Formazione e managerialità come strumenti di prevenzione alla corruzione nella Pubblica Amministrazione - Master APC
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Università di Pisa Dipartimento di Scienze politiche MASTER IN ANALISI, PREVENZIONE E CONTRASTO DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA E DELLA CORRUZIONE Formazione e managerialità come strumenti di prevenzione alla corruzione nella Pubblica Amministrazione Un esempio di analisi dei rischi nell'ente locale CANDIDATO: MARIO CONTI matricola n. 557088 ANNO ACCADEMICO 201_/201_
INDICE Introduzione Capitolo 1 Le caratteristiche della dirigenza con particolare con particolare riferimento all'ente locale Capitolo 2 L'analisi dei processi come strumento per la prevenzione alla corruzione nelle organizzazioni pubbliche Capitolo 3 Etica e cultura nell'organizzazione Capitolo 4 Diffusione, condivisione, formazione nella costruzione del Piano Triennale Prevenzione corruzione e trasparenza: il caso pratico del Comune di Cinisello Balsamo Capitolo 5 Comune di Cinisello Balsamo: il lavoro sull'analisi dei rischi nel Settore Politiche Sociali ed Educative Bibliografia Sitografia
INTRODUZIONE Il presente lavoro intende trattare il tema della prevenzione della corruzione e delle azioni contro la “maladministration” nella pubblica amministrazione, con riferimento all'ente locale per eccellenza: il Comune. Per meglio delineare il concetto di “maladministration” ci rifacciamo alla definizione di ANAC : “assunzione di decisioni (di assetto di interessi a conclusione di procedimenti, di determinazioni di fasi interne a singoli procedimenti, di gestione di risorse pubbliche) devianti dalla cura dell’interesse generale a causa del condizionamento improprio da parte di interessi particolari. Occorre, cioè, avere riguardo ad atti e comportamenti che, anche se non consistenti in specifici reati, contrastano con la necessaria cura dell’interesse pubblico e pregiudicano l’affidamento dei cittadini nell’imparzialità delle amministrazioni e dei soggetti che svolgono attività di pubblico interesse”1. In particolare si pone l'attenzione su due aspetti che ritengo essere rilevanti in tutte le organizzazioni e quindi anche nell'ente locale: la costruzione di una dimensione culturale in grado di creare un terreno fertile per lo sviluppo di anticorpi contro la corruzione ed il ruolo dei dirigenti in questo processo, ribadendo sin d'ora che essi possano e debbano essere elemento pivotale nella messa in atto di azioni di prevenzione alla corruzione. Per trattare tali temi è necessario porre l'attenzione innanzitutto sulla dimensione e sul profilo professionale della dirigenza. “Crescono e si moltiplicano le leggi, crescono e si moltiplicano coloro che si costituiscono una professione nell’erigersi a loro interpreti. Delle une e degli altri si può revocare in dubbio l’utilità, quando le prime si abborracciano e si approvano in fretta; si comprendono, si assimilano e soprattutto si attuano a rilento. Comunque egli è certo che se la Camera sente la necessità di giustificare il suo potere legislativo modificando, accrescendo e arruffando gli ordinamenti che ci governano, il paese farebbe a meno della straordinaria moltiplicazione non dei pani e dei pesci per sfamare le moltitudini, ma dei pesci che ogni giorno più esigono dei pani e relativo companatico, ricercandoli e traendoli in acque chiare e torbe.”2 1 Autorità Nazionale Anticorruzione “Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione” Determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 2 Tratto da “La dirigenza pubblica e la riforma della pubblica amministrazione in Italia: persistenze e 1
Queste furono le parole pronunciate da Ernesto Nathan nel 1906 in un discorso alla Camera, dove utilizzando la metafora dei pesci, si scaglia contro il proliferare incontrollato dei laureati in giurisprudenza che crescono parallelamente alla produzione legislativa. Nell’anno accademico 1904-5 i laureati in giurisprudenza rappresentavano il 38,2% dei laureati complessivi; nell’anno accademico 1910-11 erano saliti al 43,9%..3 L'elevata presenza di laureati in giurisprudenza è stata un fattore caratterizzante la nostra Pubblica Amministrazione: “la concentrazione di laureati in giurisprudenza nella Pubblica Amministrazione nel 1954 e nel 1961, unici anni per cui esistono dati completi sul tipo di laurea del personale direttivo dello Stato, i laureati in giurisprudenza rappresentano rispettivamente il 41,4 e il 49,4% del totale. L'indagine dell’ISAP del 1965 tra il personale direttivo dello Stato e degli Enti Locali faceva salire la percentuale dei laureati in giurisprudenza al 52,2%. Una ricerca ampia e sistematica, anche se sempre a carattere campionario, condotta dal FORMEZ nei 1979 sui quadri direttivi della amministrazione dello Stato individuava nel 53% del totale i laureati in Giurisprudenza”4 Perché poniamo l'attenzione sulla percentuale di laureati in giurisprudenza nella Pubblica Amministrazione? Perché riteniamo che questo possa essere un indicatore non secondario in grado di mostrare quel lato della pubblica amministrazione orientato a garantire “il monopolio della cultura giuridica, o meglio di una precisa cultura giuridica, sillogizzante, astrattizzante e lontana dai canoni di managerialità necessari in una amministrazione moderna, si è imposto proprio quando l’evoluzione sociale e tecnologica rendeva più necessaria la diversificazione dei saperi dell’alta burocrazia e la valorizzazione delle competenze scientifico-tecniche” 5 La costruzione di una dimensione culturale all'interno di organizzazione pubbliche passa inevitabilmente dalia presenza di una dirigenza in grado di raccogliere in sé elementi di dinamicità, di intraprendenza e di managerialità che possono essere fattori utili per il contrasto ad una cattiva amministrazione, a sua volta terreno di coltura della corruzione: il tema sarà approfondito nella pagine seguenti, attraverso esempi che possono aiutare a comprendere meglio il significato ed il valore di queste affermazioni. cambiamenti” . Coordinatore scientifico Emanuele Sgroi . http://sna.gov.it/www.sspa.it/index-p=7476.html 3 S. Cassese “Questione amministrativa e questione meridionale. Dimensione e reclutamento della burocrazia dall'Unità ad oggi”. Giuffrè. Milano. 1977 4“La dirigenza pubblica e la riforma della pubblica amministrazione in Italia: persistenze e cambiamenti” . Coordinatore scientifico Emanuele Sgroi . http://sna.gov.it/www.sspa.it/index- p=7476.html 5 G. Vetritto “L'estrazione professionale” in “Geografia dell'alta dirigenza pubblica nell'età della transizione” (a cura di S.Sepe) , SSPA, Roma 2002 2
