Sistema di simulazione XR per la formazione in chirurgia oculistica

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Sistema di simulazione XR per la formazione in chirurgia oculistica
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Sistema di simulazione XR per la
formazione in chirurgia oculistica

                 Politecnico di Milano

                   Scuola del Design

               Integrated Product Design

               Tesi di Laurea Magistrale

                  Fabio MALACARNE

                   Matricola: 915769

             Anno Accademico 2019-2020

              Relatore: Prof. Mario Bisson

         Correlatore: Dott. Alessandro Ianniello
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Indice

Abstract

Metodi

Capitolo 1

         1.1   Il trend di crescita demografica globale
         1.2   L’invecchiamento della popolazione
         1.3   Gli effetti dell’invecchiamento della popolazione
         1.4   La carenza di medici
         1.5   L’impreparazione del sistema sanitario
         1.6   L’imbuto formativo
         1.7   Il buco formativo causato dal Covid-19
         1.8   La formazione pratica
         1.9   Le nuove tecnologie a supporto della formazione pratica

Capitolo 2

         2.1 L’innovazione tecnologica a sostegno del sistema sanitario
         2.2 La Sanità 4.0 e la P4 Medicine
         2.3 Il mercato della XR nell’Healthcare
         2.4 Le aree di applicazione della XR nell’Healthcare
                  2.4.1 La chirurgia
                  2.4.2 La formazione
                  2.4.3 La simulazione

Capitolo 3

         3.1 Dati demografici sui disturbi della vista
         3.2 La carenza di oftalmologi
         3.3 Il training in chirurgia oculistica
         3.4 I wet lab
         3.5 I simulatori XR in chirurgia oculistica
         3.6 L’occhio
         3.7 La cataratta

Capitolo 4

         4.1 Concept
                4.1.1 Hardware e software
                4.1.2 L’esperienza di training: utenti, ambiente e piattaforma di simulazione
         4.2 Scenario futuribile dell’evoluzione della chirurgia oculistica

Conclusioni

Bibliografia
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Abstract

I trend demografici delineano uno scenario in cui la popolazione mondiale, almeno per i prossimi 4 decenni,
continuerà a crescere linearmente. Il miglioramento delle condizioni di vita comporterà un aumento della
longevità delle persone e di conseguenza un aumento della popolazione anziana. All’invecchiamento della
popolazione corrisponderà un aumento dell’incidenza delle malattie non trasmissibili e della comorbilità. Il
sistema sanitario globale, però, non è ad oggi in grado di garantire universalmente l’accesso a un’assistenza
sanitaria di qualità e permane inoltre una grave carenza di medici. La domanda di cura cresce infatti a un
ritmo molto più elevato rispetto all’offerta. Per garantire la sostenibilità del sistema sanitario globale in futuro
è necessario investire quanto prima nelle nuove tecnologie e formare un maggior numero di medici più
esperti e più in fretta. Le tecnologie di simulazione medica basate sulla realtà estesa consentono di
accelerare la curva di apprendimento degli studenti, consentendogli di accedere al mondo del lavoro con
maggior esperienza e sicurezza. Questa tesi vuole indagare in che modo la XR potrebbe rivoluzionare il
training nella formazione in chirurgia oculistica.

Metodi

Il presente elaborato di tesi ha avuto origine da un tirocinio di ricerca della durata di tre mesi (Luglio -
Settembre 2020) effettuato presso il laboratorio interdipartimentale ED-ME (Laboratory For Environmental
Design And Multisensory Experiences) del Politecnico di Milano, sotto la supervisione del professore Mario
Bisson, membro del comitato di gestione di ED-ME e di Alessandro Ianniello, PhD student presso il
Politecnico di Milano.
Durante il suddetto tirocinio si è indagato lo stato dell’arte delle tecnologie di Realtà Estesa all’interno del
settore sanitario, attraverso case studies research che ha portato alla raccolta e analisi di 125 casi studio al
fine di individuare le principali macroaree di applicazione della Realtà Estesa, che sono risultate essere: la
chirurgia, l’imaging, la collaborazione da remoto, la formazione, la simulazione, la psicologia e il marketing.
L’output del tirocinio è consistito nell’elaborazione e presentazione di una relazione finale.
Allo scopo di approfondire l’analisi dei case studies risultati più emblematici, a Novembre 2020 si sono svolte
le seguenti interviews con figure chiave coinvolte in tali progetti:
-Dott.ssa Virginia Mamone, ricercatrice dell’Università di Pisa, membro del team di Vostars e vincitrice del
Bando di Ricerca del Ministero della Salute 2020 per lo sviluppo del progetto POLARS – HMP (POlarized
Light Augmented Reality in Surgery-Head Mounted Projector), un innovativo navigatore chirurgico che
sfrutta la realtà aumentata.
-Dott. Marco Riva, neurochirurgo oncologico, collaboratore del Prof. Giancarlo Ferrigno e della Prof.ssa
Elena De Momi del Politecnico di Milano, responsabili del NearLab, laboratorio di Neuroingegneria e robotica
medica afferente al DEIB.
-Prof. Alberto Redaelli, professore ordinario del Politecnico di Milano e co-fondatore di Artiness, start-up e
spin-off del Politecnico di Milano che sfrutta la realtà mista di Hololens in ambito chirurgico e nella
formazione.
Per meglio comprendere concretamente alcuni aspetti delle tecnologie di realtà estesa è stata svolta una
ricerca in situ presso:
-il Nearlab del Politecnico di Milano, nello specifico approfondendo l’utilizzo della realtà estesa nell’ambito
della laparoscopia robotizzata e nella telechirurgia.
-il Besta Neurosim Center, primo centro in Europa per la simulazione e il training neurochirurgico dell’Istituto
Neurologico Besta di Milano, per sperimentare l’utilizzo del simulatore ImmersiveTouch® e approfondire lo
stato dell’arte in ambito di simulazione a fini educativi.
-il CeSi, centro di simulazione di Lugano, dove è stato possibile sperimentare un ambiente di simulazione
multimodale pensato per l’addestramento accademico degli studenti di medicina.
Al fine di identificare uno specifico ambito medico per lo sviluppo di innovative tecnologie di realtà estesa,
sono state effettuate desk research e literature research mediante motori di ricerca di letteratura scientifica e
biomedica come PubMed® per analizzare gli attuali trend demografici e tecnologici.
Il risultato di tale analisi ha portato alla selezione della chirurgia oculistica come ambito di ricerca del
presente elaborato di tesi.
Per lo sviluppo e la validazione del concept si sono svolti, in più incontri, le seguenti interviews con:
-il Dott. Pierluigi Ingrassia, direttore scientifico del CeSi di Lugano, per una validazione riguardante il valore
formativo del concept.
-il Prof. Marco Gribaudo, professore associato del Politecnico di Milano afferente al dipartimento DEIB, per
una valutazione del concept da un punto di vista ingegneristico.
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-la Dott.ssa Chiara Ancona, medico specialista in Oftalmologia, per la supervisione dei contenuti del
concept.
Ogni fase dello sviluppo del presente elaborato di tesi è stata supervisionata dal correlatore il Dott.
Alessandro Ianniello e dal relatore Prof. Mario Bisson.
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                                               CAPITOLO 1

1.1 Il trend di crescita demografica globale

Secondo uno studio pubblicato su The Lancet da un team di ricercatori dell’Institute for Health Metrics and
Evaluation (IHME) dell’Università di Washington, la popolazione mondiale sta vivendo complessivamente
una fase di crescita costante che arriverà a toccare il suo picco massimo nel 2064, per poi calare
gradualmente. Infatti, se a luglio 2020 si stimava una popolazione mondiale di 7.8 miliardi di persone, la
previsione per il 2064 è di 9.7 miliardi e, successivamente, di 8.8 miliardi per il 2100. In Figura 1, la linea di
riferimento in blu mostra le previsioni dell’andamento demografico, con un intervallo di confidenza del 95%
(Vollset, 2020).

