Fondamento e attualità del principio di obbligatorietà per il pubblico ministero di esercitare l'azione penale. di Saulle Panizza
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Fondamento e attualità del principio di obbligatorietà per il pubblico ministero di esercitare l’azione penale. di Saulle Panizza Sommario: 1. La formulazione dell’art. 112 Cost. e l’antecedente costituito dall’art. 101 del Progetto di Costituzione della Repubblica italiana. – 2. L’attribuzione di significati all’art. 112 Cost. ad opera della giurisprudenza della Corte costituzionale. – 3. (segue) La portata e le funzioni assolte dall’art. 112 Cost. secondo la giurisprudenza costituzionale. – 4. La legge di ordinamento giudiziario e, più in generale, l’evoluzione della legislazione (ordinamentale) riguardante il p.m. sotto i profili attinenti all’obbligatorietà dell’azione penale. – 5. (segue) Le riforme dell’ordinamento giudiziario originate dalla legge n. 150/2005: il decreto legislativo n. 106/2006 e la legge n. 269/2006. Le connesse prese di posizione del Consiglio superiore della magistratura. – 6. La riemersione della tematica dei criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale. – 7. Qualche considerazione finale, tra spunti di metodo e preoccupazioni di svuotamento delle garanzie costituzionali. 1. La formulazione dell’art. 112 Cost. e l’antecedente costituito dall’art. 101 del Progetto di Costituzione della Repubblica italiana. Accingersi ad esaminare le vicende attuali in ordine al principio di obbligatorietà dell’azione penale per il pubblico ministero significa affrontare un tema che affonda le proprie radici nella configurazione pre-repubblicana dell’ordinamento giudiziario, che si sviluppa quindi in un disegno costituzionale non privo di incertezze e, secondo taluni, di contraddizioni, per arrivare a noi attraverso una serie complessa di riforme legislative e di interventi giurisprudenziali, in particolare della Corte costituzionale. Le finalità del presente intervento, tuttavia, volte principalmente a riferire gli aspetti più recenti del dibattito e le linee evolutive che sembrano emergere dalle modifiche da ultimo introdotte e dalle proposte in discussione, consentono di ripercorrere gli aspetti del passato, oltre che in sintesi, estrapolando i dati più funzionali alla messa a fuoco del significato attuale dell’obbligo di esercitare l’azione penale a carico degli uffici del p.m. (1). La formulazione attuale dell’art. 112 Cost. (“Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”) trova il proprio antecedente nell’art. 101 del Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, discusso in Assemblea costituente nella seduta antimeridiana del 27 novembre 1947, il quale così recitava: “L’azione penale è pubblica. Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitarla e non la può mai sospendere o ritardare. Le udienze sono pubbliche, salvo che la legge per ragioni di ordine pubblico o di moralità disponga altrimenti. Tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati.” (2). Con particolare riferimento al primo comma del testo del progetto, che qui particolarmente rileva, furono presentati alcuni emendamenti che prevedevano: la soppressione (Leone); la sostituzione (Crispo), con il seguente testo: “L’azione penale è pubblica, ed è esercitata di ufficio, quando non sia necessaria la querela, la richiesta o l’istanza. L’esercizio dell’azione penale non può sospendersi, interrompersi o farsi cessare se non nei casi stabiliti dalla 1 Il tutto in un’ottica strettamente costituzionalistica, demandando all’intervento di E. Marzaduri, in questo stesso Seminario, l’analisi dei profili più direttamente riguardanti la prospettiva penalistica e processual-penalistica del principio di obbligatorietà dell’azione penale. 2 Per la ricostruzione del dibattito e dei suoi significati, v., da ultimo, G. D’ELIA, Commento all’art. 112, in R. BIFULCO, A. CELOTTO, M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. III, Torino, 2006, 2126. 1
legge”; la soppressione della seconda proposizione (Colitto); la soppressione delle parole “e non la può mai sospendere o ritardare” (Bettiol); la sostituzione con l’espressione “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale” (Leone, previo ritiro dell’emendamento soppressivo dal medesimo presentato). Ripercorrendo il dibattito, le affermazioni di principio che se ne ricavano, talune delle quali ancor oggi significative, paiono potersi condensare nelle seguenti: “i cultori di diritto penale sanno che il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale non è ben definito ancora” (Leone); “il pubblico ministero (…) quando viene a cognizione della notitia criminis, non ha un potere discrezionale, ma deve investire l’organo della giurisdizione dell’esame del contenuto dell’azione penale” (Leone); “quando avremo detto soltanto che il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale, noi avremo soddisfatto l’ansia politica che in questa sede dobbiamo rispettare, cioè che il pubblico ministero non può non esercitare l’azione penale; ma non diciamo che il monopolio dell’azione penale è nelle mani del pubblico ministero” (Leone); la rilevanza costituzionale della materia, in particolare nelle parole dapprima di Bettiol (3) e quindi di Paolo Rossi, a nome della Commissione (4). 2. L’attribuzione di significati all’art. 112 Cost. ad opera della giurisprudenza della Corte costituzionale. La concisione del dettato costituzionale sul punto, unitamente alla complessità del quadro d’insieme, al susseguirsi di interventi legislativi non sempre coerenti, alla mai sopita discussione intorno alla separazione tra le funzioni giudicanti e requirenti (con i possibili, connessi profili di separazione delle carriere), ed altri fattori ancora hanno contribuito a fare del pubblico ministero un nodo cruciale dell’organizzazione della magistratura, così come la disciplina per esso prevista un elemento qualificante del nostro modello di ordinamento giudiziario (5). Ebbene, alla definizione della sua posizione nel sistema molto ha contribuito la comprensione della valenza da attribuire proprio all’esercizio obbligatorio dell’azione penale, principio che è venuto assumendo una pregnanza di significati soprattutto in forza del contributo chiarificatorio dato dalla giurisprudenza costituzionale. Lo scopo delle pagine che seguono è quello di rintracciare – seguendo la cronologia delle pronunce della Corte costituzionale (tra vecchio e nuovo c.p.p.) – le affermazioni di maggior rilievo sulla figura del p.m. (non in generale, ma) in stretta connessione con l’attribuzione di significato all’art. 112 Cost.; da tale ricostruzione, nel paragrafo successivo, si cercherà di estrapolare il significato e il 3 “Di carattere veramente costituzionale è l’affermazione esplicita del principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, perché è un principio che si adegua ad un ordine democratico nell’ambito di uno stato di diritto in contrasto a due principi: quello di discrezionalità, da un lato, per cui il pubblico ministero è arbitro di potere esercitare o non l’azione penale, e il principio di obbligatorietà o di legalità, per cui il pubblico ministero, quando ricorrano i presupposti di fatto e di diritto, deve esercitare l’azione penale stessa”. 