TANTO TUONÒ CHE PIOVVE: IL DISASTRO INNOMINATO "AMBIENTALE" COME REATO EVENTUALMENTE PERMANENTE. ANALISI CRITICA DELLA GIURISPRUDENZA DI ...

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               TANTO TUONÒ CHE PIOVVE: IL DISASTRO INNOMINATO
           “AMBIENTALE” COME REATO EVENTUALMENTE PERMANENTE.
             ANALISI CRITICA DELLA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITÀ IN
              MATERIA DI INQUINAMENTO STORICO E PROGRESSIVO

                                             di Filippo Venturi
               (Perfezionando in diritto penale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa)

           SOMMARIO: 1. L’occasione per uno studio.- 2. La amorfa tipicità del disastro
             innominato nell’elaborazione giurisprudenziale in materia ambientale.-
             2.1. La debole actio finium regundorum della Corte costituzionale.- 2.2. Il
             consolidamento dell’indirizzo giurisprudenziale volto a ricondurre i
             fenomeni di inquinamento storico al disastro innominato.- 2.3. Le critiche
             della dottrina: dai nomina nuda dei disastri tipizzati alla calamitas pristina
             degli artt. 434 e 449 Cp.- 3. Excursus su istantaneità e permanenza del
             reato tra dottrina e giurisprudenza.- 4. Istantaneità e permanenza del
             disastro innominato “ambientale” nella precedente giurisprudenza di
             legittimità.- 5. Tanto tuonò che piovve: il “tipo giurisprudenziale” di
             disastro innominato come reato eventualmente permanente.- 5.1.
             Rilevanza pratica e simbolica della qualificazione del disastro innominato
             come reato eventualmente permanente.- 6. Brevi considerazioni di
             politica criminale: miopia e alternative della strategia giudiziale di tutela
             penale dell’ecosistema dai fenomeni di inquinamento storico.- 7. Il
             ripristino della tipicità del disastro innominato tramite la clausola di
             riserva dell’art. 452 quater Cp (ossia, fare di necessità virtù).

     1. - Il presente contributo trae origine dalla sentenza con la quale la Corte di
Cassazione, confermando la pronuncia di condanna emessa in sede di appello, ha
concluso il “maxi-processo ambientale” 1 relativo alla contaminazione della falda
acquifera sotterranea allo stabilimento chimico adiacente all’abitato di Spinetta
Marengo2. Le argomentazioni elaborate dalla Corte in tale decisione si snodano, infatti,
lungo il sentiero interpretativo degli artt. 434 e 449 Cp, da tempo tracciato e ormai
abitualmente frequentato dalla giurisprudenza di legittimità nei casi di “inquinamento
storico”3. La pronuncia rappresenta, dunque, l’occasione per esaminare criticamente

1 L’espressione è tratta da C. Ruga Riva, L'avvelenamento delle acque da fonte industriale al banco di prova dei maxi-processi
ambientali: qualche spunto su criteri di accertamento e quantificazione del pericolo, in RIDPP (n. 3) 2017, 1008 ss.
2 Cass., 7.5.2020, n. 13843, in www.dejure.it.

3 L’espressione è utilizzata dal molteplici Autori. Da ultimo, A. Gargani, Fattispecie deprivate. Disastri innominati e atipici in

materia ambientale, in www.lalegislazionepenale.eu, 3.2.2020, che la associa proprio all’impiego della fattispecie di disastro
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tale tormentato percorso ermeneutico 4 , il quale peraltro, in tale decisione, è stato
condotto ad un approdo ulteriore, consistente nella qualificazione del delitto di
disastro innominato quale reato (eventualmente) permanente. Questo esito, sebbene
non rappresenti - ad avviso di chi scrive - una inattesa deviazione dalla via già solcata
dalla Corte nelle sue precedenti pronunce (costituendone piuttosto un coerente
proseguimento), pare comunque, per le ragioni che si esporranno, meritevole di
approfondite considerazioni.
      Il punto di fuga delle riflessioni che si svolgeranno nel presente studio è dunque
rappresentato dal tema, assai sensibile5, del profilo temporale del delitto di disastro
innominato nei processi relativi a macroscopiche contaminazioni dell’ecosistema. Si
procederà, pertanto, come segue: innanzitutto, si ripercorreranno sinteticamente le
principali fasi della parabola applicativa di tale delitto in materia ambientale, nonché
le relative obiezioni dottrinali; in un secondo momento, si approfondiranno le
ripercussioni che le diverse soluzioni proposte hanno sul piano della sua istantaneità
o (eventuale) permanenza, sostenendosi in particolare che la qualificazione
(apparentemente innovativa) cui è da ultimo pervenuta la Corte di Cassazione fosse in
verità già tacitamente ricompresa entro i connotati della (ormai) risalente figura
giurisprudenziale di disastro innominato, la cui amorfa tipicità si presta a
ricomprendere (anche) forme di realizzazione permanente dell’illecito; infine, dopo
aver svolto alcune cursorie considerazioni riguardanti l’opportunità politico-criminale
della strategia attualmente adottata dalla giurisprudenza per la tutela penale
dell’ambiente a fronte dei fenomeni di inquinamento storico, si formulerà una
proposta volta a ricondurre la tipicità del reato di disastro innominato entro confini
maggiormente delimitati (e, dunque, ammissibili) tramite un’interpretazione
sistematica fondata sul raffronto con il delitto di disastro ambientale (art. 452 quater
Cp), la cui iniziale clausola di riserva impone (ormai) di razionalizzare la portata
applicativa delle incriminazioni di cui agli artt. 434 e 449 Cp.
      Tale programma di ricerca potrebbe parere, prima facie, esorbitare dai confini,
(apparentemente) circoscritti, del tema che ci si propone di indagare, ossia quello della

innominato in materia ambientale e sanitaria. Per una definizione, si v. G. Rotolo, Historical Pollution: in search of a legal
definition, in Historical pollution. Comparative legal responses to environmental crimes, edito da F. Centonze e S. Manacorda,
Springer 2017, 61: ad avviso dell’Autore, l’espressione «inquinamento storico» indica «the pollution of sites and natural
resources (intended as the relevant behaviour), which started or took place in the past, due to industrial activities or other
production-related activities. Historical pollution usually entails the emergence—or the persistence—of contamination of sites
and natural resources (meant as the effect of such a conduct) a long period of time after the original pollution took place».
Peraltro, a p. 70, in tale nozione viene ricondotto anche l’inquinamento in corso («ongoing pollution»).
4 T. Padovani, Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l'ambiente, in GD 2015 (32), definisce la questione dei

rapporti tra art. 434 Cp e materia ambientale «uno dei nodi ermeneutici più tormentati dell'ultimo quarto di secolo».
5 Come dimostra la vicenda Eternit. Su tale aspetto si sofferma, in particolare, G. L. Gatta, Il diritto e la giustizia penale davanti

