DOSSIER - LE PRESIDENZIALI USA E MOSCA - OSSERVATORIO RUSSIA - ELEZIONI USA 2020
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DOSSIER – LE PRESIDENZIALI USA E MOSCA OSSERVATORIO RUSSIA – ELEZIONI USA 2020 Questo dossier raccoglie una serie di approfondimenti scritti in collaborazione tra Osservatorio Russia ed Elezioni Usa 2020. Intento comune, quello di capire se e come le prossime elezioni statunitensi di novembre cambieranno i rapporti tra Mosca e Washington. Analisi a tutto campo, che cercano di indagare tanto l’approccio statunitense, quanto quello russo ad un evento di rilevanza globale come le elezioni presidenziali USA.
IL VOTO TRA LA DOSSIER – LE CASA BIANCA E IL CREMLINO. PRESIDENZIALI USA Mattia Baldoni E MOSCA 3 novembre 2020, il giorno in cui verrà eletto OSSERVATORIO RUSSIA l’uomo politicamente più influente del mondo ELEZIONI USA 2020 e lo “studio ovale” vedrà un nuovo inquilino, o la ANALISI permanenza di quello attuale. • Il paradosso del Putin di Schrödinger Quello tra Donald Pietro Figuera (Osservatorio Russia) Trump e lo sfidante «Antiamericano e al tempo stesso filo-Trump. Il presidente democratico (esito delle russo nega interferenze oltreoceano con la stessa primarie in corso), sarà disinvoltura con cui appoggia, a parole, il suo omologo un duello seguito da statunitense. Ma il disegno del Cremlino, contrariamente alle miliardi di spettatori. Tra apparenze, è profondamente logico e sta bene in piedi nella questi, gli occhi del nuova versione asimmetrica del vecchio scontro bipolare. Cremlino. [...].» Continua... PAG. 4 Se evidenti sono le ragioni dell’interesse di • Come i Dem americani vedono la Mosca, vediamo allora Russia di Putin nel dettaglio come si sviluppa questa Giulia Narisano (Elezioni USA 2020) particolare attenzione, «Divisi sulle ricette economiche e sociali da portare alla in una direzione e Casa Bianca, gli oppositori di Trump ritrovano un'insolita nell’altra. unità in politica estera. Specie quando si parla di Mosca. [...].» Con i collaboratori di Continua... PAG. 6 Elezioni USA 2020 abbiamo confezionato • Trump sulla Russia: Dr Jekyll and Mr questo dossier, che Hyde punta proprio ad analizzare i dettagli del Lorenzo Ruffino (Elezioni USA 2020) complesso rapporto «Quando si parla di Russia e Stati Uniti a tutti viene in mente USA-Russia alla luce l'indagine sul Russiagate, e gli strani contatti tra il dell’imminente tornata presidente Donald J. Trump e il suo team e gli agenti russi. La domanda che più spesso ci si pone è: "Trump è colluso elettorale. con la Russia?". Se si guarda alle azioni della sua amministrazione si può notare un chiaro scollamento con la sua retorica.» Continua..PAG. 9 1
• I media russi e la corsa alla Casa Bianca Mattia Baldoni (Osservatorio Russia) «[...] Così come nel resto del mondo, il processo di designazione dello sfidante di Donald Trump desta l'attenzione anche dei media, dell'élite politica e dell'opinione pubblica della Federazione russa, che non restano di certo indifferenti alle dinamiche che porteranno all'elezione (o alla riconferma) della "figura politica più potente del mondo"...» Continua... PAG. 13 2
E-BOOK L'influenza russa in Europa, tra realtà e percezione Tra gli svariati timori che ha suscitato il ritorno della Russia come potenza globale, quelli relativi alla sua influenza hanno assunto una rilevanza crescente, soprattutto in ambito europeo. Il nostro continente, infatti, ospita decine di partiti inquadrabili come "filorussi", spesso considerati alle dirette dipendenze del Cremlino anche a causa di alcuni finanziamenti sospetti. Ma sono tanti gli strumenti a disposizione della Russia: dalle forniture di gas (potenziale arma di ricatto) alle leve più suadenti del soft power (cultura, religione, sport, informazione), non mancano a Mosca le possibilità di far sentire la propria voce. Quel che occorre sapere è se vi è la volontà di farlo, ovvero se esiste una strategia perseguita coerentemente da Putin e dal suo entourage per portare gli europei (preferibilmente i governi, o a mali estremi anche solo i cittadini) dalla propria parte. Un interrogativo a cui cercherà di rispondere questo ebook, il primo pubblicato da Osservatorio Russia. Disponibile su Amazon - https://www.amazon.it/dp/B07RJNV536 Continua a Pag. 16 3