4 “Se l’Assemblea crede di dover risolvere la questione dell’obbligatorietà dell’azione penale superando l’antica tesi della discrezionalità e affermando il principio della legalità dell’azione penale, converrà introdurre un cenno nella Costituzione: perché, qui, lo riconosco, la materia è di rilevanza costituzionale”. 5 V., per tutti, A. PIZZORUSSO, L’organizzazione della giustizia in Italia. La magistratura nel sistema politico e istituzionale, Torino, 1982; la natura del p.m. quale “nodo irrisolto” degli studi sull’ordinamento giudiziario è sottolineata, tra gli altri, da N. ZANON, F. BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, seconda edizione, Bologna, 2008, 137; per la (voluta) utilizzazione dell’espressione “giudice requirente” ad indicare la figura del p.m., G. SCARSELLI, Ordinamento giudiziario e forense, seconda edizione, Milano, 2007, 203; v. altresì R. ROMBOLI, Il pubblico ministero nell’ordinamento costituzionale e l’esercizio dell’azione penale, in S. PANIZZA – A. PIZZORUSSO – R. ROMBOLI (a cura di), Ordinamento giudiziario e forense. Volume I. Antologia di scritti, Pisa, 2002, 307, il quale individua gli aspetti di livello costituzionale più discussi attinenti alla figura del p.m. nella sua natura e indipendenza esterna, nell’obbligatorietà dell’azione penale e nell’indipendenza interna; recentemente, per un inquadramento di sintesi del nostro sistema della magistratura, S. BARTOLE, Il potere giudiziario, Bologna, 2008, spec. 53 ss. 2
valore di garanzia rinvenibile nel dettato costituzionale (6), appurati i quali si passeranno ad esaminare gli interventi legislativi più recenti nonché i progetti e le proposte in discussione, onde valutarne la coerenza rispetto ai principi. Le affermazioni di principio contenute nelle pronunce della Corte saranno precedute da una formula sintetica che individua il profilo affrontato in ciascuna di esse. Le condizioni per l’azione penale e il tipo di valutazione spettante al p.m. [1959-22: con l’art. 112 la Costituzione ha escluso il principio opposto di una discrezionale valutazione del p.m. circa la opportunità o meno del promuovimento dell’azione penale; non è escluso che l’ordinamento possa in via generale stabilire che, indipendentemente dall’obbligo del p.m., determinate condizioni concorrano perché l’azione penale possa essere promossa o proseguita, né si è inteso svincolare l’obbligo dalla necessità, nei casi stabiliti dalla legge, del verificarsi di determinate condizioni]. La natura della potestà di esercitare l’azione penale [1963-148: nel 112 la Costituzione ha considerato il p.m. come titolare della potestà di esercitare l’azione penale, che è diversa dalla potestà di giudicare]. La sostituibilità del p.m. nel promuovimento dell’azione penale [1963-154: il sistema italiano non ammette, salvo tassative eccezioni, che altri organi si sostituiscano al p.m. nel promuovimento dell’azione penale]. Le possibili deroghe al principio di obbligatorietà dell’azione penale [1965-4: in materia penale, i casi di deroga al principio dell’obbligatorietà dell’azione del p.m. sono eccezionalmente dettati, e da norme costituzionali]. Sulla titolarità, esclusiva o meno, al p.m. [1967-61: l’art. 112 Cost. fissa il principio della obbligatorietà dell’azione penale e non che il promuovimento dell’azione spetti esclusivamente al pubblico ministero]. Le condizioni per il promuovimento dell’azione [1967-105: la riaffermazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale espressa nell’art. 112 della Costituzione non esclude che, indipendentemente dall’obbligo del p.m., l’ordinamento stabilisca determinate condizioni per il promuovimento o la prosecuzione dell'azione penale, anche in considerazione degli interessi pubblici perseguiti dalla pubblica amministrazione]. Un’ipotesi contrastante con il 112 Cost., a proposito delle disposizioni relative all’Alta Corte [1970- 6: confermano il contrasto con la Costituzione le disposizioni concernenti la messa in stato di accusa, demandata all’Assemblea regionale ed al commissario dello Stato presso la Regione: organo politico-legislativo, la prima, ed organo amministrativo alle dipendenze del Governo nazionale, il secondo; si contravviene così anche al principio dell’art. 112 Cost., rimettendosi il promuovimento dell’azione penale a deliberazioni di un’assemblea a composizione politica o a valutazioni più o meno discrezionali di un organo, quale il commissario dello Stato, la cui figura non è certo comparabile a quella del pubblico ministero]. Le condizioni di possibile sospensione dell’attuazione dell’obbligo costituzionale a carico del p.m. [1970-9: il procedimento per la concessione dell’autorizzazione non può non avere regole che si coordinano con il carattere politico dell’atto; e se è vero che viene sospesa l’attuazione dell’obbligo del pubblico ministero di esercitare l’azione penale, è dalla norma costituzionale che l’effetto proviene, avendo essa dato alla singola Camera legittimazione esclusiva alla scelta del tempo e del modo di esercizio della competenza che le spetta, perché soltanto la singola Camera è legittimata a regolare lo svolgimento dei propri lavori]. Ancora sulla titolarità, esclusiva o meno, al p.m. [1970-123: il 112 Cost. afferma bensì 6 La natura ricognitiva dell’indagine e la valenza strumentale al fine di individuare delle linee di tendenza hanno suggerito di prescindere dal dare conto delle specificità delle varie pronunce e del significato che in esse ha assunto l’affermazione sull’art. 112 Cost., in particolare ai fini della soluzione della controversia portata all’attenzione della Corte. Del resto, la stessa selezione ha finito per condurre a non richiamare pronunce pure di grande significato per la individuazione della complessiva posizione del p.m. nel sistema, ma non così direttamente rilevanti ai fini del principio di obbligatorietà dell’azione penale, e il cui esame è sembrato pertanto poter essere omesso in questa sede. 3
