuta dal nulla diminuisce,
chi la accumula a poco a poco, la fa aumentare (Proverbi, 13, 11)

Chi risparmia il bastone odia suo figlio,
chi lo ama è pronto a correggerlo (Proverbi, 13, 24)

Questa massima vuole dire, come del resto sostenuto anche dalla moderna psicologia,
che chi da bambino è stato troppo viziato ed è stato abituato ad averla sempre vinta su
tutto, da grande avrà problemi di convivenza con gli altri, perché non sarà in grado di
sopportare le inevitabili rinunce alle sue pretese che dovrà subire nella vita sociale con i
compagni di scuola, di lavoro, ecc. Pertanto, se si vuole bene ai propri figli, bisogna,
quando necessario, “usare il bastone”. Non bisogna però cadere nell’eccesso opposto: la
severità non deve traboccare nella cattiveria, e le proibizioni, i rimproveri e gli
“scappellotti” devono essere sempre motivati e accompagnati da parole d’insegnamento.

È meglio un piatto di verdura con l’amore
che un bue grasso con l’odio (Proverbi, 15, 17)

Meglio un tozzo di pane secco con tranquillità
che una casa piena di banchetti con discordia (Proverbi, 17, 1)

Meglio incontrare un’orsa privata dei figli
che uno stolto in preda alla follia (Proverbi, 17, 12)

L'orsa privata dei figli è il simbolo della persona che va su tutte le furie.

Iniziare un litigio è come aprire una diga;
prima che la lite si esasperi, troncala (Proverbi, 17, 14)

Bella similitudine: la diga, quando si apre, riversa in modo irrefrenabile la massa d’acqua
a valle, proprio come chi, essendo in preda all’ira, non riesce a misurare le sue parole né
a controllare le sue azioni.

                                            ~ 25 ~
È segno d’intelligenza per l'uomo trattenere la collera,
ed è sua gloria passare sopra alle offese (Proverbi, 19, 11)

La casa e il patrimonio si ereditano dal padre,
ma una moglie assennata è dono del Signore (Proverbi, 19, 14)

Non dire: “Renderò male per male”;
confida nel Signore ed egli ti libererà (Proverbi, 20, 22)

Questa massima insegna che farsi giustizia da soli è sbagliato: bisogna chiedere in
preghiera a Dio che ci liberi dalle offese subite.

Nuvole e vento, ma senza pioggia,
tale è l’uomo che si vanta di regali che non fa (Proverbi, 25, 14)

Come chi lega una pietra alla fionda,
così chi attribuisce onori a uno stolto (Proverbi, 26, 8)

Chi scava una fossa vi cadrà dentro
e chi rotola una pietra, gli ricadrà addosso (Proverbi, 26, 27)

Questa frase vuole significare che chi trama tranelli ne sarà lui stesso vittima.

Lo stomaco sazio disprezza il miele,
per lo stomaco affamato anche l’amaro è dolce (Proverbi, 27, 7)

Il malvagio fugge anche se nessuno lo insegue,
mentre il giusto è sicuro come un giovane leone (Proverbi, 28, 1)

Questa massima vuol dire che chi ha la coscienza a posto non ha nulla da temere, e
quindi procede sicuro come un giovane leone (simbolo di forza). Viceversa il malvagio
deve guardarsi sempre intorno per timore delle ritorsioni che si possono abbattere su di
lui a causa del male che ha compiuto.

[…] vanità delle vanità: tutto è vanità (Qoelet, 1, 2)
Il versetto successivo è il seguente:
Quale guadagno viene all’uomo

                                           ~ 26 ~
per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole? (Qoelet, 1, 3)

Quel che è stato sarà
e quel che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole (Qoelet, 1, 9)
Ecco i due versetti successivi:
C’è forse qualcosa di cui si possa dire:
“Ecco, questa è una novità”?
Proprio questa è già avvenuta
nei secoli che ci hanno preceduto.
Nessun ricordo resta degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso quelli che verranno in seguito (Qoelet, 1, 10-11)

[…] tutto è vanità e un correre dietro al vento (Qoelet, 1, 14)

[…] molta sapienza, molto affanno;
chi accresce il sapere aumenta il dolore (Qoelet, 1, 18)
Ecco il contesto da cui la suddetta frase è tratta:
Ho deciso […] di conoscere la sapienza e la scienza, […] e ho capito che anche questo è
un correre dietro al vento. Infatti:
molta sapienza, molto affanno;
chi accresce il sapere aumenta il dolore (Qoelet, 1, 17-18)

il saggio ha gli occhi in fronte,
ma lo stolto cammina nel buio.
Eppure io so che un’unica sorte è riservata a tutti e due (Qoelet, 2, 14)

