15 AGOSTO 2018 - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
15 AGOSTO 2018 Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA G.D.S.
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 15 AGOSTO 2018 LA SICILIA SEGUE
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 15 AGOSTO 2018
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 15 AGOSTO 2018 LA SICILIA
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 15 AGOSTO 2018 LA SICILIA
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 15 AGOSTO 2018 LA SICILIA SEGUE
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 15 AGOSTO 2018
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 15 AGOSTO 2018 LA SICILIA
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 15 AGOSTO 2018 G.D.S.
CRONACA 15/8/2018 Il racconto "Le auto volavano dal ponte poi là sotto urla e sangue" A Genova crolla il viadotto Morandi, l’autostrada si spezza in due: 31 morti, ma il bilancio peggiorerà Si scava per estrarre le vittime dalle macerie. Polemica sulla struttura, ritenuta a rischio da decenni massimo calandri, genova « Martina, allora vengo a trovarti per Ferragosto: com’è il tempo a Genova?». Martina, 16 anni, per rispondere all’amica del cuore esce sul balcone di casa e col cellulare filma il diluvio che da qualche ora si sta abbattendo sulla città. Abita al terzo piano di un palazzo di via Porro che s’affaccia sul gigantesco viadotto autostradale. Per qualche secondo riprende le auto, i pilastri di cemento alti quasi cento metri. Poi sposta la camera verso il basso perché sta passando un treno. Che brutta giornata. « Stavo rientrando, e all’improvviso dietro di me come uno schiocco di frusta. Ma fortissimo. La luce del fulmine, un rumore che non finiva mai. Ho urlato per lo spavento, mi sono girata: pioveva, però si era alzato uno strano nuvolone di polvere. E il ponte, il ponte non c’era più » . Martina ha voglia di piangere, ma non ce la fa. « Ho chiamato: "Mamma, vieni a vedere!". Le auto accartocciate vicino alla ferrovia. Ci siamo guardate negli occhi, di colpo quel silenzio faceva paura. Però dopo qualche secondo abbiamo sentito una voce, e un’altra: qualcuno si lamentava, chiedevano aiuto. Un signore è uscito dalla lamiere, tutto coperto di sangue». La mamma ha chiamato i carabinieri. Erano le 11.36. Il ponte Morandi è crollato proprio in mezzo, il pilastro centrale s’è sbriciolato come sabbia portandosi giù più di 200 metri di carreggiata: almeno trenta veicoli e tre Tir sono precipitati di sotto, mentre decine di altri — su entrambe le carreggiate della A7 — riuscivano a fermarsi in tempo sul ciglio del baratro. A tarda notte i soccorritori continuavano a cercare tra le macerie, nonostante quei monconi di autostrada — come arti strappati, con i cavi d’acciaio penzolanti e il rischio di un nuovo crollo — . Ufficialmente i morti sono 31 e 15 i feriti, alcuni dei quali in condizioni disperate. Però il bilancio potrebbe drammaticamente salire. Sotto il ponte corrono due strade comunali e il torrente Polcevera, le campate laterali incombono su tanti palazzi di due quartieri popolari — Certosa, Sampierdarena — ed alcune fabbriche. La valanga di detriti ha travolto parzialmente solo un paio di capannoni, il resto è finito nel fiume. Le case sono state sfiorate ed è comunque un miracolo, nonostante le vittime. « Una tragedia inconcepibile in un paese moderno», ha detto il premier Giuseppe Conte, arrivato in città nel tardo pomeriggio. La Procura di Genova ha aperto un fascicolo per " disastro colposo", in attesa di accertare cause e responsabilità. Dicono anche che il fulmine potrebbe avere tranciato uno dei grossi cavi in acciaio che contribuivano a sostenere il peso della carreggiata. La coincidenza tra gli eventi — saetta, crollo della struttura — è certa, ma dire che