al dramma dell’amianto: riflettendo sull’epilogo del caso Eternit, in DPenCont (n. 1) 2015, 77 ss.
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configurazione temporale del delitto di disastro innominato “ambientale” 6. In verità
però, ad una riflessione più accorta, si comprende che tale questione si radica proprio
nell’anomalia della tipicità di tale reato, la quale, esaurendosi testualmente nella
causazione di un disastro “altro” rispetto a quelli nominati negli artt. 423 ss. Cp, tende
nella prassi a dilatarsi in modo abnorme, fungendo da parametro politropo entro cui
ricondurre fenomenologie di danno all’ecosistema assai diversificate sul piano
materiale (e, quindi, temporale). Pertanto, la riflessione in ordine alla problematica
della istantaneità o (eventuale) permanenza del disastro innominato “ambientale” non
può andare disgiunta da una (pur sintetica) analisi critica della sua biografia
applicativa, poiché è nella pertinente elaborazione giurisprudenziale (e non nella
littera legis) che si rinvengono i tratti identificativi del fatto tipico di tale delitto 7, di
cui il dato temporale costituisce un corollario logicamente subordinato 8. Peraltro, sarà
proprio lo studio dell’intera vicenda applicativa, in materia ambientale, di tale (ormai)
famigerato «delitto extra ordinem, relitto dell’Ancien Régime»9 e dei relativi vulnera al
principio di legalità penale ad imporre, nelle battute conclusive del presente scritto, la
ricerca di correttivi interpretativi “nuovi” (in quanto fondati sul mutato assetto
legislativo) in grado di contenere l’ingigantita tipicità di tale reato e di ripristinarne la
conformità all’assetto costituzionale.

      2. - L’evoluzione ermeneutica che ha connotato le fattispecie di disastro
innominato ex artt. 434 e 449 Cp è nota e verrà, pertanto, esposta sinteticamente. Ad
essa sembra attagliarsi perfettamente quella che Ulrich Beck ha definito «confusione
di secoli», essendo stata la giurisprudenza per lungo tempo costretta a fronteggiare «le
sfide dell’era della tecnologia […] con concetti e ricette derivanti dalla prima società
industriale del diciannovesimo secolo e degli inizi del ventesimo secolo»10. Le risalenti
lacune dell’ordinamento penale in materia ambientale sono state infatti colmate in
sede giudiziale proprio mediante la fattispecie di disastro innominato, già intesa dal
legislatore degli anni ‘30 quale «clausola di adeguamento automatico della tutela
dell'incolumità pubblica alle macro-offese dipendenti dallo sviluppo tecno-

6 Tale espressione si rinviene non solo in dottrina (di norma con una connotazione critica: ex multis A. Gargani, Fattispecie
deprivate, in www.lalegislazionepenale.eu, 3.2.2020), ma anche nella stessa giurisprudenza di legittimità. Ad es. Cass.,
19.10.2018, n. 47779, in www.dejure.it e Cass., 14.7.2011, n. 46189, in www.dejure.it.
7 D. Brunelli, Il disastro populistico, in Crim, 2014, 269 afferma infatti che la Corte di Cassazione è «artefice del tipo» del

disastro innominato.
8 Come si desume da C. cost., 17.12.1987, n. 520 in www.dejure.it, secondo cui «la natura permanente o istantanea del reato

non può dipendere da esplicita ed apodittica qualificazione […] ma dalla sua naturale essenza, trattandosi di un carattere che
inerisce alla qualità della condotta così come si presenta nella realtà» e «di cui il legislatore [o il giudice] prende atto».
9 Secondo l’incisiva espressione di A. Gargani, Incolumità pubblica (delitti contro la), in ED, Annali VIII 2015, 590.

10 U. Beck, La società globale del rischio, Trieste 2001, p. 69, richiamato da F. Centonze, La normalità dei disastri tecnologici.

Il problema del congedo dal diritto penale, Milano 2004, 19.
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industriale»11: sin dall’origine, dunque, essa era stata concepita come incriminazione
esonerata dal vincolo della tipicità penale.
      Dopo una prima fase in cui gli artt. 434 e 449 Cp sono stati infatti applicati, in
materia ambientale, a casi di «macro-danneggiamento, caratterizzato da complessità,
estensione, gravità, diffusività e contestualità dell’evento di danno» 12 pericoloso per la
pubblica incolumità, la giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente valorizzato
l’originaria vocazione «complementare e di chiusura» 13 di tali delitti, concepiti dal
legislatore codicistico proprio «in vista dello sviluppo assunto dalla attività industriale
e commerciale, ravvivata e trasformata incessantemente dai progressi meccanici e
chimici»14, e li ha pertanto ritenuti idonei a ricomprendere anche fenomeni di grave
inquinamento storico e progressivo.
      Si tratta di una tendenza ermeneutica inaugurata nel 2006 con la pronuncia della
Corte di Cassazione relativa al caso del Petrolchimico di Porto Marghera 15, ove si legge
che il disastro «può realizzarsi in un arco di tempo anche molto prolungato, senza che
si verifichi un evento disastroso immediatamente percepibile e purché si verifichi
quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri
valori […] che consentono di affermare l'esistenza di una lesione della pubblica
incolumità». A tale conclusione la Corte perviene osservando che «non tutte le ipotesi
di disastro previste dal capo I del titolo VI» del libro II Cp sono connotate da
un’immediata ed evidente forza distruttiva poiché «la frana […] può consistere in
spostamenti impercettibili che durano anni» e «l'inondazione può consistere in un
lentissimo estendersi delle acque in territori emersi».

      2.1. - A seguito della riscoperta, da parte della giurisprudenza di legittimità,
dell’ampiezza e della duttilità applicativa della fattispecie di disastro innominato così
come concepita dal legislatore del ‘30, la Corte costituzionale è stata chiamata dal Gup
del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a pronunciarsi in ordine al preteso difetto
di tassatività e determinatezza dell’incriminazione di cui all’art. 434 Cp, asseritamente
fondata su un’analogia in malam partem anticipata ed espressa16.
      Nel dichiarare la questione di legittimità costituzionale infondata, la Consulta,
mediante il raffronto con le ipotesi tipizzate dal legislatore nel capo I del titolo VI del
libro II Cp, ha enucleato due profili che ha ritenuto identificare la nozione, «unitaria»,

11 A. Gargani, Le plurime figure di disastro: modelli e involuzioni, in CP (n. 7-8) 2016, 2705 ss.
12 Amplius, A. Gargani, Fattispecie deprivate, in www.lalegislazionepenale.eu, 3.2.2020. Il leading case è rappresentato
dall’incidente avvenuto nello stabilimento Icmesa di Seveso nel 1976.
13 L. Ramacci, Il «disastro ambientale» nella giurisprudenza di legittimità, in Amb. & Svil. 2012, 722.

14 Così Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, Volume V, Relazione del Guardasigilli sui libri

II e III del Progetto definitivo di un nuovo codice penale, 1929, p. 224 e 255.
15 Cass., 17.5.2006, n. 4675 in www.dejure.it.