                                                           Fig. 1

In realtà, presi singolarmente, non tutti gli Stati stanno vivendo una crescita demografica. Infatti, nazioni
come la Cina, il Giappone, la Spagna e l’Italia hanno già oltrepassato il loro picco massimo di aumento
demografico e sono in una fase di decrescita. La popolazione italiana, che nel 2014 raggiunse i 61 milioni di
abitanti, subirà infatti secondo i ricercatori, un drastico dimezzamento per il 2100. Allo stesso modo la Cina
passerà dagli 1,4 miliardi di abitanti del 2017 ad appena 732 milioni nel 2100.
Le cause di questa tendenza negativa riguardante alcuni paesi sono da attribuirsi a diversi fattori, trai quali il
basso tasso di natalità derivante da un forte calo della fertilità. Per fare un esempio, il tasso di fecondità
calcolato in Italia nel 2017 è di 1.33, ben inferiore a 2.1, ovvero il valore che rappresenta la cosiddetta “soglia
di rimpiazzo” che garantirebbe il ricambio generazionale.

Se da un lato, quindi, ci sono paesi che stanno affrontando una progressiva decrescita demografica, al
contrario altri stanno continuando a aumentare ad un ritmo significativamente maggiore. Grazie al loro alto
tasso di fertilità, il Niger (7.08) l’Afghanistan (6.01), i paesi arabi del Nord Africa e dell’Africa Sub-Sahariana
e del Medio Oriente triplicheranno complessivamente la loro popolazione dal 2017 al 2100, toccando quota
3,07 miliardi. Sebbene il tasso di natalità sia destinato anche per questi paesi, col tempo, a scendere col
progredire della scolarizzazione e dell’accesso ai metodi contraccettivi, è proprio grazie all’inerzia della forte
crescita demografica di queste nazioni nei prossimi decenni se la popolazione mondiale toccherà il suo picco
massimo positivo nel 2064 (Vollset, 2020). Come precedentemente confermato da uno studio della United
Nations è ormai certo quindi che, almeno per la prossima decade, la popolazione mondiale continuerà a
crescere linearmente (Fig. 2) (United Nations, 2015).
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                                                           Fig. 2

1.2 L’invecchiamento della popolazione

La dimensione di una popolazione e la sua composizione per fasce di età sono determinate congiuntamente
da tre processi demografici: la mortalità, la fertilità e la migrazione.

L’accesso a migliori misure di salute pubblica, come nuove infrastrutture e servizi di assistenza sanitaria,
così come tecniche all’avanguardia e lo sviluppo di farmaci innovativi, hanno favorito un aumento
dell'aspettativa di vita di tutte le fasce d’età e una drastica riduzione del numero di decessi a livello globale
(Fig. 3) (United Nations, 2019).
Dal 1950, in tutti i paesi, l’aspettativa di vita alla nascita ha continuato ad aumentare, così come la longevità.
L’aumento della longevità, in concomitanza con il declino progressivo della fertilità, costituiranno i fattori
chiave responsabili dell’invecchiamento della popolazione. Conseguentemente, si prevede che sarà
necessario per paesi come l’Italia favorire i grandi flussi migratori, dal momento che questi sono in grado di
rallentare la decrescita e, almeno temporaneamente, l’invecchiamento della popolazione. Infatti, i migranti
sono generalmente giovani in età lavorativa (United Nations, 2019). Il costante aumento demografico dei
prossimi anni sarà perciò accompagnato da un’accelerazione senza precedenti del ritmo di invecchiamento
della popolazione. Questo fenomeno avrà forti ripercussioni su tutti gli aspetti della società, da quelli
economici a quelli sociali, e richiederà grandi sforzi per affrontare le criticità legate alla questione sanitaria.
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                                                     Fig. 3

L’età media della popolazione mondiale aumenterà da 32,6 anni a ben 46,2 anni dal 2017 al 2100 (Fig. 4,
linea blu riferita al 2100) (Vollset, 2020). Secondo uno studio condotto dalla WHO, a livello mondiale la
fascia più anziana della popolazione sta crescendo a un ritmo più rapido rispetto a qualsiasi altra fascia
d’età. Se nel 2017 soltanto 1 persona su 8 aveva 60 o più anni, si stima che questa percentuale salirà a 1
persona su 5 entro il 2050. Questo studio ha previsto, infatti, che già dal 2017 al 2030 il numero di
ultrasessantenni crescerà del 56%. Inoltre, se già nel 2018 gli over 65 hanno superato numericamente la
quota di bambini di età inferiore ai 5 anni, entro il 2030 gli over 60 supereranno la fascia dei bambini sotto ai
10 anni e, successivamente, quella dei giovani trai 10 e i 24 anni entro il 2050 (World Health Organization,
2019). Infine, è previsto che il numero degli ultraottantenni tra il 2019 e il 2050 triplicherà: se nel 2017 il
rapporto tra numero di nascite per persona che compiva 80 anni era di 7:1, nel 2100 è previsto che scenda a
1:1.

                                                     Fig. 4

In aggiunta, un recente report delle United Nations ha evidenziato come il ritmo di crescita del numero delle
persone ultrasessantenni sarà maggiore nei paesi in via di sviluppo rispetto al mondo sviluppato. Infatti, dal
2017 al 2050 il loro numero in questi paesi passerà da 652 milioni a 1.7 miliardi. Nei paesi sviluppati invece,
durante lo stesso arco di tempo, lo stesso numero passerà da 310 a 427 milioni. Nel 2050 quindi, l’80% della
parte più anziana della popolazione mondiale vivrà in paesi quali l’Africa, l’America Latina e l’Asia (World
Health Organization, 2019).

Nonostante le previsioni del fenomeno di invecchiamento della popolazione fossero note già da tempo,
attualmente i paesi si ritrovano su livelli di preparazione diversi per affrontare tale problema. Chiaramente, i
paesi in via di sviluppo partono da una condizione di svantaggio rispetto ai paesi sviluppati, disponendo di un
basso reddito nazionale, poche infrastrutture e scarse capacità di assistenza sanitaria e sociale. Al giorno
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d’oggi, infatti, soventemente le persone anziane che vivono in paesi del terzo mondo non hanno accesso
neppure alle più basilari risorse necessarie a condurre una vita dignitosa. Per questo motivo, dovranno
reagire molto più prontamente e rapidamente rispetto ai paesi sviluppati per contrastare adeguatamente le
criticità legate all’invecchiamento demografico, per non soccombere e garantire lo sviluppo e il progresso del
paese.
Gli scenari tratteggiati mettono quindi in luce le enormi sfide, rappresentate da una popolazione che
invecchia, che metteranno a dura prova il sistema sanitario. La chiave è prevenire l’invecchiamento,
garantendo a tutti i cittadini, in primo luogo, un invecchiamento in buona salute, grazie a un approccio di cura
del paziente centrato sulla persona, la promozione dell’alfabetizzazione medica del paziente e della
scolarizzazione. Esiste infatti una solida correlazione tra disuguaglianze sociali ed economiche e
l’invecchiamento in buona salute, dipendenti fortemente dal grado di istruzione dell’individuo (World Health
Organization, 2019).