sia quella la ragione o uno dei fattori che hanno contribuito al collasso è del tutto prematuro. C’è chi punta l’indice sui controlli ai tre enormi pilastri che sostenevano la carreggiata, su cui ogni giorno transitano circa cinquemila camion e almeno cinquantamila autovetture (molti di più, in questi giorni di vacanze). Da anni e tutte le notti, per evitare disagi al traffico diurno, il ponte Morandi viene sottoposto a manutenzione, però solo all’altezza della carreggiata perché i pilastri sono sempre stati giudicati "solidi e sicuri". In realtà un gigante fragilissimo ed inquietante. « Scricchiola » , ha sempre denunciato la gente dei quartieri di sotto. Da tempo hanno citato in giudizio la società Austostrade, «perché di notte con il rumore dei martelli pneumatici non si riesce a dormire». I genovesi lo chiamavano con orgoglio " il ponte di Brooklyn", quando venne inaugurato nel 1967. Cinquantuno anni fa, sembrano secoli. La porta su Genova, un capolavoro di architettura e cemento — il viadotto autostradale più alto d’Europa — : ma dopo pochi anni ci si era resi conto che qualcosa non andava, e quella brutta storia sul suo progettista ( dicevano che Morandi si fosse tolto la vita perché non soddisfatto dell’opera a causa di alcuni calcoli sbagliati) non c’entra nulla. Il fatto è che il traffico aumentava in maniera evidente, e il ponte Morandi non poteva più sopportarlo. Ci voleva un’alternativa: il progetto di una " bretella" auostradale a ponente, su cui far transitare i mezzi più pesanti — e il ponte a fare da valvola di sfogo ( gratuita) per il traffico cittadino automobilistico — aveva ricevuto i fondi comunitari. Già si era partiti con i primi lavori nel 1984. Però molti genovesi insorsero temendo un disastro ecologico. Non se ne fece nulla. In 30 e più anni dal progetto della "bretella" si è passati a quello della " gronda": il ministro Delrio aveva promesso che i lavori sarebbero iniziati a fine 2018, il nuovo governo ha però deciso di riaprire i fascicoli delle grandi opere. E comunque, oggi è troppo tardi. Le storie strazianti di chi non c’è più s’intrecciano con quelle incredibili di chi è sopravvissuto a quel volo mortale: Davide Capello, 37 anni, è uscito dalla carcassa della sua auto solo con qualche contusione. E l’autista del furgone di un supermercato è riuscito a frenare a non più di un paio metri dal baratro, mentre altri veicoli lo sorpassavano finendo di sotto. La città Genova ha dichiarato due giorni di lutto. Dopo settimane di siccità, la burrasca di questi giorni era annunciata. Che paura, tutte le volte che qui diluvia. Per raggiungere il luogo del disastro, nel pomeriggio, si doveva camminare a piedi dalla stazione ferroviaria di Sampierdarena perché tutta la zona è stata giustamente interdetta al traffico: le strade deserte, la gente attonita in strada, le urla e le lacrime di disperazione. Sembrava di essere tornati ai giorni tragici e bui dell’alluvione. Undici palazzi, quelli più vicini al viadotto, sono stati evacuati: 440 le persone sfollate, per il momento accolte nel centro civico di via Buranello ma anche la Diocesi di Genova ha offerto le proprie strutture e il cardinale Angelo Bagnasco ha lanciato un appello ai genovesi perché «siano solidali con chi sta soffrendo in questo momento » . Sotto shock, Genova reagisce. I medici di famiglia hanno messo a disposizione i loro studi, per evitare il sovraffollamento nei pronto soccorso. Alcune aziende portuali si sono fatte avanti mettendo a disposizione le gru, già utilizzate nella notte per smassare le tonnellate di centento finite nel Polcevera. Ci sono state pesantissime ripercussioni sul traffico stradale (la città è comunque raggiungibile via A26 e A7), mentre la linea ferroviaria con Milano è stata a lungo interrotta. La Regione Liguria oggi chiederà lo stato di emergenza. Sono attesi per un sopralluogo il vice- premier Di Maio, i ministri Salvini e Toninelli. Ieri sera Martina è andata a dormire in casa della nonna, col fratellino e i genitori: «Nel nostro appartamento hanno fatto tornare solo papà, per prendere alcune medicine. Per noi era troppo pericoloso. Dormiremo stretti per un bel po’, ma è meglio così. Non voglio più stare sola». © RIPRODUZIONE RISERVATA NICOLA MARFISI/ NICOLA MARFISI
Prima e dopo A sinistra, il ponte Morandi di Genova integro.E a destra, il crollo di ieri. In basso, un soccorritore Progettato da Riccardo Morandi , cominciato a costruire nel 1963 e inaugurato nel 1967 è stato spesso, in questi anni, al centro di polemiche sulla sua stabilità.Era lungo 1.182 metri VIGILI DEL FUOCO VIA AP LUCA ZENNARO/ ANSA