16 Come rileva A. Gargani, Le plurime figure, in CP (n. 7-8) 2016, 2705 ss.

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di disastro: da un lato, la presenza «di un evento distruttivo di proporzioni
straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi
gravi, complessi ed estesi»; dall'altro lato, la sussistenza di un «pericolo per la vita o
per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone, senza che peraltro sia
richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più
soggetti»17. Peraltro, ad avviso della Corte costituzionale, questi due requisiti, ossia
quello dimensionale e quello offensivo, sarebbero stati correttamente identificati dal
«diritto vivente» e considerati, «senza oscillazioni significative», perno applicativo
delle incriminazioni di cui agli artt. 434 e 449 Cp. In quest’ottica, dunque, l’esistenza
di «un indirizzo giurisprudenziale costante» confermerebbe, secondo la Consulta, la
possibilità di individuare «la più puntuale valenza di un'espressione normativa in sé
ambigua, generica o polisensa».
      I profili di frizione di tale pronuncia rispetto all’esigenza di garantire
un’applicazione rigorosa dei corollari di garanzia del principio di legalità in materia
penale sono noti e non verranno, pertanto, indagati in questa sede 18. Ciò che, invece,
può essere qui più interessante rilevare è che, alcuni anni dopo averla redatta, il giudice
relatore di questa sentenza ha condiviso alcune perplessità espresse in dottrina con
riguardo alla prassi applicativa del delitto di disastro innominato, giungendo ad
affermare che la tendenza pretoria volta a ricondurre «ad esso fenomeni di progressiva,
imponente contaminazione dei suoli, delle acque o dell'aria con sostanze pericolose
per la salute, attuata tramite condotte reiterate e diluite nel tempo è il frutto di una
elaborazione interpretativa giurisprudenziale che oltrepassa i limiti della formulazione
normativa e si risolve nella creazione di una nuova e diversa norma». Ad avviso dello
scrivente, infatti, questo indirizzo ermeneutico contraddirebbe «i canoni sulla cui base
la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la censura (in particolare, nella specie, il
canone della necessaria omogeneità tra il disastro innominato e gli altri disastri dianzi
indicati)», potendo ciò addirittura condurre a ravvisare i presupposti per un nuovo
sindacato di legittimità costituzionale in ordine agli artt. 434 e 449 Cp19.
      Il fatto che tali considerazioni provengano dal giudice estensore della sentenza
della Corte costituzionale n. 327/2008 dimostra che con tale decisione non si
intendesse affatto legittimare l’impiego della fattispecie di disastro innominato allo

17 C. cost., 1.8.2008, n. 327, in www.dejure.it. Per un più ampio commento si v. F. Giunta, I contorni del “disastro innominato”
e l'ombra del “disastro ambientale” alla luce del principio di determinatezza, in GiurCost. (n. 4) 2008, 3539 ss.
18 Per alcune perplessità, oltre a F. Giunta, op. loc. ult. cit., anche D. Brunelli, op. cit., in Crim, 2014, 254 ss., G. De Francesco,

Diritto Penale, Torino 2018, 104 e A. Gargani, Le plurime figure, in CP (n. 7-8) 2016, 2705 ss. il quale parla di sentenza «debole
[…] più sensibile al quieto vivere ordinamentale e all’horror vacui che alla ratio di garanzia del principio di determinatezza».
19 Così, G. M. Flick, Parere pro-veritate sulla riconducibilità del c.d. disastro ambientale all'art. 434 Cp, in CP (n. 1) 2015, p. 12

ss. Anche S. Corbetta, Il disastro innominato: una fattispecie “liquida” in bilico tra vincoli costituzionali ed esigenze repressive,
in Crim, 2014, 282, rileva il tradimento della «sostanza» dei «principi fissati dalla decisione della Corte costituzionale» da
parte della giurisprudenza di merito e di legittimità.
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scopo di reprimere fenomeni di inquinamento storico e progressivo 20 , essendo
piuttosto implicito nel requisito dell’«evento distruttivo di proporzioni straordinarie»
il carattere della «concentrazione spaziale e soprattutto temporale» dell’accadimento
catastrofico, il quale dovrebbe essere «puntuale» ed «individuabile» 21 . Tuttavia, la
mancata esplicitazione di tale connotato ha reso l’actio finium regundorum della
Consulta tanto debole ed inefficace da alimentare quell’indirizzo giurisprudenziale
estensivo del fatto di “altro disastro” che essa intendeva, invece, contenere 22.
      In effetti, il parametro dell’«evento distruttivo», per come apoditticamente
utilizzato dalla Consulta con riferimento al «piano dimensionale» della fattispecie, si
presta a interpretazioni discordanti: non a caso, nella sentenza Eternit, la Corte di
Cassazione ha asserito che, se si decidesse di escludere dal delitto di disastro
innominato l’ipotesi di «immissione di fattori inquinanti», «arbitrariamente» si
ridurrebbe «la nozione di distruzione ai fenomeni macroscopici e visivamente
percepibili, escludendo senza fondamento la rilevanza di tutti i fenomeni distruttivi
prodotti da immissione tossiche» 23 . Tuttavia, laddove ci si sforzi di cogliere la
connotazione (non solo dimensionale, ma anche) qualitativa di tale espressione, pare
che essa debba essere riferita esclusivamente ad eventi eclatanti, dirompenti ed
esteriormente percepibili. Tale asserzione si giustifica non solo in ragione
dell’etimologia del verbo “distruggere”24, ma anche in ragione dell’impiego che di tale
termine si fa nella legislazione punitiva, ove esso indica una condotta caratterizzata
dalla massima intensità lesiva, tale da annientare la consistenza materiale delle cose
che la subiscono. Ciò emerge in particolare dalle norme del codice penale, ove, sebbene
con talune ambiguità, la distruzione è ritenuta condotta differente e più grave rispetto
al mero deterioramento o al mero danneggiamento25. In questa prospettiva qualitativa,
dunque, parrebbe fuorviante ricomprendere nella nozione di «evento distruttivo»
anche fenomeni silenti e lungolatenti di (pur significativo) deterioramento

20 In effetti, la Consulta, nell’auspicare un intervento del legislatore penale, fa riferimento esplicito a «soluzioni interpretative
non sempre scevre da profili problematici, al paradigma punitivo del disastro innominato - e tra esse, segnatamente, l'ipotesi
del cosiddetto disastro ambientale».
21 Per utilizzare ancora le parole di G. M. Flick, op. cit., in CP (n. 1) 2015, 12 ss.