1.3 Gli effetti dell’invecchiamento della popolazione

Il miglioramento della qualità della vita rispetto ai secoli scorsi ha comportato un incremento della aspettativa
di vita. Tuttavia, è importante notare che la durata della vita in buona salute e priva di malattie non è
aumentata tanto quanto l’aspettativa di vita delle persone. Dal 2000 al 2019, infatti, la stima media globale
dell’aspettativa di vita alla nascita è passata da 67 a 73 anni, tuttavia questo incremento è stato
accompagnato da soli 5 anni di vita in buona salute in più (United Nations, 2020).
Attualmente una persona trascorre in media il 16-20% della propria vita affetto da morbidità della tarda età,
una percentuale maggiore per le donne rispetto agli uomini e per le persone con un basso stato
socioeconomico. Secondo i dati ISTAT aggiornati al 2018, il 21,1% della popolazione dichiara di essere
affetta da perfino due o più patologie croniche e dopo i 75 anni la comorbilità si attesta al 64,4% (ISTAT,
2020). Se si considera che il numero di ottantenni multicronici, ovvero affetti da un minimo di 3 malattie
croniche, è raddoppiato negli ultimi 20 anni è chiaro come il quadro complessivo futuro è destinato a
complicarsi ulteriormente (ISTAT, 2020).
La riduzione della durata e della gravità della morbilità della tarda età, nota come "compressione della
morbilità", dovrebbe quindi essere un obiettivo importante nelle società civili in futuro. Questo obiettivo è
realizzabile, come testimoniano la compressione progressivamente maggiore della morbilità in età avanzata
delle persone ultracentenarie e la possibilità di rallentare l’invecchiamento come osservato in molti studi sui
modelli animali in laboratorio (Partridge, 2018).
L'invecchiamento altera le funzioni cognitive, motorie e sensoriali, abbassando la qualità della vita. Come
affermava Publio Terenzio Afro nel 160 a.C., “senectus ipsa est morbus”. L’invecchiamento è infatti il
principale fattore di rischio delle malattie non trasmissibili, quali le malattie cardiovascolari, le malattie
respiratorie croniche, le malattie neurodegenerative, i tumori e il diabete (Fig.5) (Partridge, 2018).

                                                     Fig. 5
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Le malattie non trasmissibili rappresentano 7 delle 10 principali cause di morte al mondo e la loro incidenza
è in forte aumento rispetto a due decenni fa (Fig. 6) (Foreman, 2018) Le malattie cardiache, infatti, sono
aumentate di ben 4 volte dal 2000 al 2019 e rimangono la principale causa di morte a livello globale,
rappresentando il 16% del totale dei decessi. Allo stesso modo, i decessi per diabete sono aumentati del
70% a livello globale (United Nations, 2020).

                                                    Fig. 6

La diffusione di queste malattie ha dimensioni epidemiche ed è destinata a crescere ulteriormente in futuro
per via di alcuni fattori. La crescita e l’invecchiamento della popolazione previsti per i prossimi decenni
saranno, secondo uno studio pubblicato su The Lancet, i maggiori responsabili di un notevole aumento
dell’incidenza di diverse malattie non trasmissibili (Fig. 7) (World Health Organization, 2013) (Foreman,
2018).

                                                    Fig. 7
11

Il lavoro sopracitato di Foreman e colleghi delinea scenari sanitari futuri alternativi in relazione a un’ampia
gamma di fattori di salute indipendenti. Da qui al 2040, in realtà, lo studio prevede miglioramenti complessivi
per la salute pubblica nella maggior parte dei paesi. Tuttavia, sottolinea come i migliori sviluppi futuri legati
alla salute dipenderanno dalle scelte di una politica lungimirante, che sia in grado di comprendere le
potenziali traiettorie della salute e i suoi fattori trainanti e che guidi gli investimenti a lungo termine di
conseguenza. Nonostante il progresso in ambito sanitario, accelerato dall’innovazione tecnica, l’assenza di
un’azione politica deliberata potrebbe portare a scenari sanitari peggiori rispetto a quello di riferimento.
Occorre perciò che i paesi agiscano tempestivamente per spostare le loro traiettorie verso prospettive
migliori, prevedendo in anticipo il verosimile aumento continuo di malattie non trasmissibili e indirizzando le
loro risorse verso la prevenzione, la diagnosi e il trattamento di queste. Il progresso dell’innovazione tecnica
continua e l’aumento della spesa sanitaria, che comprende l’assistenza allo sviluppo per la salute dei paesi
più poveri, sono i termini fondamentali per garantire una vita piena e sana a tutte le popolazioni in futuro
(Foreman, 2018).
Il direttore generale della WHO, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha sottolineato, inoltre, come la pandemia
da Covid-19 abbia messo in risalto la necessità e l’urgenza di potenziare quanto prima l’assistenza sanitaria
primaria per affrontare adeguatamente le emergenze di salute pubblica come quella in atto, nella quale le
persone che vivono con condizioni patologiche pregresse, come le malattie non trasmissibili, sono
maggiormente a rischio infettivo e di morte a causa del Covid-19 (United Nations, 2020).

1.4 La carenza di medici

La WHO stima che nel 2035 si registrerà una carenza di quasi 13 milioni di professionisti nel campo della
salute pubblica, a causa della difficoltà di accesso, specialmente nei paesi in via di sviluppo, a una
formazione professionalizzante di qualità.
La crescita demografica e l’invecchiamento della popolazione previsti per il prossimo decennio
comporteranno un aumento della domanda di medici. Uno studio condotto dall’AAMC prevede che in
America la domanda di medici aumenterà molto più rapidamente rispetto alla modesta crescita dell’offerta,
determinando una carenza di professionisti sostanziale stimata tra le 55 mila e 140 mila unità circa entro il
2033. In particolare, con il raddoppio della popolazione di età superiore a 65 anni previsto per i prossimi
anni, dal momento che il consumo pro capite di assistenza sanitaria di un anziano è molto più elevato
rispetto a quello delle generazioni più giovani, il fabbisogno di medici specializzati nella cura degli anziani è
destinato ad aumentare considerevolmente (Fig. 8) (Association of American Medical Colleges, 2020).

                                                      Fig. 8

L'invecchiamento della popolazione coinvolgerà anche il personale medico. I dati acquisiti da AAMC nel
2017 hanno rilevato che la forza lavoro attiva era composta al 26% da medici di età compresa trai 55 e i 64
anni e al 10% di età compresa trai 65 e i 75 anni (Association of American Medical Colleges, 2017). Al
giorno d’oggi, quindi, una buona parte della forza lavoro medica si sta avvicinando all’età pensionabile ed è
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perciò necessario tenere in considerazione che nel prossimo decennio più di 2 professionisti su 5
attualmente attivi saranno over 65. Le proiezioni sull'offerta, infatti, sono sensibili alle decisioni della forza
lavoro dei medici più anziani. La disponibilità di medici dipenderà quindi dalla loro scelta di anticipare
l’entrata in pensione e dalle implicazioni derivanti da eventuali cambiamenti nei modelli di pensionamento nel
prossimo decennio. Inoltre, le crescenti preoccupazioni riguardo la sindrome del burnout dei medici, sempre
più rilevante in letteratura, suggeriscono che essi avranno maggiori probabilità di accelerare piuttosto che
ritardare il loro pensionamento (Association of American Medical Colleges, 2020). Un recente sondaggio di
Medscape ha rilevato che il 44% dei medici americani ha riferito di sentirsi esausto, il 15% di sentirsi
depresso e infine il 14% ha riferito di avere pensieri suicidi (Fig. 9-10) (Medscape, 2019) (Medscape, 2020).
Inoltre, una revisione sistematica della letteratura, presentata all'American Psychiatry Association nel 2018,
ha stimato che ogni anno si suicidano 300-400 medici circa, più del doppio rispetto alla popolazione
generale (Medscape, 2018). Di conseguenza, a causa dei fattori sopracitati, l'offerta futura di medici prevista
è inferiore rispetto alle stime effettuate dall’AAMC negli anni precedenti (Association of American Medical
Colleges, 2020).

