Formazione e managerialità come strumenti di prevenzione alla corruzione nella Pubblica Amministrazione - Master APC

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Formazione e managerialità come strumenti di prevenzione alla corruzione nella Pubblica Amministrazione - Master APC
Università di Pisa
                          Dipartimento di Scienze politiche

            MASTER IN ANALISI, PREVENZIONE E CONTRASTO DELLA
              CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E DELLA CORRUZIONE

   Formazione e managerialità come strumenti di prevenzione alla
           corruzione nella Pubblica Amministrazione
                Un esempio di analisi dei rischi nell'ente locale

CANDIDATO: MARIO CONTI matricola n. 557088

                      ANNO ACCADEMICO 201_/201_
Formazione e managerialità come strumenti di prevenzione alla corruzione nella Pubblica Amministrazione - Master APC
INDICE

Introduzione

Capitolo 1
Le caratteristiche della dirigenza con particolare con particolare riferimento all'ente
locale

Capitolo 2
L'analisi dei processi come strumento per la          prevenzione alla corruzione nelle
organizzazioni pubbliche

Capitolo 3
Etica e cultura nell'organizzazione

Capitolo 4
Diffusione, condivisione, formazione nella costruzione del Piano Triennale Prevenzione
corruzione e trasparenza: il caso pratico del Comune di Cinisello Balsamo

Capitolo 5
Comune di Cinisello Balsamo: il lavoro sull'analisi dei rischi nel Settore Politiche Sociali
ed Educative

Bibliografia

Sitografia
Formazione e managerialità come strumenti di prevenzione alla corruzione nella Pubblica Amministrazione - Master APC
INTRODUZIONE

     Il presente lavoro intende trattare il tema della prevenzione della corruzione e delle azioni
contro la “maladministration” nella pubblica amministrazione, con riferimento all'ente locale
per eccellenza: il Comune.
     Per meglio delineare il concetto di “maladministration” ci rifacciamo alla definizione di
ANAC : “assunzione di decisioni (di assetto di interessi a conclusione di procedimenti, di
determinazioni di fasi interne a singoli procedimenti, di gestione di risorse pubbliche)
devianti dalla cura dell’interesse generale a causa del condizionamento improprio da parte
di interessi particolari. Occorre, cioè, avere riguardo ad atti e comportamenti che, anche se
non consistenti in specifici reati, contrastano con la necessaria cura dell’interesse pubblico e
pregiudicano l’affidamento dei cittadini nell’imparzialità delle amministrazioni e dei soggetti
che svolgono attività di pubblico interesse”1.

     In particolare si pone l'attenzione su due aspetti che ritengo essere rilevanti in tutte le
organizzazioni e quindi anche nell'ente locale: la costruzione di una dimensione culturale in
grado di creare un terreno fertile per lo sviluppo di anticorpi contro la corruzione ed il ruolo
dei dirigenti in questo processo, ribadendo sin d'ora che essi possano e debbano essere
elemento pivotale nella messa in atto di azioni di prevenzione alla corruzione.

     Per trattare tali temi è necessario porre l'attenzione innanzitutto sulla dimensione e sul
profilo professionale della dirigenza.
     “Crescono e si moltiplicano le leggi, crescono e si moltiplicano coloro che si
costituiscono una professione nell’erigersi a loro interpreti. Delle une e degli altri si può
revocare in dubbio l’utilità, quando le prime si abborracciano e si approvano in fretta; si
comprendono, si assimilano e soprattutto si attuano a rilento. Comunque egli è certo che se
la Camera sente la necessità di giustificare il suo potere legislativo modificando, accrescendo
e arruffando gli ordinamenti che ci governano, il paese farebbe a meno della straordinaria
moltiplicazione non dei pani e dei pesci per sfamare le moltitudini, ma dei pesci che ogni
giorno più esigono dei pani e relativo companatico, ricercandoli e traendoli in acque chiare e
torbe.”2
1 Autorità Nazionale Anticorruzione “Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione”
  Determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015
2 Tratto da “La dirigenza pubblica e la riforma della pubblica amministrazione in Italia: persistenze e

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Formazione e managerialità come strumenti di prevenzione alla corruzione nella Pubblica Amministrazione - Master APC
Queste furono le parole pronunciate da Ernesto Nathan nel 1906 in un discorso alla
Camera, dove utilizzando la metafora dei pesci, si scaglia contro il proliferare incontrollato
dei laureati in giurisprudenza che crescono parallelamente alla produzione legislativa.
     Nell’anno accademico 1904-5 i laureati in giurisprudenza rappresentavano il 38,2% dei
laureati complessivi; nell’anno accademico 1910-11 erano saliti al 43,9%..3
     L'elevata presenza di laureati in giurisprudenza è stata un fattore caratterizzante la nostra
Pubblica Amministrazione: “la concentrazione di laureati in giurisprudenza nella Pubblica
Amministrazione nel 1954 e nel 1961, unici anni per cui esistono dati completi sul tipo di
laurea del personale direttivo dello Stato, i laureati in giurisprudenza rappresentano
rispettivamente il 41,4 e il 49,4% del totale. L'indagine dell’ISAP del 1965 tra il personale
direttivo dello Stato e degli Enti Locali faceva salire la percentuale dei laureati in
giurisprudenza al 52,2%. Una ricerca ampia e sistematica, anche se sempre a carattere
campionario, condotta dal FORMEZ nei 1979 sui quadri direttivi della amministrazione dello
Stato individuava nel 53% del totale i laureati in Giurisprudenza”4
     Perché poniamo l'attenzione sulla percentuale di laureati in giurisprudenza nella Pubblica
Amministrazione?
     Perché riteniamo che questo possa essere un indicatore non secondario in grado di
mostrare quel lato della pubblica amministrazione orientato a garantire “il monopolio della
cultura giuridica, o meglio di una precisa cultura giuridica, sillogizzante, astrattizzante e
lontana dai canoni di managerialità necessari in una amministrazione moderna, si è imposto
proprio quando l’evoluzione sociale e tecnologica rendeva più necessaria la diversificazione
dei saperi dell’alta burocrazia e la valorizzazione delle competenze scientifico-tecniche” 5
      La costruzione di una dimensione culturale all'interno di organizzazione pubbliche passa
inevitabilmente dalia presenza di una dirigenza in grado di raccogliere in sé elementi di
dinamicità, di intraprendenza e di managerialità che possono essere fattori utili per il contrasto
ad una cattiva amministrazione, a sua volta terreno di coltura della corruzione: il tema sarà
approfondito nella pagine seguenti, attraverso esempi che possono aiutare a comprendere
meglio il significato ed il valore di queste affermazioni.

   cambiamenti” . Coordinatore scientifico Emanuele Sgroi . http://sna.gov.it/www.sspa.it/index-p=7476.html

