L'OZONO E I SUOI EFFETTI SULLE SPECIE VEGETALI
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Progetto a cura della Regione Piemonte Realizzazione a cura di I.P.L.A. S.p.A. Testi: Federica Spaziani, Anna Maria Ferrara, Francesco Tagliaferro Fotografie: Federica Spaziani:foto 1, 2, 4, 5, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32. Anna Maria Ferrara: foto 10, 11, 12, 13, 16, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64. Elena Viotto: foto 14, 15. Renzo Lencia: foto copertina Simone Lonati: foto 3. La foto 6 è stata tratta dal sito: http://www.7springsfarm.com/fl.tabacco.lg.jpg La foto 7 è stata tratta dal sito: http://www.univ.trieste.it/~biologia/ricappl/inquaria/muschi.htm La foto 8 è stata tratta dal sito: http://space.comune.re.it/cea/scuola/pagine/ipertesti/licheni/cap2_indicatori/indicatori.htm La foto 9 è stata tratta dal sito: http://www.univ.trieste.it/~biologia/ricappl/inquaria/bioacc.htm La foto 17 è stata tratta dal sito http://www.webddc.com/ culinaria/frutta.jpg La foto 18 è stata tratta dal sito: http://turisme.paeria.es/imatges/44-1-verdura.jpg La foto 19 è stata tratta dal sito: http://www.baulevolante.it/immagini/girasole.jpg La foto 20 è stata tratta dal sito: http://www.raiffeisen.de/presse/Bildarchiv/mais-1.jpg La foto 21 è stata tratta dal sito: http://www.sistemanews.it/foto/pictures/pesce.gif La foto 22 è stata tratta dal sito: http://www.coquinaria.it/archivio/farine/immagini/crusca.jpg Arpa Piemonte: foto 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72. La fig. 1 è stata tratta dal sito: http://www.ozonoterapia.com/cosa.htm . La fig. 2 è stata tratta dal sito: http://www.itis-molinari.mi.it. La fig. 3 è stata tratta dal sito: http://digilander.libero.it/smviapascoli/3A2003/clima.it, a cura di Balsamo Pasquale, Caldironi Eva, Foschi Sara. Le figure 4, 5, 6 e 7 sono scansioni di figure tratte rispettivamente dai libri Strasburger, Mirov e Cappelletti. La fig. 8 è stata tratta da un articolo di internet. http://www.emc.maricopa.edu/faculty/farabee/BIOBK/BioBookRESPSYS.html Le figure 9, 10 e 11 sono state realizzate dall’Arpa Piemonte. Revisione a cura di: Regione Piemonte. Assessorato allo Sviluppo della montagna e foreste, lavori pubblici, difesa del suolo– Direzione Economia Montana e Foreste - Settore Politiche Forestali. Dirigente: Franco Licini. Funzionario incaricato: Franca De Ferrari. Ringraziamenti Bona Griselli e collaboratori (ARPA Piemonte) per aver fornito i dati dei rilievi del monitoraggio effettuato nel 2003 e 2004. Francesco Lollobrigida e collaboratori (ARPA Piemonte) per aver fornito i dati relativi al sistema di modellistica. Elena Paoletti e collaboratori (IPP – CNR di Firenze) per aver fornito i dati relativi agli studi degli effetti dell’ozono in condizioni controllate. COPYRIGHT ® Riproducibile con obbligo di citazione 2
INDICE PREMESSA pag. 4 INTRODUZIONE pag. 5 PARTE I – L’OZONO ED I SUOI EFFETTI CAPITOLO 1 Che cos’è l’ozono e come si rileva 1.1. La molecola di ozono pag. 8 1.2. L’ozono nella stratosfera pag. 8 1.3. L’ozono nella troposfera pag. 10 1.4. Come si rileva la sua presenza pag. 11 1.4.1. Campionatori passivi pag. 11 1.4.2. Campionatori attivi pag. 13 1.4.3. Biomonitoraggio mediante organismi vegetali sensibili pag. 14 CAPITOLO 2 Principali danni dell’ozono 2.1. Principali danni sui vegetali pag. 17 2.1.1. La struttura fogliare delle piante pag. 17 2.1.2. Penetrazione dell’ozono pag. 20 2.1.3. Principali specie sensibili pag. 20 2.1.4. Sintomi pag. 20 2.1.4.1. Alterazioni visibili o macroscopiche pag. 21 2.1.4.2. Alterazioni invisibili o microscopiche pag. 23 2.2. Effetti sulla salute umana pag. 24 PARTE II – STUDI IN PIEMONTE CAPITOLO 3 Il primo progetto Interreg ed i lavori precedenti 3.1. I lavori precedenti pag 26 3.2. Il primo progetto Interreg pag 28 3.2.1. Raccolta dei dati pag 29 3.2.2. Studi e controlli di laboratorio pag 32 3.2.3. Elaborazione dei dati pag 33 3.2.4. Risultati pag 33 CAPITOLO 4 Il secondo progetto Interreg 4.1. Finalità pag. 35 4.2. Attività svolte in Italia pag. 35 4.3. Monitoraggio pag. 36 4.3.1. Raccolta dei dati pag. 36 4.3.2. Controlli in laboratorio pag. 43 4.3.3.Risultati pag. 44 4.4. Fumigazioni pag. 51 4.5. Modellistica pag. 52 CAPITOLO 5 Conclusioni pag. 55 ALLEGATO 1 Glossario pag. 58 ALLEGATO 2 Specie sensibili all’ozono pag. 64 ALLEGATO 3 Documentazione fotografica A) Sintomi ozone-like pag. 67 B) Sintomi non ozone-like pag. 74 BIBLIOGRAFIA pag. 76 3
PREMESSA I problemi legati all’inquinamento atmosferico sono noti da decenni e trattati ampiamente dagli organi d’informazione, ma la consapevolezza dell’esistenza di un problema deve essere accompagnata da studi e ricerche che permettano di comprenderne i meccanismi e gli effetti nella maniera più puntuale possibile. Solo con solide basi è possibile mettere in campo politiche adeguate per affrontare e possibilmente risolvere problematiche complesse e, come in questo caso, multidisciplinari. La Regione Piemonte – Direzione Economia Montana e Foreste, sensibile al problema inquinamento ed ai suoi effetti anche sulla componente vegetale, ha incaricato l’I.P.L.A. S.p.a. di Torino (Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente) di effettuare un piano di monitoraggio, che si è concretizzato in una prima fase in uno studio decennale sul deperimento delle foreste e sulla caratterizzazione delle ricadute inquinanti sul territorio forestale e in un secondo tempo nello studio dell’impatto dell’ozono sulla vegetazione con due progetti finanziati dai Programmi di Iniziativa Comunitaria Interreg condotti nell’arco di tre anni ciascuno. Il primo progetto (1999-2001) ha coinvolto l’Italia, in particolare l’I.P.L.A. S.p.A. come esecutrice del lavoro, e la Francia nelle figure del GIEFS (Group International d’Etudes des Forêt Subalpines) e di Qualitair 06 come esecutori del lavoro. Il secondo progetto (2002-2004) ha invece coinvolto tre Paesi: l’Italia con il Settore Politiche Forestali della Regione Piemonte, capofila, che si è avvalsa delle competenze tecniche di I.P.L.A. S.p.A., ARPA-Piemonte con gli allora dipartimenti di Ivrea e di Grugliasco e IPP-CNR di Firenze; la Francia con il Parc National du Mercantour, con il contributo del GIEFS, dell’Université de Jussieux, del WSL Birsmendorf (Svizzera) e dell’ONF; la Spagna con la Generalitat Valenciana ed il CEAM (Centro de Estudios Ambientales del Mediterraneo) di Valencia. Il presente testo fornisce un contributo approfondito alla conoscenza degli effetti dell’ozono sugli organismi vegetali. Il suo taglio divulgativo è utile per sensibilizzare ulteriormente il pubblico sul delicato tema dell’inquinamento atmosferico in generale e su quello da ozono in particolare. L’Assessore allo Sviluppo della Montagna e Foreste 4