CRONACA 15/8/2018 L’inchiesta Troppo traffico e toppe continue il gigante fragile minato dal tempo I testimoni: colpito da un fulmine. Autostrade: controlli regolari, mai avvertiti segnali di pericolo franco monteverde, Genova Perché è crollato il ponte Morandi, e perché la struttura che per tutti era " il ponte di Brooklyn italiano" è collassata proprio ieri mattina, poco prima di mezzogiorno, mentre su Genova si abbatteva l’ennesimo, devastante, temporale? «Credo sia prematuro in questo momento indicare una causa precisa per quel che è accaduto — spiega Stefano Marigliano, direttore del Tronco genovese di Autostrade per l’Italia — non si può trascurare alcuna ipotesi, compresa quella, che abbiamo raccolto da alcune testimonianze, di un forte fulmine che si sarebbe abbattuto sul ponte pochi istanti prima del crollo. Quel che è certo è che ci troviamo di fronte a un evento non prevedibile. Stiamo parlando di una struttura che veniva tenuta costantemente sotto controllo, rispettando i parametri previsti dalla legge, e i risultati di questi controlli non hanno mai fatto presagire un esito come quello che purtroppo si è verificato». Di evento non prevedibile parla anche l’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Giovanni Castellucci: «Non mi risulta che il ponte fosse pericoloso e che andasse chiuso » . È vero però che il ponte Morandi era da tempo sottoposto a fortissime sollecitazioni. Il flusso di traffico, soprattutto pesante, aveva da anni superato la soglia di sicurezza prevista ai tempi della costruzione e questo configurava una situazione di rischio, denunciata in molte occasioni, tanto che a più riprese si era parlato di demolizione. «Siamo sempre stati ben consapevoli delle sollecitazioni del forte traffico — ribadisce Marigliano — e anche del fatto che il ponte Morandi è una struttura per molti versi complessa. Proprio per questo i controlli sono sempre stati eseguiti tempestivamente e nella maniera più accurata. Le sollecitazioni del traffico certamente possono incidere sulla "durata" di un’opera e accelerarne il deterioramento. Ma gli effetti negativi non hanno mai un’evoluzione come quella che si è verificato sul Morandi, che ora come ora possiamo solo immaginare come qualcosa di impulsivo e violento, al di fuori di quelle che sono le nostre attuali conoscenze ». Tra i testimoni, certo condizionati dalla forte componente emotiva che suscita una tragedia di questa portata, c’è anche chi ha avanzato l’ipotesi di un attentato. « Guardi — dice Marigliano — la struttura è venuta giù così repentinamente e in un modo tale che a me ha fatto pensare alla dinamite. Certo, non c’è nessun elemento che possa avvalorare una tesi del genere né è stata avvertita una forte esplosione. Ma rende l’idea della portata dell’evento su cui bisognerà fare assoluta chiarezza non trascurando alcuna ipotesi».
Ci sono state, negli ultimi giorni, segnalazioni di anomalie o qualunque tipo di segnale dal ponte che avrebbe potuto costituire un campanello d’allarme? « Assolutamente no. Il tratto è percorso più volte al giorno, tutti i giorni, da mezzi della nostra società e della polizia stradale, ma non è stato rilevato niente di anomalo. I controlli che effettuiamo sul Morandi sono prove riflessometriche che permettono di indagare con apposita strumentazione lo stato di salute degli elementi annegati nel calcestruzzo e che quindi non sono visibili. Sono prove che vengono effettuate a cadenza biennale, perché gli eventuali danni si manifestano con un andamento lento, non improvviso e non hanno mai dato motivi di preoccupazione. L’ultima è stata eseguita nel febbraio 2017. Ci sono poi altri controlli, che hanno cadenza trimestrale. Nel 2018 sono stati effettuati regolarmente, l’ultimo a giugno e anche in questo caso non sono state evidenziate criticità. Il prossimo avrebbe dovuto essere eseguito dopo il periodo delle ferie, a settembre». Il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, ha annunciato l’apertura di un fascicolo con le imputazioni di omicidio plurimo e disastro colposi: « A carico di ignoti, perché ancora non conosciamo il perimetro della tragedia». © RIPRODUZIONE RISERVATA