3 S. Cassese “Questione amministrativa e questione meridionale. Dimensione e reclutamento della burocrazia
  dall'Unità ad oggi”. Giuffrè. Milano. 1977
4“La dirigenza pubblica e la riforma della pubblica amministrazione in Italia: persistenze e
cambiamenti” . Coordinatore scientifico Emanuele Sgroi . http://sna.gov.it/www.sspa.it/index-
p=7476.html
5 G. Vetritto “L'estrazione professionale” in “Geografia dell'alta dirigenza pubblica nell'età della transizione” (a
  cura di S.Sepe) , SSPA, Roma 2002

                                                                                                                       2
Analizzeremo le caratteristiche attuali della dirigenza, con particolare riferimento a quella
degli enti locali, per comprendere se ancora oggi ancora risponde al profilo sopra illustrato ed
evidenziando quei fattori e quegli elementi che la caratterizzano e che ne accompagnano il
suo cambiamento.
    Gli strumenti in mano alla dirigenza per agire in funzione preventiva contro la
“maladministration” sono diversi: la conoscenza dettagliata della propria organizzazione
attraverso un'accurata analisi dei processi e la formazione rappresentano probabilmente quelli
maggiormente significativi. Ne analizzeremo le ragioni ed alcuni aspetti nel corso del nostro
lavoro.

     Il “Piano triennale prevenzione corruzione e trasparenza” è il documento principe per
rilevare le azioni di prevenzione e contrasto messe in atto dall'ente e, pertanto, questo sarà il
documento che prenderemo in esame anche per l'ente Comune.
    Lo faremo esaminando nel concreto il processo messo in atto dal Comune di Cinisello
Balsamo, non per analizzarlo da un punto di vista tecnico nella sua completezza, quanto
piuttosto per comprendere se, nel processo di costruzione, stesura, condivisione e diffusione
siano stati tenuti in adeguata considerazione i due elementi di cui abbiamo detto in
precedenza: lo sviluppo di una cultura di contrasto alla corruzione all'interno
dell'organizzazione e il ruolo della dirigenza nel processo.
    Rispetto a quest'ultimo punto penso possa essere di una certa utilità riportare, nell'ultima
parte, l'esperienza diretta condotta dal sottoscritto nell'analisi dei processi e nella valutazione
del rischio nel settore da me diretto .

                                                                                                      3
CAPITOLO 1

LE      CARATTERISTICHE                  DELLA          DIRIGENZA            CON        PARTICOLARE
RIFERIMENTO ALL'ENTE LOCALE

     “Una ridicola smania (…) accresciuta dall’essere in tutti i pubblici uffici aumentato il
numero dei funzionari, e quindi aumentata pure, pei vogliosi di poco lavoro, di vita tranquilla
e di un avvenire sicuro, la possibilità di conseguire qualche posticcino, dove rosicchiare una
cifra del bilancio dello Stato”»6, così scriveva Bersezio nell'introduzione alle miserie di
Monsù Travet, disegnando una figura che sarebbe divenuta uno stereotipo dell'impiegato
pubblico per più di un secolo e di cui, ancor oggi, si rivedono tracce nell'immaginario
popolare.

     Se la dirigenza pubblica già da decenni si è allontanata dalla quasi ormai macchiettistica
immagine del noto Travet, è pur vero che ha faticato e tuttora fatica ad inquadrare il proprio
ruolo sia in termini di pubblica narrazione che di auto definizione: “proprio la parte relativa
all'auto percezione disegna un panorama problematico di cosa significhi oggi essere un
dirigente in una amministrazione pubblica: qualcosa di più di un funzionario, qualcosa di
diverso da un manager o da un professional , qualcosa di molto vicino ad un decisore.
Insomma una figura orientata non solo a gestire, ma anche a contribuire alla fase di
definizione delle politiche pubbliche”7.
     Il ruolo dei dirigenti è centrale nei processi di cambiamento che hanno investito in questi
anni la pubblica amministrazione: nella definizione del rapporto di lavoro, nella costruzione e
definizione dei processi di programmazione, nella costruzione dei sistemi di valutazione della
performance, nell'implementazione dei processi di controllo di gestione ed in tutte le grandi
questioni che coinvolgono le organizzazioni pubbliche. E la centralità della sua funzione non
è solo una considerazione meramente tautologica rispetto alla posizione che ricopre negli
organigrammi degli enti, ma è soprattutto legata al ruolo nodale che tutte le riforme e la
giurisprudenza hanno a loro attribuito, accrescendone autonomia e responsabilità.
     Tra le tante tematiche anche il tema della trasparenza e delle azioni di prevenzione alla
corruzione, per la sua importanza e per la grande incidenza di questi temi sui concetti di
efficacia ed efficienza, non possono non trovare nella dirigenza uno snodo fondamentale ed
6 V. Bersezio “Le miserie del signor Travetti” (commedia in cinque atti)., Libreria Editrice Milano, 1876
7 G.Capano, S.Vassallo. E.Gualmini, R.Vignati “La dirigenza pubblica: il mercato e le competenze dei ruoli
  manageriali”Dipartimento Funzione Pubblica, Rubbettino, 2003

                                                                                                             4
imprescindibile per la loro corretta ed effettiva implementazione.

    Un primo elemento su cui è necessario porre l'attenzione riguarda il percorso formativo
dei dirigenti pubblici, cercando di porre l'attenzione sulla persistenza o meno di un modello di
dirigenza pubblica prevalentemente orientato verso una cultura meramente giuridica: non che
il possesso di una laurea in Giurisprudenza rappresenti in sé un vincolo od un limite, ma è
indubbio che una classe dirigente in cui sia dominante un percorso di studi di questo tipo
rappresenti un indicatore utile a mostrare una professionalità meno orientata a logiche e
criteri di managerialità.
    Un'interessante ricerca8 del 2003 mostra come l'incidenza dei laureati in aree giuridiche
sia ancora piuttosto significativa attestandosi sul 35,7% del totale; confrontando tale dato con
la già citata ricerca del Formez del 1979 (53% con laurea giuridica sul totale del personale
direttivo) si può notare una variazione apprezzabile mutazione del profilo dirigenziale.
    Analizzando i dati in maniera disaggregata tra Ministeri, Regioni ed Enti Locali 9
possiamo notare (tabella 1) come la percentuale di dirigenti laureati in area giuridica sia
articolata in maniera significativamente differenziata .