22 In effetti, pare condivisibile il rilievo di A. Gargani, Fattispecie deprivate, in www.lalegislazionepenale.eu, 3.2.2020, 5,

secondo cui dopo la pronuncia della Consulta «la giurisprudenza di legittimità ha intensificato l’applicazione del disastro
innominato ambientale».
23 Cass., 23.2.2015, n. 7941, in www.dejure.it. Molteplici sono le reazioni e le riflessioni che tale pronuncia ha prodotto in

dottrina. Nella prospettiva delle presenti considerazioni, ex multis, si segnala L. Masera, La sentenza della Cassazione sul caso
Eternit: analisi critica e spunti di riflessione, in RIDPP (n. 3) 2015, 1565 ss.
24 Il termine distruzione deriva dal latino destruĕre, che si compone della particella privativa de e del verbo struĕre (costruire,

ammassare). In quest’ottica, esso indica l’azione contraria a quella della costruzione, ossia l’abbattimento, il disfacimento, la
riduzione al niente. Non pare a chi scrive che una contaminazione ambientale possa essere assimilata a tale nozione.
25 Ai sensi dell’art. 635 Cp, infatti, la condotta di distruzione integra il reato di danneggiamento. Tuttavia, nelle norme in cui

anche il termine danneggiamento è impiegato per indicare una specifica tipologia di condotta (ad es. art. 420 Cp), esso
assume un significato distinto (ed evidentemente connotato da una minore offensività) rispetto a quello che caratterizza la
condotta di distruzione.
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dell’ecosistema. Ad ogni modo, è evidente come tale faticoso esercizio di “ginnastica”
interpretativa produca risultati non concludenti a causa della scarsa precisione della
Corte costituzionale nel definire la nozione di «evento distruttivo»: anzi, per quanto i
summenzionati argomenti (letterale e sistematico) possano risultare convincenti, la
circostanza che la Consulta impieghi tale sintagma per definire il profilo
«dimensionale» del disastro innominato lascia inalterata la possibilità (di cui si è poi
avvalsa la giurisprudenza di legittimità) di ritenere che qualsiasi avvenimento idoneo
«a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi» possa essere ritenuto
«distruttivo».

     2.2. - La prassi ermeneutica inaugurata dalla sentenza relativa al Petrolchimico di
Porto Marghera - entro i laschi confini segnati dai due requisiti (dimensionale ed
offensivo) indicati dalla Corte costituzionale - si è infatti, nel tempo, consolidata.
     Tra le più importanti pronunce in materia, una menzione particolare merita la
sentenza Eternit26, in cui il richiamo alle precedenti decisioni della Corte di Cassazione
e della Consulta è funzionale all’affermazione secondo cui nella fattispecie di disastro
innominato rileverebbero non solo «fenomeni macroscopici e visivamente percepibili»
ma anche «fenomeni distruttivi prodotti da immissioni tossiche che, come nel caso in
esame, incidono altresì sull'ecosistema e addirittura sulla composizione e quindi sulla
qualità dell'aria respirabile, determinando imponenti processi di deterioramento, di
lunga o lunghissima durata, dell'habitat umano». Secondo la Corte, infatti, il requisito
della “violenza”, che come noto caratterizza i delitti di cui al capo I, titolo VI, libro II
Cp, è da intendersi quale «impiego di un qualsivoglia energia o mezzo idoneo a
superare l'opposizione della potenziale vittima e a produrre l'effetto offensivo senza la
cooperazione di quella; sicché non è seriamente dubitabile che anche l'energia
impiegata nell'ambito di un processo produttivo che libera sostanze tossiche […]
rappresenta, nell'accezione considerata, violenza». Tali considerazioni, come noto,
non hanno, tuttavia, impedito alla Corte di ritenere che, nella vicenda sottoposta al
suo scrutinio, il reato si dovesse considerare prescritto, venendo identificato il
momento della sua consumazione nell’istante di cessazione delle condotte inquinanti:
su tale questione, comunque, ci si soffermerà più approfonditamente tra breve.
     Un’altra recente pronuncia che, in questa sede, è opportuno considerare è la
decisione relativa alla discarica di rifiuti tossici di Bussi sul Tirino 27 ove, in piena
continuità con la precedente giurisprudenza di legittimità, si sostiene che il reato di
disastro innominato (colposo) possa essere integrato anche da eventi non

26 Cass., 23.2.2015, n. 7941, cit. A tal riguardo, A. Gargani, Le plurime figure, in CP (n. 7-8) 2016, 2705 ss., parla di «disastro
sanitario».
27 Cass., 19.10.2018, n. 47779, cit. Per l’analisi delle precedenti sentenze di merito si rinvia a S. Zirulia, La sentenza d'appello

sul caso di Bussi sul Tirino (avvelenamento di acque e disastro ambientale), in DPenCont (n. 1) 2017, 318 ss.
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immediatamente e visivamente percepibili che si realizzano in periodi di tempo molto
prolungati, purché siano ovviamente pericolosi per la pubblica incolumità. Anche in
questa pronuncia, peraltro, il momento di consumazione dell’illecito viene identificato
nella cessazione delle condotte inquinanti e il reato viene, pertanto, ritenuto
prescritto: rispetto ai precedenti testé richiamati, tuttavia, in questa sede la Corte
afferma esplicitamente che il disastro innominato deve essere qualificato quale «reato
istantaneo ad effetti permanenti».
      Tra le sentenze che si inscrivono in questo percorso di consolidamento della
fattispecie giurisprudenziale di “disastro ambientale”28 occorre poi richiamare un’altra
recente pronuncia della Suprema Corte, ove si afferma che le emissioni di polveri sottili
provocate da una centrale termoelettrica e protrattesi «lungo un arco temporale
pluriennale» possono integrare la fattispecie di cui all’art. 434 Cp, la quale ricomprende
anche quei fenomeni di inquinamento, «non dirompenti ed eclatanti, ma diffusi,
silenti e penetranti», che «alterano negativamente e continuativamente l'ambiente
circostante allo stabilimento industriale e la qualità dell'ecosistema, determinando
imponenti processi di deterioramento di lunga durata delle condizioni di vivibilità
umana»29.
      Tali conclusioni sono state confermate anche da un’altra decisione, quasi
contestuale, della Corte di Cassazione 30 , riguardante però un ulteriore ambito di
applicazione della fattispecie giurisprudenziale di disastro innominato 31 , ossia la
compromissione di una o più risorse ambientali dovuta ad attività abusive di
smaltimento e deposizione di rifiuti industriali. In tale sentenza, infatti, dopo aver
operato espliciti richiami ai precedenti giurisprudenziali testé analizzati, si conclude
affermando che «la durata dell'abbandono incontrollato dei rifiuti e del materiale
(cinque mesi), il quantitativo di sostanze contaminate […], la loro intensa tossicità, la
loro diffusione nell'ambiente circostante […] e il pericolo di causazione di danni