Analizzeremo le caratteristiche attuali della dirigenza, con particolare riferimento a quella degli enti locali, per comprendere se ancora oggi ancora risponde al profilo sopra illustrato ed evidenziando quei fattori e quegli elementi che la caratterizzano e che ne accompagnano il suo cambiamento. Gli strumenti in mano alla dirigenza per agire in funzione preventiva contro la “maladministration” sono diversi: la conoscenza dettagliata della propria organizzazione attraverso un'accurata analisi dei processi e la formazione rappresentano probabilmente quelli maggiormente significativi. Ne analizzeremo le ragioni ed alcuni aspetti nel corso del nostro lavoro. Il “Piano triennale prevenzione corruzione e trasparenza” è il documento principe per rilevare le azioni di prevenzione e contrasto messe in atto dall'ente e, pertanto, questo sarà il documento che prenderemo in esame anche per l'ente Comune. Lo faremo esaminando nel concreto il processo messo in atto dal Comune di Cinisello Balsamo, non per analizzarlo da un punto di vista tecnico nella sua completezza, quanto piuttosto per comprendere se, nel processo di costruzione, stesura, condivisione e diffusione siano stati tenuti in adeguata considerazione i due elementi di cui abbiamo detto in precedenza: lo sviluppo di una cultura di contrasto alla corruzione all'interno dell'organizzazione e il ruolo della dirigenza nel processo. Rispetto a quest'ultimo punto penso possa essere di una certa utilità riportare, nell'ultima parte, l'esperienza diretta condotta dal sottoscritto nell'analisi dei processi e nella valutazione del rischio nel settore da me diretto . 3
CAPITOLO 1 LE CARATTERISTICHE DELLA DIRIGENZA CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ENTE LOCALE “Una ridicola smania (…) accresciuta dall’essere in tutti i pubblici uffici aumentato il numero dei funzionari, e quindi aumentata pure, pei vogliosi di poco lavoro, di vita tranquilla e di un avvenire sicuro, la possibilità di conseguire qualche posticcino, dove rosicchiare una cifra del bilancio dello Stato”»6, così scriveva Bersezio nell'introduzione alle miserie di Monsù Travet, disegnando una figura che sarebbe divenuta uno stereotipo dell'impiegato pubblico per più di un secolo e di cui, ancor oggi, si rivedono tracce nell'immaginario popolare. Se la dirigenza pubblica già da decenni si è allontanata dalla quasi ormai macchiettistica immagine del noto Travet, è pur vero che ha faticato e tuttora fatica ad inquadrare il proprio ruolo sia in termini di pubblica narrazione che di auto definizione: “proprio la parte relativa all'auto percezione disegna un panorama problematico di cosa significhi oggi essere un dirigente in una amministrazione pubblica: qualcosa di più di un funzionario, qualcosa di diverso da un manager o da un professional , qualcosa di molto vicino ad un decisore. Insomma una figura orientata non solo a gestire, ma anche a contribuire alla fase di definizione delle politiche pubbliche”7. Il ruolo dei dirigenti è centrale nei processi di cambiamento che hanno investito in questi anni la pubblica amministrazione: nella definizione del rapporto di lavoro, nella costruzione e definizione dei processi di programmazione, nella costruzione dei sistemi di valutazione della performance, nell'implementazione dei processi di controllo di gestione ed in tutte le grandi questioni che coinvolgono le organizzazioni pubbliche. E la centralità della sua funzione non è solo una considerazione meramente tautologica rispetto alla posizione che ricopre negli organigrammi degli enti, ma è soprattutto legata al ruolo nodale che tutte le riforme e la giurisprudenza hanno a loro attribuito, accrescendone autonomia e responsabilità. Tra le tante tematiche anche il tema della trasparenza e delle azioni di prevenzione alla corruzione, per la sua importanza e per la grande incidenza di questi temi sui concetti di efficacia ed efficienza, non possono non trovare nella dirigenza uno snodo fondamentale ed 6 V. Bersezio “Le miserie del signor Travetti” (commedia in cinque atti)., Libreria Editrice Milano, 1876 7 G.Capano, S.Vassallo. E.Gualmini, R.Vignati “La dirigenza pubblica: il mercato e le competenze dei ruoli manageriali”Dipartimento Funzione Pubblica, Rubbettino, 2003 4
imprescindibile per la loro corretta ed effettiva implementazione. Un primo elemento su cui è necessario porre l'attenzione riguarda il percorso formativo dei dirigenti pubblici, cercando di porre l'attenzione sulla persistenza o meno di un modello di dirigenza pubblica prevalentemente orientato verso una cultura meramente giuridica: non che il possesso di una laurea in Giurisprudenza rappresenti in sé un vincolo od un limite, ma è indubbio che una classe dirigente in cui sia dominante un percorso di studi di questo tipo rappresenti un indicatore utile a mostrare una professionalità meno orientata a logiche e criteri di managerialità. Un'interessante ricerca8 del 2003 mostra come l'incidenza dei laureati in aree giuridiche sia ancora piuttosto significativa attestandosi sul 35,7% del totale; confrontando tale dato con la già citata ricerca del Formez del 1979 (53% con laurea giuridica sul totale del personale direttivo) si può notare una variazione apprezzabile mutazione del profilo dirigenziale. Analizzando i dati in maniera disaggregata tra Ministeri, Regioni ed Enti Locali 9 possiamo notare (tabella 1) come la percentuale di dirigenti laureati in area giuridica sia articolata in maniera significativamente differenziata . Tabella 1 Dirigenti laureati in area giuridica Ministeri Regioni Enti Locali Percentuali laureati in area giuridica 45,6 24,1 32,7 sul totale Ad un primo esame è evidente come il profilo si sia modificato e come gli enti locali e le regioni abbiano certamente una articolazione percentualmente più orientata a profili curricolari di tipo tecnico ingegneristico rispetto ai ministeri (24,4% enti locali contro il 10,7% dei ministeri), certamente dovuta alle funzioni e ai compiti attribuiti a questi enti. Se però ci addentriamo nell'analisi e mettiamo in correlazione il dato percentuale delle varie aree curricolari con l'età dei dirigenti ci accorgiamo che “se si pone il relazione il tipo di laurea con le variabili di tipo temporale (età ed anzianità nella pubblica amministrazione) non si osservano chiari trend. Ci si potrebbe aspettare che nel corso del tempo sia avvenuta una diminuzione dei laureati in materie giuridiche in favore di laureati in altri campi (…). Non è 8 Ibidem 9 Ibidem 5