                                                      Fig. 9

                                                     Fig. 10

In realtà, la grave mancanza di medici è in atto già da tempo. Infatti, sebbene l’AAMC consideri il 2018 come
l’anno di equilibrio tra la domanda e l’offerta (ad eccezione dell'assistenza primaria e della psichiatria), nel
suo stesso studio puntualizza che se si volessero uniformare ed estendere a tutta la popolazione i modelli di
utilizzo dell’assistenza sanitaria, gli Stati Uniti avrebbero ad oggi un bisogno immediato di più di 100 mila
medici (Association of American Medical Colleges, 2020). Così, mentre le aree rurali o quelle storicamente
scarsamente servite possono sperimentarne l’insufficienza già adesso, la necessità di più medici si farà
sentire ovunque e l’offerta complessiva dovrà aumentare molto più del previsto per soddisfare la domanda
(Association of American Medical Colleges, 2019).
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In effetti, la scarsità di personale medico era stata avvertita dagli americani a livello nazionale, già da prima
della pandemia di Covid-19. Secondo una ricerca condotta nel settembre 2019, il 35% degli intervistati ha
avuto problemi a trovare un medico negli ultimi due o tre anni, un salto di 10 punti percentuali rispetto al
2015 (Association of American Medical Colleges, 2020).
In seguito, lo scoppio della pandemia di Covid-19 ha evidenziato ulteriormente il divario tra le crescenti
richieste di assistenza sanitaria e l’offerta attuale di medici, portando allo scoperto la carenza di personale
specializzato in terapia intensiva, in medicina d’urgenza e nelle cure polmonari. Nel breve e lungo termine, le
possibili implicazioni di questa emergenza sanitaria, relativamente alla forza lavoro dei medici, potrebbero
riguardare cambiamenti nel percorso formativo (es. cambiamenti nel curriculum formativo), nell’esercizio
della professione (es. diffusione della telemedicina), nel ritiro dalla professione (pensionamento anticipato
causato dal burnout) e nella scelta delle specialità mediche (es. aumento dell’interesse per specialità come
le malattie infettive) (Association of American Medical Colleges, 2020). Ad oggi, le misure messe in atto per
contrastare la crisi sanitaria hanno riguardato modifiche sia sul piano didattico che su quello burocratico,
concepite per accelerare l’esercizio della professione, e soluzioni estreme come il richiamo in servizio di
medici in pensione o il trasferimento di personale tra aree geografiche (Association of American Medical
Colleges, 2020).

L’intero sistema sanitario mondiale è stato messo duramente alla prova dalla pandemia rivelandone in
maniera evidente le criticità e dimostrando l'importanza di investire in una solida infrastruttura sanitaria.
Risulta perciò di fondamentale importanza per le nazioni potenziare gli apparati sanitari, promuovendo la
formazione di nuovi medici, per essere in grado di rispondere adeguatamente alle emergenze e alle
esigenze di salute pubblica future, garantendo una copertura sanitaria estesa a livello globale. Inoltre, questi
accorgimenti sono in linea con le attuali tendenze nell'assistenza sanitaria, improntati al raggiungimento
degli obiettivi di salute della popolazione specificati nel documento Agenda 2030 al punto 3 (United Nation,
2015) (Association of American Medical Colleges, 2020).
Affrontare la carenza di medici richiederà un approccio su più fronti, che comprende l'innovazione
nell'erogazione delle cure mediante un maggiore utilizzo della tecnologia e un aumento degli investimenti
nella formazione pre e post-laurea. L'entità della carenza prevista è drammatica a tal punto che si prevede
che non basterà l’adozione di una singola soluzione per far fronte al problema (Association of American
Medical Colleges, 2020).

1.5 L’impreparazione del sistema sanitario

La penuria di personale medico prevista per il prossimo decennio è un problema che deve essere quindi
affrontato quanto prima. Tuttavia, se le risorse a disposizione degli Stati non erano sufficienti in precedenza,
tantomeno lo sono adesso. In effetti, le misure adottate da paesi come ad esempio la Svizzera, che per
supplire alla grave carenza è costretta da anni a reclutare medici stranieri, sono soluzioni palliative e
temporanee, ma non risolutive né sostenibili nel lungo termine. In aggiunta, come analizzato nel paragrafo
precedente, l’emergenza sanitaria in atto ha messo in luce e amplificato in tutti gli Stati le criticità dovute
all’insufficiente offerta attuale di medici.
La pandemia, che ha rivelato la disparità esistente tra le varie aree geografiche in termini di offerta del
personale sanitario, ha spinto numerosi paesi a richiedere aiuti sia dall’esterno, con l’invio di personale
medico, sia dall’interno con il trasferimento di medici verso le aree più sofferenti del paese. Per rispondere
alla crisi, inoltre, da un lato sono stati richiamati in servizio professionisti ormai in pensione, dall’altro l’Ordine
dei Medici, spinto dalla necessità immediata di arruolare nuove leve, ha deciso di conferire ai neolaureati
l’abilitazione al mestiere, derogando il tradizionale esame di stato. Per di più, studenti del sesto anno di
medicina sono stati chiamati a fare contact tracing, in qualità di volontari e quindi non retribuiti, per andare a
colmare le lacune del sistema sanitario dovute soprattutto ai tagli alla Sanità degli ultimi anni (Corriere della
Sera, 2020).
L’emergenza Covid-19, dunque, ha dimostrato l’inadeguatezza del sistema sanitario a livello globale,
sottolineando ancora una volta come sia necessario ripensarne l’intero apparato, alla luce del fatto che in
futuro, tra l’altro, saremo soggetti più frequentemente a emergenze sanitarie di questo tipo.
Per rispondere alla crescente domanda di assistenza sanitaria, sarà necessario che vengano formati più
medici in futuro. La formazione è dunque il punto di ripartenza per riformare l’attuale sistema sanitario. Dal
momento però che la formazione dei medici può richiedere fino a un decennio, bisogna agire quanto prima
con una programmazione attenta e lungimirante.
14

1.6 L’imbuto formativo

Formare un numero maggiore di medici richiede, innanzitutto, di accrescere il numero programmato, ovvero
aumentare i posti stanziati per i nuovi iscritti, compatibilmente con le risorse disponibili. In quest’ottica, negli
ultimi due anni l’Italia ha incrementato i posti per la facoltà di Medicina di 1500 unità all’anno, passando da
10 mila agli attuali 13 mila. Tuttavia, gli effetti di queste misure saranno visibili soltanto al completamento del
percorso formativo degli studenti, ovvero dopo undici anni circa.
Per raccogliere invece nel breve termine i frutti delle misure adottate nel presente, è necessario innanzitutto
rimuovere il cosiddetto “imbuto formativo” che attanaglia il sistema educativo italiano da anni. Dal 2013,
infatti, il numero dei contratti stanziati per la formazione specialistica è inferiore rispetto a quello dei medici
che hanno conseguito la laurea e l’abilitazione e, in definitiva, a quello del fabbisogno espresso dalle singole
Regioni. Nel 2021 è previsto che saranno circa 19 mila i medici che rimarranno intrappolati nel cosiddetto
“imbuto formativo”, ovvero laureati senza la possibilità di accesso alla formazione specialistica o in medicina
generale (Fig. 11) (Anaao Assomed, 2019).