28 Come viene esplicitamente definita in alcuni arresti della Suprema Corte. Ad es. Cass., 19.10.2018, n. 47779, in www.dejure.it
e Cass., 14.7.2011, n. 46189, in www.dejure.it.
29 Cass., 10.1.2018, n. 2209, in www.dejure.it. La Suprema Corte offre, in questa sede, anche una dettagliata valutazione del

tema della consumazione della fattispecie di disastro doloso aggravato dall’evento cui all’art. 434, co. 2 Cp. Essa, tuttavia, non
pare discostarsi significativamente dai principi espressi nella sentenza Eternit. Maggiormente controversi paiono, invece, i
passaggi argomentativi volti ad escludere, nel caso di specie, l’applicazione dell’art. 434 co. 2 Cp, poiché sembrano poggiare
su motivazioni non del tutto convincenti (prima, l’assenza di conseguenze lesive per la collettività; quindi, più
condivisibilmente, l’assenza di «una situazione di macroscopico inquinamento dell'aria»). A tal proposito, giova ribadire che
nelle fattispecie di cui all’art. 434, co. 2 e 449 Cp, il macroevento distruttivo debba consistere in una significativa
modificazione della realtà materiale che presenta una pericolosità per la pubblica incolumità il cui inveramento è però
estraneo al fatto tipico delle incriminazioni in esame.
30 Cass., 23.2.2018, n. 40718, in www.dejure.it. Per un commento critico, si v. E. Mazzanti, Il delitto inquinato. ancora su

sversamento di rifiuti e disastro innominato, in CP (n. 5-6) 2019, 2060 ss.
31 Che, come rileva A. Gargani, Fattispecie deprivate, in www.lalegislazionepenale.eu, 3.2.2020, p. 2, trova la più significativa

espressione in Cass., 14.7.2011, n. 46189, in www.dejure.it, infatti richiamata anche nella sentenza relativa allo stabilimento
chimico di Spinetta Marengo.
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ulteriori alla salute» sono «idonei a produrre il disastro ambientale». È interessante
rilevare come la durata delle condotte inquinanti e della relativa contaminazione
ambientale sia nel tempo divenuta, da aspetto di controversa compatibilità con
l’incriminazione di cui agli artt. 434 e 449 Cp, elemento utile ai fini dell’accertamento
della sua integrazione32.
      Siffatta dilatazione del “tipo giurisprudenziale” di disastro innominato
“ambientale” è stata da ultimo confermata dalla Suprema Corte nella sentenza relativa
allo stabilimento chimico di Spinetta Marengo 33, concernente un caso di significativa
contaminazione della falda acquifera adiacente ad un centro abitato dovuta
all’accumulo abusivo e prolungato di rifiuti tossico-nocivi in concentrazioni superiori
alle soglie stabilite dal d. lgs. 152/2006. È interessante peraltro osservare come, in tale
vicenda, l’impiego del delitto di disastro innominato colposo (art. 449 Cp) sia stato
non il risultato della strategia della pubblica accusa, che anzi aveva originariamente
contestato il reato (più grave sul piano sanzionatorio) di avvelenamento di acque o
sostanze alimentari (art. 439 Cp)34, bensì l’esito della scelta del giudice di primo grado
di riqualificare il fatto nell’incriminazione di cui all’art. 449 Cp e di affidarsi, così, ad
un modulo punitivo connotato da una duttilità ampiamente collaudata in sede
pretoria 35 , secondo una inerzia riscontrabile in numerosi processi relativi a casi
analoghi36. In ragione di tale decisione, infatti, il tribunale perviene ad una pronuncia
di condanna, confermata, pur con alcuni marginali adattamenti 37, anche in sede di

32 Cfr. anche Cass., 16.1.2008, n. 9418, in www.dejure.it, ove ancor più esplicitamente si sostiene che «la durata in termini
temporali e l'ampiezza in termini spaziali delle attività di inquinamento giustificano la sussunzione della fattispecie concreta
nella contestata ipotesi di reato di disastro innominato». Interessante è anche Cass., 21.9.2016, n. 5273 in www.dejure.it,
relativa ad un caso di esposizione all’amianto dei lavoratori di uno stabilimento chimico, ove la Corte, dopo aver confermato
la riconducibilità alla fattispecie di disastro innominato colposo delle immissioni tossiche di lunga durata che determinano
un deterioramento «dell’habitat umano» tanto significativo da implicare un pericolo per la pubblica incolumità, giustifica
tale consolidato orientamento giurisprudenziale mediante il richiamo al metodo dell’interpretazione evolutiva, impiegato
allo scopo di adeguare le fattispecie di cui agli artt. 434 e 449 Cp «ai mutamenti tecnologici che hanno grandemente mutato
il contesto entro il quale esse sono state ‘distillate’ dal legislatore».
33 Cass., 7.5.2020, n. 13843, cit.

34 Questo è solo il principale capo di imputazione. Originariamente vi è infatti anche un secondo capo di imputazione

riguardante l’ipotesi di reato di cui all’art. 257 del d.lgs. 152/2006, ossia la contravvenzione di “contaminazione ambientale”
(cfr. A. Di Landro, Bonifiche: il labirinto della legislazione ambientale dove le responsabilità penali “si perdono”, in
www.penalecontemporaneo.it, 28.2.2014). Nella sentenza di primo grado, però, tutti gli imputati vengono assolti con
riferimento a tale imputazione, la quale cessa così definitivamente di avere rilevanza nella vicenda processuale in esame.
35 A. Gargani, Incolumità pubblica, in ED, Annali VIII 2015, p. 590, parla, in modo ancor più icastico, di «carattere liquido» di

tale «modulo di imputazione».
36 Cfr. C. Ruga Riva, op. cit., in RIDPP (n. 3) 2017, 1008 ss., che ne ravvisa le cause in due caratteristiche della fattispecie di

disastro innominato: la minore cornice edittale rispetto al delitto di avvelenamento di acque e il maggior tempo di
prescrizione rispetto alle contravvenzioni ambientali astrattamente applicabili. Sebbene tali fattori siano di indubbio rilievo,
chi scrive ritiene che un ruolo non marginale abbia anche la polifunzionalità, sul piano dei bisogni di tutela, di questa
«clausola generale di fonte giurisprudenziale», secondo l’espressione di A. Gargani, Fattispecie deprivate, in
www.lalegislazionepenale.eu, 3.2.2020, 10.
37 La pronuncia di primo grado viene infatti riformata solo con riguardo alla posizione di un imputato, rispetto al quale il

reato contestato si è frattanto prescritto, e con riguardo alle pene applicate agli altri (tre) imputati precedentemente
condannati, le quali vengono, in ragione dell’applicazione delle attenuanti generiche, ridotte a un anno e otto mesi di
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appello38. Argomentando l’infondatezza di tutti i motivi di ricorso che compongono il
lungo (e a tratti ridondante) cahier de doléances articolato dalla difesa avverso la
sentenza di secondo grado 39, la Corte di Cassazione elabora una motivazione assai
complessa e approfondita, di cui molteplici sono i profili di interesse40. In questa sede,
è opportuno soffermarsi sulle considerazioni elaborate dal Collegio per definire il fatto
tipico del delitto di disastro innominato colposo. A tal fine, la Corte muove, con
apprezzabile (e non comune) rigore analitico, dal tentativo di definire le condotte
suscettibili di integrare tale reato: trattandosi tuttavia di «fattispecie di evento a forma
liberissima»41, lo sforzo profuso dal giudice di legittimità risulta di scarsa utilità poiché
si traduce in formule che, esaurendosi in definitiva nel riferimento alla violazione delle
pertinenti regole cautelari, hanno una ridotta capacità di contenere la abnorme tipicità
dell’art. 449 Cp 42 e falliscono dunque nel compito di fugare l’horror vacui
dell’interprete innanzi a tale delitto 43 . Di maggiore interesse è, dunque,
l’argomentazione che la Corte elabora a proposito dell’evento tipizzato dalla fattispecie
in esame, ove essa recepisce e consolida le (ormai) tralatizie formule descrittive
impiegate in tale materia dalla giurisprudenza di legittimità: si legge infatti in
molteplici passaggi della sentenza che «il delitto di disastro colposo innominato è