ANALISI ___________________________________________________________________________________________________ Il paradosso del Putin di Schrödinger Pietro Figuera Antiamericano e al tempo stesso filo-Trump. Il presidente russo nega interferenze oltreoceano con la stessa disinvoltura con cui appoggia, a parole, il suo omologo statunitense. Ma il disegno del Cremlino, contrariamente alle apparenze, è profondamente logico e sta bene in piedi nella nuova versione asimmetrica del vecchio scontro bipolare. Negare un'interferenza non è essa stessa l'interferenza? Probabilmente sì, se la risposta alle accuse prevede un sostegno implicito a una delle due parti in causa. Gli endorsement di Putin a Trump fanno discutere, dividere, riesumare dietrologie apparentemente sepolte con il buco nell'acqua del rapporto Mueller. E se tutto sommato potevano apparire lineari nei primi mesi di amministrazione dell'inquilino della Casa Bianca, non lo sono più a tre anni dal suo insediamento, con uno scontro bipolare riacutizzato e portato ai massimi livelli su tutti i fronti, dalle sanzioni per la Crimea al boicottaggio del Nord Stream. Difficile, per i russi, scagionare Trump da tutte le azioni ostili provenienti da Washington: il Congresso Usa resta e resterà contro Mosca, ma la Casa Bianca avrebbe potuto ritagliarsi un margine di manovra che praticamente non si è mai visto. Qualcuno, addirittura, è arrivato a rimpiangere Obama: protagonista di una parabola simile (dal tentato reset delle relazioni, nel 2008-2010, al più duro regime sanzionatorio) ma quantomeno più prevedibile nelle sue intenzioni e azioni. Eppure, giovedì scorso, alla conferenza stampa di fine anno, Putin è tornato a difendere Trump dalle accuse interne. Anche se questa volta la Russia non c'entra, almeno direttamente - nel mirino dei Democratici vi 4
sono i rapporti del tycoon newyorchese con la vicina Ucraina. Nella stessa occasione, il leader del Cremlino non ha lesinato critiche al deterioramento del rapporto bilaterale: la cancellazione del Trattato INF ne è stata forse l'esempio più eclatante, in questi anni turbolenti. E il suo principale artefice, John Bolton, non proveniva certo da Marte, nonostante il suo successivo siluramento dai ranghi dell'amministrazione repubblicana di Trump. Con una scelta ardita, ma non priva di una sua logica, Putin ha accomunato il Russiagate (più noto in America come Russia Probe) al più fresco Ucrainagate per il quale Trump è appena finito sotto procedura di impeachment. Non c'è bisogno di elencare tutte le differenze tra i due casi: in sostanza, il primo è stato il tentativo di dimostrare le ingerenze di una potenza straniera all'interno della politica Usa, mentre il secondo testimonia un processo esattamente inverso, ovvero la pressione statunitense nei confronti di un altro Stato (per di più alleato). Dando inoltre per scontata la sua non-separazione tra poteri interni (presidenziale di Zelenskij e giudiziario) nonostante tutta la retorica sul sistema democratico ucraino. In tutto ciò, Putin vede – e denuncia apertamente – un disegno unico, che rientra nello scontro tra la Casa Bianca e gli altri apparati: il tentativo di contrastare Trump con tutti i mezzi. Mezzi che nel sistema statunitense di pesi e contrappesi peraltro non scarseggiano. Fallito il Russia Probe, ecco un'altra mossa che prova a mettere fuori gioco il presidente Usa e il suo (presunto) tentativo di riconciliarsi con Mosca. Poco importa, nel ragionamento di Putin (e dei sostenitori di Trump), che la seconda accusa si stia dimostrando ben più solida della prima. E che derivi, nei fatti, da un'iniziativa diretta e personale dell'inquilino della Casa Bianca. Entrambe le versioni hanno un fondo di verità: gli errori e le manipolazioni (indubbie) di Trump si trasformano facilmente in armi per i suoi avversari, all'interno di una sporca guerra senza esclusione di colpi. La Russia, oggetto (e soggetto) del contendere, resta centrale. E fa la sua parte. Consapevole di non aver mai avuto così tanta influenza (diretta o indiretta) nel dibattito pubblico americano, almeno dai tempi del maccartismo. Il paradosso di Putin, dunque, è solo apparente. Il leader russo non sostiene Trump bensì il proseguimento di una guerra interna che indebolisca la potenza rivale. Se non militarmente, almeno nello spirito. Poco importa, infatti, se la difesa di Trump ha l'effetto (prevedibile) di infiacchire lo stesso presidente americano, soggetto al giudizio di un'opinione pubblica interna largamente ostile alla Russia. L'intenzione di Putin non è di far prevalere la componente presidenziale su tutto il resto. I russi sono ben consapevoli dell'impossibilità di tale impresa, vista la resilienza degli apparati e la parabola geopolitica dei due giganti, pressoché destinati a scontrarsi nel lungo termine. Meglio (o senz'altro più alla portata) prendere tatticamente le parti dell'attore più debole della contesa – mossa vecchia forse quanto la politica estera russa – e dar l'impressione di poter condizionare l'opinione pubblica americana in maniera addirittura determinante. Anche se a tutt'oggi, a tre anni dalle famigerate presidenziali del 2016, non vi è alcuna reale prova di uno spostamento di voti dalla Clinton a Trump grazie alla disinformazione made in Russia. Sembrare forti e temibili, in una società globale sempre più influenzata dalle apparenze, equivale quasi ad esserlo. E alla fine, quindi, chi continuerà a ingigantire il ruolo della Russia potrebbe diventare il suo migliore alleato. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 22 dicembre 2019 5