così o lo è in misura parziale e senza un andamento univoco”10 . L'unica area che mostra un costante trend di crescita è quella dei laureati in materie politico-sociali che passa dal 6,1% per i dirigenti over 65 anni al 21,7% per i dirigenti under 35 anni: un dato che possiamo considerare interessante circa l'interesse ai criteri di reclutamento del personale dirigenziale nel periodo intercorrente tra la fine degli anni novanta e l'inizio del millennio. Un dato invece che tende a confermare la tradizionale immagine del dirigente- burocrate, maggiormente orientato ad un profilo giuridico-formale, è quello che riguarda la provenienza dei dirigenti: il 40,6% di coloro che provengono dal Sud ha una laurea in area giuridica, contro una percentuale che si aggira tra il 25,6% ed il 27,6% di coloro che provengono da altre zone11 . I dati sopra citati sembrano poter dire che, pur persistendo indicatori che rimandano all'immaginario tipico del dipendente pubblico, vi sono elementi che sembrano far trasparire un processo di cambiamento verso una dimensione tecnico-manageriale, probabilmente comunque troppo lento rispetto alle reali esigenze delle organizzazioni. La citata ricerca entra anche in considerazioni di ordine qualitativo sull'auto percezione da parte dei dirigenti effettuate su un campione rappresentativo, con risultati che, sinteticamente possiamo qui ricondurre a: – vi sono elementi di staticità dettati prevalentemente dal ruolo vissuto ancora come “sicuro” e “comodo”, elementi qualificanti che tendono nella direzione della staticità del ruolo stesso; – l'auto percezione del ruolo tende più ad essere quella del manager e del decisore piuttosto che del mero esecutore di leggi, con una prevalenza di questa tendenza nei grandi comuni piuttosto che nei ministeri e nelle regioni, dove, ad esempio, l'individuazione degli obiettivi ed i conseguenti processi di valutazione appaiono ancora piuttosto oscuri e procedurali; – una maggiore flessibilità, dinamicità ed estroversione (intesa come carriere che hanno avuto precedenti esperienze nel mondo privato) nei grandi comuni del centro-nord, rispetto ad una tendenziale staticità ed introversione dei ministeri. Altri fattori e indicatori possono aiutare per definire la cornice entro la quale il personale direttivo degli enti locali si muove: anche in questo caso alcuni dati meramente quantitativi 12 10 Ibidem 11 Ibidem 12 “Censimento generale del personale degli enti locali” Ministero dell'interno 2017, Dati al 31.12.2016 6
possono aiutare a comprendere il graduale modificarsi del contesto. Possiamo al riguardo citare: – la riduzione costante del numero di dipendenti a tempo indeterminato (ad esempio nel 2016 i dipendenti degli enti locali a tempo indeterminato sono stati 401.334 con una riduzione di 20.834 unità rispetto all'anno precedente pari a poco meno del 5%) – la riduzione del numero di dirigenti (a tempo indeterminato e determinato) di 482 unità: da 4601 del 2016 a 5083 dell'anno precedente, con una riduzione pari al 9,4 % – la riduzione percentuale del numero di dirigenti sul totale dei dipendenti: dal 1,3% del 2015 al 1,13% del 2016. – una leggera tendenza alla riduzione dell'incidenza della spesa del personale sul totale della spesa corrente (28% nel 2016 contro il 28,38% nel 2015, il 31,8% nel 2014 e il 29,31% nel 2013) associato ad un significativo numero di forme di gestione associata dei servizi. Se si pensa che questi dati confrontano periodi molto brevi, si nota come l'evoluzione negli enti locali sia piuttosto repentina: riduzione di personale, riduzione dei dirigenti (sia in termini assoluti che in percentuale sul totale) associata ad un aumento percentuale si spesa per beni e servizi rispetto alle spese di personale e a forme nuove di gestione degli stessi, sono elementi e fattori che obbligano la dirigenza ad attuare, volontariamente o meno, azioni e risposte dinamiche, necessariamente più orientate a tratti di managerialità che di mera e pedissequa applicazione di leggi e procedure. In sintesi possiamo sinteticamente fotografare il dirigente dell'ente locale come: – più dinamico e con profili più tecnici e manageriali rispetto al profilo tradizionale e stereotipato del modello burocratico- giuridico più riscontrabile nelle organizzazione ministeriale; – con profilo più tradizionale (cioè più orientato ad una logica burocratica e procedurale) man mano che cresce l'anzianità anagrafica e di servizio dei dirigenti13; – colui che deve far fronte a diverse funzioni (burocratiche, amministrative, tecniche e di management) e a forme di gestione di servizi molto diverse ed articolate (gestione diretta, associata, in appalto, in house), con conseguente variabilità e complessità di processi decisionali e normative di riferimento. 13 G.Capano, S.Vassallo. E.Gualmini, R.Vignati “La dirigenza pubblica: il mercato e le competenze dei ruoli manageriali”Dipartimento Funzione Pubblica, Rubbettino, 2003 7
Nonostante questi tratti di maggior dinamismo che paiono caratterizzare la dirigenza degli enti locali, è indubbio che la stessa mantiene larghe sacche di profili che operano con stili e comportamenti più legate ad un modello burocratico-giuridico; i pesantissimi limiti alle nuove assunzioni che hanno interessato la pubblica amministrazione, con particolare riferimento al quinquennio 2012-2016, hanno limitato fortemente il turn over, quasi azzerando l'accesso di nuove professionalità alle cariche direttive: il risultato è che funzionari e dirigenti non solo hanno aumentato la loro anzianità media (sia anagrafica che di servizio), ma soprattutto si è sostanzialmente annullata ogni tipo di potenziale concorrenza e stimolo derivante dall'innesto di nuove generazioni motivate e con profili curricolari innovativi, con il risultato che quelle figure dirigenziali più inclini ad un modello giuridico-burocratico hanno “rinforzato” il proprio profilo “statico”, aggravandolo con un generalizzato calo motivazionale dovuto anche all'anzianità professionale. Nella quotidiana vita amministrativa non è stato infrequente in questi ultimi anni cogliere diversi momenti nei quali la concezione tra i diversi modi di intendere il ruolo direzionale si sono scontrati in modo evidente. Citiamo come esempio l'applicazione del nuovo codice degli appalti (D.Lgs. 18 aprile 2016 n 50) che prevede, all'art. 213 comma secondo, soprattutto delle Linee Guida che “ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolamentazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche». L'emanazione delle linee guida, ha lasciato taluni nella pubblica amministrazione nel più completo sconcerto non solo perché hanno rappresentato una relativa novità nel sistema della gerarchia delle fonti, il cosiddetto soft law, ma soprattutto perché tali strumenti hanno superato la logica del mero adempimento, introducendo uno strumento teso a favorire le cosiddette best pratices. Le linee guida non rispondevano alla domanda “quale è la procedura che devo attivare in questa situazione?” ma introducevano e diffondevano linee di indirizzo, di cui bisognava cogliere il senso, la finalità ultima e, quindi, riadattare al “hic et nunc” del proprio contesto amministrativo e della procedimento da realizzare nella situazione contingente. Pur in questo quadro di luci ed ombre, possiamo comunque asserire che la Pubblica 8