reclusione, consentendo ciò la concessione dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione della condanna
nel casellario giudiziale.
38 Ove si sostiene, secondo quanto riportato dalla Corte di Cassazione, che il delitto di disastro innominato (colposo)

rappresenti una fattispecie di «chiusura inserita per disciplinare anticipatamente disastri non ipotizzabili dal legislatore del
1930 in quel contesto storico» e che, soprattutto, per la sua integrazione sia sufficiente un «evento naturalistico diacronico»
consistente in «un lento processo di contaminazione della matrice ambientale […] inevitabilmente collegato alla condotta
umana e, in quanto tale, eventualmente permanente», decorrendo dunque il termine di prescrizione a partire dal «momento
di cessazione della funzione ricoperta dal singolo imputato».
39 Tralasciando le impugnazioni relative alle statuizioni civili e soffermando piuttosto l’attenzione sui motivi di doglianza

relativi ai punti propriamente penali della decisione, essi possono essere schematicamente ricondotti ai seguenti profili: 1) il
difetto di correlazione tra imputazione e sentenza; 2) la condotta, l’evento e la consumazione del delitto di disastro
innominato; 3) la presenza e la valutazione del pericolo per la pubblica incolumità; 4) la sussistenza, in capo agli imputati, di
posizioni di garanzia rilevanti in ambito ambientale; 5) la presenza di una colpa degli imputati; 6) la commisurazione delle
pene inflitte.
40 Interessanti sono, in particolare, i passaggi argomentativi relativi all’impiego del metodo del risk assessment per verificare

la presenza di un pericolo per la pubblica incolumità (su cui, criticamente, G. P. Accinni, “Larve” di processi e parodie di
giustizia, in RIDPP (n. 2) 2016, 559 ss.) nonché quelli relativi alla sussistenza di una successione di garanti in materia
ambientale (a tal riguardo, T. Padovani, La tragedia collettiva delle morti da amianto e la ricerca di capri espiatori, in RIML.
(n. 2) 2015, 383 ss.; A. Gargani, Posizioni di garanzia nelle organizzazioni complesse: problemi e prospettive, in RTrimDPenEc
(n. 3-4) 2011, 508 ss.; M. Grotto, Morti da amianto e responsabilità penale: problemi di successione nella posizione di garanzia,
in RTrimDPenEc (n. 3) 2011, p. 561 ss. Cfr. anche E. Mazzanti, Emissioni nocive e disastro innominato. Cronache di resistenza
giurisprudenziale, in DPP (n. 8) 2018, 1092 ss.).
41 D. Brunelli, op. cit., in Crim 2014, 261.

42 Sostiene infatti il giudice di legittimità che «nella forma commissiva, oltre alle condotte genericamente imprudenti,

vengono in considerazione quelle contrastanti con le norme presenti in vari rami dell'ordinamento, che dettano particolari
cautele […] nell'esercizio di attività rischiose», mentre «nella forma omissiva, la condotta criminosa può consistere nella
mancata adozione delle misure consigliate dalla più moderna tecnologia atta ad aumentare la sicurezza».
43 Sostiene F. Forzati, Irrilevanza penale del disastro ambientale, regime derogatorio dei diritti e legislazione emergenziale: i

casi Eternit, ILVA ed emergenza rifiuti in Campania, in www.penalecontemporaneo.it, 11.3.2015, 13, che «il vero volto dell’art.
434 Cp è il vuoto normativo che l’horror vacui giurisprudenziale aveva rimosso».
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integrato da un “macroevento”, che comprende non soltanto gli eventi disastrosi di
grande immediata evidenza (crollo, naufragio, deragliamento ecc.) che si verificano
magari in un arco di tempo ristretto, ma anche gli eventi non immediatamente
percepibili, che possono realizzarsi in un arco di tempo anche molto prolungato»
(ossia «goccia a goccia, per mesi o anni») e connotati «dall'impossibilità di individuare
il momento storico del raggiungimento dell'acme della contaminazione».
Approfondendo ulteriormente tale profilo, inoltre, il Collegio precisa che il disastro
innominato colposo, pur richiedendo ex art. 449 Cp la effettiva verificazione del
macroevento distruttivo, è in verità connotato da un «duplice evento, di danno e di
pericolo»44: il primo consiste nell’accadimento fisico che determina una modificazione
della realtà materiale (ossia, il disastro in senso stretto), mentre il secondo consiste
nella sua potenzialità lesiva per «la vita, incolumità fisica o salute di una pluralità
indeterminata di persone» (ossia, il pericolo la pubblica incolumità)45. Declinando poi
tali statuizioni nella peculiare prospettiva della tutela penale dell’ecosistema, la Corte
sostiene dunque che «danno ambientale e disastro» coincidono «qualora l'attività di
contaminazione di siti […] con sostanze pericolose per la salute umana assuma
connotazioni di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto
straordinariamente grave e complessa, mentre non è necessaria la prova di immediati
effetti lesivi sull'uomo». Ancora una volta, quindi, la durata delle condotte inquinanti
è ritenuta elemento (non problematico, bensì) utile ai fini dell’accertamento
dell’integrazione della fattispecie di disastro innominato “ambientale”.
      Anche dall’analisi della giurisprudenza più recente, pertanto, risulta evidente
come in ambito applicativo la flessibilità e l’adattabilità del «tipo aperto»46 del reato di
disastro innominato siano state sfruttate in modo ampio, tale da ricomprendere «le
molteplici fenomenologie di danno o di pericolo correlate all’attività produttiva,
incidenti sull’ambiente e sulla salute collettiva»47. Tuttavia, se da un punto di vista