INTRODUZIONE L’aria è un bene indispensabile per la vita di animali e piante, e la sua qualità è un requisito fondamentale per la salute e il benessere. I processi industriali, il traffico veicolare, il riscaldamento degli edifici sono le principali attività responsabili dell'inquinamento atmosferico, cioè di tutte quelle modificazioni della composizione dell'aria le cui conseguenze si manifestano come danni alla salute umana, ai manufatti, alla vegetazione ed agli ecosistemi naturali in genere, ed anche come variazioni del clima. Gli effetti nocivi provocati dagli inquinanti atmosferici sui vegetali sono uno dei principali impatti delle attività umane sull’ambiente. A partire dalla fine degli anni Settanta si è cominciato a constatare che le foreste dell’arco alpino settentrionale e del Centro Europa presentavano sintomi di deperimento manifestantisi con defogliazione prematura, diffusa clorosi (ingiallimento della chioma o decolorazione), presenza di anomalie nella crescita e scomparsa della dominanza apicale. Le specie coinvolte inizialmente erano l’abete bianco (Abies alba) e l’abete rosso (Picea abies), successivamente anche il pino silvestre (Pinus sylvestris), il faggio (Fagus sylvatica) e altre specie, sia conifere che di latifoglie. Il monitoraggio coordinato e promosso dall’Unione Europea per il controllo dello stato di salute delle foreste ha messo in evidenza che le cause del fenomeno non erano di natura biotica (fungina, batterica o entomologica), bensì abiotica o quanto meno sconosciuta ed in alcuni casi direttamente collegabile all’inquinamento atmosferico, o comunque dovuta a sintomi di stress multifattoriale. La maggior parte dei ricercatori ritiene che questo, quando diventa cronico, sia responsabile dell’induzione nella pianta di condizioni di stress, cui seguono manifestazioni patologiche per cause secondarie, quali eventi climatici, attacchi di insetti, funghi, batteri, virus, che riescono ad espletare la loro massima virulenza su questi soggetti indeboliti. I danni causati dall’inquinamento da ozono sulla vegetazione sono ritenuti talmente ingenti che questo gas viene considerato, assieme al biossido di zolfo, una delle principali cause del declino delle foreste; come gli ossidanti fotochimici in genere, provoca una riduzione nella crescita delle piante e, a concentrazioni maggiori, fenomeni di clorosi e necrosi delle foglie. Il primo effetto visibile si manifesta sui cloroplasti che assumono una colorazione verde chiara giacché si rompono con facilità, disperdendo la clorofilla nel citoplasma cellulare. L’ozono determina, a livello cellulare, una serie di modificazioni che interferiscono con il bilancio ionico, gli amminoacidi, il metabolismo proteico, la composizione in acidi grassi insaturi; inoltre reagisce con i residui solfidrici, provoca un crollo immediato (originato quasi certamente dallo sbilanciamento ionico)del livello di un composto essenziale per fornire l’energia necessaria alle reazioni metaboliche, l’Adenosintrifosfato o ATP; infine, inibisce la fissazione della CO2, riducendo la fotosintesi. 5
Sulla vegetazione è stata ampiamente descritta la sintomatologia del danno cosiddetto ozone-like; resta tuttavia oggetto di approfondito e continuativo studio il differente tipo di risposta sintomatica in funzione della specie vegetale, della concentrazione del gas e del tempo di esposizione. Globalmente i danni provocati dall’ozono sono di entità talmente grave da essere stati oggetto di una Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, la direttiva 2002/3/CE del 12 febbraio 2002, che prevede in modo specifico l’adeguamento della legislazione vigente in materia di inquinanti atmosferici. “È importante garantire un’efficace protezione della popolazione dagli effetti dell’esposizione all’ozono nocivi alla salute umana. È opportuno ridurre, per quanto possibile, gli effetti nocivi dell’ozono sulla vegetazione, sugli ecosistemi e sull’ambiente nel suo complesso.” (Direttiva 2002/3/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio). Le finalità di tale Direttiva sono: a) fissare obiettivi a lungo termine, valori bersaglio, una soglia di allarme e una soglia di informazione relativi alle concentrazioni di ozono nell’aria della Comunità, al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi sulla salute umana e sull’ambiente nel suo complesso; b) garantire che in tutti gli Stati membri siano utilizzati metodi e criteri uniformi per la valutazione delle concentrazioni di ozono e, ove opportuno, dei precursori dell’ozono (ossidi di azoto e composti organici volatili) nell’aria; c) ottenere adeguate informazioni sui livelli di ozono nell’aria e metterle a disposizione della popolazione; d) garantire che, per quanto riguarda l’ozono, la qualità dell’aria sia salvaguardata laddove è accettabile e sia migliorata negli altri casi; e) promuovere una maggiore cooperazione tra gli Stati membri per quanto riguarda la riduzione dei livelli d’ozono, e l’uso delle potenzialità delle misure transfrontaliere e l’accordo su tali misure. La direttiva fissa valori bersaglio, obiettivi a lungo termine, soglia di allarme e soglia di informazione per i livelli di ozono, ed è stata recepita dal Governo italiano con il D.L. 21 maggio 2004, n. 183 che fissa i valori limite per le concentrazioni di ozono per la salute umana e per i vegetali. Per valore bersaglio si intende il livello fissato al fine di evitare a lungo termine effetti nocivi sulla salute umana e/o sull’ambiente nel suo complesso, da conseguirsi per quanto possibile entro un dato periodo di tempo. Per obiettivo a lungo termine si intende la concentrazione di ozono nell’aria al di sotto della quale si ritengono improbabili, in base alle conoscenze scientifiche attuali, effetti nocivi diretti sulla salute umana e/o sull’ambiente nel suo complesso. Tale obiettivo deve essere conseguito, salvo quando ciò non sia realizzabile tramite misure proporzionate, nel lungo periodo al fine di fornire un’efficace protezione della salute umana e dell’ambiente. 6