Amministrazione, nella sua componente dirigenziale, ...”Eppur si muove!”: con lentezza, con tratti e profili molto diversi al proprio interno e con differenziazioni significative tra nord e sud. Allargando il nostro angolo di visuale, notiamo come questo movimento che definisce i tratti del dirigente dell'ente locale precedentemente descritti, altro non è che la concretizzazione operativa di alcuni grandi cambiamenti che hanno caratterizzato la pubblica amministrazione italiana dalla fine degli anni novanta ad oggi e che sono state definibili attraverso queste parole chiave14: 1) decentramento 2) politiche autonomiste 3) pluralismo organizzativo 4) managerialismo 5) contrattualismo. I primi tre punti delineano un quadro che è definito sempre più complesso ed articolato, sia in termini di competenze tra i vari enti della pubblica amministrazione che in termini di assetti organizzativi e gestionali; tale complessità ha necessitato di doversi avvalere di competenze tecniche di ordine manageriale sempre crescente che si fonda su alcuni principi fondamentali: “distinzione tra indirizzo politico e gestione, responsabilizzazione della dirigenza amministrativa (…), verticalizzazione delle linee gestionali degli apparati, maggiore responsabilità della dirigenza nel gestire il personale, istituzionalizzazione di attività di controllo di gestione e di valutazione”15 Sono soprattutto i concetti di distinzione tra funzioni politiche e dirigenziali, di controllo di gestione e di valutazione in capo alla dirigenza che divengono centrali per comprendere l'esistenza di un potere in capo ai dirigenti per agire contro la “maladministration” (e conseguentemente contro la corruzione) e gli strumenti tecnici per esercitare tale potere. 14 G.Capano. E.Gualmini “La pubblica amministrazione in Italia”, Il Mulino, 2009 15 Ibidem 9
CAPITOLO 2 L'ANALISI DEI PROCESSI COME STRUMENTO PER LA PREVENZIONE ALLA CORRUZIONE NELLE ORGANIZZAZIONI PUBBLICHE Alla luce di quanto detto al capitolo precedente, possiamo ora addentrarci nel cuore della nostra argomentazione: la cultura manageriale all'interno di una organizzazione pubblica (nel nostro caso il comune) e l'impatto che la stessa può avere nelle azioni di contrasto alla “maladministration”. Cosa intendiamo per cultura manageriale nella pubblica amministrazione? Diversi sono i modelli di management che la letteratura ci propone che aumentano di numero se proviamo ad applicarli alla cultura organizzativa delle pubblica amministrazione. A noi piace fare riferimento al modello “strategico-innovativo, che è caratterizzato: dalla propensione a superare la logica dei contratti e delle norme, dalla capacità di fare gestione del personale lavorando sui valori, sulle emozioni, sulla costruzione di appartenenza e delle identità; dal superamento della logica efficentista del modello gestionale modernizzatore, attraverso l’enfatizzazione della partecipazione motivata dalla ricerca di senso e di valorizzazione professionale, sull’analisi; dalla valorizzazione e lo sviluppo delle competenze; dalla centralità di codici morali e professionali come riferimento più significativo degli obbiettivi e delle ricompense estrinseche; da una concezione strategica delle relazioni sindacali”16. Nella tabella sottostante viene proposta una diversa definizione di modelli comportamentali a cui possono essere associati, secondo l'autrice 17, tre corrispondenti livelli di management: per procedure, per obiettivi e per processi: 16 G.Capano, S.Vassallo. E.Gualmini, R.Vignati “La dirigenza pubblica: il mercato e le competenze dei ruoli manageriali”Dipartimento Funzione Pubblica, Rubbettino, 2003 17 http://www.federica.unina.it/economia/economia-e-gestione-delle-imprese-di-servizi-pubblici/evoluzione- sistemi-management/ 10
Altre definizioni ci possono aiutare a delineare le differenze tra i concetti di processo e procedura. Per quanto attiene al processo, tra le tante definizioni proposte, proponiamo la seguente: un “processo è costituito da una sequenza di attività, tra loro interdipendenti e finalizzate al perseguimento di un obiettivo comune; esso riceve un certo input (materiali, istruzioni e specifiche del cliente), vi apporta delle trasformazioni che aggiungono valore, utilizzando risorse aziendali, ossia persone, materiali e strutture ed infine trasferisce all’esterno l’output richiesto, prodotto/servizio e/o informazioni” 18. Per quanto attiene la definizione di procedura possiamo rifarci a quanto previsto dai principi di gestione della qualità del sistema ISO 9001 che definisce la procedura come un modo specificato per svolgere un'attività: l'attenzione si sposta quindi sulla modalità, sul rispetto formale di una modalità operativa, sulla standardizzazione delle modalità di esecuzione, Perché un atteggiamento orientato al lavoro per obiettivi ed, ancor più, per processi, rappresenta a nostro avviso una pre-condizione essenziale per agire contro la cattiva amministrazione? Analizziamo innanzitutto il valore e le conseguenze pratiche del lavoro per procedure, tipico di un atteggiamento ed un orientamento giuridico-burocratico; tale orientamento non solo non non crea le condizioni per affrontare e scovare i potenziali momenti e luoghi dove si può annidare la corruzione all'interno di una organizzazione, ma addirittura la favorisce: concentra totalmente l'attenzione sulla procedura, sulla correttezza formale, facendo diventare l'atto amministrativo non uno strumento per fare qualcosa , per realizzare un obiettivo, ma un fine esso stesso. 18 Paolo De Risi , Università degli Studi di Pisa “Introduzione alla gestione per processi nelle pubbliche amministrazioni” . Progetto CREA. http://www.serintel.it/Allegati/Bibiografia%20progetto/14%20- %20Progetto_CREA.pdf 11