POLITICA 15/8/2018 Tensioni nel governo " Pensioni, pronti a cambiare" La Lega sconfessa i 5 Stelle Il capogruppo alla Camera Molinari: non vogliamo fare un esproprio proletario valentina conte, roma torino « Non vogliamo fare un ricalcolo totale della pensione, ma solo della parte eccedente i 4 mila euro netti così da creare un contributo di solidarietà per le pensioni minime e di invalidità». Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera, rompe il silenzio sul taglio alle pensioni d’oro. E a Repubblica dice che così com’è il progetto di legge, firmato assieme al collega dei Cinque Stelle Francesco D’Uva, non va. « Se l’applicazione di quel testo porta a risultati diversi da quanto ci aspettiamo, bisogna correggerlo. Nessuno vuole penalizzare chi è uscito dal lavoro prima. Né arrivare a un esproprio proletario delle pensioni di anzianità che sono soprattutto al Nord, dove c’è il nostro elettorato». Molinari ammette che « la stesura del testo è stata fatta dagli uffici dei Cinque Stelle, perché la proposta parte da loro». E chiarisce che la Lega è pronta a sostenerla, in cambio di un appoggio alla flat tax, solo se le distorsioni evidenziate da Repubblica nei giorni scorsi saranno eliminate. Come questo sia possibile è tutto da vedersi. Il testo di cui parla Molinari ora è diventato un progetto di legge a tutti gli effetti, depositato a Montecitorio (" Atto Camera 1071"), come annunciato dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio il 7 agosto scorso. Il fatto che non sia visibile sul sito della Camera significa solo che è in transito per l’ufficio legislativo prima di essere assegnato alle commissioni competenti a discuterlo. Un iter classico. Il testo dunque per ora - confermano anche dal dicastero di Di Maio - non si tocca. Rimane quello che prevede un ricalcolo delle pensioni sopra i 3.700-3.900 euro netti mensili (4 mila euro, tasse locali incluse). Ricalcolo non contributivo, come rivendica il ministro. Ma in base alla sola età di uscita confrontata con quella della tabella A del progetto di legge: un’età di vecchiaia fittizia, ottenuta applicando a ritroso il meccanismo vigente dell’aspettativa di vita. Niente di più lontano dall’idea leghista di contributo di solidarietà, meglio se temporaneo: «Uno, due o tre anni così da fugare i dubbi di costituzionalità», suggerisce il capogruppo Molinari. Realizzato, tra l’altro, come prelievo sulla sola parte eccedente i 4 mila euro netti. Il provvedimento da lui firmato porterebbe invece a un taglio permanente fino al 20% degli assegni. Salvando solo quelli di vecchiaia, specie se percepiti da magistrati e professori universitari che di solito vanno in pensione a 70 anni. E per questo fuori da ogni sacrificio. Il braccio di ferro tra Lega e Cinque Stelle si sposta dunque a settembre. L’Ansa dà conto di un «tavolo tecnico» che sarà convocato «per correggere la proposta di legge » . Nel frattempo, in casa Inps, l’idea di accontentare Di Maio e
ricalcolare tutti gli assegni " d’oro" secondo il metodo contributivo (si prende quanto si è versato) si scontra con la dura realtà: non ci sono i dati necessari per ricostruire la storia contributiva dei dipendenti pubblici. Soprattutto militari, insegnanti, medici. Giorgia Meloni, presidente di Fratelli D’Italia, rivendica intanto la primogenitura del ricalcolo contributivo: «È la nostra storica proposta, sebbene più efficace. Fratelli d’Italia ha depositato la legge di cui parla Di Maio anche nella scorsa legislatura ma il M5S si è sempre schierato contro sostenendo fosse incostituzionale ». © RIPRODUZIONE RISERVATA