l’obbligatorietà dell’azione penale, ma non anche l’esclusiva spettanza della stessa al p.m., né tanto meno offre indicazione alcuna nel senso che non siano ammissibili casi di giurisdizione senza azione]. Le modalità di esercizio dell’azione penale [1971-209: non è dubbio che la scelta circa le modalità di esercizio dell’azione penale rientri nel potere istituzionale dell’organo requirente e ne determini l’ambito di discrezionalità, in necessaria correlazione, peraltro, col dovere di osservare la legge, in riferimento alle condizioni che questa specificamente stabilisca, nonché al principio generale della congruenza dello strumento processuale prescelto, rispetto al fine pratico della persecuzione penale; circa l’ambito di discrezionalità del p.m. nell’esercizio dell’azione penale, il codice di rito riserva al p.m. l’iniziativa del procedimento, ai sensi dell’art. 112 Cost., e la scelta, salvi i controlli giurisdizionali, di quelle modalità di esercizio dell’azione medesima che si palesino congrue nei singoli casi]. I possibili controlli sull’attività del p.m. [1974-93: il p.m. esercita poteri - doveri connessi alla sua funzione, la cui osservanza non è esente da controlli ed è inoltre garantita, per i casi di inattività ingiustificata, da opportune sanzioni]. Il significato dell’obbligatorietà [1974-155: il principio dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale è diretto a escludere qualsiasi discrezionalità del pubblico ministero]. Un’ipotesi di deroga all’art. 112 Cost. [1974-259: tra la Commissione inquirente, istituita nell’ambito del Parlamento, da un lato, ed una autorità giudiziaria ordinaria o militare dall’altro, si controverte sui limiti delle rispettive sfere di attribuzioni alla stregua delle norme costituzionali che riservano al Parlamento il promuovimento dell’accusa contro il Capo dello Stato od i ministri per i reati “presidenziali” o “ministeriali” (artt. 90 e 96 Cost., art. 12 legge cost. n. 1 del 1953), così derogando, ratione materiae e ratione personarum, ai principi degli artt. 102 e 112 Cost.]. L’appartenenza al concetto di giurisdizione [1975-96: nel concetto di “giurisdizione” - quale contemplato nell’art. 102 - deve intendersi compresa non solo l’attività decisoria, che è peculiare e propria del giudice, ma anche l’attività di esercizio dell’azione penale, che con la prima si coordina in un rapporto di compenetrazione organica a fine di giustizia e che l’art. 112 Cost., appunto, attribuisce al pubblico ministero]. I lavori preparatori, il significato dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale, la titolarità del potere e il valore di garanzia che il principio assume [1979-84: L’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale ad opera del p.m., già reintrodotta nell’ordinamento con il d.l.l. 14 novembre 1944 n. 288 (art. 6), è stata costituzionalmente affermata come elemento che concorre a garantire, da un lato, l’indipendenza del p.m. nell’esercizio della propria funzione e, dall’altro, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale. Il disposto costituzionale facendo obbligo al p.m. di esercitare l’azione penale non vuole escludere, come risulta anche dai lavori preparatori, che ad altri soggetti possa essere conferito analogo potere. Ciò che la ratio della norma esclude è che al p.m. possa essere sottratta la titolarità dell’azione penale in ordine a determinati reati (salvo che nelle ipotesi costituzionalmente previste); con la conseguenza che la titolarità dell’azione penale in tanto può essere legittimamente conferita anche a soggetti diversi in quanto con ciò non si venga a vanificare l’obbligo del p.m. medesimo di esercitarla. In altre parole, l’ordinamento ben può prevedere azioni penali sussidiarie o concorrenti rispetto a quella obbligatoriamente esercitanda dal Pubblico Ministero, ma sono senza dubbio confliggenti con l’art. 112 e con l’art. 3 Cost. quelle disposizioni normative che, attribuendo ad altri organi diversi dal p.m. la titolarità esclusiva dell’azione penale per taluni reati, ne inibiscono l’esercizio al p.m. medesimo. L’obbligo dell’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. esige che egli sia titolare di tale azione in relazione a qualunque fatto di reato, comunque conosciuto, mentre soltanto il carattere sussidiario dell’azione penale conferita a privati o ad organi statali diversi dal p.m. ne potrebbe giustificare, sul piano costituzionale, la discrezionalità nell’esercizio]. I limiti temporali di un possibile blocco delle attività processuali penali [1988-370: il blocco delle attività processuali penali “per lunghi tempi” non può non violare il principio di cui all’art. 112 4
Cost., che, invece, la breve, necessaria sospensione dell’azione penale sicuramente non lede]. Ciò che l’art. 112 Cost. non dice [1990-284: l’art. 112 Cost. nulla stabilisce – né potrebbe essere altrimenti, non essendo materia da disciplinarsi a livello costituzionale – circa i tempi e i modi di espletamento dell’esercizio dell’azione penale]. Ciò cui l’art. 112 Cost. non attiene [1991-72: l’art. 112 Cost. attiene all’esercizio delle funzioni del p.m. e non all’organizzazione e alla direzione degli uffici del settore requirente]. Il significato dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale e il valore di garanzia che il principio assume [1991-88: il principio di legalità (art. 25, secondo comma), che rende doverosa la repressione delle condotte violatrici della legge penale, abbisogna, per la sua concretizzazione, della legalità nel procedere; e questa, in un sistema come il nostro, fondato sul principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge (in particolare, alla legge penale), non può essere salvaguardata che attraverso l’obbligatorietà dell’azione penale. Realizzare la legalità nell’eguaglianza non è, però, concretamente possibile se l’organo cui l’azione è demandata dipende da altri poteri: sicché di tali principi è imprescindibile requisito l’indipendenza del pubblico ministero. Il principio di obbligatorietà è, dunque, punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale, talché il suo venir meno ne altererebbe l’assetto complessivo. Di conseguenza, l’introduzione del nuovo modello processuale non lo ha scalfito, né avrebbe potuto scalfirlo. Il principio di obbligatorietà dell’azione penale esige che nulla venga sottratto al controllo di legalità effettuato dal giudice: ed in esso è insito, perciò, quello che in dottrina viene definito favor actionis. Ciò comporta non solo il rigetto del contrapposto principio di opportunità che opera, in varia misura, nei sistemi ad azione penale facoltativa, consentendo all’organo dell’accusa di non agire anche in base a valutazioni estranee all’oggettiva infondatezza della notitia criminis; ma comporta, altresì, che in casi dubbi l’azione vada esercitata e non omessa. Di ciò è, del resto, palese dimostrazione la formulazione - mai messa in discussione - dell’istituto dell’archiviazione in termini di “manifesta infondatezza”. Azione penale obbligatoria non significa, però, consequenzialità automatica tra notizia di reato e processo, né dovere del p.m. di iniziare il