                                                      Fig. 11

Di conseguenza, i neolaureati che rimangono tagliati fuori ritentano il concorso negli anni successivi,
creando un aumento progressivo sia del numero di candidati che di esclusi dalla formazione specialistica
(Quotidiano Sanità, 2019). Così facendo, il ritardo nel conseguimento della laurea specialistica allunga la
durata del percorso formativo di queste persone, determinando di fatto un mancato guadagno per il sistema
sanitario italiano in termini di forza lavoro, che viene quindi posticipato o, nel peggiore dei casi, viene perso.
Infatti, secondo un sondaggio di Anaao Assomed, ogni anno circa 1500 laureati, invischiati nel limbo
formativo in Italia, si trasferiscono in altri paesi europei come Svizzera, Germania, Francia e Inghilterra o
oltreoceano, per accedere ai corsi di specializzazione.
La previsione della carenza di specialisti dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale è valutabile in 16.700
posti entro il 2025 (Fig.12). Inoltre, uno studio dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane
ha calcolato che nei prossimi 15 anni, considerato il numero dei posti attualmente banditi per i corsi di laurea
e per le scuole di specializzazione, e considerati i modelli di pensionamento dei medici in attività, solo il 75%
della forza lavoro sarà rimpiazzata (Quotidiano Sanità, 2019).
15

                                                    Fig. 12

Per far fonte all’emergenza, il Ministero della Salute italiano ha considerevolmente aumentato il numero di
posti per le scuole di specializzazione nell’anno accademico 2020/2021, offrendo 5520 borse in più rispetto
all’anno precedente, arrivando a quota 14.445, con l’obiettivo di smaltire rapidamente l’imbuto formativo che
riguarda i cosiddetti “camici grigi”.

1.7 Il buco formativo causato dal Covid-19

Gli effetti della pandemia di Covid-19 hanno riguardato l’intero settore medico, non da ultima la formazione
stessa. Infatti, durante l’emergenza, la didattica è stata svolta nella maggior parte dei casi a distanza,
penalizzando di fatto fortemente tutte le attività pratiche normalmente svolte in presenza, come i tirocini. La
formazione dei giovani medici deve passare inevitabilmente attraverso un’attività di tipo pratico, con la
frequentazione di reparti e sale operatorie e la partecipazione diretta a tutte le attività assistenziali che
riguardano una specifica disciplina. Gli studenti in Medicina e Chirurgia, e soprattutto gli specializzandi dei
diversi indirizzi, subiranno quindi nella loro preparazione le conseguenze del buco formativo che si è creato
a causa dell’emergenza. In particolare, le misure intraprese per affrontare la diffusione del contagio e la
gestione dei degenti, hanno determinato un potenziamento dell’assistenza esclusivamente orientato sui
pazienti affetti da Coronavirus, a scapito dell’assistenza di coloro che sono affetti da altre patologie; la
gestione esclusiva delle urgenze e la riconversione dei reparti in reparti Covid-19, hanno in definitiva
penalizzato fortemente l’offerta formativa per gli studenti pre e post laurea, riducendola principalmente alla
gestione di malati urgenti e oncologici.
Gli effetti di questo buco formativo perdureranno fin tanto che la pandemia non terminerà e pertanto gli
studenti concluderanno il loro percorso formativo con gravi lacune circa l’acquisizione delle conoscenze
specifiche per le singole discipline (Il Denaro, 2020).

1.8 La formazione pratica

Già prima della pandemia, il percorso formativo di uno studente di medicina o di uno specializzando risultava
piuttosto carente in termini di preparazione pratica. Questa problematica riguardava non soltanto l’Italia ma
anche i paesi esteri. Per fare un esempio, un report del MedPAC già nel 2009 denunciava da una parte la
16

qualità della preparazione dei medici, non sufficiente per far fronte al progressivo invecchiamento della
popolazione, dall’altra la qualità dell’attività di supervisione che veniva fornita ai tirocinanti (Medicare
Payment Advisory Commission, 2009). Uno studio del 2011 di un gruppo americano sottolineava la
necessità di un ritorno ad un insegnamento indirizzato a gruppi più ristretti di studenti, così come un
approccio che potesse permettere di recuperare quelle che vengono definite le “bedside skills”, che solo un
rapporto più costante e diretto col paziente, dato dall’esecuzione di esami obiettivi, può permettere (Horwitz,
2011). Un emblematico sondaggio condotto dall’Ordine dei Medici e Odontoiatri di Brescia ha evidenziato le
criticità del modello formativo italiano: secondo gli intervistati, ovvero medici ancora in formazione e non, i
corsi pratici costituiscono una modalità di formazione che all’atto pratico risulta poco utilizzata (10% del
campione) (Fig. 13) (Brescia Medica, 2013).

                                                    Fig. 13

Inoltre, è stato chiesto il grado di soddisfacimento relativo a ciascuna delle modalità di formazione e si è
evidenziato una scarsa soddisfazione relativamente all’utilità della formazione pratica (solo il 28,2%); in
aggiunta, una quota minoritaria ma significativa (33,3%) ritiene la formazione lontana dalle proprie esigenze
lavorative e troppo influenzata da fattori esterni (28,3%) (Fig.14). Per concludere, ben il 74% dei partecipanti
all’indagine sosteneva che la formazione universitaria non ha assicurato loro una adeguata preparazione
pratica (Brescia Medica, 2013).

                                                    Fig. 14

In un’intervista, il presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, Roberto Carlo Rossi, denuncia le carenze
sostanziali degli studenti a seguito della poca e scarsa pratica eseguita, sottolineando come questi arrivino
alla conclusione dei loro studi “senza neppure saper impugnare un bisturi” (Il Giornale, 2013).

In conclusione, la carenza nella formazione pratica degli studenti di medicina da una parte, unitamente
all’imbuto formativo che blocca l’accesso dei neolaureati a percorsi di formazione post-laurea, impediscono
ad oggi la costituzione di una classe medica solida e preparata, che sia capace di far fronte alle esigenze
17

sanitarie legate a una popolazione che invecchia esponenzialmente. La figura professionale del medico ha
bisogno ora più che mai di capacità tecnico-operative per rispondere a domande di salute sempre più
complesse.
Da oggi ai prossimi anni, non solo serviranno più studenti di medicina, ma sarà anche necessario metterli
nelle condizioni di imparare di più e più in fretta.