44 M. Poggi d’Angelo, Il doppio evento (danno/pericolo) nel nuovo delitto di disastro ambientale-sanitario, in CP (n. 2) 2019,
630 ss. Per un’impostazione lievemente differente, C. Ruga Riva, Il nuovo disastro ambientale: dal legislatore ermetico al
legislatore logorroico, in CP (n. 12) 2016, 4635 ss. Cfr. anche A. Gargani, Esposizione ad amianto e disastro ambientale tra
diritto vivente e prospettive di riforma, in www.lalegislazionepenale.eu, 4.4.2016, p. 10 (il quale parla, con riferimento alla
nozione di disastro, di «nozione normativa a doppio parametro»).
45 Declinando in materia ambientale tale statuizione generale, la Corte afferma che «il disastro innominato, quindi, è reato

di pericolo a consumazione anticipata, che si perfeziona nel caso di contaminazione di siti a seguito di sversamento continuo
e ripetuto di rifiuti di origine industriale, con la sola immutatio loci, purché questa si riveli idonea a cagionare un danno
ambientale di eccezionale gravità». In proposito, inoltre, si sostiene, conformemente al consolidato indirizzo della Corte
costituzionale in materia (ex multis, C. cost. 7.7.2005, n. 265 in www.dejure.it, su cui cfr. G. Fiandaca, Sulla giurisprudenza
costituzionale in materia penale, tra princìpi e democrazia, in CP (n. 1) 2017, 13 ss.), che il pericolo sia “astratto” ma che, al
contempo, «l'offensività in concreto del fatto» vada comunque accertata, verificando «con giudizio ex ante, se […] il fatto
fosse in grado di esporre a pericolo l'integrità fisica di un numero potenzialmente indeterminato di persone». Pertanto, la
produzione di conseguenze lesive per gli individui, quali decessi o lesioni, non è ritenuta requisito tipico del delitto in esame.
46 M. Donini, Il diritto giurisprudenziale penale. Collisioni vere e apparenti con la legalità e sanzioni dell’illecito interpretativo,

in DPenCont (n. 3) 2016, 24.
47 A. Gargani, Fattispecie deprivate, in www.lalegislazionepenale.eu, 3.2.2020, 4.

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prasseologico sono chiari i vantaggi perseguiti dall’impostazione accolta in sede
pretoria 48 , non può non rilevarsi come l’identificazione di tale peculiare figura di
macro-evento disastroso a formazione progressiva 49 , inteso quale risultato «della
stratificazione ed accumulo» nel tempo «di micro-accadimenti omogenei […]
suscettibili» di determinare una contaminazione ambientale pericolosa (anche) per la
pubblica incolumità 50 , sia destinata a riverberarsi sul profilo del momento di
consumazione delle fattispecie di cui agli artt 434, co. 2 e 449 Cp 51 . Il tracciato
ermeneutico di (abnorme) dilatazione del fatto tipico del disastro innominato pare
infatti condurre, quale mèta ultima, alla sua qualificazione quale reato eventualmente
permanente. Per comprendere le ragioni per le quali si può ritenere che tale esito sia
connaturato al percorso applicativo appena analizzato, pare però opportuno esporre
sinteticamente le critiche ad esso mosse in sede dottrinale: solo mediante una loro
sommaria analisi si può infatti dar conto di quanto vacua ed amorfa sia la tipicità del
disastro innominato “ambientale”.

      2.3. - Come anticipato, comunque, occorre preliminarmente riconoscere come
non sia la giurisprudenza ad essere incapace di identificare gli esatti connotati della
fattispecie di disastro innominato (quasi fosse affetta da una sorta di “prosopagnosia
normativa”). Al contrario, è la stessa formulazione legislativa delle norme in esame,
fondata sulla nozione di “altro disastro”, ad essere carente sul piano della
determinatezza e della tassatività. Lo ha rilevato, con le sue ordinanze di rimessione
alla Corte costituzionale, il Gup del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e lo ha
osservato incidentalmente la dottrina, considerandola un’evidenza ormai quasi
lapalissiana52.

48 Sui quali, ex multis, S. Corbetta, op. cit., in Crim, 2014, 275 ss., D. Castronuovo, Il caso Eternit. Un nuovo paradigma di
responsabilità penale per esposizione a sostanze tossiche?, in www.lalegislazionepenale.eu, 16.7.2015 e A. Gargani, Incolumità
pubblica, in ED, Annali VIII 2015, 571 ss. Oltre all’esigenza di colmare l’assenza, prima della legge n. 68/2015, di delitti volti a
reprimere la causazione di un pericolo concreto o di un danno all’ecosistema, la fattispecie giurisprudenziale di disastro
innominato “ambientale” consente, nei casi in cui vi siano stati lesioni o morti, di agevolare la prova del nesso di causalità e,
sebbene con risultati che sinora non sono sempre stati soddisfacenti per la pubblica accusa (soprattutto nei casi di
inquinamento storico esauritosi da tempo), di posticipare la prescrizione al momento in cui cessi la condotta del soggetto
agente (considerata la protrazione dell’evento di contaminazione).
49 Al paradigma della «formazione progressiva» fanno riferimento molteplici autori, tra i quali D. Castronuovo, op. cit., in

www.lalegislazionepenale.eu, 16.7.2015 e E. Mazzanti, op. cit., in CP (n. 5-6) 2019, 2060 ss.
50 A. Gargani, Fattispecie deprivate, in www.lalegislazionepenale.eu, 3.2.2020.

51 Come nota L. Masera, op. cit., in RIDPP (n. 3) 2015, 1565 ss., infatti, «il problema-chiave, decisivo anche agli specifici fini

dell'individuazione del dies a quo della prescrizione, è quello della esatta definizione della nozione di disastro».
52 Si v. G. M. Flick, op. cit., in CP (n. 1) 2015, 12 ss. Maggiormente scrupolosa a tal riguardo pare essere la dottrina più risalente.

Si legga, ad es., G. Marinucci, Crollo di costruzioni, in ED, XI, 1962, 411 ss. il quale sostiene che l’inciso “altro disastro” è
connotato da «una elasticità e una indeterminatezza tale, peraltro, che ha fatto dubitare, persino durante i lavori preparatori,
della sua compatibilità col principio di stretta legalità (art. 1 Cp). Oggi, assurto quel principio a rigido principio dell'istituzione
(art. 25 comma 2), i dubbi sarebbero certamente tanto più fondati e rilevanti».
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      I commentatori, infatti, hanno preferito impegnarsi nel tempo a delineare una
fattispecie di disastro innominato ammissibile dal punto di vista del principio di
tipicità penale, ricavandola - in virtù dell’aggettivo “altro” - dai connotati tipici dei
disastri c.d. nominati del capo I del titolo VI del libro II Cp. Dai nomina nuda si è
tentato, pertanto, di risalire alla calamitas pristina, secondo la direttiva di metodo
interpretativo prospettata (ma non condotta ai suoi esiti più rigorosi) dalla sentenza
n. 327/2008 della Corte costituzionale53.
      In estrema sintesi, si è ritenuto che il raffronto con le incriminazioni tipizzate agli
artt. 423 ss. Cp consentisse di enucleare, quali connotati strutturali tipici della
fattispecie unitaria di disastro, i seguenti requisiti: 1) Le «proporzioni straordinarie»
dell’evento disastroso (con riguardo alla sua «gravità, complessità, estensione,
diffusività, e difficoltà di contenimento»)54; 2) La violenza dell’evento disastroso, ossia
la sua «intrinseca (e pressoché immediata) forza espansiva e distruttiva» suscettibile
di estrinsecarsi mediante un percepibile «impatto traumatico sulle cose» 55 ; 3) La
precisa connotazione spazio-temporale dell’evento disastroso, che deve pertanto
essere contestuale ed istantaneo, o quasi56; 4) La pericolosità dell’evento disastroso per
la vita o l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone 57.
      Se il primo e l’ultimo connotato corrispondono con chiarezza ai due requisiti,
dimensionale ed offensivo, già identificati dalla Consulta quali elementi distintivi della
nozione normativa di disastro, gli altri due rappresentano invece il proprium
dell’elaborazione dottrinale e sono stati enucleati anche attraverso la distinzione tra le
nozioni di “violenza” e di “frode”58, le quali caratterizzano - rispettivamente - il capo I
e il capo II del titolo relativo ai delitti di “comune pericolo” contro “l’incolumità
pubblica”.
      A ben vedere, è proprio la negazione da parte della giurisprudenza della rilevanza
dei connotati della violenza e dell’unità spazio-temporale dell’evento catastrofico a