Come i Dem americani vedono la Russia di Putin Giulia Narisano Divisi sulle ricette economiche e sociali da portare alla Casa Bianca, gli oppositori di Trump ritrovano un'insolita unità in politica estera. Specie quando si parla di Mosca. Nonostante il lento e apparente declino della loro influenza, in un contesto globale di multipolarismo sempre più accentuato, gli Stati Uniti mantengono la guida del nostro pianeta. Ed è inutile negare che buona parte di ciò che vi avviene passi, per un verso o per un altro, dall'inquilino del 1600 Pennsylvania Avenue. Ragion per cui, sebbene per gli elettori americani la politica estera non sia di primario interesse nella propria scelta di voto per le presidenziali del 2020, è utile avere un'idea di cosa implicherà per il mondo un presidente piuttosto che un altro. E occupandoci di politica estera degli Stati Uniti non si può prescindere dal parlare di Russia. In questa sede andremo ad esaminare cosa pensano i principali candidati democratici dei grandi temi internazionali che coinvolgono Mosca e Washington. A Trump, presidente in carica e avversario dei Dem, dedicheremo un capitolo a sé. Quattro temi per quattro candidati: questa è la formula che abbiamo scelto per riportare, in sintesi, le posizioni Dem nei confronti dell'eterno rivale eurasiatico. Infatti, oltre a selezionare i candidati alla presidenza con maggiori chance di investitura (Buttigieg, Sanders, Warren e Biden), abbiamo vagliato alcune questioni ricorrenti nel dibattito politico statunitense. Escludendo il grande tema del Russiagate e delle influenze russe (che affronteremo separatamente) e tenendo naturalmente conto del fatto che la politica estera non rientra tra le priorità di questa campagna elettorale. • 1. LA POLITICA INTERNA DELLA RUSSIA Su Putin e il sistema politico russo è unanime e senz'appello il giudizio negativo: un regime autoritario, ostile verso le norme e i principi democratici. 6
PETE BUTTIGIEG ha avuto parole poco gentili per il Paese guidato da Vladimir Putin, considerato un modello di Stato "che flette i muscoli", "egoista, dirompente e conflittuale" sullo scenario internazionale, con problemi interni di nazionalismo, xenofobia, omofobia e repressione della stampa. Dal punto di vista economico, l'ex sindaco di South Bend considera la Russia la dimostrazione di come il capitalismo, se non abbinato alla democrazia, porti inevitabilmente all'oligarchia. BERNIE SANDERS vede nella Russia un nemico della stampa libera, un Paese intollerante verso le minoranze etniche e religiose, che cerca di favorire gli interessi finanziari di Putin e della sua cerchia di oligarchi. Pure per ELIZABETH WARREN la libertà di parola, in Russia, è minacciata, anche a causa di intrecci tra il governo e le corporazioni statali opportunamente controllate da oligarchi amici. Non la pensa diversamente JOE BIDEN, che ritiene le elezioni russe al giorno d'oggi poco più che spettacoli coreografici, né liberi né equi. L'ex vicepresidente ha dichiarato che il sistema economico russo si basa su potenti mecenati che possono proteggere un imprenditore o un'azienda dalle incursioni di grandi concorrenti, o di funzionari delle imposte troppo zelanti. Secondo Biden si sarebbe così instaurato, all'interno del Paese,un sistema piramidale, con uno scambio di tangenti e bustarelle in cambio di protezione; a livello internazionale invece prevarrebbe un meccanismo di manipolazione dei mercati e utilizzo di accordi energetici per esercitare influenza su leader politici e imprenditoriali europei. • 2. LA CRIMEA Per tutti i candidati Dem, la Russia dovrà essere considerata come un nemico se continuerà a mantenere la sua posizione nei confronti dell'Ucraina e della Crimea. Un atteggiamento ritenuto un attacco ai principi e alle regole concordate dell'ordine europeo. Per BIDEN il mantenimento delle sanzioni imposte da Stati Uniti e UE in risposta all'aggressione dell'Ucraina è stato importante non solo per spingere Mosca a risolvere il conflitto a breve termine, ma anche per segnalare al Cremlino che i costi di tale comportamento finiranno per superare i benefici percepiti. Per BUTTIGIEG l'unica risposta possibile all'aggressione russa è quella di mantenere le sanzioni economiche e finanziarie imposte al Paese, finché esso continuerà ad attaccare il territorio e i cittadini ucraini e ad occupare illegalmente il territorio ucraino in Crimea. Inoltre, il giovane candidato ha dichiarato che, in caso di vittoria, favorirà la realizzazione di un quadro di sicurezza regionale che promuova la stabilità per l'Europa orientale ed incentivi la Russia ad aderire alle norme internazionali. Degno di nota infine il fatto che BIDEN, SANDERS e WARREN concordino sulla necessità di restituzione della Crimea all'Ucraina come condizione per la riammissione della Russia al G7. BUTTIGIEG invece, di fronte a tale domanda (posta direttamente dal New York Times), ha preferito non rispondere. Su Putin e il sistema politico russo è unanime e senz'appello il giudizio negativo: un regime autoritario, ostile verso le norme e i principi democratici. • 3. ARMI NUCLEARI (ED IRAN) Anche in questo caso i candidati hanno trovato una certa concordia: nello specifico nel valutare negativamente la decisione di Trump di uscire dall'accordo con l'Iran (tutti promettono di aderire nuovamente all'accordo in caso di propria elezione) e nel credere che bisogna mantenere le intese tattiche con Mosca. 7