L'impostazione “per procedure” risulta totalmente inadatta ad affrontare l'attuale impostazione della pubblica amministrazione, in buona parte orientata alla governance piuttosto che al government, frutto di una sostanziale modifica dei poteri tra pubblico e privato, tra stato e periferie, concretizzato nel principio di sussidiarietà orizzontale e verticale. La logica della governance, ampiamente accolta da diversi procedimenti amministrativi, presuppone l'esistenza di diversi ed articolati momenti e luoghi di confronto, dibattito, programmazione dove l'ente pubblico e il sistema privato espresso dal territorio agiscono e scambiano informazioni, pareri, visioni. A volte tali contesti sono stabiliti ex lege 19, spesso avvengono de facto, nella comune prassi quotidiana e nelle relazioni che anticipano o seguono la formazione dell'atto amministrativo, la conclusione della procedura . In tali contesti il rispetto della procedura quale approccio dirigenziale diviene inutile a focalizzare l'effettivo momento decisionale: non ne coglie gli attori, i contesti e le finalità dei soggetti. Il mero lavoro per procedure è un modus operandi che allontana dall'analisi dei veri contesti decisionali, che sono i luoghi dove può annidarsi la cattiva amministrazione e potenzialmente l'evento corruttivo: in altri termini favorisce la “maladministration” e quindi, potenzialmente, la corruzione. La favorisce perché crea una cultura organizzativa mirata a rispondere a quel determinato procedimento, piuttosto che a concentrarsi sul senso complessivo dell'agire amministrativo della propria organizzazione; perché concentra l'azione sulla correttezza degli atti, portando questi ad essere il fine del lavoro, piuttosto che il mezzo per ottenere un risultato. La favorisce soprattutto perché concentra l'attenzione su una parte più o meno marginale del processo decisionale (l'atto amministrativo, il rispetto della procedura) piuttosto che concentrarsi sull'intero processo e sugli attori che ne fanno parte. Su di essa il dirigente concentra l'attenzione, mette risorse (soprattutto ore- lavoro del personale), abitua ed “educa” il personale a concentrarsi sul formalismo, inviando un messaggio chiaro ed inequivocabile a tutta la propria struttura organizzativa: noi dobbiamo occuparci di procedure, di atti e non di altro, ciò che avviene nel resto del processo non è parte del nostro compito. Analogo messaggio viene comunicato all'esterno: circolari, avvisi, determinazioni e delibere divengono gli strumenti di comunicazione prevalente con i cittadini e con gli 19 Si cita, esempio tra i tanti, la legge 328/2000 che ha istituito i Piani di Zona sociali prevedendo che la fase di programmazione territoriale sia svolta dal Comune in forma associata attraverso momenti di confronto e consultazione con le organizzazioni non lucrative di utilità sociale. 12
stakeholder in genere, a discapito di una comunicazione pubblica governata e consapevole, con il solo risultato di lasciare ingovernato e fuori controllo il momento dello scambio informativo, della raccolta della domanda, del bisogno e delle proposte che i diversi stakeholder (cittadini, utenti, imprese ecc.) portano all'ente pubblico, cioè i momenti nei quali avviene la reale “transazione” (informativa, di potere, di scambio) tra la pubblica amministrazione e gli altri. Speso questo comportamento, questo “stile”, è del tutto inconsapevole, frutto di una cultura di tipo meramente giuridico-burocratica che, come abbiamo visto, ancora alberga nella pubblica amministrazione e che ha rappresentato il terreno (culturalmente ed organizzativa mente) fertile sul quale ha potuto innestarsi e svilupparsi la maladministration e la corruzione. Vi sono poi anche i casi dolosi, nei quali la correttezza formale degli atti diviene una modalità consapevole per coprire e nascondere azioni illegittime: definire in modo formalmente ineccepibile ogni passaggio amministrativo diventa il modo per rendere meno visibile l'esistenza di azioni di scambio corruttivo (a pensarci bene ciò è possibile anche perché, a sua volta, il sistema dei controlli è spesso, anch'esso meramente giuridico- formalistico.). Tale approccio mira a rendere formalmente ineccepibile la fase sulla quale si concentra maggiormente l'attenzione (dell'opinione pubblica, degli altri concorrente) che è quella dell'aggiudicazione: in realtà la fase più complessa in termini di possibilità di far emergere la corruzione è quella dell'esecuzione del contratto, laddove vengono spesso dimenticati da parte della stazione appaltante gli obblighi di controllo e dove le “tracce” di questi controlli (verbali, comunicazioni) divengono più vaghi e si diluiscono nel tempo, trovando diverse modalità e forme di devianza rispetto alla corretta esecuzione (si pensi ad esempio al frequente ricorso alle varianti in corso d'opera) . Se è del tutto evidente che lavorare per processi non rappresenti di per sé l'antidoto alla “maladministration”, una corretta analisi degli stessi risulta essere una condizione comunque necessaria per approntare a livello dirigenziale qualsiasi azione correttiva all'interno della propria organizzazione, per approntare azioni di tipo strategico e per individuare gli elementi di criticità della propria struttura organizzativa. Lavorare per processi significa innanzitutto individuare, riconoscere, condividere e comunicare (almeno con la propria unità organizzativa se non con tutto il proprio ente) la “mission”, la finalità, gli output o out come che la propria unità deve mettere in atto: potrà sembrare strano ma assai spesso i vari attori interni dell'organizzazione pubblica non sanno quale sia l'output finale di un determinato processo 13
oppure, assai più spesso, ogni attore o gruppo di attori conosce e persegue il proprio obiettivo, il proprio output, agendo di conseguenza. Dichiarare quale siano le finalità del lavoro di un unità organizzativa, condividerla con i dipendenti, svolgere azione di raccordo tra la parte politica e la struttura sono azioni indispensabili per una conduzione dirigenziale: senza questi elementi la struttura continua a perseguire azioni ed obiettivi propri, fondati sulla tradizione e sull'abitudine, agendo fuori controllo. E dove non c'è controllo c'è ampio spazio all'interpretazione individuale del ruolo pubblico, alla nascita di abitudini “ di gruppo” tramandate quasi da una sorta di tradizioni orale all'interno della struttura organizzativa che il più delle volte producono “solo” inefficienza e costi pubblici, mentre altre colte lasciano spazio a “stili” e “culture” che orientano il gruppo verso fenomeni corruttivi di carattere sistemico: dai cosiddetti “furbetti del cartellino” alla vera e propria corruzione. La connessione tra una corretta analisi dei processi, l'analisi del rischio corruttivo e la messa in atto di azioni correttive di prevenzione, risulta oltremodo evidente dalla documentazione di ANAC20 , allorquando dichiara in modo inequivocabile “Le misure di prevenzione hanno un contenuto organizzativo. Con esse vengono adottati interventi che toccano l’amministrazione nel suo complesso (si pensi alla riorganizzazione dei controlli interni), ovvero singoli settori (la riorganizzazione di un intero settore di uffici, con ridistribuzione delle competenze), ovvero singoli processi/procedimenti tesi a ridurre le condizioni operative che favoriscono la corruzione nel senso ampio prima indicato. Sono misure che riguardano tanto l’imparzialità oggettiva (volte ad assicurare le condizioni organizzative che consentono scelte imparziali) quanto l’imparzialità soggettiva del funzionario (per ridurre i casi di ascolto privilegiato di interessi particolari in conflitto con l’interesse generale). Se non si cura l’imparzialità fin dall’organizzazione, l’attività amministrativa o comunque lo svolgimento di attività di pubblico interesse, pur legittimi dal punto di vista formale, possono essere il frutto di un pressione corruttiva.”