Per soglia d’allarme si intende il livello oltre il quale vi è un rischio per la salute umana di esposizione di breve durata della popolazione in generale, e raggiunto il quale gli stati membri devono immediatamente intervenire a norma degli articoli 6 e 7. Per soglia di informazione si intende il livello oltre il quale vi è un rischio per la salute umana in caso di esposizione di breve durata per alcuni gruppi particolarmente sensibili della popolazione e raggiunto il quale sono necessarie informazioni aggiornate. In particolare: Ozono: valori bersaglio Parametro Valore bersaglio per il 2010 Per la protezione della Media massima giornaliera su 8 120 µg/m3 da non superare per salute umana ore più di 25 giorni per anno civile come media su 3 anni Per la protezione della AOT40, calcolato sulla base dei 18000 µg/m3 * h come media su 5 vegetazione valori orari da maggio a luglio anni Ozono: obiettivi a lungo Parametro Obiettivo a lungo termine termine Per la protezione della Media massima giornaliera su 8 120 µg/m3 salute umana ore nell’arco di un anno civile Per la protezione della AOT40, calcolato sulla base dei 6000 µg/m3 * h vegetazione valori orari da maggio a luglio Per AOT40 (espresso in µg/m3 h) si intende la somma della differenza tra le concentrazioni orarie superiori a 80 µg/m3 (= 40 parti per miliardo) e 80 µg/m3 in un dato periodo di tempo, utilizzando solo i valori orari rilevati ogni giorno tra le 8:00 e le 19:00, ora dell’Europa centrale. Ozono: soglie di Parametro Valore bersaglio per il 2010 informazione e di allarme Soglia di informazione Media di 1 ora 180 µg/m3 Soglia di allarme Media di 1 ora 240 µg/m3 Da Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee, n° L 067 del 9/3/2002 (Direttiva 2002/3/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio). Partendo dalle precedenti osservazioni sul problema ozono e sul suo recepimento a livello normativo, il testo presenta nella prima parte un excursus sull’ozono (cosa è, come si misura e cosa succede quando entra in contatto con organismi viventi, soprattutto vegetali) e nella seconda parte i risultati di due studi condotti sul tema anche in Piemonte. 7
PARTE I – L’OZONO ED I SUOI EFFETTI CAPITOLO 1. Che cos’è l’ozono 1.1 – La molecola di ozono L'ozono è una forma allotropica triatomica dell'ossigeno, la sua molecola è costituita da tre atomi di ossigeno (O3) ed ha un peso molecolare di 48,00 dalton. A temperatura ambiente è un gas incolore con un caratteristico odore acre e pungente da cui deriva il nome (dal greco ozo = emano odore), il cui limite di percezione olfattiva è di circa 10 ppb. FIG. 1 - Molecola di ozono prodotta in laboratorio per la prima volta da De la Rive (1845) I legami tra gli atomi sono deboli e rendono perciò questo gas fortemente instabile e particolarmente reattivo con altre molecole chimiche. La sua velocità di decomposizione dipende dalla temperatura. In virtù del suo grande potenziale ossidoriduttivo, l'ozono è un forte agente ossidante, capace di reagire con sostanze organiche dotate di doppi legami (insature); esso agisce a livello del doppio legame formando un ozonide primario che, essendo fortemente instabile, si degrada con facilità. 1.2 – L’ozono nella stratosfera In natura l’ozono è un componente gassoso dell'atmosfera ed è presente nei vari strati in concentrazioni diverse. Negli strati più elevati rappresenta un vero e proprio schermo nei confronti delle pericolose radiazioni ultraviolette (hv) emesse dal sole. Si forma a circa 20 Km di altezza nella stratosfera mediante il cosiddetto “Effetto Chapman” in seguito all'azione dei raggi ultravioletti Fig. 2 – Il pianeta Terra e gli strati di atmosfera che lo sull'ossigeno: circondano. 8
O2 + hv -> O + O I raggi ultravioletti inducono la dissociazione delle molecole di O2 con formazione di atomi liberi di ossigeno (O) O + O2 -> O3 Gli atomi di ossigeno liberi si combinano con le molecole di ossigeno (O2) e danno origine all’ozono O3 + hv -> O2 + O L’ozono a sua volta assorbe la radiazione ultravioletta e visibile e si decompone O + O3 -> O2 + O2 Se l’ozono si combina con un atomo libero di ossigeno si forma una molecola di ossigeno ed il meccanismo di formazione e decomposizione dell’ozono si interrompe. Le reazioni di formazione e decomposizione dell’ozono, essendo cicliche, assicurano la presenza naturale dell’ozono nella stratosfera; l’ultima reazione è normalmente assai più lenta delle precedenti, tuttavia può essere accelerata da alcune sostanze chimiche (quali i CFC; clorofluorocarburi) immesse nell’atmosfera dall’uomo. Tale accelerazione provoca un assottigliamento dello strato di ozono stratosferico. Ogni anno, durante la primavera dell’emisfero australe, la concentrazione dell’ozono stratosferico nell’area situata in prossimità del Polo Sud diminuisce a causa di variazioni naturali. Però, a causa degli inquinanti rilasciati in atmosfera, sin dalla metà degli anni settanta questa periodica diminuzione è diventata sempre più grande, tanto da indurre a parlare del fenomeno come del “buco dell’ozono”. Recentemente si è comunque individuato un assottigliamento della fascia di ozono anche in una piccola zona al polo Nord, sopra il Mare Artico, fatto che potrebbe preludere alla formazione di un altro buco dalla parte opposta. Le sostanze maggiormente implicate nella formazione del “buco dell’ozono” e più in generale nella riduzione dell’ozono stratosferico sono i Clorofluorocarburi (CFC). I CFC sono composti costituiti da Cloro, Fluoro e Carbonio, comunemente utilizzati come refrigeranti, solventi ed agenti propellenti nelle confezioni spray. I più comuni CFC sono i CFC-11, CFC-12, CFC-113, CFC-114 e il CFC-115. I CFC non subiscono alcun cambiamento prima di arrivare nella stratosfera, dove vengono distrutti dai raggi UV liberando cloro, che a sua volta reagisce con l’ozono causandone la distruzione: CL + O3 = CLO + O2 CLO + O = CL + O2 il cloro che si libera torna disponibile per un altro ciclo di reazioni con l’ozono La produzione dei CFC è stata negli ultimi anni vietata in base ad accordi internazionali. Anche gli HCFC (Idroclorofluorocarburi) sono implicati nel fenomeno di assottigliamento della fascia di ozono. Essi sono una classe di composti chimici che vengono utilizzati temporaneamente per rimpiazzare i CFC. Contengono cloro e per questo sono in grado di deteriorare la fascia di 9