PETE BUTTIGIEG ha mostrato, durante la campagna, di essere preoccupato sia dell'arsenale nucleare iraniano che di una possibile minaccia nucleare russa, e di ritenere la vicinanza di Trump con Mosca niente affatto rassicurante da questo punto di vista. Considererà comunque l'accordo con Teheran un punto di partenza e non di arrivo, nei rapporti con il Paese mediorientale. BERNIE SANDERS si è dimostrato categorico in tale ambito, sottolineando la necessità di essere vigorosi nell'imporre limiti a tutti i Paesi dotati di armi nucleari, e ritenendo quindi fondamentale sia l'accordo con l'Iran che il New START con la Russia. Sia il Senatore del Vermont che ELIZABETH WARREN ritengono inoltre preoccupante la decisione di Trump di espandere le condizioni in cui gli Stati Uniti potrebbero utilizzare le loro armi atomiche, anche in risposta ad una più ampia gamma di attacchi non nucleari. Per JOE BIDEN gli Stati Uniti non potranno rimanere una voce credibile se abbandonano gli accordi negoziati. Secondo l'ex vicepresidente, infatti, la politica di Trump avrebbe reso più probabile la proliferazione atomica, una nuova corsa agli armamenti nucleari e persino il loro uso. Biden promette, se eletto, di rinnovare l'impegno per il controllo degli armamenti e perseguire un'estensione del trattato New START, un'ancora di stabilità strategica tra Stati Uniti e Russia. A tal proposito Biden sottolinea che è proprio per la non fiducia verso gli avversari che sono indispensabili, per la sicurezza degli Stati Uniti, i trattati che tendono a limitare la capacità umana di distruzione. • 4. I RAPPORTI CON LA NATO L'importanza sostanziale e strategica della NATO è un punto comune a tutti i candidati, soprattutto in considerazione della percepita minaccia russa. Nell'opinione di BIDEN, in particolare, la NATO è la più efficace alleanza politico-militare della storia moderna, ed è proprio per questa sua rilevanza storica e politica che il Cremlino la teme e ne vorrebbe la dissoluzione. Altro caposaldo dei Democratici è la garanzia di aiuto statunitense verso i Paesi aderenti alla NATO in caso di attacco, a prescindere dall'adempimento da parte di questi ultimi ai contributi economici dovuti per la difesa comune. Concordano tutti, infatti, nell'affermare che la NATO non è un "racket di protezione" o un sistema "pay-to-play", ma un'alleanza basata su impegno comune e valori condivisi. Le opinioni divergono invece quando si parla della soglia del 2% del PIL richiesta per le spese militari di ciascun Paese aderente all'organizzazione. SANDERS, nel merito, è il più netto: non ritiene che il contributo economico debba essere aumentato oltre la soglia attuale in nessuna circostanza. Per BIDEN è importante che tutti i Paesi si uniformino ai target entro il 2024, mentre per la WARREN tale soglia deve essere calibrata sulla base delle necessità (può quindi nel tempo essere ridotta o aumentata). La senatrice del Massachusetts, nel valutare i rapporti con i Paesi del continente europeo, ha anche aggiunto che riconosce comunque un grande valore agli altri vari e significativi modi in cui gli Stati europei contribuiscono alla sicurezza globale: dispiegare truppe in missioni condivise, ricevere rifugiati e fornire assistenza allo sviluppo ad alcuni dei più alti tassi pro capite al mondo. Non ha fornito dichiarazioni in merito invece BUTTIGIEG, più silenzioso degli altri candidati, fino ad ora, sui temi di politica internazionale. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 13 febbraio 2020 8
Trump sulla Russia: Dr Jekyll and Mr Hyde Lorenzo Ruffino L'inconciliabile contrasto tra le posizioni personali di Trump e quelle del suo stesso governo rende ancora ondivaga e opaca la politica estera degli Stati Uniti verso la Russia. Quando si parla di Russia e Stati Uniti a tutti viene in mente l'indagine sul Russiagate, e gli strani contatti tra il presidente Donald J. Trump e il suo team e gli agenti russi. La domanda che più spesso ci si pone è: "Trump è colluso con la Russia?". Se si guarda alle azioni della sua amministrazione si può notare un chiaro scollamento con la sua retorica. Le posizioni di Trump Sia da candidato che da presidente, Donald J. Trump ha avuto un approccio alla questione russa senza precedenti nella politica statunitense. Invece di presentare la Russia come un regime autoritario che minaccia gli Stati Uniti, Trump ha spesso cercato un riavvicinamento con Mosca e in particolar modo ha cercato di avere un rapporto di amicizia, o almeno di simpatia personale, con il presidente russo Vladimir Putin. Già a partire dalla Convention del Partito Repubblicano dell'estate del 2016, quando si scrive effettivamente la piattaforma politica per le elezioni, la campagna di Trump ha agito in maniera inusuale. Si è disinteressata di tutto il processo di elaborazione tranne che per la parte della questione russa. L'obiettivo era ottenere che nella piattaforma repubblicana il GOP non chiedesse più di fornire armi all'Ucraina per combattere le forze russe e ribelli nell'est del Paese. 9