1.9 Le nuove tecnologie a supporto della formazione pratica

Un primo punto su cui riflettere e lavorare sarà la prospettiva di riprogrammazione degli studi che fornisca
agli studenti gli strumenti necessari per approcciarsi all’esercitazione pratica in modo efficace e precoce,
assicurando loro il raggiungimento di conoscenze mirate già dai primi anni di corso. Numerosi studi indicano
infatti che il 30% degli specializzati in chirurgia non sono pronti ad operare in maniera indipendente e, inoltre,
è stato osservato che gli stessi hanno poco tempo per effettuare i 100 interventi che vengono loro richiesti al
fine di ottenere dimestichezza con le tecniche e i device più all’avanguardia. (Roadtovr, 2019).
L’introduzione tempestiva di modelli didattici innovativi è quindi imprescindibile: le emergenti tecnologie
forniscono strumenti essenziali per la realizzazione di nuove metodologie di training.
Seguire la strada dell’innovazione non significa abbandonare la modalità tradizionale della lectio magistralis,
bensì integrare l’approccio teorico con una formazione sul campo, attraverso esperienze di tirocinio o
percorsi di apprendimento che sfruttino le potenzialità delle nuove tecnologie quali, ad esempio, la realtà̀
virtuale nel campo della simulazione e delle lezioni interattive. I dati sull’uso dei simulatori dimostrano che
un’ora di questo tipo di attività pratica equivale a cento ore delle tradizionali esercitazioni in sala operatoria. I
giovani medici hanno certamente una grande competenza teorica clinica ma poca capacità di autonomia
professionale. In quest’ottica, la simulazione è uno strumento potente per affinare la manualità, potenziare la
sicurezza dell’utente medico e ridurre così il rischio clinico per il paziente.
Questo tipo di allenamento potrebbe essere associato ai più tradizionali affiancamenti in sala operatoria o in
laboratorio, potenziando così l’apprendimento e accorciando i tempi necessari affinché uno studente si senta
in confidenza con gli aspetti più pratici del suo percorso di studio.
18

                                              CAPITOLO 2

2.1 L’innovazione tecnologica a sostegno del sistema sanitario

L’Unione Europea punta a garantire nel prossimo futuro a tutti i cittadini un’assistenza medica di alta qualità
ad un prezzo accessibile. L’innovazione digitale è ormai riconosciuta da tutti come una leva fondamentale su
cui agire per perseguire la sostenibilità del Sistema Sanitario, messo a dura prova dagli attuali trend
demografici, economici ed epidemiologici. La trasformazione digitale potrebbe colmare il crescente divario
tra la domanda di assistenza sanitaria e l'offerta di personale e delle altre risorse (Fig. 15) (Deloitte, 2020).

                                                     Fig. 15

Uno studio del 2013 condotto dal Politecnico di Milano ha stimato che l’utilizzo sistematico di strumenti di
innovazione digitale apporterebbe nel nostro Paese un risparmio di 6.8 miliardi di euro all’anno per le
strutture sanitarie e di 7.6 miliardi per i cittadini (Agenda Digitale, 2014). Tuttavia, sempre nel 2013 si
registrava una contrazione del 5% rispetto all’anno precedente dei fondi stanziati per la digitalizzazione della
Sanità, pari a 1,17 miliardi, ovvero solo l’1,1% della spesa sanitaria pubblica complessiva. Questa tendenza
negativa legata agli investimenti in Sanità si è protratta negli anni e stime ufficiali contenute nel DEF 2019
mostravano un quadro altresì poco confortante, in cui le risorse economiche per la sanità pubblica non
sembravano essere destinate ad aumentare per il futuro. Infatti, si prevedeva una decrescita del rapporto tra
la spesa sanitaria e il PIL, passando dal 6,6% del 2018 al 6,4% del triennio 2020-2022 (Ministero
dell'Economia e delle Finanze, 2019). Alla luce di questo scenario, proprio allo scopo di garantire la
sostenibilità del sistema sanitario, il DEF 2019 sottolineava l’urgenza di investire fortemente in Sanità
digitale.
Nell’ultimo decennio la Commissione Europea ha promosso e finanziato programmi a supporto della
digitalizzazione del settore sanitario. Ad aprile 2018 la Commissione ha pubblicato un documento in cui si
tracciava una panoramica delle azioni fino a quel momento intraprese a tale scopo, sottolineando però come
l’adozione delle soluzioni digitali offerte fosse lenta e disomogenea tra gli Stati Membri e le regioni. Il
progetto Horizon 2020, lanciato dalla Commissione Europea nel giugno del 2012, metteva a disposizione 80
milioni di dollari per supportare lo sviluppo di soluzioni innovative nella sanità digitale. Da allora circa 1.100
progetti sono stati finanziati. Il successivo progetto Horizon Europe, partito a gennaio 2020, stanziava 100
milioni di dollari per progetti di ricerca e innovazione riguardanti lo sviluppo di nuovi strumenti e tecnologie
che assicurino un servizio sanitario di qualità e sostenibile.
Il 2020 è stato incontrovertibilmente un anno di svolta, che ha determinato una necessaria inversione di
tendenza rispetto al passato. La pandemia, infatti, ha costretto l’economia a indirizzare gran parte delle
19

risorse verso la Sanità, comportando un aumento del rapporto spesa/PIL pari al 7,2% per il 2020 e una
previsione per il 2021 più incoraggiante rispetto alle stime del DEF 2019, pari al 6.9% (Ministero
dell'Economia e delle Finanze, 2020).
Le misure intraprese per contrastare la pandemia hanno puntato largamente verso la digitalizzazione,
dimostrando il ruolo strategico di questi investimenti nel fronteggiare le problematiche sanitarie presenti e
future. Come confermato nel report di Deloitte del 2020, infatti, l’emergenza Covid-19 ha accelerato in
Europa l’adozione delle tecnologie digitali in ambito sanitario; il 65% dei 1800 operatori intervistati nello
studio ha dichiarato infatti che le proprie organizzazioni hanno incrementato l’impiego di tecnologie digitali a
seguito dell’emergenza. Si è stimato, in definitiva, che la pandemia abbia accelerato la digitalizzazione
dell'assistenza sanitaria di almeno un decennio e abbia indotto, su diversi fronti, il settore sanitario a fare un
balzo in avanti di uno o due cicli di innovazione in un lasso di tempo notevolmente breve. L’emergenza
sanitaria sembrerebbe quindi aver allentato la morsa della burocrazia e delle problematiche legate al costo
delle tecnologie, due fattori che vengono comunemente riconosciuti come i principali ostacoli alla loro
implementazione e diffusione (Fig.16) (Deloitte, 2020).

                                                      Fig. 16

I cambiamenti derivanti dal progresso scientifico e dall’innovazione tecnologica impongono però di ripensare
in profondità i modelli di cura e la struttura stessa del sistema sanitario. A questo scopo è necessario
innanzitutto promuovere la “Digital Readiness”, ovvero diffondere la conoscenza e combattere la diffidenza
nei confronti delle nuove tecnologie, coinvolgendo attivamente fin da subito i professionisti della Sanità nei
processi di innovazione. Questi dovranno sviluppare nuove competenze a seguito dell’introduzione di nuove
tecnologie, nonché rivalutare i processi già esistenti, per prepararsi a un’evoluzione dell’intero apparato
sanitario. In effetti, come afferma Guido Borsani, Government & Public Services Industry Leader di Deloitte
Italia: “Quando si parla di trasformazione digitale nella Sanità bisogna tenere presente che non è una
questione di tecnologia ma di cultura, si tratta di cambiamenti organizzativi e di processo all’interno dei quali
le tecnologie possono aumentare i benefici per i pazienti, gli operatori e il sistema sanitario nel suo
complesso” (Fig.17) (Deloitte, 2020). Le affermazioni di Guido Borsani denotano l’importanza ma anche la
complessità di un’operazione strategica fondamentale per essere in grado, in futuro, di fronteggiare
adeguatamente le sfide già in atto: si tratta, in definitiva, di promuovere la cultura dell’innovazione all’interno
del settore sanitario, che richiede azioni tempestive di formazione sia all’interno dell’ambito universitario, che
di quello lavorativo.
20

                                                      Fig. 17

2.2 La Sanità 4.0 e la P4 Medicine

Secondo la Boston Consulting Group, lo sviluppo nella stessa parentesi storica di un elevato numero di
tecnologie ad alto grado di innovazione dette “abilitanti”, quali l’Intelligenza Artificiale, la Realtà Estesa e la
Robotica, ha dato origine a quella che viene definita la Quarta Rivoluzione Industriale. Nell’ultimo decennio,
in effetti, il progresso scientifico-tecnologico ha seguito un andamento di crescita esponenziale, spingendo
così anche il settore sanitario ad effettuare un cambio di paradigma sostanziale. L’inevitabile transizione
verso la Digitalizzazione, ovvero l’informatizzazione dei processi clinico-assistenziali, sta rivoluzionando la
Sanità, favorendo l’integrazione delle nuove tecnologie all’interno del sistema e dando origine così alla
cosiddetta Sanità 4.0.