processo per qualsiasi notitia criminis. Il problema dell’archiviazione sta nell’evitare il processo superfluo senza eludere il principio di obbligatorietà ed anzi controllando caso per caso la legalità dell’inazione]. I termini per il compimento delle attività di indagine [1993-48: non v’è alcuna contraddizione logica tra la previsione di un termine entro il quale deve essere portata a compimento l’attività di indagine e il precetto sancito dall’art. 112 Cost., non essendo quel termine, in sé e per sé considerato, un fattore che sempre e comunque è astrattamente idoneo a turbare le determinazioni che il pubblico ministero è chiamato ad assumere al suo spirare]. La natura strumentale del principio nei confronti dei principi di legalità ed eguaglianza [1993-111: sarebbe contraddittorio, da un lato, garantire l’effettiva obbligatorietà dell’azione penale contro le negligenze o le deliberate inerzie del p.m. conferendo al giudice per le indagini preliminari il potere di disporre che costui formuli l’imputazione, e, dall’altro, negare al giudice dibattimentale il potere di supplire ad analoghe condotte nella parte pubblica. L’attribuzione di tale potere ha, anzi, un fondamento maggiore, perché i principi di legalità ed uguaglianza - di cui quello di obbligatorietà dell’azione è strumento (cfr. sentenza n. 88 del 1991) - esigono che il giudice sia messo in grado di porre rimedio anche alle negligenze ed inerzie del difensore]. Il fondamento per il riconoscimento al p.m. della natura di potere dello Stato [1993-462: non può essere condivisa l’opinione che l’attribuzione concernente l’esercizio obbligatorio dell’azione penale non potrebbe in alcun modo essere menomato dallo svolgimento di un potere, come quello relativo all’autorizzazione a procedere, che, essendo configurato come condizione di procedibilità, concorrerebbe esso stesso a definire il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. Non può dubitarsi che il p.m., secondo l’art. 112 Cost., sia il titolare diretto ed esclusivo delle attività d’indagine finalizzate all’esercizio (obbligatorio) dell'azione penale]. I lavori preparatori e la rapportabilità, o meno, del potere di appello del p.m. all’obbligo di 5
esercitare l’azione penale [1995-280: dall’esame dei lavori preparatori della Costituzione risulta che la costituzionalizzazione dell’obbligo di esercitare l’azione penale fu trattata sotto i tre seguenti profili: rapporti del p.m. con il potere esecutivo nel momento iniziale dell’azione penale; possibilità di prevedere eccezioni a tale obbligo nel senso di possibili sospensioni o ritardi nel suo esercizio; controllo del giudice sui possibili casi di mancata attivazione del pubblico ministero nei confronti di una determinata notitia criminis. Tutti argomenti attinenti al momento iniziale dell’azione penale, senza il minimo, neanche implicito, riferimento ai momenti successivi, e tanto meno a giudizi d’impugnazione]. Ancora sulla legittimazione quale potere dello Stato [1995-420: deve attribuirsi al p.m. la legittimazione a proporre conflitto esclusivamente quando agisca a difesa dell’integrità della competenza inerente all’esercizio dell’azione penale. Va anche qui ribadito che l’obbligatorietà dell’azione penale, punto di convergenza di un complesso di principi del sistema costituzionale, costituisce la fonte essenziale della garanzia dell’indipendenza del p.m. (cfr. sentenze nn. 88 del 1991 e 84 del 1979). Tuttavia, tale principio non comporta che debba ritenersi in assoluto preclusa né l’attribuzione al p.m. di compiti e funzioni non strettamente “d’indagine”, cioè non direttamente finalizzati all’esercizio dell’azione penale, né l’utilizzazione dei risultati dell’attività investigativa per scopi ulteriori rispetto a quelli tipici della funzione requirente e degni di tutela, a meno che non si dimostri che tali previsioni costituiscano in concreto un intralcio serio e ingiustificato allo sviluppo delle indagini. La inderogabilità del segreto investigativo non riceve, in assoluto, “copertura” nell’art. 112 Cost., nel senso che non qualsiasi deroga all’obbligo del segreto sugli atti di indagine - pur indubbiamente strumentale al più efficace esercizio dell’azione penale - integra di per sé lesione dell’indicato precetto, ben potendo tale obbligo subire limitazioni od attenuazioni a tutela di altri interessi di rilievo costituzionale (ad es., del diritto di difesa). Si determina una violazione dell’art. 112 Cost. laddove si impone al p.m., quale condizione per l’ammissione del collaboratore al programma speciale di protezione, il compimento di un atto di natura investigativa avente determinate caratteristiche, venendo ad incidere direttamente sull’attività di conduzione delle indagini, la cui strategia, ai fini del più proficuo sviluppo delle indagini medesime in relazione ai singoli procedimenti, va lasciata - nei limiti, ovviamente, previsti dall’ordinamento - alla libera valutazione del procuratore della Repubblica]. I rapporti con l’efficienza del processo penale [1995-460: il 112 Cost. è inidoneo a garantire, oltre il momento iniziale dell’impulso dato dal p.m., l’efficienza del processo penale, che pure è bene costituzionalmente protetto]. Ancora sui lavori preparatori [1996-270: sulla base dei lavori dell’Assemblea Costituente sul 112 Cost., sul piano costituzionale non esiste una soluzione obbligata di escludere, in ogni caso ed in via generale, la possibilità di sospensione, potendo invece il legislatore (ferma l’obbligatorietà dell’azione penale) prevedere, per specifiche e tassative ipotesi purché improntate a criteri di ragionevolezza, soprattutto per ragioni di economia processuale, la sospensione dell’azione o del procedimento]. I limiti di esercizio dell’obbligo per il p.m. [1997-96: il principio di obbligatorietà dell’azione penale non comporta l’obbligo di esercitare l’azione ogni qualvolta il p.m. sia stato raggiunto da una notizia di reato, ma va razionalmente contemperato con il fine di evitare l’instaurazione di un processo superfluo]. 3. (segue) La portata e le funzioni assolte dall’art. 112 Cost. secondo la giurisprudenza costituzionale. Volendo provare a sintetizzare i dati emersi alla luce della ricostruzione effettuata, sembra possibile ricavare come la giurisprudenza costituzionale abbia estrapolato a partire dall’art. 112 Cost. una sorta di nucleo duro di significato e una precisa valenza di garanzia. 6