POLITICA 15/8/2018 Il retroscena Timori per i mercati Tria risponde al fuoco amico "Nessuno strappo sui conti" CARMELO LOPAPA, ROMA La trincea del ministro dell’Economia Tria adesso si dota di munizioni e risponde al fuoco amico. Parte da quella trincea l’altolà indirizzato soprattutto alla Lega, con due paletti ben precisi. Primo, «la stabilità delle finanze pubbliche» non dovrà essere intaccata. Secondo, «il percorso di riduzione del rapporto debito-Pil» avviato dai precedenti governi dovrà essere proseguito, non sovvertito. Tradotto: stop agli annunci roboanti sulle misure da inserire in manovra, sullo sforamento dei tetti e sulle tempeste speculative in arrivo o tutto rischia davvero di saltare per aria. Porta la firma del premier Conte e dei vice Salvini e Di Maio, oltre a quella dello stesso responsabile di via XX Settembre, la nota diffusa da Palazzo Chigi alle 8 del mattino, non a caso prima che aprissero i mercati. Ma è un’iniziativa che, raccontano, proprio il ministro dell’Economia ha preteso dagli azionisti di maggioranza del suo governo e della quale anche il Quirinale sarebbe stato informato. Tanto più che quelle stesse preoccupazioni vengono avvertite e condivise anche in cima al Colle. Come Tria ha spiegato ai colleghi di governo, i radar degli investitori (e degli speculatori) sono puntati minacciosamente sull’Italia, per nulla confortati dalle uscite in libertà su flat tax, reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni da avviare già nella legge di bilancio in cantiere. È vero che la crisi della lira turca ha destabilizzato il quadro economico continentale — ragionano in via XX Settembre —. Ma è altrettanto vero che se lo spread ha toccato due giorni fa quota 278 punti (ieri il differenziale sui Bund tedeschi ha chiuso a quota 272, dopo la nota) forse è anche per alcune uscite intempestive e contraddittorie. Un richiamo rivolto implicitamente al vicepremier Salvini che insiste su una «manovra che dovrà essere del cambiamento» e sul tetto del 3 per cento che «non è la Bibbia». Ma anche al pirotecnico presidente della commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi, che in ultimo ha sostenuto che senza un ulteriore cappello della Bce l’euro «si smantellerà». Fuoco per le polveri dello spread che, ha ricordato ancora Tria, non è un algoritmo ma si traduce in un incremento immediato della spesa per gli interessi da pagare coi soldi degli italiani. Matura in questo contesto l’inusuale dichiarazione congiunta diramata dalla Presidenza del Consiglio in cui si scrive di un «vertice telefonico del governo» che si sarebbe tenuto in via riservata lunedì sera in vista della presentazione della
manovra d’autunno. Vertice per certi versi "fantasma", dato che a sentire fonti accreditate dell’esecutivo i quattro non avrebbero tenuto alcuna conference call, limitandosi in realtà ad accordarsi con un giro di telefonate e messaggi (su input di Tria) sulla necessità di rassicurare appunto i mercati e le agenzie di rating che si pronunceranno sull’affidabilità del sistema Italia già da fine agosto. Su questa strategia il ministro avrebbe trovato (per ora) il conforto di Luigi Di Maio e del premier Conte. Nel testo si sottolinea appunto che nella manovra «il perseguimento degli obiettivi programmatici del governo» sarà conciliato «con la stabilità delle finanze pubbliche e in particolare con la continuazione del percorso di riduzione del rapporto debito-Pil». Altro che "sforamento", insomma. Sono i due paletti che il ministro dell’Economia ha preteso venissero inseriti in quel documento. Giovanni Tria — divenuto col passare delle settimane interlocutore privilegiato di Bruxelles ma anche di Francoforte (Bce) — non condivide affatto dell’alleato leghista la campagna permanente che potrebbe spingere Salvini a trasformare anche la legge di bilancio in un manifesto della sua propaganda. Con buona pace dei conti. Ma altri strappi, questo l’avvertimento, dal ministero dell’Economia non verranno tollerati. © RIPRODUZIONE RISERVATA Una nota con Conte e i vicepremier chiesta proprio dal ministro in sintonia con il Colle dopo le uscite leghiste GIUSEPPE LAMI/ ANSA
POLITICA 15/8/2018 Il caso Parlamento, cala la produttività Meno sedute e poche leggi concetto vecchio, Partita meglio la legislatura del 2013. E aumenta il ricorso alla decretazione d’urgenza roma Anche il Parlamento del cambiamento è andato in ferie. Ma quanto ha lavorato? Chiuse il 7 agosto le aule riapriranno l’11 settembre, le commissioni il 3 e 4 settembre. Quindi i deputati e i senatori faranno 26 giorni di ferie. In 140 giorni, dall’insediamento del 23 marzo, la Camera si è riunita 40 volte (per un totale di 185 ore e 15 minuti), il Senato 33. Il confronto con il 2013. Un raffronto, più o meno omogeneo, è possibile con la