I legami tra la campagna di Trump e la Russia erano così strani che l'FBI è arrivata ad aprire un'indagine nel corso della campagna elettorale per capire se fosse in atto una collusione e se lo stesso candidato Trump ne fosse parte integrante. Negli anni Trump ha più volte elogiato il presidente russo. Si è riferito a lui come "una persona così gentile", l'ha definito un "leader forte" che ha fatto "un ottimo lavoro superando in astuzia il nostro Paese". Trump ha anche affermato di "andare molto d'accordo" con il presidente russo. In questi anni di presidenza, Trump ha cercato più volte di stringere un rapporto personale con Putin. Da quando è entrato in carica, il presidente americano ha parlato privatamente con la sua controparte russa almeno 16 volte, sia telefonicamente che di persona. Una delle costanti di questi incontri o colloqui è stata la mancanza di fiducia, da parte di Trump, nel suo staff. Ad esempio nel 2017, alla fine di un incontro con Putin a margine del G20 di Amburgo a cui aveva partecipato anche l'allora segretario di Stato Rex Tillerson, Trump si era fatto consegnare gli appunti dell'interprete statunitense. Sempre in quell'occasione, Trump e Putin hanno parlato tra di loro alla cena dei leader del G20 con la sola presenza dell'interprete russo. Il 20 marzo 2018 Trump ha chiamato Putin per congratularsi per la sua rielezione. Successivamente i media americani hanno scoperto che le note preparate dall'intelligence gli avevano suggerito di "non congratularsi" con il presidente russo per quella che è stata considerata come una vittoria pilotata. Una settimana dopo, il Cremlino ha riferito che Trump aveva proposto di incontrarsi con Putin alla Casa Bianca, in quella che sarebbe stata la prima visita di un presidente russo dal 2005. Tale incontro avrebbe dovuto tenersi ad inizio 2019, ma di fronte alle proteste provenienti anche da esponenti del suo stesso partito è stato posticipato a data da definirsi. Il caso delle interferenze russe rimane emblematico. Infatti, nonostante tutte le agenzie di intelligence americane e il rapporto conclusivo del procuratore speciale Robert Mueller sostengano che la Russia abbia interferito nelle elezioni del 2016, Trump si è sempre rifiutato di riconoscere che la cosa sia avvenuta. Durante la conferenza stampa a seguito del vertice bilaterale di Helsinki del 16 luglio 2018, alla domanda se Trump credesse alle agenzie di intelligence o a Putin in merito alle interferenze nelle elezioni, Trump ha risposto in maniera vaga. "Persone sono venute da me, Dan Coates [il direttore dell'intelligence nazionale, nda] è venuto da me e da altri, hanno detto di pensare che sia stata la Russia", ha detto Trump. "Il presidente Putin dice che non è stata la Russia, non vedo alcuna ragione per cui dovrebbe mentire". Nel corso della stessa conferenza stampa a Putin era stato invece chiesto: "Presidente, lei voleva che Trump vincesse le elezioni?". La risposta è stata: "Sì, volevo che vincesse perché ha parlato di normalizzare le relazioni tra i nostri due Paesi". A seguito di quella conferenza Trump si è attirato le critiche dei principali quotidiani e anche di diversi esponenti Democratici e Repubblicani. Ma ogni volta che a Trump è stato fatto notare il suo comportamento accomodante, il presidente ha sempre risposto: "Non c'è mai stato un presidente così duro con la Russia come lo sono stato io". Ogni volta che a Trump è stato fatto notare il suo comportamento accomodante, il presidente ha sempre risposto: "Non c'è mai stato un presidente così duro con la Russia come lo sono stato io 10
Le posizioni dell'Amministrazione Trump In effetti, nonostante le parole di apertura di Trump sulla Russia, la sua Amministrazione si è mossa molto diversamente sulla questione, spesso agendo in modo aggressivo e in linea generale senza grandi scostamenti dalla normale politica americana. Ad agosto 2017, il presidente Trump ha ad esempio firmato il Countering America's Adversaries Through Sanctions act (CAATSA), una legge che imponeva nuove sanzioni contro la Russia, l'Iran e la Corea del Nord. Nell'ottobre di quello stesso anno, Il Dipartimento di Stato ha pubblicato le linee guida sull'attuazione della Sezione 231 del CAATSA, dove venivano specificate 39 entità che operavano per conto dei settori della difesa o dell'intelligence russi. Nel dicembre 2017, la Casa Bianca ha pubblicato la sua National Security Strategy, dove la Russia (insieme alla Cina) veniva identificata chiaramente