Il primo può essere tradotto con il riconoscimento nella scelta effettuata dal Costituente della esplicita volontà di escludere una qualsiasi discrezionalità del p.m. in ordine al promuovimento dell’azione penale. Questo principio, a sua volta, si precisa alla luce di una serie di ulteriori affermazioni che fungono, in qualche misura, da corollari. Tra di esse, quella per cui non è escluso che l’ordinamento possa stabilire che determinate condizioni concorrano perché l’azione possa essere promossa o proseguita. Circa la titolarità, quella per cui non si stabilisce, in astratto, che il promuovimento dell’azione spetti esclusivamente al p.m. Quanto alla valenza della regola generale, quella secondo cui i casi di deroga possono esser stabiliti solo da norme costituzionali, operando cioè un bilanciamento tra principi costituzionali (il 112 da un lato, quelli eventualmente in grado di delimitarne la sfera di operatività sulla base di interessi almeno altrettanto meritevoli di salvaguardia costituzionale, dall’altro). La conseguente inaccettabilità di un blocco delle attività processuali per lungo tempo, che come tale finirebbe per violare irrimediabilmente l’art. 112 Cost. Ancora, la circostanza che l’osservanza del potere-dovere del p.m. non sia esente da controlli e possa anche, se del caso, essere garantita da sanzioni. Accanto al nucleo così individuato dell’attività salvaguardata dal principio di obbligatorietà dell’azione penale (7), ciò che appare di ancor maggior pregio rilevare è la portata di garanzia che la giurisprudenza costituzionale è venuta annettendo al principio di obbligatorietà dell’azione penale. Una portata di garanzia che si concretizza in una duplice direzione, secondo linee di sviluppo che appaiono peraltro inscindibili tra loro, come nettamente affermato a partire dalla sent. n. 84/1979: il disposto costituzionale che sancisce l’obbligatorietà dell’azione penale ad opera del p.m. è elemento che concorre a garantire, da un lato, l’indipendenza del p.m. nell’esercizio della propria funzione e, dall’altro, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale. L’affermazione, elaborata nel vigore del vecchio c.p.p., viene riproposta con immutata nettezza anche nel vigore del nuovo c.p.p. ad opera della giurisprudenza successiva al 1989. La testimonianza più netta si ha con la sent. n. 88/1991, della quale mette conto riportare ancora una volta il passaggio argomentativo più significativo: il principio di legalità, che rende doverosa la repressione delle condotte violatrici della legge penale, abbisogna, per la sua concretizzazione, della legalità nel procedere; questa, in un sistema come il nostro, fondato sul principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, in particolare penale, non può essere salvaguardata che attraverso l’obbligatorietà dell’azione penale; realizzare la legalità nell’eguaglianza non è, però, concretamente possibile se l’organo cui l’azione è demandata dipende da altri poteri, sicché di tali principi è imprescindibile requisito l’indipendenza del pubblico ministero. Per addivenire ad una delle affermazioni più note sul tema, quella per cui “il principio di obbligatorietà è, dunque, punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale, talché il suo venir meno ne altererebbe l’assetto complessivo”. Da notare, ulteriormente, la assoluta costanza nel tempo di tale giurisprudenza. Il pronunciamento più recente è rappresentato dalla sent. n. 121/2009, dove la Corte afferma che l’esigenza di razionalità degli interventi legislativi in materia risulta ancor più pregnante allorché essi si traducano, come nella fattispecie, in una previsione impeditiva dell’esercizio dell’azione penale: “Secondo quanto più volte affermato da questa Corte, il principio di obbligatorietà dell’azione penale, espresso dall’art. 112 Cost., non esclude che l’ordinamento possa subordinare l’esercizio dell’azione a specifiche condizioni (tra le altre, sentenze n. 114 del 1982 e n. 104 del 1974; ordinanza n. 178 del 2003). Affinché l’art. 112 Cost. non sia compromesso, tuttavia, simili canoni debbono risultare intrinsecamente razionali e tali da non produrre disparità di trattamento fra situazioni analoghe: e ciò, alla luce dello stesso fondamento dell’affermazione costituzionale dell’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, come elemento che concorre a garantire – oltre all’indipendenza del pubblico ministero nello svolgimento della propria funzione – anche e 7 Ulteriormente precisabile alla luce della normativa codicistica e della sua evoluzione, per cui si rinvia ancora all’intervento di E. Marzaduri, in questo stesso Seminario. 7
soprattutto l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale (sentenze n. 88 del 1991 e n. 84 del 1979)” (8). Appare significativo osservare, semmai, con riferimento a questa ultima pronuncia, come, ribadita la continuità con i propri precedenti, un elemento peculiare sia la rilevanza data dalla Corte ad uno dei due elementi tradizionalmente configuranti il significato di garanzia del disposto costituzionale, vale a dire l’eguaglianza dei cittadini. Se non si tratta di una impropria accentuazione da parte di chi scrive di una semplice sfumatura linguistica, deve essere sottolineato il più stretto collegamento che l’organo di giustizia costituzionale sembra porre, rispetto al passato, tra il principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale e il principio cardine dell’ordinamento, quello di eguaglianza (qui declinato nella particolare sfaccettatura dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale), valorizzandone in tal modo l’ancoraggio al punto meno attraversato da tensioni nell’evoluzione recente dell’ordinamento (9). 4. La legge di ordinamento giudiziario e, più in generale, l’evoluzione della legislazione (ordinamentale) riguardante il p.m. sotto i profili attinenti all’obbligatorietà dell’azione penale. Dopo aver soffermato l’attenzione sulla giurisprudenza costituzionale costruitasi intorno all’art. 112 Cost., conviene ora volgere lo sguardo all’evoluzione legislativa. Rapidi cenni sugli interventi che nel passato hanno contribuito a conformare la disciplina, in particolare attraverso modifiche alla legge di ordinamento giudiziario, consentiranno di cogliere con maggior precisione il senso dei cambiamenti introdotti a partire dalla legge di riforma del 2005. I punti di riferimento principali sono essenzialmente due: la configurazione ordinamentale del pubblico ministero contenuta nel Titolo III del r.d. n. 12/1941 (artt. 69 ss.), come modificato a partire fin dal r.d.lgs. n. 511/1946 e poi in maniera significativa tra gli anni ottanta e novanta, in corrispondenza con il passaggio dal vecchio al nuovo c.p.p., da un lato, e l’affermazione del sistema tabellare, progressivamente esteso agli uffici del p.m., dall’altro. Per il primo, la disposizione di maggior rilievo è costituita dall’art. 70. Secondo il 3° comma, “I titolari degli uffici del pubblico ministero dirigono l’ufficio cui sono preposti, ne organizzano l’attività ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero dal codice di procedura penale e dalle altre leggi, quando non designino altri magistrati