    Tabella 1
    Dirigenti laureati in area giuridica

                                         Ministeri            Regioni              Enti Locali
Percentuali laureati in area giuridica          45,6                 24,1                32,7
sul totale

    Ad un primo esame è evidente come il profilo si sia modificato e come gli enti locali e le
regioni abbiano certamente una articolazione percentualmente più orientata a profili
curricolari di tipo tecnico ingegneristico rispetto ai ministeri (24,4% enti locali contro il
10,7% dei ministeri), certamente dovuta alle funzioni e ai compiti attribuiti a questi enti.
    Se però ci addentriamo nell'analisi e mettiamo in correlazione il dato percentuale delle
varie aree curricolari con l'età dei dirigenti ci accorgiamo che “se si pone il relazione il tipo di
laurea con le variabili di tipo temporale (età ed anzianità nella pubblica amministrazione) non
si osservano chiari trend. Ci si potrebbe aspettare che nel corso del tempo sia avvenuta una
diminuzione dei laureati in materie giuridiche in favore di laureati in altri campi (…). Non è

8 Ibidem
9 Ibidem

                                                                                                       5
così o lo è in misura parziale e senza un andamento univoco”10 . L'unica area che mostra un
costante trend di crescita è quella dei laureati in materie politico-sociali che passa dal 6,1%
per i dirigenti over 65 anni al 21,7% per i dirigenti under 35 anni: un dato che possiamo
considerare interessante circa l'interesse ai criteri di reclutamento del personale dirigenziale
nel periodo intercorrente tra la fine degli anni novanta e l'inizio del millennio.
     Un dato invece che tende a confermare la tradizionale immagine del dirigente- burocrate,
maggiormente orientato ad un profilo giuridico-formale, è quello che riguarda la provenienza
dei dirigenti: il 40,6% di coloro che provengono dal Sud ha una laurea in area giuridica,
contro una percentuale che si aggira tra il 25,6% ed il 27,6% di coloro che provengono da
altre zone11 .

     I dati sopra citati sembrano poter dire che, pur persistendo indicatori che rimandano
all'immaginario tipico del dipendente pubblico, vi sono elementi che sembrano far trasparire
un processo di cambiamento verso una dimensione tecnico-manageriale, probabilmente
comunque troppo lento rispetto alle reali esigenze delle organizzazioni.
     La citata ricerca entra anche in considerazioni di ordine qualitativo sull'auto percezione
da parte dei dirigenti effettuate su un campione rappresentativo, con risultati che,
sinteticamente possiamo qui ricondurre a:
     – vi sono elementi di staticità dettati prevalentemente dal ruolo vissuto ancora come
“sicuro” e “comodo”, elementi qualificanti che tendono nella direzione della staticità del ruolo
stesso;
     – l'auto percezione del ruolo tende più ad essere quella del manager e del decisore
piuttosto che del mero esecutore di leggi, con una prevalenza di questa tendenza nei grandi
comuni piuttosto che nei ministeri e nelle regioni, dove, ad esempio, l'individuazione degli
obiettivi ed i conseguenti processi di valutazione appaiono ancora piuttosto oscuri e
procedurali;
     – una maggiore flessibilità, dinamicità ed estroversione (intesa come carriere che hanno
avuto precedenti esperienze nel mondo privato) nei grandi comuni del centro-nord, rispetto ad
una tendenziale staticità ed introversione dei ministeri.

     Altri fattori e indicatori possono aiutare per definire la cornice entro la quale il personale
direttivo degli enti locali si muove: anche in questo caso alcuni dati meramente quantitativi 12
10 Ibidem
11 Ibidem
12 “Censimento generale del personale degli enti locali” Ministero dell'interno 2017, Dati al 31.12.2016

                                                                                                           6
possono aiutare a comprendere il graduale modificarsi del contesto.

     Possiamo al riguardo citare:
     – la riduzione costante del numero di dipendenti a tempo indeterminato (ad esempio nel
2016 i dipendenti degli enti locali a tempo indeterminato sono stati 401.334 con una riduzione
di 20.834 unità rispetto all'anno precedente pari a poco meno del 5%)
     – la riduzione del numero di dirigenti (a tempo indeterminato e determinato) di 482
unità: da 4601 del 2016 a 5083 dell'anno precedente, con una riduzione pari al 9,4 %
     – la riduzione percentuale del numero di dirigenti sul totale dei dipendenti: dal 1,3% del
2015 al 1,13% del 2016.
     – una leggera tendenza alla riduzione dell'incidenza della spesa del personale sul totale
della spesa corrente (28% nel 2016 contro il 28,38% nel 2015, il 31,8% nel 2014 e il 29,31%
nel 2013) associato ad un significativo numero di forme di gestione associata dei servizi.

     Se si pensa che questi dati confrontano periodi molto brevi, si nota come l'evoluzione
negli enti locali sia piuttosto repentina: riduzione di personale, riduzione dei dirigenti (sia in
termini assoluti che in percentuale sul totale) associata ad un aumento percentuale si spesa per
beni e servizi rispetto alle spese di personale e a forme nuove di gestione degli stessi, sono
elementi e fattori che obbligano la dirigenza ad attuare, volontariamente o meno, azioni e
risposte dinamiche, necessariamente più orientate a tratti di managerialità che di mera e
pedissequa applicazione di leggi e procedure.

     In sintesi possiamo sinteticamente fotografare il dirigente dell'ente locale come:
     – più dinamico e con profili più tecnici e manageriali rispetto al profilo tradizionale e
stereotipato del modello burocratico- giuridico più riscontrabile nelle organizzazione
ministeriale;
     – con profilo più tradizionale (cioè più orientato ad una logica burocratica e
procedurale) man mano che cresce l'anzianità anagrafica e di servizio dei dirigenti13;
     – colui che deve far fronte a diverse funzioni (burocratiche, amministrative, tecniche e
di management) e a forme di gestione di servizi molto diverse ed articolate (gestione diretta,
associata, in appalto, in house), con conseguente variabilità e complessità di                       processi
decisionali e normative di riferimento.

13 G.Capano, S.Vassallo. E.Gualmini, R.Vignati “La dirigenza pubblica: il mercato e le competenze dei ruoli
   manageriali”Dipartimento Funzione Pubblica, Rubbettino, 2003

                                                                                                                7
Nonostante questi tratti di maggior dinamismo che paiono caratterizzare la dirigenza
degli enti locali, è indubbio che la stessa mantiene larghe sacche di profili che operano con
stili e comportamenti più legate ad un modello burocratico-giuridico; i pesantissimi limiti alle
nuove assunzioni che hanno interessato la pubblica amministrazione, con particolare
riferimento al quinquennio 2012-2016, hanno limitato fortemente il turn over, quasi azzerando
l'accesso di nuove professionalità alle cariche direttive: il risultato è che funzionari e dirigenti
non solo hanno aumentato la loro anzianità media (sia anagrafica che di servizio), ma
soprattutto si è sostanzialmente annullata ogni tipo di potenziale concorrenza e stimolo
derivante dall'innesto di nuove generazioni motivate e con profili curricolari innovativi, con il
risultato che quelle figure dirigenziali più inclini ad un modello giuridico-burocratico hanno
“rinforzato” il proprio profilo “statico”, aggravandolo con un generalizzato calo
motivazionale dovuto anche all'anzianità professionale.