come un avversario e un pericolo per gli Stati Uniti. Ad inizio 2019 i funzionari dell'intelligence statunitense hanno consegnato al Congresso la loro valutazione annuale delle minacce globali alla sicurezza nazionale identificando la cooperazione tra Cina e Russia come la loro principale preoccupazione strategica. In questi anni l'amministrazione Trump ha continuato a imporre sanzioni, a rilasciare dichiarazioni e avvertimenti e ad agire come se la Russia fosse un nemico. In Siria si è mossa diverse volte militarmente contro anche la Russia. Nel 2018 un bombardamento statunitense ha ucciso centinaia di forze siriane e di mercenari russi presenti nel Paese. Il 25 luglio 2018 il segretario di Stato Mike Pompeo ha annunciato una policy formale riaffermando l'opposizione degli Stati Uniti all'annessione della Crimea da parte della Russia. C'è poi stato il ritiro dall'Intermediate-range Nuclear Forces (INF) Treaty, trattato sulle armi nucleari del 1987, con l'accusa alla Russia del suo mancato rispetto. Prima Pompeo ha dato 60 giorni a Mosca per tornare a rispettarlo, poi lo stesso Trump ne ha annunciato la formale uscita, una volta stabilito che la Russia non intendeva farlo (Mosca ovviamente nega tutte le accuse). Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno continuato a imporre sanzioni sulla Russia per vari motivi: interferenze nella politica americana, azioni criminali, attacchi hacker, etc. Washington si è anche duramente opposta alla costruzione del gasdotto Nord Stream 2 tra Russia e Germania, che a suo avviso rafforzerebbe il potere contrattuale di Mosca con l'Europa e indebolirebbe ulteriormente l'Ucraina. Gli Stati Uniti hanno anche imposto sanzioni su chiunque lavori alla costruzione del gasdotto, portando la società svizzera che se ne occupava a tirarsi indietro. Nonostante le moltissime critiche di Trump alla NATO, la sua Amministrazione ha armato alcuni Paesi europei. In particolare la Polonia e la Romania hanno acquistato i sistemi missilistici Patriot, gli aerei da combattimento statunitensi F-16 sono stati venduti a diversi alleati e Ucraina e Georgia hanno acquistato missili anticarro di Javelin per rafforzare le loro difese contro le forze russe. La NATO ha anche aumentato il volume delle esercitazioni militari in Europa. Le esercitazioni Defender 2020, in programma tra febbraio e giugno 2020, saranno la terza più grande mobilitazione in Europa dopo la Guerra fredda. Oltre 20.000 soldati verranno impiegati per mettere alla prova la capacità di risposta contro una possibile invasione russa. 11
Per il Cremlino la situazione americana è in chiaroscuro. Da una parte c'è un presidente che tenta in vari modi di avere un migliore rapporto con la Russia e dall'altra un'amministrazione e un apparato statale che lavorano in continuità, con la classica politica statunitense degli ultimi anni che vede la Federazione Russa come un avversario politico e militare. Appare difficile quindi ipotizzare cosa possa accadere in futuro, ma i particolari rapporti avuti da Trump e dai suoi collaboratori con agenti russi durante il 2016 rischiano di far sì che qualsiasi azione intrapresa dal presidente e dalla sua amministrazione sia vista sempre come non sufficiente a scagionarlo. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 19 febbraio 2020 12
I media russi e la corsa alla Casa Bianca Mattia Baldoni U La corsa verso il 3 novembre 2020, giorno delle elezioni presidenziali negli USA, è ancora lunga e passa obbligatoriamente dal banco di prova delle primarie. Se da un lato l'attuale presidente Donald Trump pare l'unico destinato a dominare quelle repubblicane, ben più incerte sembrano quelle democratiche, che in queste primissime battute vedono un testa a testa tra due outsider, Bernie Sanders e Pete Buttigieg. Indietro restano il favorito Joe Biden, l'ex-sindaco di New York Michael Bloomberg e gli altri candidati, ma la dimensione limitata dei voti finora espressi (al 23 febbraio si è votato solamente in tre Stati: Iowa, New Hampshire, Nevada) non consente di escludere alcun possibile esito. Così come nel resto del mondo, il processo di designazione dello sfidante di Donald Trump desta l'attenzione anche dei media, dell'élite politica e dell'opinione pubblica della Federazione russa, che non restano di certo indifferenti alle dinamiche che porteranno all'elezione (o alla riconferma) della "figura politica più potente del mondo". Generalmente, gli Stati Uniti e il loro massimo rappresentante non incarnano un'immagine positiva nella mentalità russa, essenzialmente per ragioni e rivalità politiche, storiche ed attuali. Tuttavia, la diffidenza o l'astio nella società russa sono oggi più edulcorati di quanto si possa pensare. Nella più recente delle bimestrali indagini sulle percezioni dei rapporti internazionali da parte dei cittadini russi fatta dal Levada Centr (il più importante centro di analisi e ricerca sociale russo), il 42% dell'opinione pubblica ritiene di approcciarsi agli USA "molto/abbastanza bene", mentre il 46% degli intervistati ha risposto in maniera contraria ("piuttosto/molto male"). Un risultato sostanzialmente equilibrato. Molto interessante è la copertura data dalle principali testate giornalistiche, alcune delle quali offrono resoconti dettagliati ed interessanti punti di vista sulla campagna elettorale statunitense, in particolare sulla competizione interna al Partito democratico. Il tema sotto la lente d'ingrandimento dei media russi è quello 13