. A conferma del ritardo che la Pubblica Amministrazione e la sua struttura direzionale 21 hanno sul tema del lavorare per processi, possiamo citare la stessa ANAC che, sulla base della valutazione dei Piani Prevenzione della Corruzione e Trasparenza del triennio 2015- 2017 di ben 1911 enti pubblici ha rilevato che “..l’analisi del contesto interno, da attuare attraverso l’analisi dei processi organizzativi (mappatura dei processi) (...) risulta tendenzialmente non adeguata. Nel 73,9 % dei casi l’analisi dei processi delle cd. “aree 20 Ibidem 21 Autorità Nazionale Anticorruzione “Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione” Determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 14
obbligatorie” presenta una bassa qualità ed analiticità. La percentuale aumenta al 79,78% per i processi relativi alle “aree ulteriori”. Nello specifico, tra quei PTPC in cui la mappatura dei processi nelle “aree obbligatorie” risulta inadeguata, emerge un 9,02% di casi in cui essa risulta addirittura assente per talune aree. La percentuale sale al 46,09% nel caso dei processi nelle “aree ulteriori”. Ad ulteriore riprova della difficoltà della struttura direzionale pubblica ad agire secondo una trasparente metodologia orientata al lavoro per processi la stessa ANAC rileva 22: “dalla valutazione dei PTPC risulta che la carente mappatura dei processi svolti nelle amministrazioni comprese nel campione è dipesa anche dalla resistenza dei responsabili degli uffici a partecipare, per le parti di rispettiva competenza, alla rilevazione e alle successive fasi di identificazione e valutazione dei rischi”. Come anche la stessa ANAC rileva, la difficoltà delle strutture direzionali delle Pubbliche Amministrazioni ad analizzare i propri processi e, di conseguenza, il proprio assetto organizzativo sono spesso ascrivibili alle ridotte dimensioni degli enti stessi, fattore che caratterizza la struttura pubblica italiana con particolare riferimento agli enti locali, e alle conseguenti carenze di adeguate professionalità interne. Non di meno tali difficoltà sono riscontrabili anche in organizzazioni di medie e grandi dimensioni, fatto che pone l'indice sulla qualità professionale della dirigenza e, ancor più, sulla sua autonomia, imparzialità ed indipendenza nei confronti degli organi politici. La limitazione del cosiddetto spoil system offerto dal quadro normativo e la separazione netta tra gestione ed indirizzo politico ormai vigente da anni, non paiono aver rafforzato a dovere le strutture dirigenziali che troppo spesso non sembrano in grado di porre un argine sufficientemente forte ed autorevole all'ingerenza politica e, a volte, ne rappresentano il mero braccio operativo come, in senso negativo, dimostrano i più significativi ed eclatanti casi di corruzione della storia del nostro paese. Se nei casi più eclatanti ciò è dovuto ad un sistema di reclutamento che si fonda su una mera vicinanza o appartenenza politica a discapito della qualità professionale o, peggio ancora, su un vero e proprio sistema clientelare, nella maggioranza dei casi, la debolezza della classe dirigente è riscontrabile in una mancanza di autorevolezza professionale, di orgoglio del proprio compito e della propria funzione, fattori a loro volta legati alla carenza (a volte di totale assenza) di “cultura” aziendale pubblica, di formazione, di costruzione mirata e consapevole percorsi tesi a costruire un'identità professionale per coloro che operano nella Pubblica Amministrazione. 22 Ibidem 15
CAPITOLO 3 ETICA E CULTURA NELL'ORGANIZZAZIONE “La cultura è lo schema di assunti fondamentali che un certo gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato mentre imparava ad affrontare i problemi legati al suo adattamento esterno o alla sua integrazione interna, e che hanno funzionato in modo tale da essere considerati validi e quindi degni di essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a tali problemi”23 La definizione di Edgah H. Shein può aiutarci a comprendere come la cultura all'interno di una organizzazione risponda essenzialmente ad esigenze di adattamento ed integrazione; la cultura di una organizzazione nasce, si sviluppa e si definisce a prescindere dal fatto che tale processo sia guidato o quanto meno orientato in modo consapevole dalle sue strutture direzionali. Per meglio comprendere come tali meccanismi di adattamento si realizzano nella pubblica amministrazione dobbiamo rifarci a Crozier e alla sua analisi del fenomeno burocratico: “un'organizzazione burocratica, dove tutto é prescritto per regolamento, gli interessi individuali passano attraverso la tutela dei margini di discrezionalità del proprio ruolo. Il ritualismo del burocrate va visto non tanto come un adattamento passivo alle pressioni del sistema, quanto come una strategia che il burocrate mette in atto per difendere la sua libertà d'azione, il suo micropotere di fronte ai superiori e all'utenza. Ma non esiste soltanto il ritualismo come strategia possibile. Esiste anche il distacco, il disinteresse, la rinuncia consapevole a partecipare. La non partecipazione é anzi una delle strategie più diffuse nelle organizzazioni burocratiche: i soggetti valutano che farsi coinvolgere non vale la pena, che una strategia di fuga dalle responsabilità é spesso il modo più conveniente per difendere la propria indipendenza”24 Questo substrato culturale, questo clima organizzativo è ancor oggi presente in talune organizzazioni pubbliche che, come abbiamo visto all'inizio del nostro lavoro, pur evolvendo, lo fanno in maniera non sufficientemente veloce e con profonde differenze, a seconda della collocazione geografica che della tipologia di enti. Laddove la cattiva amministrazione e la 23 Edgar H.Schein “Cultura aziendale e leadeship” Guerini e Associati, 1990 24 In G.Bonazzi “Storia del pensiero organizzativo” Franco Angeli, 1993 16