addetti all’ufficio. Possono designare più magistrati in considerazione del numero degli imputati o della complessità delle indagini o del dibattimento”. Il 4° comma, poi, ha cura di precisare che “Nel corso delle udienze penali, il magistrato designato svolge le funzioni del pubblico ministero con piena autonomia e può essere sostituito solo nei casi previsti dal codice di procedura penale. Il titolare dell’ufficio trasmette al Consiglio superiore della magistratura copia del provvedimento motivato con cui ha disposto la sostituzione del magistrato”. La disposizione è a sua volta correlata con l’art. 53 c.p.p. (Autonomia del pubblico ministero nell’udienza), il quale stabilisce la “piena autonomia” 8 Nella fattispecie la Corte perviene a dichiarare la illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 112 Cost., dell’art. 405, comma 1-bis, c.p.p., aggiunto dall’art. 3, l. n. 46/2006, il quale stabiliva che “il p.m., al termine delle indagini, formula richiesta di archiviazione quando la Corte di cassazione si è pronunciata in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ai sensi dell’art. 273, e non sono stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini”. 9 Scelta che potrebbe trovare una qualche spiegazione nelle modifiche dell’ordinamento giudiziario ed in particolare in quelle incidenti sulla posizione di indipendenza del p.m., di cui ai paragrafi successivi; sul punto, comunque, volendo, S. PANIZZA, Illegittimo il vincolo legale alle determinazioni del pubblico ministero in relazione all’esercizio dell’azione penale a seguito di pronuncia della Corte di cassazione in ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: ancora un intervento sulla l. n. 46 del 2006, questa volta in forza degli artt. 3 e 112 Cost., in Giur. cost. 2009, in corso di pubblicazione. 8
del p.m. in udienza e i casi di sostituzione (grave impedimento, rilevanti esigenze di servizio, talune ipotesi di astensione di cui all’art. 36 c.p.p.; e, fuori da questi casi, solo con il consenso) (10). Quanto al sistema tabellare, poi, è noto come si sia trattato di un insieme di regole e attività, frutto della progressiva elaborazione del Consiglio superiore della magistratura (a partire dalla fine degli anni sessanta) e di successive conferme legislative, attraverso le quali sono stati inverati una serie cospicua di principi costituzionali in tema di ordinamento giudiziario, dall’indipendenza e inamovibilità dei magistrati al giudice naturale precostituito per legge (11). Ebbene, a partire dalla fine degli anni ottanta la materia tabellare ha finito per estendersi anche all’organizzazione degli uffici del p.m., sia pure con una serie di previsioni in parte differenti rispetto a quelle applicabili agli uffici giudicanti. I passaggi maggiormente significativi per quanto qui interessa sono rappresentati dall’introduzione, nella legge di ordinamento giudiziario, nel 1988, dell’art. 7-bis (tabelle degli uffici giudicanti) e dell’art. 7-ter (Criteri per l’assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti) e la circostanza che in quest’ultima disposizione sia poi stato aggiunto (dall’art. 6 d.lgs. n. 51/1998) un ultimo comma, a tenore del quale “Il Consiglio superiore della magistratura determina i criteri generali per l’organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l’eventuale ripartizione di essi in gruppi di lavoro”. Per la comprensione degli effetti da ciò prodotti è sufficiente un sommario esame del contenuto dell’ultima circolare (prima delle modifiche di cui poi si dirà) sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari, quella per il biennio 2006/2007 (12), rispetto alla quale possono sottolinearsi in particolare due fattori. Da un lato, la circostanza che la presenza di regole organizzative anche per gli uffici del p.m. sia (o, meglio, fosse) ormai divenuto un fatto, per così dire, scontato. Si legge nella premessa che “con riferimento all’organizzazione degli uffici del pubblico ministero la nuova circolare si limita a ribadire le disposizioni contenute nella precedente, con alcune puntualizzazioni”. Dall’altro, il fatto che la tabellarizzazione abbia finito per riguardare, anche con riferimento agli uffici del pubblico ministero, un insieme cospicuo e assai rilevante di aspetti. Se si esamina il Capo IX della circolare, infatti, non si faticherà ad individuare più di un profilo in grado di incidere sull’organizzazione dell’ufficio e anche sulle funzioni da esso svolte, compresa, naturalmente, quella inerente l’esercizio dell’azione penale. Trascurando aspetti di minor rilievo, basterebbe segnalare l’attenzione riservata agli adempimenti ricompresi nel procedimento di approvazione dei criteri di organizzazione degli uffici requirenti (par. 63), con procedura partecipata da tutti i magistrati dell’ufficio, oltre che dal consiglio giudiziario; all’organizzazione del lavoro ispirata al criterio della specializzazione (par. 64); ai criteri di assegnazione degli affari (par. 65) (13); alla necessità di assicurare la continuità nella designazione del sostituto o dei sostituti originariamente incaricati per tutte le fasi del medesimo grado (par. 67); fino ad arrivare alla comunicazione al Csm dei provvedimenti di modificazione dei criteri di organizzazione, di assegnazione degli affari e di avocazione e sostituzione del p.m. (par. 68), così traducendo, com’è noto, i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di funzioni consiliari, con particolare riguardo alle attività rientranti nell’amministrazione della giurisdizione. 10 Per un esame complessivo della figura del pubblico ministero, con particolare attenzione rivolta anche ai nessi interni all’ufficio determinati dall’art. 70, r.d. n. 12/1941 e dall’art. 53, c.p.p., v. C. MORSELLI, voce Pubblico ministero, in Digesto discipline penalistiche, X, 1995, 476, cui si rinvia anche per indicazioni relative al “profluvio bibliografico” riguardante l’assetto della magistratura requirente. 11 Per una ricostruzione, v. S. PANIZZA, Sistema tabellare e ordinamento giudiziario, in Nomos 1992, n. 2-3, 55; B. GIANGIACOMO, V. MACCORA, I. MANNUCCI PACINI, L’organizzazione della giurisdizione dopo le riforme, Rimini, 2000. 12 Circolare n. P-27060 del 19 dicembre 2005, poi aggiornata nel 2006, in . 13 Imponendosi al procuratore di precisare anche quelli che, “per specifiche tipologie di reato, il procuratore intende riservare a se stesso, dando conto delle eventuali ricadute sul piano organizzativo di tali scelte”, e precisandosi che “l’assegnazione degli affari rientra nella responsabilità del dirigente dell’ufficio ma non possono ritenersi ammissibili parametri genericamente equitatitivi o che realizzano una discrezionalità incontrollata del dirigente”. 9