ozono nella stratosfera, ma con intensità molto inferiore rispetto ai CFC; dal 2020 tuttavia sarà vietata anche la loro produzione. Altri composti coinvolti nel fenomeno sono i gas halon, anche conosciuti come Bromofluorocarburi, composti costituiti da bromo, fluoro e carbonio. Gli halon sono utilizzati come agenti estinguenti del fuoco sia in sistemi fissi che in estintori portatili. Causano la riduzione della fascia di ozono perché contengono il bromo (che è molte volte più attivo nella distruzione della fascia di ozono di quanto lo sia il cloro). Il problema è estremamente importante in quanto una riduzione dell’effetto schermante dell’ozono stratosferico comporta un conseguente aumento dei raggi UV che giungono sulla superficie della Terra. Nell’uomo l’eccessiva esposizione a questi raggi è correlata ad un aumento del rischio di cancro della pelle, generato a seguito delle mutazioni indotte nel DNA delle cellule epiteliali. I raggi ultravioletti possono causare inoltre una inibizione parziale della fotosintesi delle piante, inducendo un rallentamento della crescita e, nel caso si tratti di piante coltivate, una diminuzione dei raccolti. 1.3. L’ozono nella troposfera Mentre la presenza dell’ozono nella stratosfera svolge un’importante funzione eco-protettiva, nello strato basso dell’atmosfera che arriva sino a 10-15 Km di altezza (troposfera), le alte concentrazioni di ozono risultano nocive per la salute degli esseri viventi, tanto che l’Unione Europea ha definito un limite di 0,3 mg/m3 oltre il quale la concentrazione di ozono nell'aria respirata è considerata dannosa. Fig. 3 – Strati dell’atmosfera e loro distanza dalla crosta terrestre. L'ozono troposferico ha origini diverse da quello stratosferico. Si origina per cause naturali (come ad esempio intrusione dalla stratosfera ed effetto dei fulmini) oppure antropiche. Pertanto, quando presente in concentrazioni superiori a quelle “di fondo”, ovvero prodotte unicamente da processi 10
naturali, è considerato, un inquinante cosiddetto secondario. Esso infatti non viene emesso direttamente da una o più sorgenti, ma si genera a seguito dell’azione fotolitica della radiazione solare UV su altri inquinanti primari (detti precursori, quali gli ossidi d'azoto NOx e i composti organici volatili VOC), prodotti in larga parte dai motori a combustione (ovvero dal traffico veicolare) e dall'uso di solventi organici. L’azione fotolitica porta alla formazione di ossigeno atomico che reagisce con l’ossigeno molecolare dando origine all’ozono. Dal momento che queste reazioni avvengono in presenza di luce solare, ne deriva che l’ozono avrà valori massimi durante il giorno e minimi durante la notte e avrà valori superiori durante la stagione calda (soprattutto in periodi di alta pressione e stabilità atmosferica) e nelle zone caratterizzate da elevata insolazione (bacino del Mediterraneo e aree di quota elevata). L’ozono reagisce a sua volta con altri inquinanti presenti nell’aria, e fra questi soprattutto con quelli riducenti, fra cui primeggia il monossido di Azoto (NO); nelle ore notturne, in assenza della luce solare che funge da catalizzatore nella reazione che porta alla sua formazione, e con minor produzione dei suoi precursori, la sua molecola si riduce nuovamente ad ossigeno biatomico ossidando composti ridotti come NO, molto frequente nelle aree urbane. Per effetto delle correnti aeree tuttavia il gas viene trasportato anche in zone remote, dove stranamente, almeno in apparenza, si registrano i valori più elevati, soprattutto nell’arco delle ventiquattro ore. I composti riducenti quali NO sono più comuni in ambienti inquinati: quindi nelle aree urbane le concentrazioni di ozono presentano picchi diurni e minimi notturni, mentre nelle zone limitrofe, in quota o nelle aree rurali anche remote, dove l’aria è più pulita, l’ozono persiste maggiormente senza che la sua concentrazione diminuisca nelle ore notturne. 1.4 - Come si rileva la sua presenza La presenza della concentrazione di O3 si rileva tramite: - campionatori passivi - campionatori attivi (analizzatori fisico - chimici di ozono) - biomonitoraggio mediante organismi vegetali sensibili 1.4.1. Campionatori passivi Il campionatore passivo è costituito da un piccolo tubo, alla cui sommità è situato un tappo, contenente un filtro impregnato di una soluzione specifica per assorbire o reagire con l’inquinante che deve essere misurato. Il gas entra nel tubo attraverso il lato aperto secondo i processi della diffusione molecolare. 11
Foto 1 - Esempio di campionatore passivo: la parte inferiore blu rappresenta il tappo di chiusura, quella bianca supporta la griglia attraverso cui penetra l’aria. Foto 2 – Campionatore passivo scomposto nelle sue parti costitutive: a sinistra la griglia attraverso cui penetra l’aria, in centro il filtro di assorbimento dell’inquinante, a destra il tappo di chiusura. Alla base del funzionamento dei campionatori passivi vi è il principio della diffusione passiva di un gas in un mezzo adsorbente secondo la prima legge di Fick. Essa enuncia che: la diffusione dell’inquinante è direttamente proporzionale alla sua concentrazione nell’ambiente, al tempo di esposizione, al coefficiente di diffusione nell’aria dell’inquinante in questione e alla sezione trasversale del tubo. Possono inoltre influire, oltre certe soglie, fattori ambientali quali la velocità del vento e la temperatura. Nei campionatori passivi destinati alla misurazione delle concentrazioni di ozono, i filtri (dischetti di cellulosa) vengono impregnati di un reagente specifico che costituisce il "sensore". La reazione scatenata dall'ozono porta alla rottura della molecola del reagente che, a seguito di estrazione con etanolo, è possibile quantificare per via fotometrica. Il rapporto tra ozono adsorbito e concentrazioni in aria è di tipo lineare, e permette quindi il calcolo della quantità presente. I campionatori vengono posizionati nelle stazioni di monitoraggio, sotto appositi supporti atti a proteggerli dalle intemperie, e vengono sostituiti periodicamente (ogni settimana, ogni 15 giorni oppure ogni mese) a seconda dei tempi di esposizione caratteristici del campionatore stesso e delle esigenze richieste dallo studio. Le misure della concentrazione di O3 ottenute dai campionatori sono tanto più precise quanto minore è il tempo di esposizione; però, poiché la manodopera per la sostituzione e lo spostamento se si opera in zone remote e distanti l’una dall’altra è costosa, generalmente si opta per quelli con tempo di esposizione mensile. In questo caso, però, la perdita del dato, causata da vandali che rovinano o asportano il campionatore dalla sua sede, è un danno rilevante per le successive elaborazioni statistiche 12