La frase viene compresa meglio leggendo anche il versetto successivo:
Allora ho pensato: “Anche a me toccherà la sorte dello stolto! Perché allora ho cercato
d’essere saggio? Dov’è il vantaggio?”. E ho concluso che anche questo è vanità (Qoelet, 2,
15)
Poi continua così:
Ho preso in odio ogni lavoro che con fatica ho compiuto sotto il sole, perché dovrò
lasciarlo al mio successore. E chi sa se questi sarà saggio o stolto? Eppure potrà disporre
di tutto il mio lavoro, in cui ho speso fatiche e intelligenza sotto il sole. Anche questo è
vanità! […] quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del
suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e
fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità! (Qoelet, 2, 18-
                                          ~ 27 ~
23)

Chi ama il denaro non è mai sazio di denaro e chi ama la ricchezza non ha mai
entrate sufficienti. Anche questo è vanità (Qoelet, 5, 9)

Dolce è il sonno del lavoratore, poco o molto che mangi;
ma la sazietà del ricco non lo lascia dormire (Qoelet, 5, 11)
Il suddetto versetto è preceduto da questo:
Con il crescere delle ricchezze aumentano i profittatori e quale soddisfazione ne riceve il
padrone se non di vederle con gli occhi? (Qoelet, 5, 10)

Meglio ascoltare il rimprovero di un saggio
che ascoltare la lode degli stolti (Qoelet, 7, 5)

[…] meglio un cane vivo che un leone morto (Qoelet, 9, 4)

Chi bada al vento non semina mai,
e chi osserva le nuvole non miete (Qoelet, 11, 4)
Il significato di questa massima è che la vita conviene viverla intensamente e in modo
deciso, senza essere troppo titubanti nel prendere le decisioni; perciò non bisogna
rimandare né di dedicarsi a un lavoro produttivo né, quando si può, bisogna farsi
mancare un sano divertimento.
Dopo aver parlato della vanità della vita terrena, l’autore del libro “Qoelet” termina con
questi due versetti:
Conclusione del discorso, dopo aver ascoltato tutto: temi Dio e osserva i suoi
comandamenti, perché qui sta tutto l’uomo.
Infatti, Dio citerà in giudizio ogni azione, anche tutto ciò che è occulto, bene o male
(Qoelet, 12, 13-14)

Come un giglio fra i rovi,
così l’amica mia tra le ragazze (Cantico dei Cantici, 2, 2)

I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano tra i gigli (Cantico dei Cantici, 4, 5)

Le tue labbra stillano nettare […] (Cantico dei Cantici, 4, 11)

Le anime dei giusti […] sono nelle mani di Dio,
nessun tormento li toccherà (Sapienza, 3, 1)
                                           ~ 28 ~
Nel capitolo precedente invece si è parlato degli empi...
Dicono [soggetto è “gli empi”] fra loro sragionando:
“La nostra vita è breve e triste;
non c’è rimedio quando l’uomo muore,
e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti.
Siamo nati per caso
e dopo saremo come se non fossimo stati: […]
Il nostro nome cadrà, con il tempo, nell’oblio
e nessuno ricorderà le nostre opere.
La nostra vita passerà come traccia di nuvola,
si dissolverà come nebbia
messa in fuga dai raggi del sole
e abbattuta dal suo calore.
Passaggio di un’ombra è infatti la nostra esistenza
e non c’è ritorno quando viene la nostra fine, […]
poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro.
Venite dunque e godiamo dei beni presenti, […]
Saziamoci di vino pregiato e di profumi,
non ci sfugga alcun fiore di primavera,
coroniamoci di boccioli di rosa prima che avvizziscano;
nessuno di noi sia escluso dalle nostre dissolutezze. […]
Spadroneggiamo sul giusto, che è povero,
non risparmiamo le vedove,
né abbiamo rispetto per la canizie di un vecchio attempato.
Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo
e si oppone alle nostre azioni;
ci rimprovera le colpe contro la legge
e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta.
Proclama di possedere la conoscenza di Dio
e chiama se stesso figlio del Signore.
È diventato per noi una condanna dei nostri pensieri;
ci è insopportabile solo al vederlo,
perché la sua vita non è come quella degli altri,
e del tutto diverse sono le sue strade.
Siamo stati considerati da lui moneta falsa,
e si tiene lontano dalle nostre vie come da cose impure.
Proclama beata la sorte finale dei giusti
e si vanta di avere Dio per padre.
Vediamo se le sue parole sono vere,
consideriamo ciò che gli accadrà alla fine.
Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto
e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,
per conoscere la sua mitezza
                                              ~ 29 ~
e saggiare il suo spirito di sopportazione.
Condanniamolo a una morte infamante,
perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà”.
(Sapienza, 2, 1-20)
Nel giudizio universale però gli empi capiranno i loro errori, mentre il giusto avrà la
giusta ricompensa:
Allora il giusto starà con grande fiducia
di fronte a coloro che lo hanno perseguitato
e a quelli che hanno disprezzato le sue sofferenze.
Alla sua vista saranno presi da terribile spavento,
stupiti per la sua sorprendente salvezza.
Pentiti, diranno tra loro,
gemendo con animo angosciato:
“Questi è colui che noi una volta abbiamo deriso
e, stolti, abbiamo preso a bersaglio del nostro scherno;
abbiamo considerato una pazzia la sua vita
e la sua morte disonorevole. […]
Abbiamo dunque abbandonato la via della verità,
la luce della giustizia non ci ha illuminati
e il sole non è sorto per noi.
Ci siamo inoltrati per sentieri iniqui e rovinosi, […]
Quale profitto ci ha dato la superbia?
Quale vantaggio ci ha portato la ricchezza con la spavalderia?
Tutto questo è passato come ombra
e come notizia fugace,
come una nave che solca un mare agitato,
e, una volta passata, di essa non si trova più traccia
né scia della sua carena sulle onde;
oppure come quando un uccello attraversa l’aria
e non si trova alcun segno del suo volo:
l’aria leggera, percossa dal battito delle ali
e divisa dalla forza dello slancio,
è attraversata dalle ali in movimento,
ma dopo non si trova segno del suo passaggio;
o come quando, scoccata una freccia verso il bersaglio,
l’aria si divide e ritorna subito su se stessa
e della freccia non si riconosce tragitto.
Così anche noi, appena nati, siamo già come scomparsi,
non avendo da mostrare alcun segno di virtù;
ci siamo consumati nella nostra malvagità”.
(Sapienza, 5, 1-13)