    Nella quotidiana vita amministrativa non è stato infrequente in questi ultimi anni cogliere
diversi momenti nei quali la concezione tra i diversi modi di intendere il ruolo direzionale si
sono scontrati in modo evidente. Citiamo come esempio l'applicazione del nuovo codice
degli appalti (D.Lgs. 18 aprile 2016 n 50) che prevede, all'art. 213 comma secondo,
soprattutto delle Linee Guida che “ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo,
contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, comunque denominati,
garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti,
cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei
procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche».
    L'emanazione delle linee guida, ha lasciato taluni nella pubblica amministrazione nel più
completo sconcerto non solo perché hanno rappresentato una relativa novità nel sistema della
gerarchia delle fonti, il cosiddetto soft law, ma soprattutto perché tali strumenti hanno
superato la logica del mero adempimento, introducendo uno strumento teso a favorire le
cosiddette best pratices. Le linee guida non rispondevano alla domanda “quale è la procedura
che devo attivare in questa situazione?” ma introducevano e diffondevano linee di indirizzo,
di cui bisognava cogliere il senso, la finalità ultima e, quindi, riadattare al “hic et nunc” del
proprio contesto amministrativo e della procedimento da realizzare nella situazione
contingente.

    Pur in questo quadro di luci ed ombre, possiamo comunque asserire che la Pubblica

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Amministrazione, nella sua componente dirigenziale, ...”Eppur si muove!”: con lentezza, con
tratti e profili molto diversi al proprio interno e con differenziazioni significative tra nord e
sud.
       Allargando il nostro angolo di visuale, notiamo come questo movimento che definisce i
tratti del dirigente dell'ente locale precedentemente descritti, altro non è che la
concretizzazione operativa di alcuni grandi cambiamenti che hanno caratterizzato la pubblica
amministrazione italiana dalla fine degli anni novanta ad oggi e che sono state definibili
attraverso queste parole chiave14: 1) decentramento 2) politiche autonomiste 3) pluralismo
organizzativo 4) managerialismo 5) contrattualismo.
       I primi tre punti delineano un quadro che è definito sempre più complesso ed articolato,
sia in termini di competenze tra i vari enti della pubblica amministrazione che in termini di
assetti organizzativi e gestionali; tale complessità ha necessitato di doversi avvalere di
competenze tecniche di ordine manageriale sempre crescente che si fonda su alcuni principi
fondamentali: “distinzione tra indirizzo politico e gestione, responsabilizzazione della
dirigenza amministrativa (…), verticalizzazione delle linee gestionali degli apparati, maggiore
responsabilità della dirigenza nel gestire il personale, istituzionalizzazione di attività di
controllo di gestione e di valutazione”15

       Sono soprattutto i concetti di distinzione tra funzioni politiche e dirigenziali, di controllo
di gestione e di valutazione in capo alla dirigenza che divengono centrali per comprendere
l'esistenza di un potere in capo ai dirigenti per agire contro la “maladministration” (e
conseguentemente contro la corruzione) e gli strumenti tecnici per esercitare tale potere.

14 G.Capano. E.Gualmini “La pubblica amministrazione in Italia”, Il Mulino, 2009
15 Ibidem

                                                                                                        9
CAPITOLO 2

L'ANALISI DEI PROCESSI COME STRUMENTO PER LA PREVENZIONE ALLA
CORRUZIONE NELLE ORGANIZZAZIONI PUBBLICHE

     Alla luce di quanto detto al capitolo precedente, possiamo ora addentrarci nel cuore della
nostra argomentazione: la cultura manageriale all'interno di una organizzazione pubblica (nel
nostro caso il comune) e l'impatto che la stessa può avere nelle azioni di contrasto alla
“maladministration”.

     Cosa intendiamo per cultura manageriale nella pubblica amministrazione?
     Diversi sono i modelli di management che la letteratura ci propone che aumentano di
numero se proviamo ad applicarli alla cultura organizzativa delle pubblica amministrazione. A
noi piace fare riferimento al modello “strategico-innovativo, che è caratterizzato: dalla
propensione a superare la logica dei contratti e delle norme, dalla capacità di fare gestione
del personale lavorando sui valori, sulle emozioni, sulla costruzione di appartenenza e delle
identità; dal superamento della logica efficentista del modello gestionale modernizzatore,
attraverso l’enfatizzazione della partecipazione motivata dalla ricerca di senso e di
valorizzazione professionale, sull’analisi; dalla valorizzazione e lo sviluppo delle
competenze; dalla centralità di codici morali e professionali come riferimento più
significativo degli obbiettivi e delle ricompense estrinseche; da una concezione strategica
delle relazioni sindacali”16.
     Nella tabella sottostante viene proposta una diversa definizione di modelli
comportamentali a cui possono essere associati, secondo l'autrice 17, tre corrispondenti livelli
di management: per procedure, per obiettivi e per processi:

16 G.Capano, S.Vassallo. E.Gualmini, R.Vignati “La dirigenza pubblica: il mercato e le competenze dei ruoli
   manageriali”Dipartimento Funzione Pubblica, Rubbettino, 2003
17 http://www.federica.unina.it/economia/economia-e-gestione-delle-imprese-di-servizi-pubblici/evoluzione-
   sistemi-management/

                                                                                                              10
Altre definizioni ci possono aiutare a delineare le differenze tra i concetti di processo e
procedura. Per quanto attiene al processo, tra le tante definizioni proposte, proponiamo la
seguente: un “processo è costituito da una sequenza di attività, tra loro interdipendenti e
finalizzate al perseguimento di un obiettivo comune; esso riceve un certo input (materiali,
istruzioni e specifiche del cliente), vi apporta delle trasformazioni che aggiungono valore,
utilizzando risorse aziendali, ossia persone, materiali e strutture ed infine trasferisce
all’esterno l’output richiesto, prodotto/servizio e/o informazioni” 18. Per quanto attiene la
definizione di procedura possiamo rifarci a quanto previsto dai principi di gestione della
qualità del sistema ISO 9001 che definisce la procedura come un modo specificato per
svolgere un'attività: l'attenzione si sposta quindi sulla modalità, sul rispetto formale di una
modalità operativa, sulla standardizzazione delle modalità di esecuzione,

     Perché un atteggiamento orientato al lavoro per obiettivi ed, ancor più, per processi,
rappresenta a nostro avviso una pre-condizione                  essenziale per       agire contro la cattiva
amministrazione?
     Analizziamo innanzitutto il valore e le conseguenze pratiche del lavoro per procedure,
tipico di un atteggiamento ed un orientamento giuridico-burocratico; tale orientamento non
solo non non crea le condizioni per affrontare e scovare i potenziali momenti e luoghi dove si
può annidare la corruzione all'interno di una organizzazione, ma addirittura la favorisce:
concentra totalmente l'attenzione sulla procedura, sulla correttezza formale, facendo diventare
l'atto amministrativo non uno strumento per fare qualcosa , per realizzare un obiettivo, ma un
fine esso stesso.