Foto 3 - Stazione della Sacra di S. Michele (Valle di Susa, TO): sostituzione del campionatore passivo fissato tramite nastro biadesivo al supporto metallico. 1.4.2. Campionatori attivi. Sono gli analizzatori fisico-chimici di ozono e ne esistono molti modelli, tutti però basati sui medesimi principi di funzionamento. L’analizzatore opera la misura dell’ O3 basandosi sull’assorbimento della luce UV, in particolare della banda di 254 nanometri, valore che corrisponde alla linea principale di emissione del mercurio. Uno dei componenti dell’analizzatore è una lampada a mercurio che emette luce ad una lunghezza d’onda di 254 nm. La luce della lampada illumina un tubo di vetro cavo il quale è alternativamente riempito con il gas campione e con un gas standard (noto). Il rapporto tra l’intensità della luce passante attraverso il gas standard e quella del gas campione, indicato come I/I0 , è alla base del calcolo della concentrazione di ozono. Il ciclo di misura è il seguente: − passaggio del gas attraverso un filtro selettivo per O3; − misura del gas campione; − passaggio del gas nella cella di misura; − misura del gas standard. L’analizzatore è dotato di un software di elaborazione dei dati che viene installato su un personal computer che, tramite modem, si collega all’analizzatore per visualizzare e scaricare i dati di concentrazione registrati. Oltre ai dati di concentrazione di ozono (calcolati in ppb), esso rileva altri parametri, quali la temperatura e l’umidità dell’aria, la velocità e la direzione del vento e la temperatura interna allo strumento. Essendo uno strumento molto delicato che va incontro a problemi di registrazione con temperature esterne elevate, l’analizzatore viene inserito in una struttura isolante al fine di evitare variazioni di temperatura, ovvero collocato in ambiente condizionato. 13
I pregi di questo strumento sono le misure puntuali dei differenti parametri, misure che possono essere orarie, giornaliere o mensili, a seconda di come si imposta il software. I limiti sono rappresentati dal costo elevato e dalla necessità di disporre di energia elettrica. Foto 4 e 5 – Esempio di analizzatore di ozono: a sinistra la struttura isolante entro cui viene collocato se esposto ad agenti esterni; a destra la centralina nelle sue componenti (l’analizzatore di ozono, la parte bianca superiore; il computer e il sistema di scaricamento e trasmissione dati, la parte grigia inferiore). 1.3.3. Biomonitoraggio mediante organismi vegetali sensibili Il biomonitoraggio consiste nel controllo continuo delle caratteristiche di un determinato ambiente attraverso parametri biologici in quanto qualunque fattore (fisico, chimico o microbiologico) induce delle variazioni ecologiche sull’ecosistema. Quindi una sostanza tossica viene rilevata dagli esseri viventi, i quali, a soglie diverse di sensibilità, sono in grado di indicarne la presenza e, in prima approssimazione, la quantità presente nell’ambiente. Le variazioni ecologiche indotte si manifestano tramite alterazioni degli organismi utilizzati quali indicatori, che mostrano sintomi differenti secondo le caratteristiche dell’inquinante. I principali sintomi che si possono riscontrare sono: a) accumulo degli inquinanti nell’organismo; b) modificazioni morfologiche o strutturali dell’organismo; c) variazioni della vitalità (modificazioni fisiologiche); d) danni genetici; e) modificazioni nella composizione delle comunità animali e vegetali. Le tecniche di biomonitoraggio seguono due principali strategie: - bioindicazione, quando si correla il disturbo ambientale a variazioni morfologiche o a dati di biodiversità; - bioaccumulo, quando si sfrutta la capacità di certi organismi di assorbire ed accumulare le sostanze indagate. 14
Viene definito "bioindicatore" un organismo che risponde con variazioni identificabili del suo stato a determinati livelli di sostanze inquinanti o più in generale a determinate soglie di disturbo; vengono perciò selezionati organismi che soddisfano i seguenti requisiti principali: - accertata sensibilità all’agente indagato; - ampia distribuzione nell'area di studio o comunque facilità di trasporto ed esposizione artificiale all’interno dell’area; - scarsa mobilità; - lungo ciclo vitale; - uniformità genetica. Un organismo viene definito "bioaccumulatore" quando viene invece usato per misurare la concentrazione di una sostanza, ottenendo risposte quantitative oltre che qualitative. Le principali categorie di organismi viventi utilizzati come bioindicatori o bioaccumulatori sono: 1. le piante vascolari: in particolare per il biomonitoraggio dell’ozono troposferico vengono utilizzate piante di tabacco (Nicotiana tabacum varietà Bel W3), molto sensibile all’inquinante in questione. Per testare gli effetti, vengono allestite coltivazioni di tabacco alle quali vengono somministrati quantitativi noti dell’inquinante e sulle quali successivamente vengono studiati gli effetti sintomatologici. Per quanto riguarda il tabacco, nelle varietà sensibili, esso manifesta evidenti sintomi quando la concentrazione di ozono supera soglie di 40-50 ppb per esposizioni della durata di Foto 6: pianta di tabacco fiorita. 4-5 ore. Attualmente si stanno studiando anche altre specie vegetali, incluse quelle spontanee in molti ambienti, per facilitare le campagne di biomonitoraggio. 15