La Sanità 4.0 faciliterà il passaggio dall’attuale modello di Medicina Reattiva, che si basa sulla cura dei
sintomi dopo che questi si sono manifestati, verso la Medicina Proattiva, che interviene ancor prima della
loro insorgenza. La Medicina Proattiva è stata definita dal Dott. Leroy Hood come “P4 Medicine”, in quanto
delinea i tratti della Medicina del futuro, che sarà Personalizzata, Preventiva, Predittiva e Partecipativa
(Guillaume, 2018). Ognuna di queste quattro direttrici fondamentali della P4 Medicine è strettamente legata
alle nuove tecnologie, le quali supporteranno in futuro i medici nella gestione di domande di cura sempre più
numerose e di quadri clinici sempre più complessi da valutare, a causa, per esempio, delle comorbilità
accennate in precedenza. In quest’ottica, tutti i dati relativi al paziente saranno in futuro digitalizzati, dalla
sua cartella clinica alle immagini di esami diagnostici. Questo comporterà la generazione di una quantità di
dati elettronici senza precedenti, che dovrà essere raccolta all’interno di database, elaborata e interpretata.
Questo compito spetterà a processi in grado di interpretare i dati simulando, con una potenza di calcolo mai
vista prima, l’intelligenza umana. I processi di analisi dei grandi dati in grado di generare nuova conoscenza
(Big Data Analytics, Predictive Analytics etc.) rientrano nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale che, potenziata
anche da nuove tecnologie come il Machine Learning, consentirà di mettere a sistema e analizzare questi
dati, generando, con grande affidabilità, informazioni di varia natura, come stime della percentuale di rischio
specifica per il paziente o altri dati utili che saranno di supporto all’equipe medica nei processi decisionali.
Queste tecnologie, inoltre, giocheranno un ruolo fondamentale nel campo delle scienze “omiche” (genomica,
trascrittomica, proteomica etc.), favorendo così il progresso della Medicina Personalizzata. Infatti, grazie
all’analisi preliminare delle caratteristiche biomolecolari di un determinato soggetto e di altri fattori, sarà
possibile sviluppare terapie di precisione, ovvero cucite su misura sulla base delle caratteristiche del singolo
individuo. Il progresso abilitato dalle nuove tecnologie nel campo dell’omica consentirà inoltre ai medici di
intervenire preventivamente nella cura del paziente e, ancora, di accelerare lo sviluppo di nuovi farmaci.
L’Intelligenza Artificiale e il Machine Learning saranno alla base anche della Medicina Predittiva perché
saranno capaci di generare modelli in grado di calcolare il rischio o la predisposizione del paziente a una
determinata malattia sulla base dell’interpolazione dei dati derivanti dalla sua cartella clinica elettronica con
altri tipi di informazione derivanti per esempio dall’interpretazione automatica delle immagini diagnostiche
21

digitalizzate (TGR Leonardo, 2021).
Restando invece in tema di Medicina Preventiva, un considerevole passo in avanti verrà compiuto a favore
della Telemedicina e dell’e-health più in generale, a seguito della crescente adozione di dispositivi
dell’Internet of Medical Things (IoMT), sia “wearable” (indossabili, impiantabili o ingeribili) che di tipo “Point-
of-Care”, i cui dati saranno sincronizzati con la cartella clinica elettronica del paziente allo scopo ad esempio
di individuare precocemente o tenere sotto controllo una malattia cronica (Federal Communications
Commission, s.d.). Ciò consentirà di monitorare le condizioni di salute del paziente anche al di fuori dello
spazio ospedaliero, 24 ore su 24. L’assistenza sanitaria si amplia così di nuovi touchpoint, che riformulano
l’organizzazione del sistema e cambiano il rapporto del paziente con il proprio medico, attraverso nuove
forme di interazione digitali come la realtà virtuale, che ha consentito durante la pandemia di effettuare visite
a distanza, mantenendo così il distanziamento sociale, e di raggiungere anche i pazienti in aree meno
servite. Inoltre, grazie alla capacità dell’intelligenza artificiale di identificare precocemente i segnali di
malattia, sarà possibile monitorare e addirittura curare un individuo ancor prima che la patologia si manifesti.
Questa crescente attenzione rivolta al paziente è alla base del quarto punto della P4 Medicine, ovvero la
Medicina Partecipativa. In futuro, il modello assistenziale sanitario sarà infatti orientato verso una visione
paziente-centrica; ciò significa che il paziente non solo sarà più seguito e monitorato grazie all’utilizzo, per
esempio, di dispositivi digitali come i wearable ma, attraverso campagne di sensibilizzazione, sarà anche più
consapevole e informato. L’attenzione rivolta verso questo tema è massima da parte della Commissione
Europea, che ha spinto i governi a coinvolgere la popolazione nella partecipazione ad iniziative legate alla
promozione dell’alfabetizzazione sanitaria digitale. Queste operazioni che mirano al “Patient Engagement ed
Empowerment” - definito come il percorso basato sul coinvolgimento psico-emotivo del paziente finalizzato a
integrarlo meglio al centro delle proprie cure - sono di fondamentale importanza in particolare per i pazienti
cronici, ai fini della prevenzione. La Sanità dovrà coinvolgere maggiormente il paziente all’interno del
processo, fornendogli tutte le informazioni che gli permettano di comprendere e di prendere delle decisioni
riguardo al proprio percorso di cura. Così facendo, nel momento in cui il paziente prende coscienza di
essere artefice in prima persona della propria salute, diviene più propenso a modificare il suo stile di vita e
questo, di conseguenza, favorirà una maggiore probabilità di successo dei trattamenti e delle terapie a cui è
sottoposto (Deloitte, 2020).

Nonostante ricoprano un ruolo di primordine, perciò, le nuove tecnologie dovranno essere messe a servizio
di una rinnovata concezione dell’Healthcare che ponga invece, al centro dell’attenzione, l’uomo, inteso come
paziente-cittadino (Agenda Digitale, 2019). Questo nuovo modello di Sanità si propone di favorire,
perfezionare e monitorare un approccio integrato alla cura del paziente che migliori l’efficacia e la qualità
delle prestazioni sanitarie erogate. Il concetto di Value-Based Care definisce proprio un modello
assistenziale che mira a fornire prestazioni di qualità piuttosto che di quantità. Tale concetto è stato
introdotto da Michael Porter ed Elisabeth Olmsted Teisberg della Harvard Business School, e indica il
rapporto tra rilevanti outcome di salute per il paziente (esiti favorevoli – effetti avversi) e i costi sostenuti dal
sistema, e può essere applicato sia in un’ottica di intero percorso assistenziale di un paziente, che a livello di
singolo intervento (Care, 2017). Questo modello consente di migliorare la qualità delle cure, mantenendone
però la sostenibilità economica e di ridefinire la natura del concetto di sanità, da non vedere più in un’ottica
di misurazione della quantità di prestazioni effettuate, bensì di risultati ottenuti in termini di buona salute del
paziente.