18 Paolo De Risi , Università degli Studi di Pisa “Introduzione alla gestione per processi nelle pubbliche
   amministrazioni” . Progetto CREA. http://www.serintel.it/Allegati/Bibiografia%20progetto/14%20-
   %20Progetto_CREA.pdf

                                                                                                               11
L'impostazione “per procedure” risulta totalmente inadatta ad affrontare l'attuale
impostazione della pubblica amministrazione, in buona parte orientata alla governance
piuttosto che al government, frutto di una sostanziale modifica dei poteri tra pubblico e
privato, tra stato e periferie, concretizzato nel principio di sussidiarietà orizzontale e verticale.
    La logica della governance, ampiamente accolta da diversi procedimenti amministrativi,
presuppone l'esistenza di diversi ed articolati momenti e luoghi di confronto, dibattito,
programmazione dove l'ente pubblico e il sistema privato espresso dal territorio agiscono e
scambiano informazioni, pareri, visioni. A volte tali contesti sono stabiliti ex lege 19, spesso
avvengono de facto, nella comune prassi quotidiana e nelle relazioni che anticipano o seguono
la formazione dell'atto amministrativo, la conclusione della procedura .
    In tali contesti il rispetto della procedura quale approccio dirigenziale diviene inutile a
focalizzare l'effettivo momento decisionale: non ne coglie gli attori, i contesti e le finalità dei
soggetti.
    Il mero lavoro per procedure è un modus operandi che allontana dall'analisi dei veri
contesti decisionali, che sono i luoghi dove può annidarsi la cattiva amministrazione e
potenzialmente l'evento corruttivo: in altri termini favorisce la “maladministration” e quindi,
potenzialmente, la corruzione.
    La favorisce perché crea una cultura organizzativa mirata a rispondere a quel determinato
procedimento, piuttosto che a concentrarsi sul senso complessivo dell'agire amministrativo
della propria organizzazione; perché concentra l'azione sulla correttezza degli atti, portando
questi ad essere il fine del lavoro, piuttosto che il mezzo per ottenere un risultato. La favorisce
soprattutto perché concentra l'attenzione su una parte più o meno marginale del processo
decisionale (l'atto amministrativo, il rispetto della procedura) piuttosto che concentrarsi
sull'intero processo e sugli attori che ne fanno parte. Su di essa il dirigente concentra
l'attenzione, mette risorse (soprattutto ore- lavoro del personale), abitua ed “educa” il
personale a concentrarsi sul formalismo, inviando un messaggio chiaro ed inequivocabile a
tutta la propria struttura organizzativa: noi dobbiamo occuparci di procedure, di atti e non di
altro, ciò che avviene nel resto del processo non è parte del nostro compito.
    Analogo messaggio viene comunicato all'esterno: circolari, avvisi, determinazioni e
delibere divengono gli strumenti di comunicazione prevalente con i cittadini e con gli

    19 Si cita, esempio tra i tanti, la legge 328/2000 che ha istituito i Piani di Zona sociali
prevedendo che la fase di programmazione territoriale sia svolta dal Comune in forma associata
attraverso momenti di confronto e consultazione con le organizzazioni non lucrative di utilità
sociale.

                                                                                                        12
stakeholder in genere, a discapito di una comunicazione pubblica governata e consapevole,
con il solo risultato di lasciare ingovernato e fuori controllo il momento dello scambio
informativo, della raccolta della domanda, del bisogno e delle proposte che i diversi
stakeholder (cittadini, utenti, imprese ecc.) portano all'ente pubblico, cioè i momenti nei quali
avviene la reale “transazione” (informativa, di potere, di scambio) tra la pubblica
amministrazione e gli altri.

    Speso questo comportamento, questo “stile”, è del tutto inconsapevole, frutto di una
cultura di tipo meramente giuridico-burocratica che, come abbiamo visto, ancora alberga nella
pubblica amministrazione e che ha rappresentato il terreno (culturalmente ed organizzativa
mente) fertile sul quale ha potuto innestarsi e svilupparsi la maladministration e la corruzione.
    Vi sono poi anche i casi dolosi, nei quali la correttezza formale degli atti diviene una
modalità consapevole per coprire e nascondere azioni illegittime: definire in modo
formalmente ineccepibile ogni passaggio amministrativo diventa il modo per rendere meno
visibile l'esistenza di azioni di scambio corruttivo (a pensarci bene ciò è possibile anche
perché, a sua volta, il sistema dei controlli è spesso, anch'esso meramente giuridico-
formalistico.). Tale approccio mira a rendere formalmente ineccepibile la fase sulla quale si
concentra maggiormente l'attenzione (dell'opinione pubblica, degli altri concorrente) che è
quella dell'aggiudicazione: in realtà la fase più complessa in termini di possibilità di far
emergere la corruzione è quella dell'esecuzione del contratto, laddove vengono spesso
dimenticati da parte della stazione appaltante gli obblighi di controllo e dove le “tracce” di
questi controlli (verbali, comunicazioni) divengono più vaghi e si diluiscono nel tempo,
trovando diverse modalità e forme di devianza rispetto alla corretta esecuzione (si pensi ad
esempio al frequente ricorso alle varianti in corso d'opera) .

    Se è del tutto evidente che lavorare per processi non rappresenti di per sé l'antidoto alla
“maladministration”, una corretta analisi degli stessi risulta essere una condizione comunque
necessaria per approntare a livello dirigenziale qualsiasi azione correttiva all'interno della
propria organizzazione, per approntare azioni di tipo strategico e per individuare gli elementi
di criticità della propria struttura organizzativa. Lavorare per processi significa innanzitutto
individuare, riconoscere, condividere e comunicare (almeno con la propria unità organizzativa
se non con tutto il proprio ente) la “mission”, la finalità, gli output o out come che la propria
unità deve mettere in atto: potrà sembrare strano ma assai spesso i vari attori interni
dell'organizzazione pubblica non sanno quale sia l'output finale di un determinato processo