2. i muschi: utilizzati per monitorare soprattutto la presenza di radioattività e di metalli pesanti grazie alla grande capacità di scambio che queste briofite hanno con l’ambiente; Foto 7: Hypnum cupressiforme 3. i licheni: simbiosi tra un’alga e un fungo, sono sia bioindicatori che bioaccumulatori e vengono utilizzati per rilevare la presenza di metalli pesanti assorbiti nei talli; alcuni inoltre sono particolarmente sensibili all’anidride solforosa o ad altri inquinanti, per cui un’analisi delle loro comunità può permettere di trarre preziose informazioni ad esempio anche sull’eutrofizzazione ambientale; Foto 8: Licheni. 4. i funghi: non sono ancora diffusamente utilizzati, nonostante abbiano dimostrato sensibilità all’anidride solforosa, all’ozono e alle deposizioni acide, oltre a possedere capacità di assorbimento soprattutto di metalli pesanti. Foto 9: Amanita muscaria L'utilizzo di organismi quali indicatori biologici di inquinamento presenta notevoli vantaggi: • si avvale di metodiche la cui efficacia e predittività è comprovata da una ricchissima letteratura a livello internazionale; • le indagini richiedono bassi costi e tempi ridotti e possono venir effettuate utilizzando tecniche diverse, in grado di evidenziare tipi di inquinanti diversi. Il biomonitoraggio non è da considerarsi come un'alternativa nei confronti dell'uso di centraline di rilevamento, costose ma in grado di fornire dati molto più precisi e numerosi, bensì come un prezioso complemento, poiché, individuando le zone a rischio presenti sul territorio, costituisce lo 16
studio di base per un posizionamento ottimale delle centraline stesse; può inoltre consentire di verificare la presenza dei fenomeni in zone remote dove risulta impossibile il posizionamento di strumentazione sofisticata, ed è particolarmente utile per azioni dimostrative grazie all’immediatezza visiva. 17
CAPITOLO 2. Principali danni dell’ozono 2.1 – Principali danni sui vegetali 2.1.1 – La struttura fogliare delle piante A livello microscopico la struttura fogliare è molto variabile a seconda della specie di appartenenza. La maggior parte delle latifoglie decidue tuttavia presenta una simmetria detta dorso-ventrale (la metà superiore è differente da quella inferiore) costituita, partendo dalla pagina superiore, da: - epidermide superiore: formata da uno strato di cellule con una cuticola spessa sulla parete esterna; - mesofillo o parenchima a palizzata: costituito da cellule cilindriche, le cellule a palizzata, allungate nel senso perpendicolare alla superficie del lembo, che conferiscono l’aspetto di una palizzata. Esse sono ricche di cloroplasti e sono sede di intensa attività fotosintetica; - mesofillo o parenchima lacunoso o spugnoso: formato da cellule irregolari (più o meno tondeggianti o poliedriche) di diverse dimensioni, riunite in modo così irregolare da lasciare fra di loro ampi spazi (lacune) che favoriscono lo scambio dei gas tra l’esterno e l’interno essendo direttamente a contatto con gli stomi presenti sulla pagina inferiore. Le cellule del lacunoso, essendo più povere di cloroplasti, determinano il colore verde più chiaro della pagina inferiore; - epidermide inferiore: anch’essa costituita da un unico strato di cellule con cuticola ispessita, intervallate dagli stomi. Fig. 4 – Sezione trasversale di una foglia di faggio (Stransburger) 18
Le conifere invece, hanno foglie con un’epidermide costituita da uno strato di cellule con parete fortemente ispessita al di sotto della quale si trovano alcuni strati di cellule con parete lignificata che formano l’ipoderma. Sotto l’ipoderma si trova il mesofillo in cui sono immersi i canali resiniferi. Gli stomi sono infossati. Fig. 5 – Sezione trasversale di una foglia di pino strobo (Mirov) Gli stomi sono strutture particolari, presenti in numero maggiore sulla pagina inferiore nelle inquinante, costituiti da due cellule (cellule stomatiche o di chiusura), diverse per forma e grandezza, che assolvono all’importante compito di mettere in comunicazione l’ambiente esterno (atmosfera) con i tessuti interni (camera sottostomatica o respiratoria) tramite l’evapotraspirazione. Le cellule stomatiche sono reniformi e questo fa sì che, unendosi per la parte concava, lascino fra loro un’apertura detta ostiolo. Fig. 6 – Stomi sull’epidermide inferiore di foglia di elleboro (Strasburger) Fig. 7 – Sezione trasversale di stoma. Superiormente la cuticola forma due piccoli cornetti (in nero). (da Cappelletti) 19
2.1.2. Penetrazione dell’ozono L’ozono penetra all’interno della foglia attraverso gli stomi della lamina inferiore, provocando inizialmente danni alle sole cellule del parenchima a palizzata, che gradualmente perdono la clorofilla e collassano, senza interessare immediatamente l’epidermide inferiore e il mesofillo lacunoso, ma solo in una fase più avanzata. Il collasso delle cellule del palizzata si nota al microscopio ottico dal cambiamento di colorazione delle cellule che da verdi diventano rosso o brunastre a seconda di quali pigmenti vengono accumulati (antociani o tannini). Foto 10 - Sezione fogliare. Il sintomo di tipo ozone- like è chiaramente visibile nel mesofillo a palizzata dove si verificano la lisi della clorofilla e il collasso delle pareti cellulari. Sono privi di fenomeni alterativi gli strati epidermici e il mesofillo lacunoso 2.1.3 - Principali specie sensibili Da vari studi effettuati in anni differenti e da istituti diversi, è emerso che alcune specie sono più sensibili di altre ai danni ozone-like. Nell’allegato 2 vi è una tabella che riporta, in ordine alfabetico, l’elenco delle specie sperimentalmente accertate come sensibili all’ozono (alberi, arbusti ed erbacee), tratta dal sito ufficiale dell’ICP-Forests (www.icp-forests.org), ed è il frutto dei 20 anni di studi e ricerche che 38 stati europei, più USA e Canada, hanno effettuato. Le specie cui fa riferimento la tabella sono per la maggior parte specie autoctone europee (segnalate col carattere italic) e in minima parte alloctone (segnalate col carattere normale). 2.1.4 - Sintomi La sintomatologia dei danni che l’ozono provoca alle specie vegetali è studiata da circa una ventina di anni e si presenta diversificata in funzione delle specie vegetali. I primi studi sono stati condotti dall’ICP Forests, nato nel 1985 sotto la convenzione “Long-Range Transboundary Air Pollution” della Commissione economica delle Nazioni Unite per Europa (UNECE - United Nations Economic Commission for Europe) e istituito per la sempre più crescente consapevolezza pubblica sui possibili effetti negativi dell’inquinamento atmosferico sulle foreste. 20