della politica estera, quindi i programmi, le promesse, gli slogan che i candidati avanzano durante questa campagna, con un occhio di riguardo alle strategie e ai rapporti tra Washington e Mosca. Tra i primi ad occuparsene Rossijskaja Gazeta, che successivamente al dibattito tra i democratici a Des Moines (Iowa) del 14 gennaio (l'ultimo prima del caucus nello Stato) si è concentrata sulle posizioni dei candidati in termini di politica internazionale. Un tema che, come ricorda il quotidiano, non è tradizionalmente tra i principali per l'elettore americano, ma che data la forte escalation della tensione con l'Iran ha occupato una parte significativa della trasmissione. La Russia viene citata tra le numerose critiche rivolte all'agenda internazionale di Trump, il cui ritiro dal trattato START rappresenterebbe un grave rischio per la sicurezza degli USA. L'agenzia statale TASS ha un'intera sezione del suo sito dedicata alle presidenziali americane del 2020. In un'interessante rassegna dei candidati ("Breve guida ai possibili sfidanti di Trump nel 2020"), la piattaforma d'informazione esamina nel dettaglio proposte e opportunità per i vari contendenti, tanto nel campo democratico quanto in quello, senza sfida, repubblicano. Da notare come l'articolo concentri buona parte della sua analisi sulla candidata democratica Elizabeth Warren e sulla sua offerta politica, vista come potenziale sfidante del favorito Joe Biden insieme a Bernie Sanders. Ampio spazio dedicato anche a Michael Bloomberg, di cui vengono ripercorsi i trascorsi politici e l'esperienza come sindaco di New York. Complessivamente, TASS mantiene un profilo neutrale e privo di retorica, limitandosi ad una completa disamina degli attori in campo. Sulla stessa linea si mantiene Kommersant. "Le elezioni per distacco" titola l'articolo di Ivan Lebedev, che rimarca la sempre più profonda distanza e polarizzazione dell'elettorato rosso e blu d'America. Il contributo affronta l'alta indecisione che impera nel Partito democratico, nonostante i sondaggi vedano Biden di fronte a Sanders, Warren e Buttigieg di oltre 10/20 punti percentuali. Favori dei pronostici che tuttavia, devono fare i conti con le spese della campagna elettorale, che vedrebbero l'ex vicepresidente in difficoltà rispetto agli avversari, colpa di un avvio troppo "spendaccione" rispetto ai più parsimoniosi avversari. Fuori categoria Bloomberg, il cui sterminato patrimonio gli consente investimenti faraonici. Tuttavia, come ricorda Lebedev, i numerosi cambi di casacca fatti dal magnate in passato non sarebbero molto ben visti dall'elettorato Dem, relegandolo al ruolo di outsider. Anche qui viene offerto un focus sull'eventuale evoluzione dei rapporti russo-americani. Il giornalista constata con rammarico l'unanimità delle posizioni democratiche, convinte che Mosca sia intervenuta alle elezioni americane, sia aggressiva sulla scena internazionale e meriti una punizione, anche attraverso le sanzioni. Allo stesso tempo, però, uno spiraglio per la cooperazione sembra restare aperto, soprattutto in merito all'estensione del trattato START. Il 42% dell'opinione pubblica russa ritiene di approcciarsi agli USA "molto/abbastanza bene", mentre il 46% degli intervistati ha risposto in maniera contraria ("piuttosto/molto male"). Un risultato sostanzialmente equilibrato. Commenti ben più sbilanciati si possono trovare in altre fonti, per loro natura chiaramente orientate e spesso discutibili, come Sputnik, ma anche più autorevoli, come RIA Novosti, dove il columnist Ivan Danilov non esita ad apostrofare Bloomberg come "il miliardario che ha definito la Russia il nemico n. 1". Secondo il giornalista, una vittoria del tycoon democratico prospetterebbe tempi difficilissimi per le relazioni USA- Russia, in confronto alle quali i rapporti durante l'"ultimo Obama" sembrerebbero un disgelo. Bloomberg rappresenterebbe il candidato ideale per i sostenitori dello scontro con Mosca, il cui leader Vladimir 14