                                                                                                    13
oppure, assai più spesso, ogni attore o gruppo di attori conosce e persegue il proprio obiettivo,
il proprio output, agendo di conseguenza.
    Dichiarare quale siano le finalità del lavoro di un unità organizzativa, condividerla con i
dipendenti, svolgere azione di raccordo tra la parte politica e la struttura sono azioni
indispensabili per una conduzione dirigenziale: senza questi elementi la struttura continua a
perseguire azioni ed obiettivi propri, fondati sulla tradizione e sull'abitudine, agendo fuori
controllo. E dove non c'è controllo c'è ampio spazio all'interpretazione individuale del ruolo
pubblico, alla nascita di abitudini “ di gruppo” tramandate quasi da una sorta di tradizioni
orale all'interno della struttura organizzativa che il più delle volte producono “solo”
inefficienza e costi pubblici, mentre altre colte lasciano spazio a “stili” e “culture” che
orientano il gruppo verso fenomeni corruttivi di carattere sistemico: dai cosiddetti “furbetti
del cartellino” alla vera e propria corruzione.
    La connessione tra una corretta analisi dei processi, l'analisi del rischio corruttivo e la
messa in atto di azioni correttive di prevenzione, risulta oltremodo evidente dalla
documentazione di ANAC20 , allorquando dichiara in modo inequivocabile “Le misure di
prevenzione hanno un contenuto organizzativo. Con esse vengono adottati interventi che
toccano l’amministrazione nel suo complesso (si pensi alla riorganizzazione dei controlli
interni), ovvero singoli settori (la riorganizzazione di un intero settore di uffici, con
ridistribuzione delle competenze), ovvero singoli processi/procedimenti tesi a ridurre le
condizioni operative che favoriscono la corruzione nel senso ampio prima indicato. Sono
misure che riguardano tanto l’imparzialità oggettiva (volte ad assicurare le condizioni
organizzative che consentono scelte imparziali) quanto l’imparzialità soggettiva del
funzionario (per ridurre i casi di ascolto privilegiato di interessi particolari in conflitto con
l’interesse generale). Se non si cura l’imparzialità fin dall’organizzazione, l’attività
amministrativa o comunque lo svolgimento di attività di pubblico interesse, pur legittimi dal
punto di vista formale, possono essere il frutto di un pressione corruttiva.”.
    A conferma del ritardo che la Pubblica Amministrazione e la sua struttura direzionale
                                                                                      21
hanno sul tema del lavorare per processi, possiamo citare la stessa ANAC                   che, sulla base
della valutazione dei Piani Prevenzione della Corruzione e Trasparenza del triennio 2015-
2017 di ben 1911 enti pubblici ha rilevato che “..l’analisi del contesto interno, da attuare
attraverso l’analisi dei processi organizzativi (mappatura dei processi) (...) risulta
tendenzialmente non adeguata. Nel 73,9 % dei casi l’analisi dei processi delle cd. “aree
20 Ibidem
21 Autorità Nazionale Anticorruzione “Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione”
   Determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015

                                                                                                             14
obbligatorie” presenta una bassa qualità ed analiticità. La percentuale aumenta al 79,78%
per i processi relativi alle “aree ulteriori”. Nello specifico, tra quei PTPC in cui la
mappatura dei processi nelle “aree obbligatorie” risulta inadeguata, emerge un 9,02% di
casi in cui essa risulta addirittura assente per talune aree. La percentuale sale al 46,09% nel
caso dei processi nelle “aree ulteriori”.
    Ad ulteriore riprova della difficoltà della struttura direzionale pubblica ad agire secondo
una trasparente metodologia orientata al lavoro per processi la stessa ANAC rileva 22: “dalla
valutazione dei PTPC risulta che la carente mappatura dei processi svolti nelle
amministrazioni comprese nel campione è dipesa anche dalla resistenza dei responsabili
degli uffici a partecipare, per le parti di rispettiva competenza, alla rilevazione e alle
successive fasi di identificazione e valutazione dei rischi”.
    Come anche la stessa ANAC rileva, la difficoltà delle strutture direzionali delle Pubbliche
Amministrazioni ad analizzare i propri processi e, di conseguenza, il proprio assetto
organizzativo sono spesso ascrivibili alle ridotte dimensioni degli enti stessi, fattore che
caratterizza la struttura pubblica italiana con particolare riferimento agli enti locali, e alle
conseguenti carenze di adeguate professionalità interne.
    Non di meno tali difficoltà sono riscontrabili anche in organizzazioni di medie e grandi
dimensioni, fatto che pone l'indice sulla qualità professionale della dirigenza e, ancor più,
sulla sua autonomia, imparzialità ed indipendenza nei confronti degli organi politici. La
limitazione del cosiddetto spoil system offerto dal quadro normativo e la separazione netta tra
gestione ed indirizzo politico ormai vigente da anni, non paiono aver rafforzato a dovere le
strutture dirigenziali che troppo spesso non sembrano in grado di porre un argine
sufficientemente forte ed autorevole all'ingerenza politica e, a volte, ne rappresentano il mero
braccio operativo come, in senso negativo, dimostrano i più significativi ed eclatanti casi di
corruzione della storia del nostro paese.
    Se nei casi più eclatanti ciò è dovuto ad un sistema di reclutamento che si fonda su una
mera vicinanza o appartenenza politica a discapito della qualità professionale o, peggio
ancora, su un vero e proprio sistema clientelare, nella maggioranza dei casi, la debolezza della
classe dirigente è riscontrabile in una mancanza di autorevolezza professionale, di orgoglio
del proprio compito e della propria funzione, fattori a loro volta legati alla carenza (a volte di
totale assenza) di “cultura” aziendale pubblica, di formazione, di costruzione mirata e
consapevole percorsi tesi a costruire un'identità professionale per coloro che operano nella
Pubblica Amministrazione.

22 Ibidem

                                                                                                     15
CAPITOLO 3

ETICA E CULTURA NELL'ORGANIZZAZIONE

     “La cultura è lo schema di assunti fondamentali che un certo gruppo ha inventato,
scoperto o sviluppato mentre imparava ad affrontare i problemi legati al suo adattamento
esterno o alla sua integrazione interna, e che hanno funzionato in modo tale da essere
considerati validi e quindi degni di essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di
percepire, pensare e sentire in relazione a tali problemi”23
     La definizione di Edgah H. Shein può aiutarci a comprendere come la cultura all'interno
di una organizzazione risponda essenzialmente ad esigenze di adattamento ed integrazione; la
cultura di una organizzazione nasce, si sviluppa e si definisce a prescindere dal fatto che tale
processo sia guidato o quanto meno orientato               in modo consapevole dalle sue strutture
direzionali.

     Per meglio comprendere come tali meccanismi di adattamento si realizzano nella
pubblica amministrazione dobbiamo rifarci a Crozier e alla sua analisi del fenomeno
burocratico: “un'organizzazione burocratica, dove tutto é prescritto per regolamento, gli
interessi individuali passano attraverso la tutela dei margini di discrezionalità del proprio
ruolo. Il ritualismo del burocrate va visto non tanto come un adattamento passivo alle
pressioni del sistema, quanto come una strategia che il burocrate mette in atto per difendere
la sua libertà d'azione, il suo micropotere di fronte ai superiori e all'utenza. Ma non esiste
soltanto il ritualismo come strategia possibile. Esiste anche il distacco, il disinteresse, la
rinuncia consapevole a partecipare. La non partecipazione é anzi una delle strategie più
diffuse nelle organizzazioni burocratiche: i soggetti valutano che farsi coinvolgere non vale
la pena, che una strategia di fuga dalle responsabilità é spesso il modo più conveniente per
difendere la propria indipendenza”24

     Questo substrato culturale, questo clima organizzativo è ancor oggi presente in talune
organizzazioni pubbliche che, come abbiamo visto all'inizio del nostro lavoro, pur evolvendo,
lo fanno in maniera non sufficientemente veloce e con profonde differenze, a seconda della
collocazione geografica che della tipologia di enti. Laddove la cattiva amministrazione e la
23 Edgar H.Schein “Cultura aziendale e leadeship” Guerini e Associati, 1990