L’ICP Forests monitora le foreste europee utilizzando due livelli di controllo differenti in intensità, in cooperazione con l’Unione Europea. La prima griglia, denominata Level I, è stata stabilita nel 1986. Da allora le chiome delle piante vengono annualmente monitorate attraverso una griglia sistematica trans-nazionale in tutta Europa di 16 x 16 Km. Tra il 1992 e il 1996 sono stati valutati anche le condizioni del suolo e delle foglie. Dall’approfondimento delle conoscenze sulla suscettibilità all’ozono durante l’ontogenesi, si è notato come le foglie giovani siano più resistenti diventando sensibili, ad iniziare dalle parti distali, quando si espandono. Il danno tuttavia è correlato ai tempi di esposizione, e quindi la foglia vecchia è quella che è rimasta esposta all’azione del gas più a lungo e ne risente maggiormente gli effetti. Solitamente la lamina fogliare inferiore è asintomatica mentre l’effetto dell’ozono è visibile sulla pagina superiore, con una maggiore intensità, nel caso di esposizione alla luce. Solo nel caso di sintomi acuti si sono osservate, a volte, alterazioni della lamina fogliare inferiore. I danni da esso prodotti possono essere divisi in due grandi gruppi: - visibili o macroscopici - invisibili o microscopici 2.1.4.1. Alterazioni visibili o macroscopiche. Le sintomatologie macroscopiche sono quelle che si osservano a occhio nudo quando si analizzano le foglie in campo. Esse possono essere confuse o con danni causati da altri agenti abiotici (inquinanti di varia natura), o con danni causati da agenti biotici (funghi e insetti). Le principali sono la riduzione di biomassa, la comparsa di una clorosi più o meno diffusa e la presenza di puntinature necrotiche. La riduzione di biomassa si manifesta in un calo di accrescimento della pianta e in una forma di microfillia fogliare, per cui le foglie sono più piccole del normale. Questa riduzione può presentarsi anche a carico dell’apparato radicale. La clorosi si palesa con un ingiallimento generalizzato della foglia che può essere confuso con un danno abiotico non necessariamente causato dall’ozono, oppure con un semplice danno da carenza idrica. In caso il sintomo sia ozone-like la clorosi inizialmente è presente sulla sola pagina superiore. Le aree clorotiche risultano solitamente localizzate nelle parti internervali e Foto 11 – Clorosi generalizzata su foglie di ailanto spesso si sviluppano a partire dal margine (Ailanthus altissima) apicale della foglia, mentre le nervature fogliari conservano il colore verde intenso. 21
Le puntinature necrotiche o necrosi sono chiazze di aspetto puntiforme oppure di macchia con forma poligonale più o meno irregolare che, in caso di danno acuto, incrementano l’estensione sino a confluire formando un’unica macchia. Anche il colore delle necrosi cambia in funzione dell’intensità del sintomo: si passa dal giallo (lisi della clorofilla nelle cellule del mesofillo a palizzata), al rosso (accumuli di Foto 12 – Necrosi su pagina superiore di lantana (Viburnum lantana) antociani nelle cellule del mesofillo a palizzata), sino al marrone scuro quasi nero per la presenza di accumuli di tannini ed il collasso delle pareti cellulari a livello del mesofillo a palizzata. Le necrosi possono essere confuse ad una prima analisi con danni da agenti biotici. In questo caso però il sintomo si rileverebbe anche sulla pagina inferiore e sulle nervature, mentre quando il danno è solo causato dall’ozono le necrosi si manifestano solo sulla pagina superiore e tra le nervature della foglia. Uno degli effetti che permette di capire a livello macroscopico se le necrosi sono dovute a danni ozone-like è l’effetto ombra: gli arrossamenti o gli imbrunimenti si presentano solo sulla porzione di foglia esposta alla luce, mentre quella in ombra, nascosta ad esempio da un’altra foglia, rimane di colore inalterata. Foto 13 – Effetto ombra su pagina superiore di Cotoneaster sp.: la porzione di foglia esposta al sole risente degli effetti dell’ozono manifestando un arrossamento, mentre la porzione nascosta da un’altra foglia mantiene il colore inalterato. 22
2.1.4.2. Alterazioni invisibili o microscopiche. Sono rappresentate dai sintomi riscontrabili solo con l’analisi microscopica. Il primo microscopio utilizzato è lo stereomicroscopio che permette di osservare il campione fogliare intero e di visualizzare la presenza di insetti o fruttificazioni fungine. Foto 14 – Stereomicroscopio collegato al monitor da cui si possono eseguire foto e stampe di ciò che si analizza. Si passa poi all’osservazione delle sezioni fogliari al microscopio ottico, il quale permette di capire con maggior certezza se il sintomo è ozone-like. Infatti, nel caso in cui il danno sia causato dall’ozono, si noterà un’alterazione a livello del mesofillo a palizzata consistente in una decolorazione delle cellule per svuotamento delle stesse e in un accumulo di pigmenti di varia natura che coloreranno le cellule di rosso in caso di antociani e di bruno-nerastro in caso di Foto 15 – Microscopio ottico da cui si possono esaminare i tannini. L’epidermide superiore rimane campioni sotto forma di sezione. inalterata; in caso contrario sono sicuramente intervenuti altri agenti di danno (ad esempio eccessi di luce). Foto 16 – Sezione al microscopio ottico di frassino maggiore (Fraxinus excelsior): le epidermidi sono intatte, così come il mesofillo lacunoso che mantiene la colorazione verde data dai cloroplasti, mentre il mesofillo a palizzata mostra svuotamento delle cellule dalla clorofilla (cellule ingiallite, imbrunite) e accumulo di pigmenti. 23