Putin viene considerato dal politico statunitense come "un autoritario che ha annesso i territori dei suoi vicini, destabilizzato gli alleati statunitensi nell'Europa orientale, contribuito ai crimini di guerra in Siria e intervenuto nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016". Il giudizio complessivo sulla competizione elettorale è anch'esso piuttosto drastico: il Partito democratico avrebbe candidati troppo deboli, il cui peso risicato spianerebbe la strada al secondo mandato di Trump. Ben più velenoso il ritratto di Biden, il cui scarso appeal e le ricorrenti gaffe sembrano indicare più "l'avanzamento dell'età che l'intelletto acuto". Dito puntato contro i democratici anche per RT, dove il politologo Dmitrij Drobnickij espone i tre errori del Partito democratico USA. Al primo posto, l'assenza di contenuti nella discussione politica, incentrata esclusivamente sulle strategie per rendere l'assistenza sanitaria gratuita e sulle critiche a 360° a Trump; non una parola sulla politica internazionale, né sull'economia o sulla sicurezza nazionale. Secondo errore: "l'atteggiamento vegetariano" nei confronti di Biden, per cui gli altri candidati non lo avrebbero attaccato pur essendo sommerso da scandali e sfondoni, rispondendo con un silenzio quasi ossequioso. Terzo errore: l'utilizzo strumentale dell'impeachment per tagliare fuori Trump ancora prima del voto, strategia perseguita da tutti i contendenti (ad eccezione di Tulsi Gabbard, come specificato nell'editoriale di Drobnickij), ricca di contraddizioni e portatrice di insuccesso. Insomma, anche in questo caso Donald Trump sembrerebbe avere la strada spianata, sia per assenza di rivali interni, sia per incapacità degli avversari. Infine, uno sguardo ai centri di ricerca e studi internazionali della Federazione. Tra questi, si segnala un interessante contributo del RIAC, Russian Internatonal Affairs Council, che elenca le linee di politica estera dei candidati presidenziali mantenendo un profilo prettamente accademico e neutrale. Quest'ultimo resoconto, molto dettagliato, spazia dall'intransigenza, se non vero e proprio antagonismo, riconosciuto a Amy Klobuchar (fortemente legata all'Ucraina), Joe Biden, Elizabeth Warren (aspre sanzioni ed indipendenza energetica per gli alleati NATO) alla relativa distensione o cooperazione possibile con Sanders (nonostante riconosca le interferenze russe nelle precedenti elezioni) e, soprattutto, con Tulsi Gabbard, che apertamente dichiara la rivalità con la Russia come dannosa per la stessa America. Le elezioni presidenziali americane del 2020 e la tappa precedente delle primarie sembrano, quindi, suscitare le stesse impressioni nei media, organi d'informazione e ricerca russi. L'idea è quella di un Partito democratico piuttosto debole, rappresentato da candidati poco carismatici, destinato per ora ad una lotta impari con l'attuale presidente Donald Trump, in cerca della sua riconferma. Inoltre, nei democratici viene vista molta più ostilità nei confronti del Cremlino e prospettive potenzialmente pericolose nei rapporti tra Washington e Mosca. Le ambiguità che circondano alcuni dei Dem (Biden e Bloomberg i più bersagliati) sembrano infine spianare la strada al tycoon repubblicano, che ha dalla sua parte le positive performance economiche e il decisionismo sullo scenario globale, soprattutto contro la Cina. L'unica arma democratica, ormai usurata e sempre meno funzionale, è quella dell'impeachment e delle critiche allo stile presidenziale, ma l'immagine che si proietta all'esterno è quello di contendenti senza vere proposte o idee da contraltare al "Keep America Great". Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 24 febbraio 2020 15
E-BOOK ____________________________________________________________________________________________________ L'influenza russa in Europa, tra realtà e percezione 16
Che cos’è L'influenza russa in Europa, tra realtà e percezione? Sono 150 pagine di saggi, analisi e interviste, firmate da alcuni degli autori della redazione di Osservatorio Russia. L’obiettivo che si sono posti è stato fin dall’inizio ambizioso ed avvincente: parlare del russkij mir (mondo russo, ndr) oltre qualsiasi stereotipo o preconcetto, oltre ogni retorica, faziosità o narrativa partigiana che, soprattutto oggi, affolla la scarsa letteratura sull’argomento. Nasce così questo volume, che vuole delineare a 360° il tipo di relazione che intercorre tra Mosca e l’Europa, le sue numerose sfaccettature e declinazioni, per arrivare infine a dibattere ed argomentare il significato stesso del titolo: esiste o meno questa influenza russa in Europa? Ci sono segnali concreti o strategie che la orientano, oppure è un’enorme e fumosa macchina del fango, che alimenta essenzialmente una propaganda avversa, ma infondata? 17
Dossier – Le presidenziali USA e Mosca Osservatorio Russia – Elezioni USA 2020 Dossier di approfondimento a cura di Osservatorio Russia & Elezioni USA 2020 Direttore Pietro Figuera Redattore Capo Mattia Baldoni Hanno contribuito a questo numero gli autori: (in ordine alfabetico) Baldoni Mattia (Osservatorio Russia) Figuera Pietro (Osservatorio Russia) Narisano Giulia (Elezioni USA 2020) Ruffino Lorenzo (Elezioni USA 2020) Un ringraziamento a tutti i nostri sostenitori, agli appassionati, ai collaboratori e a quanti contribuiscono a portare avanti ogni giorno il nostro progetto. La Redazione 18
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