24 In G.Bonazzi “Storia del pensiero organizzativo” Franco Angeli, 1993

                                                                                                     16
corruzione è presente, il “clima organizzativo” che si respira diviene “cultura organizzativa”
(nell'accezione fornita da Shein) che considera accettabili, normali e moralmente non
riprovevoli alcuni comportamenti illegittimi.
       E' quindi indispensabile un profondo lavoro che sia in grado di mettere in crisi quegli
elementi valoriali fondati sul disinteresse, sul distacco, sulla subordinazione al gruppo di
potere di turno, sull'interesse personale, per la costruzione di una cultura dell'organizzazione
che si fondi sull'orgoglio di servizio, sulla condivisione, sul benessere organizzativo,
sull'intenzionale percezione della corruzione come stigma e come disvalore personale e
professionale. Un lavoro profondo che sia in grado di far superare quella divisione, quel
conflitto tra l'aspetto formale della “giustizia” garantito dalla legge e dalla sua applicazione
procedurale e l'effettiva applicazione nella vita quotidiana delle persone: “per riuscire a
dirimere questo conflitto sarebbe necessario un dibattito approfondito, un confronto aperto e
concreto, un lavoro capillare sotto il profilo dell'educazione”25.

       Definire il tema della prevenzione alla corruzione nella Pubblica Amministrazione come
un tema di natura prevalentemente culturale, assume in sé però il rischio di considerarlo come
un fattore dipendente dall'ambiente esterno (dalla cultura appunto), rimandando la possibilità
di cambiamento al futuro, a complessi (ed implicitamente procrastinabili) interventi che
riguardano le nuove generazioni, la scuola, i valori della società di domani.
       Modificare la cultura di una organizzazione pubblica, con riferimento alla diffusione di
una cultura della legalità, della trasparenza e della prevenzione alla corruzione, significa
invece passare attraverso un profondo, sistematico e consapevole ricorso alla formazione
come potente strumento di cambiamento, quale fattore in grado di mettere in crisi lo status
quo.
       Diversi sono i livelli sui quali è necessario agire:
       – formazione alla managerialità dei quadri direttivi;
       – informazione dentro l'organizzazione riguardo gli obiettivi e le finalità dell'ente e delle
diverse unità organizzative che la compongono;
       – condivisione nella fase di costruzione e monitoraggio del Piano per la Prevenzione
della Corruzione e della Trasparenza
    –     formazione come occasione di confronto, scambio e “scontro” tra esperienze, esempi e
modelli

25 Gherardo Colombo in G.Colombo, P. Davigo “La tua giustizia non è la mia”, Longanesi 2016

                                                                                                       17
– Formazione alla managerialità

    Abbiamo già detto dell'importanza dell'analisi dei processi per chi è chiamato a dirigere
strutture complesse della Pubblica Amministrazione. Il fatto che ANAC abbia dovuto
intervenire su questo tema, dimostra l'inadeguatezza dei quadri direzionali pubblici che,
ancora una volta, hanno dovuto attendere il “dettato normativo” per iniziare a mettere in atto
una metodologia tipicamente manageriale, utile ed indispensabile nei processi strategici, di
programmazione e di misurazione della performance prima ancora che nella sua applicazione
nel quadro della prevenzione alla corruzione.
    L'indirizzo di ANAC26 è chiaro: l'inserimento nel Piano della Performance degli obiettivi
legati al Piano di Prevenzione alla Corruzione e alla Trasparenza, rappresenta un
inequivocabile messaggio che lega indissolubilmente le azioni di prevenzione con gli obiettivi
dirigenziali. Vedremo se le strutture dirigenziali nel suo complesso (Responsabile Prevenzione
Corruzione, Direzioni generali, Dirigenti, Organismi Indipendenti di Valutazione, Giunte)
saranno in grado di coglierne gli aspetti sfidanti costruendo obiettivi legati ad una preventiva
e seria analisi dei rischi e ad indicatori tesi a misurare l'effettiva diffusione di azioni di
prevenzione (ad esempio misurazione del numero dipendenti coinvolti alla fase di costruzione
del PTPC, numero di stakeholder esterni coinvolti, indicatori di risultato sugli esiti delle gare
di appalto) oppure, al contrario, riusciranno a vanificare ogni sforzo individuando obiettivi
meramente esecutivi e procedurali.
    Gli esiti al momento appaiono ampiamente migliorabili: “L’analisi evidenzia un dato
ancora non del tutto soddisfacente in termini di sostanzialità nel coordinamento tra i diversi
strumenti di programmazione. Solo un terzo dei PTCP contiene gli obiettivi strategici e
operativi (o di struttura) in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza previsti dal
Piano della performance”27.

    La frammentarietà dei profili curricolari dei dirigenti, dei loro percorsi formativi, della
loro auto percezione illustrata nel primo capitolo, rendono indispensabile l'effettiva
realizzazione di una Scuola Superiore delle Pubblica Amministrazione che sappia garantire un
percorso qualitativamente elevato, unitario e condiviso, in grado di costruire figure
professionali competenti, autorevoli e, per questo, meno inclini alla subordinazione. Nel corso

26 Autorità Nazionale Anticorruzione “Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione”
   Determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015
27 Autorirà Nazionale Anticorruzione “Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione”
   Delibera n. 1208 del 22 novembre 2017

                                                                                                    18
degli anni si è spesso dibattuto se il dirigente pubblico debba essere di nomina politica sulla
base di un rapporto meramente fiduciario, piuttosto che il prodotto di una classe burocratica
autonoma ed indipendente, fattori ipotizzati come garanzia di terzietà ed imparzialità: un
dibattito spesso stucchevole, fondato su assunti teorici o interesse di parte che poco o nulla
hanno preso in considerazioni i dati di realtà, che mostrano frequentissimi casi di collusione e
malaffare tra dirigenti e politici corrotti, indipendentemente dal fatto che tali dirigenti siano
stati assunti in via stabile tramite concorso o siano stati incaricati a tempo determinato dal
decisore politivo. Tale dibattito ha posto invece in secondo ordine il tema centrale: quanto la
responsabilità e l'autonomia gestionale del dirigente prevista dalla legge, sia stata
effettivamente accompagnata da percorsi finalizzati a qualificarne le competenze ed il profilo
professionale, per renderlo effettivamente autorevole nei confronti dell'intera struttura
organizzativa che è chiamato a governare.

    – Informazione dentro l'organizzazione riguardo gli obiettivi e le finalità dell'ente e delle
diverse unità organizzative che la compongono.