5. (segue) Le riforme dell’ordinamento giudiziario originate dalla legge n. 150/2005: il decreto legislativo n. 106/2006 e la legge n. 269/2006. Le connesse prese di posizione del Consiglio superiore della magistratura. Sull’assetto così sinteticamente delineato ha inciso, né poteva essere diversamente, il disegno riformatore originato dalla legge n. 150/2005, cui poi hanno fatto seguito, per la parte che qui interessa, il decreto legislativo n. 106/2006 e i ritocchi disposti dalla legge n. 269/2006 (minor rilievo rivestono, ai nostri fini, le ulteriori modifiche apportate a vari aspetti della riforma da parte della legge n. 111/2007) (14). Limitandosi ad accennare agli aspetti che più direttamente coinvolgono l’esercizio dell’azione penale e il significato rivestito dall’art. 112 Cost., mette innanzitutto conto ricordare come l’iter di approvazione della l. n. 150/2005 sia stato caratterizzato da un rinvio presidenziale sul testo approvato in prima battuta dalle Camere (15). Accanto ad una osservazione attinente al drafting normativo, il Capo dello Stato evidenziava, si ricorderà, quattro motivi di “palese incostituzionalità”, i primi due dei quali si riferivano ad una serie di disposizioni costituzionali, tra cui anche l’art. 112. Il primo aveva attinenza alla disposizione riguardante le Relazioni sull’amministrazione della giustizia, osservandosi, in particolare, che ciò configurava un potere di indirizzo in capo al Ministro della giustizia, che non trova cittadinanza nel Titolo IV, Parte II, della Costituzione, in base al quale l’esercizio autonomo e indipendente della funzione giudiziaria è pienamente tutelato, sia nei confronti del potere esecutivo, sia rispetto alle attribuzioni dello stesso Csm, e si aggiungeva che “l’indicazione di obiettivi primari che l’attività giudiziaria dovrebbe perseguire nel corso dell’anno («linee di politica giudiziaria») determina di per sé la violazione anche dell’articolo 112 della Costituzione, in base al quale «il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale»: il carattere assolutamente generico della formulazione della norma in esame crea uno spazio di discrezionalità politica destinato ad incidere sulla giurisdizione”. Il secondo investiva la disposizione riguardante l’istituzione, presso ogni direzione generale regionale o interregionale dell’organizzazione giudiziaria, dell’ufficio per il monitoraggio dell’esito dei procedimenti, in tutte le fasi o gradi del giudizio, al fine di verificare l’eventuale sussistenza di rilevanti livelli di infondatezza giudiziariamente accertata della pretesa punitiva manifestata con l’esercizio dell’azione penale o con i mezzi di impugnazione ovvero di annullamento di sentenze per carenze o distorsioni della motivazione, ovvero di altre situazioni inequivocabilmente rivelatrici di carenze professionali. Dopo aver riscontrato una serie di contrasti con altri principi costituzionali, si osservava nel messaggio presidenziale che “da questa forma di monitoraggio, avente ad oggetto il contenuto dei provvedimenti giudiziari, deriva un grave condizionamento dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni; in particolare, il riferimento alla possibilità di verificare livelli di infondatezza «della pretesa punitiva manifestata con l’esercizio dell’azione penale» integra una ulteriore violazione del citato articolo 112 della Costituzione”. Senza indugiare oltre sulla primigenia formulazione della legge, conviene passare alla formulazione definitivamente consacrata nella legge n. 150/2005 e, più in particolare, all’attuazione della delega in essa contenuta ad opera del decreto legislativo n. 106/2006 (Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero). Di esso, gli aspetti da sottolineare sono rappresentati in particolare dagli artt. 1 (Attribuzioni del procuratore della Repubblica), 2 (Titolarità dell’azione penale), 4 (Impiego della polizia giudiziaria delle risorse finanziarie e 14 Per un commento complessivo, del primo intervento e delle successive modifiche, AA.VV., La legge di riforma dell’ordinamento giudiziario, in Foro it. 2006, V, 1; AA.VV., La «riforma della riforma» dell’ordinamento giudiziario, in Foro it. 2008, V, 87; nonché i vari interventi raccolti nella Tavola rotonda in Legislazione penale 2006, 675. 15 V. M. LUCIANI, Il rinvio presidenziale, in Foro it. 2006, V, 6. 10
tecnologiche), 6 (Attività di vigilanza del procuratore generale presso la corte di appello) e 7 (Abrogazioni e modificazioni). In ulteriore dettaglio, ai fini della configurazione dell’ufficio del pubblico ministero e dell’esercizio dell’azione penale, il dato di maggior rilievo, anche simbolico, è rappresentato dall’art. 1, secondo il quale “Il procuratore della Repubblica, quale preposto all’ufficio del pubblico ministero, è titolare esclusivo dell’azione penale e la esercita sotto la propria responsabilità nei modi e nei termini fissati dalla legge”, aggiungendosi che “Il procuratore della Repubblica assicura il corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo ufficio”. Il successivo articolo sembra poi, in qualche modo, svolgere, sul piano operativo, la (nuova) premessa di principio, prevedendo che “Il procuratore della Repubblica è il titolare esclusivo dell’azione penale che esercita, sotto la sua responsabilità, nei casi, nei modi e nei termini stabiliti dalla legge, personalmente ovvero delegando uno o più magistrati addetti all’ufficio. La delega può riguardare la trattazione di uno o più procedimenti ovvero il compimento di singoli atti di essi”, mentre sono fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 70-bis del r.d. n. 12/1941, relative alla direzione distrettuale antimafia (16). Più direttamente inerenti ad aspetti organizzativi e di buon funzionamento dell’ufficio sembrano le altre previsioni del decreto, anche se tali da far sorgere quanto meno il dubbio circa possibili ricadute in riferimento alle attività di indagine del p.m. e all’esercizio dell’azione penale. Si prenda l’art. 4, ai sensi del quale “Per assicurare l’efficienza dell’attività dell’ufficio, il procuratore della Repubblica può determinare i criteri generali ai quali i magistrati addetti all’ufficio devono attenersi nell’impiego della polizia giudiziaria, nell’uso delle risorse tecnologiche assegnate e nella utilizzazione delle risorse finanziarie delle quali l’ufficio può disporre”, potendo allo scopo “definire criteri generali da seguire per l’impostazione delle indagini in relazione a settori omogenei di procedimenti”. Così come l’art. 6, il quale stabilisce che “Il procuratore generale presso la corte di appello, al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo, nonché il puntuale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti, acquisisce dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto ed invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno annuale”. Significativa e di portata non certo modesta è poi la disposizione abrogatrice dell’art. 7-ter, comma 3, dell’ordinamento giudiziario, esattamente quella a suo tempo introdotta per dare “copertura” legislativa ai poteri del Csm di definizione degli assetti organizzativi degli uffici di procura. L’entrata in vigore del decreto legislativo nel giugno 2006 ha consigliato al Csm l’adozione di un “primo e urgente” intervento, concretizzatosi in una apposita risoluzione (17). Nel rinviare ad una fase successiva un eventuale più compiuto intervento, il Consiglio riferisce gli atteggiamenti riscontrati nei dirigenti degli uffici (“in numerosi casi … hanno confermato espressamente i criteri organizzativi in vigore, approvati dal Consiglio, procedendo alle sole modifiche necessitate dalla nuova normativa”, “in limitati casi, invece, … hanno previsto modalità di assegnazione degli affari talvolta pienamente discrezionali ovvero clausole di carattere generale dirette a dare esplicazione ad 16 Viene poi ulteriormente stabilito che “Con l’atto di delega per la trattazione di un procedimento, il procuratore della Repubblica può stabilire i criteri ai quali il delegato deve attenersi nell’esercizio della stessa. Se il delegato non si attiene ai principi e criteri definiti in via generale o con la delega, ovvero insorge tra il delegato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio della delega, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocarla; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il delegato può presentare osservazioni scritte; subito dopo la scadenza del termine il procuratore della Repubblica trasmette il provvedimento di revoca e le eventuali osservazioni al procuratore generale presso la Corte di cassazione; il provvedimento di revoca della delega e le eventuali osservazioni del delegato sono entrambi inseriti nei rispettivi fascicoli personali”. 17 Si tratta della risoluzione del 5 luglio 2006 (Risoluzione urgente sull’entrata in vigore del decreto legislativo n. 106 del 20 febbraio 2006), in . 11
alcuni poteri che il decreto delegato attribuisce al dirigente, sia pure quale esercizio di una mera facoltà”) e dichiara di voler procedere ad una articolata analisi di tutti i provvedimenti, invitando ad investirlo per gli opportuni provvedimenti in casi di perplessità interpretative o contrasti. Com’è noto, peraltro, la portata innovativa del d.lgs. n. 106/2006 è stata in certa misura ridimensionata, a breve distanza di tempo, dalle modifiche apportate agli artt. 1 e 2 ad opera della legge n. 269/2006 (18). Esse si sono tradotte, da un lato, nella soppressione, nell’art. 1, comma 1, delle parole “sotto la propria responsabilità” con riguardo all’esercizio dell’azione penale da parte del procuratore della Repubblica, e, dall’altro, nella riformulazione dell’art. 2 (Titolarità dell’azione penale), il quale così ora recita: “1. Il procuratore della Repubblica, quale titolare esclusivo dell’azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione a uno o più magistrati dell’ufficio. L’assegnazione può riguardare la trattazione di uno o più procedimenti ovvero il compimento di singoli atti di essi. Sono fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 70-bis dell’ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. 2. Con l’atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento, il procuratore della Repubblica può stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell’esercizio della relativa attività. Se il magistrato non si attiene ai principi e criteri definiti in via generale o con l’assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l’assegnazione; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica”. Sul significato di questi interventi, e sulla situazione complessivamente determinatasi in materia, si deve registrare, a seguire, una ulteriore risoluzione del Csm (19), contenuta in un testo di particolare rilievo, che ricostruisce analiticamente l’assetto normativo complessivo, tanto di fonte primaria quanto secondaria. Prescindendo da un più puntuale esame dei profili contenutistici, pure di grande importanza (20), si deve qui sottolineare il tentativo di ribadire la centralità del ruolo del Csm in relazione all’organizzazione degli uffici del p.m. e all’esercizio delle connesse competenze anche alla luce della nuova normativa. Ciò che passa sia attraverso una valorizzazione del quadro normativo (anche) preesistente all’introduzione dell’abrogato (in parte qua) art. 7-ter dell’ordinamento giudiziario, sia mediante un (più) diretto richiamo ai valori costituzionali espressi dagli artt. 105 e 112 Cost. (si veda il par. 2 della circolare), quali premesse che dovrebbero supportare la conseguenza per cui “spetta, quindi, al Csm esercitare i propri poteri di indirizzo nei confronti dei titolari degli uffici di procura quando, come nel caso della formazione del progetto organizzativo, sono in gioco attribuzioni che concorrono ad assicurare il rispetto delle garanzie costituzionali” (21). 18 Per un esame, v. M. BIGNAMI, L’indipendenza interna del p.m. nel d.lgs. n. 106 del 2006, in ; sul rilievo, per la parte che qui interessa, delle modifiche apportate dalla l. n. 269 del 2006, v. A. PIZZORUSSO, Non ancora maturi i tempi per un ordinamento giudiziario che attui il Titolo IV della parte seconda della Costituzione, in Legislazione penale 2006, 683, il quale rileva in particolare l’attribuzione, all’atto (amministrativo) di assegnazione del processo ad uno dei magistrati dell’ufficio degli effetti propri di un atto (processuale) di esercizio dell’azione penale, nonché la volontà del legislatore di ripristinare la gerarchia fra i differenti livelli delle procure. 19 Si tratta della risoluzione del 12 luglio 2007 (Disposizioni in materia di organizzazione degli uffici del Pubblico Ministero a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo 20 febbraio 2006 n. 106), in ; per un esame, v. anche l’intervento di C. Salazar in questo stesso Seminario. 20 Vi figurano, per limitarsi ai principali, la assegnazione (e autoassegnazione) dei procedimenti e i poteri del procuratore della Repubblica; l’assegnazione al compimento di singoli atti; il potere del procuratore di impartire direttive e criteri; la revoca dell’assegnazione e il rispetto dell’autonomia professionale ed operativa del sostituto; la predisposizione del progetto di organizzazione dell’ufficio (alla luce della impraticabilità, allo stato, di applicare tout court la procedura tabellare come invece avveniva in passato). 21 L’intenzione che sembra guidare il Csm potrebbe presentare aspetti in qualche misura problematici. Si consideri, a titolo di esempio, che in sede parlamentare è stata recentemente presentata (21 maggio 2009) una “interrogazione a 12
Puoi anche leggere