La speranza dell’empio è come pula portata dal vento,
                                          ~ 30 ~
come schiuma leggera sospinta dalla tempesta;
come fumo dal vento è dispersa,
si dilegua come il ricordo dell’ospite di un solo giorno (Sapienza, 5, 14)

La sapienza è splendida e non sfiorisce,
facilmente si lascia vedere da coloro che la amano
e si lascia trovare da quelli che la cercano (Sapienza, 6, 12)

[…] lei stessa [la Sapienza] va in cerca di quelli che sono degni di lei,
appare loro benevola per le strade
e in ogni progetto va loro incontro (Sapienza, 6, 16)

Radice di sapienza è temere il Signore,
i suoi rami sono abbondanza di giorni (Siracide, 1, 20)

Quanto più sei grande, tanto più fatti umile,
e troverai grazia davanti al Signore (Siracide, 3, 18)

Non essere troppo sicuro del perdono
tanto da aggiungere peccato a peccato.
Non dire: “La sua compassione è grande;
mi perdonerà i molti peccati”,
perché presso di lui c’è misericordia e ira,
e il suo sdegno si riverserà sui peccatori.
Non aspettare a convertirti al Signore
e non rimandare di giorno in giorno,
perché improvvisa scoppierà l’ira del Signore
e al tempo del castigo sarai annientato (Siracide, 5, 5-7)

Un amico fedele è rifugio sicuro:
chi lo trova, trova un tesoro (Siracide, 6, 14)
Da questa frase biblica deriva il famoso proverbio “Chi trova un amico trova un tesoro”.

Se vedi una persona saggia, va’ di buon mattino da lei,
il tuo piede logori i gradini della sua porta (Siracide, 6, 36)
In questo versetto viene consigliato al lettore di recarsi al più presto (di buon mattino)
presso le persone sagge, e di tornarci talmente spesso che, simbolicamente, i suoi piedi
consumino i gradini della loro porta di casa.
Questo consiglio trova la sua motivazione nel fatto che frequentando i saggi si trae
beneficio dalla loro saggezza.

Figlio, non seminare nei solchi dell’ingiustizia
                                          ~ 31 ~
per non raccoglierne sette volte tanto (Siracide, 7, 3)
“Figlio” nel senso non solo di “figlio del genitore”, ma anche di “discepolo del maestro”.
In questo caso il genitore/maestro è la Sapienza personificata, che elargisce i propri
insegnamenti al lettore del libro.

Non invidiare il successo di un peccatore,
perché non sai quale sarà la sua fine (Siracide, 9, 11)
Questa frase vuole dire che non bisogna invidiare quelle persone che attraverso la loro
condotta peccaminosa sembra che abbiano più successo delle persone giuste. Infatti
prima o poi, in questa vita o in quella ultraterrena, i peccatori saranno puniti, e i giusti
saranno premiati.

Non essere invadente per non essere respinto,
non stare appartato per non essere dimenticato (Siracide, 13, 10)

Chi si confessa colpevole evita l’umiliazione (Siracide, 20, 3)
Questa frase vuol dire che è più onorevole riconoscere spontaneamente le proprie colpe,
piuttosto che essere accusati dagli altri uomini o da Dio.