È in atto quindi un processo mediante il quale l’assistenza e le cure sanitarie diventeranno più precise, meno
complesse e più economiche, con la rivoluzione digitale artefice della maggior parte di questi cambiamenti.
L’obiettivo ultimo è accrescere il benessere dell’intera umanità, riducendo le disuguaglianze tra le diverse
realtà territoriali e garantendo la continuità assistenziale. A tal fine tutti gli attori dell’apparato sanitario
dovranno costituire una rete capace di interconnettersi in maniera sinergica, superando le barriere territoriali
e colmando il gap attualmente esistente tra il settore pubblico e quello privato.

La digitalizzazione ha abilitato l’implementazione della cosiddetta “Connected Care”, un sistema che integra
le nuove tecnologie e modelli organizzativi basati proprio sulla collaborazione tra le parti e sulla condivisione
dei dati, allo scopo di soddisfare i nuovi bisogni di salute e mantenere l’equilibrio del sistema sanitario
(Agenda Digitale, 2019). In particolare, questo modello insiste sulla promozione dell’interoperabilità, ovvero
la capacità di più sistemi di dialogare tra di loro scambiandosi dati in maniera efficiente e affidabile, per
favorire dinamiche di collaborazione trasversale sia tra reparti diversi che, soprattutto, tra enti pubblici e
privati. La condivisione dei dati del paziente all’interno di un sistema digitale interconnesso abiliterà il
passaggio dal concetto di cura a quello di benessere, basato sulla prevenzione. Le informazioni di ogni
22

paziente saranno quindi interpretabili e contestualizzabili poiché confrontabili con altri dati già acquisiti.
Questo modello, se portato a regime, consentirà di gestire la complessità del Sistema Sanitario in futuro.
Come anche si è visto in questi mesi, infatti, la collaborazione avvenuta durante l’emergenza Covid-19 tra
realtà autonome ha permesso di contrarre i tempi dell'innovazione al tal punto da sviluppare un vaccino in
tempi record.
È di fondamentale importanza, inoltre, che i futuri medici sviluppino i requisiti necessari per lavorare in team
in maniera efficace. Essi dovranno agire in maniera sinergica e interconnessa, sulla base di azioni condivise
da ciascuno degli attori che prende parte al processo. Per questo motivo il problem solving, la creatività e la
capacità di senso critico saranno le qualità attitudinali più richieste ai medici in futuro. Allo stesso tempo, la
trasformazione digitale del mondo sanitario impone ai futuri professionisti della salute di sviluppare nuove
competenze, come saper interpretare nuovi linguaggi e rispondere alle proprie responsabilità attraverso
nuove metodiche. I medici, infatti, si ritroveranno a lavorare con il supporto di tecnologie che espanderanno
ed evolveranno il loro ruolo, a tal punto da crearne persino di nuovi. In quest’ottica, la funzione espletata dal
medico sarà molto più performante rispetto al passato, caricandosi di nuove mansioni e responsabilità.
L’operatore non sarà succube delle nuove tecnologie, al contrario la necessità e l’importanza del suo ruolo
emergerà ancora di più durante la rivoluzione digitale in atto. Tuttavia, l’implementazione di tecnologie come
l’intelligenza artificiale, che simulano e superano la capacità della mente umana, ha acceso un dibattito sul
piano etico nella comunità scientifica, secondo cui questa rinnovata collaborazione tra uomo e tecnologia
dovrà essere sapientemente governata per non sfuggire al controllo umano. In quest’ottica, familiarizzare
quanto prima con le nuove tecnologie è la chiave per assumerne il controllo e non lasciarsi travolgere da
esse; questo richiede di definire un processo educativo che fornisca delle linee guida che permettano una
costante analisi e studio degli aggiornamenti attraverso strumentazioni adeguate. Ad oggi, invece, più di un
quarto dei medici non sembra ricevere un training adeguato per l’utilizzo delle tecnologie. Lo scenario futuro
richiederà sistemi di supporto per un apprendimento continuo e costante nel tempo, che risulti flessibile e
che possa permettere l’acquisizione di determinate abilità in maniera anticipata rispetto alle richieste
provenienti dal mondo del lavoro. Un rapporto consapevole con l’innovazione è indispensabile al fine di
conservare il valore dell’interazione umana tra medico e paziente nel processo di cura (Collegio Italiano dei
Primari Oncologi Medici Ospedalieri, 2020) (Cicchetti, 2019).

È in atto una rivoluzione culturale, tecnologica e scientifica, centrata sull’applicazione delle nuove tecnologie
a database di grandissime dimensioni (Musacchio, 2018). Questo traffico di dati necessita di infrastrutture
digitali opportune per la loro gestione. Per questo motivo, da un lato la digitalizzazione sfrutta tecnologie
come il 5G per il trasferimento di dati a velocità mai viste prima, dall’altro, tale mole di dati ne ha richiesto
l’archiviazione in rete attraverso servizi Cloud. Infine, l’infrastruttura sanitaria implementerà tecnologie di
Cybersecurity e Blockchain al fine di garantire a tutti gli stakeholder un’attività di raccolta e tracciamento
delle informazioni estremamente sicura, che dovrà assicurare la privacy del paziente.

Per riassumere, l’emergenza Covid-19 ha abilitato la digitalizzazione della Sanità dimostrando l’importanza
delle nuove tecnologie per perseguire la sostenibilità del sistema sanitario. I benefici riscontrati
dall’introduzione di alcune di queste tecnologie hanno dettato una inversione di tendenza rispetto al passato,
che sta erodendo il pregiudizio secondo cui le nuove tecnologie siano un lusso, certamente utili per
modernizzare l’assistenza e i servizi, ma troppo costose e destinate ad aumentare le spese e, per questo
motivo, da rimandare a tempi migliori.
Un approccio rigoroso e sistematico all’analisi dei loro costi e della loro efficacia sarà tuttavia necessario per
far uscire le tecnologie dalla fase di sperimentazione e ottenerne l’implementazione, portando così a sistema
nuovi modelli. Per questo motivo un’azione prioritaria da compiere è quella di spingere gli attori del sistema
sanitario ad adottare strumenti di valutazione delle tecnologie digitali che consentano di guidare le decisioni
di investimento. L’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano ha avviato numerosi
progetti di consulenza ed assessment proprio allo scopo di comprendere come e dove focalizzare gli
investimenti in modo da ridurre i costi e recuperare risorse da investire nel miglioramento della qualità dei
servizi sanitari. L’analisi dell’Osservatorio si basa su una raccolta in costante aggiornamento di casi studio
che implementano soluzioni ICT a regime. Tale raccolta consente di evidenziare le migliori tecnologie e di
misurare concretamente i benefici apportati da ciascuna di esse: quelle che si dimostreranno più innovative
e sostenibili in quel senso determineranno il sopracitato cambio di paradigma sostanziale nella Medicina e
nel settore sanitario in generale (Musacchio, 2018).
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