corruzione è presente, il “clima organizzativo” che si respira diviene “cultura organizzativa” (nell'accezione fornita da Shein) che considera accettabili, normali e moralmente non riprovevoli alcuni comportamenti illegittimi. E' quindi indispensabile un profondo lavoro che sia in grado di mettere in crisi quegli elementi valoriali fondati sul disinteresse, sul distacco, sulla subordinazione al gruppo di potere di turno, sull'interesse personale, per la costruzione di una cultura dell'organizzazione che si fondi sull'orgoglio di servizio, sulla condivisione, sul benessere organizzativo, sull'intenzionale percezione della corruzione come stigma e come disvalore personale e professionale. Un lavoro profondo che sia in grado di far superare quella divisione, quel conflitto tra l'aspetto formale della “giustizia” garantito dalla legge e dalla sua applicazione procedurale e l'effettiva applicazione nella vita quotidiana delle persone: “per riuscire a dirimere questo conflitto sarebbe necessario un dibattito approfondito, un confronto aperto e concreto, un lavoro capillare sotto il profilo dell'educazione”25. Definire il tema della prevenzione alla corruzione nella Pubblica Amministrazione come un tema di natura prevalentemente culturale, assume in sé però il rischio di considerarlo come un fattore dipendente dall'ambiente esterno (dalla cultura appunto), rimandando la possibilità di cambiamento al futuro, a complessi (ed implicitamente procrastinabili) interventi che riguardano le nuove generazioni, la scuola, i valori della società di domani. Modificare la cultura di una organizzazione pubblica, con riferimento alla diffusione di una cultura della legalità, della trasparenza e della prevenzione alla corruzione, significa invece passare attraverso un profondo, sistematico e consapevole ricorso alla formazione come potente strumento di cambiamento, quale fattore in grado di mettere in crisi lo status quo. Diversi sono i livelli sui quali è necessario agire: – formazione alla managerialità dei quadri direttivi; – informazione dentro l'organizzazione riguardo gli obiettivi e le finalità dell'ente e delle diverse unità organizzative che la compongono; – condivisione nella fase di costruzione e monitoraggio del Piano per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza – formazione come occasione di confronto, scambio e “scontro” tra esperienze, esempi e modelli 25 Gherardo Colombo in G.Colombo, P. Davigo “La tua giustizia non è la mia”, Longanesi 2016 17
– Formazione alla managerialità Abbiamo già detto dell'importanza dell'analisi dei processi per chi è chiamato a dirigere strutture complesse della Pubblica Amministrazione. Il fatto che ANAC abbia dovuto intervenire su questo tema, dimostra l'inadeguatezza dei quadri direzionali pubblici che, ancora una volta, hanno dovuto attendere il “dettato normativo” per iniziare a mettere in atto una metodologia tipicamente manageriale, utile ed indispensabile nei processi strategici, di programmazione e di misurazione della performance prima ancora che nella sua applicazione nel quadro della prevenzione alla corruzione. L'indirizzo di ANAC26 è chiaro: l'inserimento nel Piano della Performance degli obiettivi legati al Piano di Prevenzione alla Corruzione e alla Trasparenza, rappresenta un inequivocabile messaggio che lega indissolubilmente le azioni di prevenzione con gli obiettivi dirigenziali. Vedremo se le strutture dirigenziali nel suo complesso (Responsabile Prevenzione Corruzione, Direzioni generali, Dirigenti, Organismi Indipendenti di Valutazione, Giunte) saranno in grado di coglierne gli aspetti sfidanti costruendo obiettivi legati ad una preventiva e seria analisi dei rischi e ad indicatori tesi a misurare l'effettiva diffusione di azioni di prevenzione (ad esempio misurazione del numero dipendenti coinvolti alla fase di costruzione del PTPC, numero di stakeholder esterni coinvolti, indicatori di risultato sugli esiti delle gare di appalto) oppure, al contrario, riusciranno a vanificare ogni sforzo individuando obiettivi meramente esecutivi e procedurali. Gli esiti al momento appaiono ampiamente migliorabili: “L’analisi evidenzia un dato ancora non del tutto soddisfacente in termini di sostanzialità nel coordinamento tra i diversi strumenti di programmazione. Solo un terzo dei PTCP contiene gli obiettivi strategici e operativi (o di struttura) in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza previsti dal Piano della performance”27. La frammentarietà dei profili curricolari dei dirigenti, dei loro percorsi formativi, della loro auto percezione illustrata nel primo capitolo, rendono indispensabile l'effettiva realizzazione di una Scuola Superiore delle Pubblica Amministrazione che sappia garantire un percorso qualitativamente elevato, unitario e condiviso, in grado di costruire figure professionali competenti, autorevoli e, per questo, meno inclini alla subordinazione. Nel corso 26 Autorità Nazionale Anticorruzione “Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione” Determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 27 Autorirà Nazionale Anticorruzione “Aggiornamento 2017 al Piano Nazionale Anticorruzione” Delibera n. 1208 del 22 novembre 2017 18
degli anni si è spesso dibattuto se il dirigente pubblico debba essere di nomina politica sulla base di un rapporto meramente fiduciario, piuttosto che il prodotto di una classe burocratica autonoma ed indipendente, fattori ipotizzati come garanzia di terzietà ed imparzialità: un dibattito spesso stucchevole, fondato su assunti teorici o interesse di parte che poco o nulla hanno preso in considerazioni i dati di realtà, che mostrano frequentissimi casi di collusione e malaffare tra dirigenti e politici corrotti, indipendentemente dal fatto che tali dirigenti siano stati assunti in via stabile tramite concorso o siano stati incaricati a tempo determinato dal decisore politivo. Tale dibattito ha posto invece in secondo ordine il tema centrale: quanto la responsabilità e l'autonomia gestionale del dirigente prevista dalla legge, sia stata effettivamente accompagnata da percorsi finalizzati a qualificarne le competenze ed il profilo professionale, per renderlo effettivamente autorevole nei confronti dell'intera struttura organizzativa che è chiamato a governare. – Informazione dentro l'organizzazione riguardo gli obiettivi e le finalità dell'ente e delle diverse unità organizzative che la compongono. Anche su questo tema abbiamo già fatto cenno alla palpabile difficoltà che le strutture direzionali hanno nel comunicare e condividere con i componenti dell'organiztigli obiettivi da raggiungere. Spesso la comunicazione si limita alla formale notifica degli obiettivi annuali di PEG (Piano Esecutivo di Gestione) mentre risultano quasi assenti momenti di condivisione rispetto alle finalità stesse di alcune unità organizzative, con differenti percezioni tra dirigente, assessore, responsabili di servizi ed uffici e dipendenti: ognuno pensa ad uno scopo ad una mission diversa, semplicemente perché non c'è stato lo sforzo di condivisione e di comunicazione che, sebbene non sufficiente di per sé, come dimostrato da Crozier, rappresenterebbe la condizione minima necessaria per evitare o quantomeno limitare le derive che consentono a gruppi interni all'organizzazione di costruire stili, modelli e procedure autoreferenziate ed auto prodotte. Oltre a ciò, è importante rilevare che nella pubblica amministrazione e soprattutto negli enti locali sia quasi del tutto assente ogni tentativo di costruzione di strumenti tesi alla costruzione di un'identità dell'organizzazione e dei suoi componenti; ci riferiamo ad azione mirate e consapevoli atte a costruire un principio di appartenenza e condivisione con la propria organizzazione, strumenti invece piuttosto abituali nelle aziende private: house organ aziendale, convention, momenti aggregativi, azioni di welfare aziendale (su questo ultimo punto il CCNL in corso di applicazione riserva finalmente uno spazio significativo). 19