Il cuore degli stolti sta sulla loro bocca,
mentre bocca dei saggi è il loro cuore (Siracide, 21, 26)

Se soffi su una scintilla, divampa,
se vi sputi sopra, si spegne;
eppure ambedue le cose escono dalla tua bocca (Siracide, 28, 12)
Frase simbolica che vuole dire che la bocca della medesima persona può pronunciare
parole che alimentano la lite o parole che rimettono in pace gli animi.

Un colpo di frusta produce lividure,
ma un colpo di lingua rompe le ossa (Siracide, 28, 17)
Questo versetto indica che le parole fanno più male delle botte.

Non consigliarti con chi ti guarda di sbieco
e nascondi le tue intenzioni a quanti ti invidiano (Siracide, 37, 10)

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LIBRI PROFETICI

Beato il giusto, perché avrà bene,
mangerà il frutto delle sue opere.
Guai all’empio, perché avrà male,
secondo l’opera delle sue mani sarà ripagato (Isaia, 3, 10-11)

[…] “Santo, santo, santo il Signore degli eserciti!
Tutta la terra è piena della sua gloria” (Isaia, 6, 3)
La triplice ripetizione della parola “santo” è una forma di superlativo per celebrare la
suprema santità di Dio.
“Il Signore degli eserciti” è un appellativo dato a Dio nell’Antico Testamento per
esaltarne la potenza e il dominio universale.

[…] “Ascoltate pure, ma non comprenderete,
osservate pure, ma non conoscerete” (Isaia, 6, 9)
Sono parole che il Signore incarica il profeta Isaia di riferire al popolo israelitico.
Indicano che il Signore prevede che i suoi comandi non saranno rispettati dal popolo.

[…] la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Isaia, 7,
14)
Emmanuele significa “Dio con noi”. La tradizione cristiana, a partire dall’evangelista
Matteo (v. il suo Vangelo, 1, 23), identifica il figlio della vergine di cui si parla in questa
frase con Gesù.

Può forse vantarsi la scure contro chi se ne serve per tagliare
o la sega insuperbirsi contro chi la maneggia? […] (Isaia, 10, 15)
Questa frase intende rappresentare che gli uomini, in quanto creati da Dio, sono soggetti
ai suoi disegni, e perciò non hanno il diritto di esaltarsi né di inorgoglirsi, perché tutto
ciò che essi hanno o sanno fare non è merito loro, ma di Dio che lo concede loro.

Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e d’intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore.
Si compiacerà del timore del Signore.
Non giudicherà secondo le apparenze
e non prenderà decisioni per sentito dire;
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ma giudicherà con giustizia i miseri
e prenderà decisioni eque per gli umili della terra.
Percuoterà il violento con la verga della sua bocca,
con il soffio delle sue labbra ucciderà l’empio.
La giustizia sarà fascia dei suoi lombi
e la fedeltà cintura dei suoi fianchi (Isaia, 11, 1-5)
Iesse è il padre di Davide, dalla cui stirpe, secondo le profezie di Isaia, sarebbe disceso il
Messia (v. anche Primo libro di Samuele, 16, 1).
Questi versetti dicono che il Messia verrà sulla terra nella pienezza dello spirito del
Signore e sarà un Re che assicurerà nel suo regno perfetta giustizia e suprema pace.
Da questi versetti è inoltre derivata la dottrina dei doni dello Spirito Santo, che qui sono sei,
ma nell’antica versione greca della Bibbia (quella cosiddetta dei Settanta) e nella Vulgata
latina (la traduzione in latino della Bibbia fatta da san Girolamo) sarebbero diventati sette
per l’aggiunta della pietà.

[…] la conoscenza del Signore riempirà la terra
come le acque ricoprono il mare (Isaia, 11, 9)
Il verbo al futuro dipende dal fatto che queste cose avverranno quando il Messia
scenderà sulla terra.

Attingerete acqua con gioia
alle sorgenti della salvezza (Isaia, 12, 3)

[…] mi hanno colto dolori come di una partoriente […] (Isaia, 21, 3)

[…] tu sei […] riparo dalla tempesta, ombra contro il caldo […] (Isaia, 25, 4)
Questa frase, come è facile intuire, è rivolta al Signore. Fa parte dell’Inno di lode per la
liberazione dei miseri.

Di notte anela a te l’anima mia,
al mattino dentro di me il mio spirito ti cerca […] (Isaia, 26, 9)
Questa frase fa parte della Preghiera del giusto.

[…] egli concederà la pioggia per il seme
che avrai seminato nel terreno […] (Isaia, 30, 23)

Colui che cammina nella giustizia e parla con lealtà,
che rifiuta un guadagno frutto di oppressione,
scuote le mani per non prendere doni di corruzione,
si tura le orecchie per non ascoltare proposte sanguinarie
e chiude gli occhi per non essere attratto dal male:

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