legislatura del 2013, che ha alcune analogie con questa, per la difficoltà a formare un governo dopo le elezioni. All’epoca, dopo due mesi, ci si accordò su un esecutivo di larghe intese, guidato da Enrico Letta, che giurò il 28 aprile; il governo Conte ha giurato il 1 giugno, a quasi tre mesi dal voto. Le commissioni nel 2013 cominciarono ad operare l’ 11 maggio, stavolta si sono insediate il 21 giugno. Nel 2013 la Camera si riunì dal 15 marzo al 9 agosto, quando scattarono le ferie, 69 volte in altrettanti giorni; al Senato si tennero 93 sedute in 65 giorni. Aula e commissioni. Una comparazione dell’attività nel mese di luglio del 2013 e 2018, quando entrambi i parlamenti erano operativi, evidenzia che cinque anni fa la Camera si riunì 20 volte a luglio, quest’anno 15; nel 2013 al Senato ci furono 30 sedute in 19 giorni, stavolta 13. Una tendenza confermata dal paragone con le sedute delle commissioni: la Commissione Finanze nel luglio 2013 si riunì 28 volte (27 nel 2018), la Commissione Lavoro 19 ( 16 nel 2018), la Commissione Bilancio 25 ( 15 nel 2018), la Commissione Affari Costituzionali invece 26 volte sia nel 2013 che nel 2018. Norme approvate. Le leggi finora approvate sono dieci, di cui tre decreti ereditati dal governo Gentiloni: Arera (l’autorità di regolazione per energia, reti e ambiente), la proroga per la vendita di Alitalia e ammortizzatori sociali. Soprattutto colpisce che il Parlamento è stato occupato in larga parte dalla conversione dei decreti legge. Ma davvero erano tutti così urgenti? A rigore i requisiti d’urgenza ricorrevano per il caso del Tribunale di Bari; per il rinvio della fatturazione elettronica per i benzinai; per il decreto Terremoto, che proroga lo stato di emergenza fino a fine anno per le zone del centro Italia colpite dal sisma nel 2016, anche questo un provvedimento ereditato da Gentiloni e poi modificato; il Milleproroghe, approvato al momento in un solo ramo del Parlamento. Ma il governo ha usato la medesima modalità per la cessione delle dodici motovedette alla Libia (quando il presidente della Camera Fico a Repubblica ha detto che saranno
consegnate più avanti nel tempo), per lo spostamento del turismo dal ministero dei Beni culturali all’Agricoltura, per soddisfare la richiesta del leghista Centinaio, e finanche per il decreto Dignità. Decretazione d’urgenza. Nella scorsa legislatura l’M5s si scagliò più volte contro l’abuso della decretazione d’urgenza, che espropriava il Parlamento, (anche perché alcuni decreti contenevano contenuti che esulavano dall’oggetto) a tal punto da inserire la questione al primo posto nella richiesta di messa in stato di accusa presentata contro l’allora presidente Napolitano, poi archiviata. Leggi di iniziativa parlamentare. Due sole leggi di iniziativa parlamentare sono giunte in aula, quelle per istituire le commissioni Antimafia ed Ecomafie, mentre attendono una risposta le 1018 proposte dei singoli deputati e senatori. Va detto che l’articolo 81 della Camera prevede un tempo minimo di discussione di un progetto di legge di due mesi. Quante di queste proposte hanno una reale chance di diventare un giorno legge? Pochissime. I cento giorni. Il bilancio dei 100 giorni, che per il governo Conte ricorrono il 10 settembre, rischia insomma di risultare sottotono. L’unico atto di impatto politico è il decreto dignità. Quando ha chiuso il Parlamento, il governo gialloverde aveva 67 giorni di vita. Nei primi sessanta giorni del governo Letta le Camere avevano sospeso l’Imu sulla prima casa e in consiglio dei ministri erano stati approvati il decreto Fare, che sbloccava i cantieri, e il Pacchetto lavoro; nello stesso periodo Renzi approvò gli 80 euro, fissò il tetto di 240mila euro per i dirigenti della pubblica amministrazione, approvò il decreto Poletti mentre le aule deliberavano lo Svuota province. Gentiloni aveva licenziato Salva banche e Reddito d’inclusione. Nel 2008 Berlusconi tolse i rifiuti dalle strade, abolì l’Ici sulla prima casa e varò il lodo Alfano sull’immunità alle alte cariche dello Stato, tra cui il Cavaliere: erano gli anni cupi del conflitto d’interesse. © RIPRODUZIONE RISERVATA ROBERTO MONALDO / LAPRESSE
Puoi anche leggere