    Anche su questo tema abbiamo già fatto cenno alla palpabile difficoltà che le strutture
direzionali hanno nel comunicare e condividere con i componenti dell'organiztigli obiettivi da
raggiungere. Spesso la comunicazione si limita alla formale notifica degli obiettivi annuali di
PEG (Piano Esecutivo di Gestione) mentre risultano quasi assenti momenti di condivisione
rispetto alle finalità stesse di alcune unità organizzative, con differenti percezioni tra dirigente,
assessore, responsabili di servizi ed uffici e dipendenti: ognuno pensa ad uno scopo ad una
mission diversa, semplicemente perché non c'è stato lo sforzo di condivisione e di
comunicazione che, sebbene non sufficiente di per sé,              come dimostrato da Crozier,
rappresenterebbe la condizione minima necessaria per evitare o quantomeno limitare le derive
che consentono a gruppi interni all'organizzazione di costruire stili, modelli e procedure
autoreferenziate ed auto prodotte.
    Oltre a ciò, è importante rilevare che nella pubblica amministrazione e soprattutto negli
enti locali sia quasi del tutto assente ogni tentativo di costruzione di strumenti tesi alla
costruzione di un'identità dell'organizzazione e dei suoi componenti; ci riferiamo ad azione
mirate e consapevoli atte a costruire un principio di appartenenza e condivisione con la
propria organizzazione, strumenti invece piuttosto abituali nelle aziende private: house organ
aziendale, convention, momenti aggregativi, azioni di welfare aziendale (su questo ultimo
punto il CCNL in corso di applicazione riserva finalmente uno spazio significativo).

                                                                                                        19
Sottomessa alla volontà politica di turno, la struttura direttiva delle organizzazioni ha
ampiamente faticato a definire azioni e strumenti di questo tipo che avrebbero potuto
introdurre una trasmissione di valori, di immagine, di appartenenza, di orgoglio professionale
e di cultura dell'organizzazione utili anche ai fini di una trasmissione di principi di carattere
etico fondati sulla trasparenza, sulla prevenzione della corruzione.

    – Condivisione nella fase di costruzione e monitoraggio del Piano per la Prevenzione
della Corruzione e della Trasparenza

    La partecipazione nella fase di costruzione e monitoraggio del PTPC è un fattore
determinante per diffondere la cultura della prevenzione alla corruzione all'interno
dell'organizzazione . La stessa ANAC 28 ne rileva la necessità rilevando in diversi momenti la
necessità di allargare la base partecipativa: “Il coinvolgimento di tutto il personale in servizio (ivi
compresi anche gli eventuali collaboratori a tempo determinato o i collaboratori esterni) è
decisivo per la qualità del PTPC e delle relative misure, così come un’ampia condivisione
dell’obiettivo di fondo della lotta alla corruzione e dei valori che sono alla base del Codice di
comportamento dell’amministrazione. Il coinvolgimento va assicurato: a) in termini di
partecipazione attiva al processo di autoanalisi organizzativa e di mappatura dei processi; b) di
partecipazione attiva in sede di definizione delle misure di prevenzione; c) in sede di attuazione
delle misure”.
    Questa è una fase ancora estremamente carente nelle diverse pubbliche amministrazioni e ciò
è dovuto in parte ad una ancora eccessiva complessità ed articolazione del Piano stesso, in parte ai
costi (in termini di ore-lavoro) che tale partecipazione comporta ma, soprattutto, alle resistenze
insite nell'organizzazione a riflettere su sé stesse, ad aprirsi in modo trasparente per mostrare i
proprio processi decisionali e il proprio agire quotidiano.
    Tali criticità sono state rilevate da ANAC 29 allorquando rileva tra le cause che hanno
contribuito alle criticità: “ Le difficoltà organizzative delle amministrazioni cui si applica la
nuova politica anticorruzione, dovute in gran parte a scarsità di risorse finanziarie, che hanno
impoverito anche la capacità di organizzare le funzioni tecniche e conoscitive necessarie per
svolgere adeguatamente il compito che la legge ha previsto. (…) . Un diffuso atteggiamento di
mero adempimento nella predisposizione dei PTPC limitato ad evitare le responsabilità che la
legge fa ricadere sul RPC. (…) L’isolamento del RPC nella formazione del PTPC e il sostanziale
disinteresse degli organi di indirizzo. Nella migliore delle ipotesi, questi ultimi si sono limitati a
28 Autorità Nazionale Anticorruzione “Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione”
   Determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015
29 Ibidem

                                                                                                          20
ratificare l’operato del RPC, approvando il PTPC, senza approfondimenti, né sull’analisi del
fenomeno all’interno della struttura, né sulla qualità delle misure da adottare “.

     Il coinvolgimento dovrebbe riguardare anche gli attori esterni alla struttura, tema questo su
cui si rilevano particolari carenza. Citiamo come caso emblematico il Comune di Roma: per le
note vicende corruttive che hanno interessato l'ente, per l'indignazione diffusa presso la
cittadinanza e per successivo il rivolgimento politico che ha portato al governo della città una
forza politica con un profilo dichiaratamente orientato alla trasparenza, sarebbe stato ragionevole
pensare ad un livello partecipativo nella fase di costruzione del PTCP. Tali aspettetive paiono
decisamente disattese dai fatti: “Al fine di realizzare una forma di effettiva consultazione che
coinvolgesse i cittadini, gli stakeholders, tutte le associazioni e le altre forme di organizzazione
portatrici di interessi collettivi comprese le Organizzazioni Sindacali, il RPC, con avviso pubblico, ha
invitato i suddetti soggetti a presentare proposte e osservazioni relative ai contenuti della vigente 1^
Rimodulazione del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione 2016-2018. Il medesimo Piano è
stato posto in consultazione pubblica per dieci giorni consecutivi, dal 16 al 25 gennaio 2017
compreso, tramite un apposito banner, sulla home page del sito istituzionale, con rimando ad una
pagina dedicata all’avviso pubblico di consultazione. Attraverso il modulo dedicato è stata così
offerta ai cittadini e alle organizzazioni portatrici di interessi collettivi la possibilità di inviare
all’indirizzo di posta elettronica riservato le proposte e le osservazioni sul P.T.P.C. e P.T.T.I. da
valutare in sede di elaborazione del nuovo documento. (…) A seguito della suddetta consultazione,
sono pervenute, nei termini fissati, tre proposte, formulate da cittadini. Fuori termine è invece
pervenuta un’osservazione da parte di un dipendente capitolino” 30. Il risultato di questa “effettiva
forma di cosultazione” ha prodotto tre proposte su un totale di 2.864.731 abitanti 31

     – Formazione come occasione di confronto, scambio e “scontro” tra esperienze, esempi
e modelli

     Fino ad ora abbiamo posto l'attenzione sulla dimensione professionale ed organizzativa come
fattore chiave e pre-condizione per affrontare in maniera consapevole il tema della prevenzione
alla corruzione nelle organizzazioni pubbliche.
     La formazione diffusa è, come abbiamo visto, un fattore di grande importanza per il
cambiamento. Il tema della corruzione non può essere trattato solo nella sua dimensione tecnico
professionale e affrontato solo con azioni di valorizzazione della dimensione professionale ed

30 Tratto da “Piano triennale per la prevenzione alla corruzione e trasparenza 2017-2018-2019”. Roma Capitale.
   Approvato con deliberazione n.10 del 31 gennaio 2017
31 Dato rilevato dallo stesso “Piano triennale per la prevenzione alla corruzione e trasparenza 2017- 2018-2019”
   Roma Capitale

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