Sottomessa alla volontà politica di turno, la struttura direttiva delle organizzazioni ha ampiamente faticato a definire azioni e strumenti di questo tipo che avrebbero potuto introdurre una trasmissione di valori, di immagine, di appartenenza, di orgoglio professionale e di cultura dell'organizzazione utili anche ai fini di una trasmissione di principi di carattere etico fondati sulla trasparenza, sulla prevenzione della corruzione. – Condivisione nella fase di costruzione e monitoraggio del Piano per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza La partecipazione nella fase di costruzione e monitoraggio del PTPC è un fattore determinante per diffondere la cultura della prevenzione alla corruzione all'interno dell'organizzazione . La stessa ANAC 28 ne rileva la necessità rilevando in diversi momenti la necessità di allargare la base partecipativa: “Il coinvolgimento di tutto il personale in servizio (ivi compresi anche gli eventuali collaboratori a tempo determinato o i collaboratori esterni) è decisivo per la qualità del PTPC e delle relative misure, così come un’ampia condivisione dell’obiettivo di fondo della lotta alla corruzione e dei valori che sono alla base del Codice di comportamento dell’amministrazione. Il coinvolgimento va assicurato: a) in termini di partecipazione attiva al processo di autoanalisi organizzativa e di mappatura dei processi; b) di partecipazione attiva in sede di definizione delle misure di prevenzione; c) in sede di attuazione delle misure”. Questa è una fase ancora estremamente carente nelle diverse pubbliche amministrazioni e ciò è dovuto in parte ad una ancora eccessiva complessità ed articolazione del Piano stesso, in parte ai costi (in termini di ore-lavoro) che tale partecipazione comporta ma, soprattutto, alle resistenze insite nell'organizzazione a riflettere su sé stesse, ad aprirsi in modo trasparente per mostrare i proprio processi decisionali e il proprio agire quotidiano. Tali criticità sono state rilevate da ANAC 29 allorquando rileva tra le cause che hanno contribuito alle criticità: “ Le difficoltà organizzative delle amministrazioni cui si applica la nuova politica anticorruzione, dovute in gran parte a scarsità di risorse finanziarie, che hanno impoverito anche la capacità di organizzare le funzioni tecniche e conoscitive necessarie per svolgere adeguatamente il compito che la legge ha previsto. (…) . Un diffuso atteggiamento di mero adempimento nella predisposizione dei PTPC limitato ad evitare le responsabilità che la legge fa ricadere sul RPC. (…) L’isolamento del RPC nella formazione del PTPC e il sostanziale disinteresse degli organi di indirizzo. Nella migliore delle ipotesi, questi ultimi si sono limitati a 28 Autorità Nazionale Anticorruzione “Aggiornamento 2015 al Piano Nazionale Anticorruzione” Determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 29 Ibidem 20
ratificare l’operato del RPC, approvando il PTPC, senza approfondimenti, né sull’analisi del fenomeno all’interno della struttura, né sulla qualità delle misure da adottare “. Il coinvolgimento dovrebbe riguardare anche gli attori esterni alla struttura, tema questo su cui si rilevano particolari carenza. Citiamo come caso emblematico il Comune di Roma: per le note vicende corruttive che hanno interessato l'ente, per l'indignazione diffusa presso la cittadinanza e per successivo il rivolgimento politico che ha portato al governo della città una forza politica con un profilo dichiaratamente orientato alla trasparenza, sarebbe stato ragionevole pensare ad un livello partecipativo nella fase di costruzione del PTCP. Tali aspettetive paiono decisamente disattese dai fatti: “Al fine di realizzare una forma di effettiva consultazione che coinvolgesse i cittadini, gli stakeholders, tutte le associazioni e le altre forme di organizzazione portatrici di interessi collettivi comprese le Organizzazioni Sindacali, il RPC, con avviso pubblico, ha invitato i suddetti soggetti a presentare proposte e osservazioni relative ai contenuti della vigente 1^ Rimodulazione del Piano Triennale di Prevenzione della Corruzione 2016-2018. Il medesimo Piano è stato posto in consultazione pubblica per dieci giorni consecutivi, dal 16 al 25 gennaio 2017 compreso, tramite un apposito banner, sulla home page del sito istituzionale, con rimando ad una pagina dedicata all’avviso pubblico di consultazione. Attraverso il modulo dedicato è stata così offerta ai cittadini e alle organizzazioni portatrici di interessi collettivi la possibilità di inviare all’indirizzo di posta elettronica riservato le proposte e le osservazioni sul P.T.P.C. e P.T.T.I. da valutare in sede di elaborazione del nuovo documento. (…) A seguito della suddetta consultazione, sono pervenute, nei termini fissati, tre proposte, formulate da cittadini. Fuori termine è invece pervenuta un’osservazione da parte di un dipendente capitolino” 30. Il risultato di questa “effettiva forma di cosultazione” ha prodotto tre proposte su un totale di 2.864.731 abitanti 31 – Formazione come occasione di confronto, scambio e “scontro” tra esperienze, esempi e modelli Fino ad ora abbiamo posto l'attenzione sulla dimensione professionale ed organizzativa come fattore chiave e pre-condizione per affrontare in maniera consapevole il tema della prevenzione alla corruzione nelle organizzazioni pubbliche. La formazione diffusa è, come abbiamo visto, un fattore di grande importanza per il cambiamento. Il tema della corruzione non può essere trattato solo nella sua dimensione tecnico professionale e affrontato solo con azioni di valorizzazione della dimensione professionale ed 30 Tratto da “Piano triennale per la prevenzione alla corruzione e trasparenza 2017-2018-2019”. Roma Capitale. Approvato con deliberazione n.10 del 31 gennaio 2017 31 Dato rilevato dallo stesso “Piano triennale per la prevenzione alla corruzione e trasparenza 2017- 2018-2019” Roma Capitale 21
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