53 Ex multis, A. Gargani, Esposizione ad amianto e disastro ambientale tra diritto vivente e prospettive di riforma, in
www.lalegislazionepenale.eu, 4.4.2016 e D. Castronuovo, op. cit., in www.lalegislazionepenale.eu, 16.7.2015.
54 A. Gargani, in molteplici scritti, tra cui Il rischio nella dinamica dei reati contro l'incolumità pubblica e nei reati di pericolo

astratto, in CP (n. 11) 2017, 3879 ss. Quelli richiamati sarebbero (non solo le «proporzioni»), ma anche i «modi» del
«danneggiamento». In altro testo (Le plurime figure, in CP (n. 7-8) 2016, 2705 ss.), il medesimo Autore puntualizza tale
nozione: «la pluridirezionalità e incontrollabilità dei molteplici processi causali, innescati dalla complessità della
modificazione materiale, si materializzano nella diffusività del danno materiale, nel pericolo incombente sull'incolumità di
più persone».
55 In particolare, A. Gargani, Incolumità pubblica, in ED, Annali VIII 2015, 574.

56 Tra gli altri, D. Brunelli, op. cit., in Crim, 2014, 262, il quale osserva che «anche la “frana” di cui all’art. 426 Cp, per esempio,

può realizzarsi a seguito di spostamenti del terreno impercettibili durati per anni, ma, a un certo punto l’evento finale si
manifesta fragorosamente all’esterno in maniera prorompente e definitiva». Cfr. S. Corbetta, op. cit., in Crim, 2014, 275 ss. e
L. Masera, op. cit., in RIDPP (n. 3) 2015, 1565 ss.
57 Ad es. S. Corbetta, op. loc. ult. cit.

58 Per questa impostazione, in particolare, A. Gargani, Incolumità pubblica, in ED, Annali VIII 2015, 571 ss., richiamato anche

da D. Castronuovo, op. cit., in www.lalegislazionepenale.eu, 16.7.2015.
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rappresentare il principale motivo delle critiche che i commentatori hanno rivolto alla
figura pretoria di disastro innominato in materia ambientale 59 . Risulta evidente,
infatti, che ricomprendere nelle fattispecie di cui agli artt. 434 e 449 Cp anche
fenomeni di inquinamento di lunga durata «diffusi, silenti e penetranti» e, quindi,
«eventi non immediatamente percepibili, che possono realizzarsi in un arco di tempo
anche molto prolungato» (composti da una pluralità di micro-accadimenti omogenei
a dinamica seriale e progressiva), equivale a privare il disastro dei caratteri distintivi
della pressoché contestuale ed istantanea «forza espansiva distruttiva» 60.
      Tuttavia, come è stato condivisibilmente osservato, se alla nozione di disastro
vengono sottratti questi connotati modali, a residuare è una fattispecie la cui tipicità
si esaurisce nel «pericolo per la pubblica incolumità, quali che siano le modalità con
cui questo è provocato»: «in sostanza non rimane nulla, il disastro non diventa altro
che qualsiasi modificazione della realtà, che cagioni un pericolo alla pubblica
incolumità»61. E ciò, peraltro, senza considerare che l’elaborazione giurisprudenziale
in materia pare frequentemente orientata più alla salvaguardia dell’ambiente che alla
protezione dell’incolumità pubblica, la cui messa in pericolo viene sovente identificata
nella massiva contaminazione di una o più componenti dell’ecosistema, con una
discutibile sovrapposizione di beni giuridici tutelati che rende plurioffensiva la figura
pretoria di disastro innominato “ambientale”62.
      Le fattispecie di cui agli artt. 434 e 449 Cp cessano, in tal modo, di costituire
illeciti di modalità di lesione. La loro tipicità amorfa si presta a contenere,
parificandoli, fenomeni differenti che già il legislatore del ’30 pareva, in verità, voler
distinguere63. In effetti, sono (rectius, erano prima della legge n. 68/2015) le fattispecie
del capo II del titolo VI del libro II Cp (“delitti di comune pericolo mediante frode”) a
parere maggiormente idonee a ricomprendere i fenomeni di inquinamento storico e di
contaminazione lungolatente delle falde acquifere: rispetto ad esse, infatti, «l’elemento
qualificante è rappresentato dagli oggetti materiali della condotta di modificazione
materiale, normativamente selezionati in dipendenza della destinazione pubblica» e

59 Come osserva D. Brunelli, op. cit., in Crim, 2014, 270, «il vulnus al principio di legalità, consumato “a monte”, ricade a valle
perché il giudice qui si fa artefice del tipo, scorgendo le sembianze del reato e della sua consumazione, con un criterio di
specie non ripetibile e non generalizzabile».
60 Lo rilevano molteplici Autori. Ex multis, S. Corbetta, op. cit., in Crim, 2014, 275 ss., G. Ruta, Problemi attuali intorno al

disastro innominato, in Crim, 2014, 293 ss., D. Castronuovo, op. cit., in www.lalegislazionepenale.eu, 16.7.2015, A. Gargani,
Fattispecie deprivate, in www.lalegislazionepenale.eu, 3.2.2020. Cfr. anche G. M. Flick, op. cit., in CP (n. 1) 2015, 12 ss., che
attribuisce minor rilievo al requisito della “violenza” e che, invece, ritiene fondamentale l’elemento della concentrazione
spazio-temporale del disastro.
61 Così L. Masera, op. cit., in RIDPP (n. 3) 2015, 1565 ss.

62 Ex multis, S. Corbetta, op. cit., in Crim, 2014, 275 ss. e E. Mazzanti, op. cit., in CP (n. 5-6) 2019, 2060 ss. Cfr. anche A. Gargani,

Esposizione ad amianto, in www.lalegislazionepenale.eu, 4.4.2016 e A. L. Vergine, Il c.d. disastro ambientale: l’involuzione
interpretativa dell’art. 434 cod. pen. (parte prima), in Amb. & Svil. (n. 6) 2013, 537, secondo la quale c’è il rischio che «in ogni
fatto offensivo dell’ecosistema si possa (voglia) riconoscere un potenziale pericolo per la incolumità pubblica».
63 Cfr. D. Brunelli, op. cit., in Crim, 2014, 261.

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