Queste alterazioni non visibili ad occhio nudo portano scompensi a livello biochimico riscontrabili in alterazioni della fotosintesi e quindi nella riduzione degli scambi gassosi. L’ozono, difatti, può determinare limitazioni di natura stomatica e/o mesofillica all’assorbimento dell’anidride carbonica (CO2). Altri problemi si riscontrano a livello di fissazione di CO2 causati dall’alterazione strutturale dell’enzima deputato al processo di fissazione (la ribulosio-difosfato carbossilasi-ossidasi, RubiscCO). Gli effetti negativi a carico della fotosintesi comprendono anche lesioni alle membrane tilacoidali e altre alterazioni strutturali dei cloroplasti, nonché la citata distruzione dei pigmenti clorofilliani, con conseguente collasso delle cellule, svuotamento delle stesse dalla clorofilla e quindi decolorazione. 2.2 Effetti sulla salute umana I principali effetti dell'O3 si evidenziano a carico delle vie respiratorie dove si ha l'induzione di una risposta infiammatoria ed alterazioni della permeabilità sia degli epiteli di rivestimento che degli endoteli vascolari. L'insieme di queste alterazioni determina una riduzione della funzione polmonare, la comparsa di iper-reattività bronchiale fino alla possibile insorgenza di edema Fig. 8 – Polmone umano polmonare. Altri effetti possono essere l’insorgenza di cefalee, di insonnia, di patologie epiteliari come eczemi, o addirittura forme tumorali. L'induzione di una risposta infiammatoria a carico delle vie respiratorie in seguito ad esposizione ad O3 è indicata da vari studi sperimentali. In particolare, si ritiene che tale gas inquinante induca una risposta flogistica attraverso i tre seguenti meccanismi: a) modificazione della permeabilità cellulare per fenomeni di perossidazione dei lipidi di membrana; b) alterazioni della permeabilità delle vie respiratorie per azione distruttiva diretta sui componenti citoscheletrici cellulari; c) rilascio da parte delle cellule epiteliali ed endoteliali del microcircolo alveolare di vari mediatori pro-infiammatori. Alcuni Autori, tuttavia, ritengono che le concentrazioni di ozono che si raggiungono, dopo inalazione, a livello delle vie aeree inferiori non siano sufficienti per indurre di per se stesse un danno diretto sulle mucose respiratorie. In tal caso è stato ipotizzato che a basse concentrazioni l'ozono potrebbe modificare, per fenomeni di ossidazione, i componenti molecolari del sottile strato 24
di muco che riveste le vie respiratorie con conseguenti alterazioni della sua viscosità (modificazioni qualitative delle glicoproteine del muco, fenomeni di ipersecrezione delle muco-proteine, ipertrofia ed iperplasia delle cellule e delle ghiandole mucipare) e formazione di composti tossici secondari dotati di attività pro-infiammatoria. Fra i vari accorgimenti che si possono prendere per evitare danni, c’è in primo luogo la riduzione all’esposizione all’ozono, soprattutto per le categorie più a rischio (anziani, bambini, soggetti asmatici o con patologie polmonari o cardiologiche) e nelle ore più calde della giornata in cui sono più elevate le concentrazioni di ozono. Inoltre si possono adottare alcuni accorgimenti di natura dietetica. Infatti l'esposizione all’ozono riduce le concentrazioni di sostanze antiossidanti sia a livello del muco delle vie respiratorie che a livello plasmatici; quindi la presenza di antiossidanti rappresenta uno dei principali meccanismi di difesa del nostro organismo nei confronti dell'azione lesiva di sostanze ossidanti come l'ozono. Pertanto, potrebbe essere utile integrare la dieta, soprattutto nei mesi estivi, con alimenti ricchi di sostanze dalle proprietà riducenti, come: - acido ascorbico o vitamina C, presente in agrumi, ribes, fragole, frutta in genere, pomodori, peperoni, varie verdure fresche, patate; Foto 17: Frutta. Foto 18: Verdura. - vitamina E o tocoferolo, che costituisce la prima linea di difesa contro la perossidazione dei lipidi di membrana, presente in germogli di grano, semi di girasole, olio di soia o di mais crudi, olio di fegato di merluzzo; Foto 19: Girasole Foto 20: Pannocchie di mais Selenio, componente integrale dell'attività dell'enzima glutatione perossidasi coinvolto nella riduzione dell'acqua ossigenata ad acqua, oltre a rappresentare una seconda linea di difesa contro la formazione di perossidi prima che questi danneggino le membrane cellulari, favorisce l'assorbimento intestinale di vitamina Foto 21: Pesce Foto 22: Crusca E. Questo oligoelemento è contenuto soprattutto nel pesce e nella crusca. 25
PARTE II – STUDI IN PIEMONTE CAPITOLO 3. Il primo progetto Interreg ed i lavori precedenti 3.1 - I lavori precedenti Alla fine degli anni ’70 in vaste aree dell’Europa centrale e del Nord America hanno iniziato a manifestarsi deperimenti della vegetazione forestale con sintomi diversi da quanto sino ad allora conosciuto. I sintomi più ricorrenti erano: • riduzioni dell’accrescimento, decolorazione e riduzione di superficie fogliare, senescenza precoce, diminuzione della biomassa radicale, arresto dello sviluppo diametrico, disseccamento di parti della chioma; • anomalie dell’accrescimento: caduta di foglie verdi, emissione di rami avventizi, eccessive fioritura e fruttificazione. La novità è stata che nessuno dei fattori di stress “classico” (biotico o abiotico) poteva – per lo meno da solo – essere individuato come responsabile. I primi studi in Italia sono stati eseguiti in Toscana (abetine di Vallombrosa), in Valle d’Aosta, in Trentino e in Friuli Venezia Giulia. In Piemonte, le prime indagini sono state compiute nelle Valli Ossolane alla fine degli anni ’80. All’epoca si osservarono danni su abeti rosso e bianco (Picea abies e Abies alba), pino silvestre (Pinus sylvestris) e faggio (Fagus sylvatica). Tra i progetti promossi dalla Regione Piemonte e cofinanziati dall’Unione Europea e dal Ministero per le Politiche Agricole emergono: • “Caratterizzazione ecologica di stazioni forestali in via di deperimento – Piemonte” (1989- 1991) • “Caratterizzazione ecologica e monitoraggio dei boschi” (1992-97) I progetti sono stati coordinati dalla Regione Piemonte – Assessorato Economia Montana e Foreste, Settore Politiche Forestali, che ne ha affidato l’esecuzione all’I.P.L.A. S.p.A.. Tra i siti di studio scelti nelle principali aree forestali della Regione, uno è stato localizzato sulla Collina torinese, nella Località Millerose ai piedi della Collina di Superga, dove i danni erano riscontrati soprattutto a carico della robinia (Robinia pseudoacacia). Le attività previste consistevano in: 1. Misurazione della qualità delle deposizioni atmosferiche: • raccolta delle deposizioni atmosferiche umide e secche mediante campionatori appositi (denominati Wet and dry); 26
• misurazione dei principali parametri: pH, conducibilità elettrica, presenza di metalli, cationi, anioni, carbonati e bicarbonati, ossidrili. 2. Caratterizzazione patologica, fitosociologica e pedologica: • apertura di una buca pedologica e lettura del profilo; • prelievo di campioni di suolo, loro analisi e descrizione; • descrizione del popolamento forestale (trattamento, turno, valenza, interventi e avversità pregresse); • controllo delle fitopatie presenti. 3. Lettura delle chiome: eseguita mediante la metodica definita e consigliata dall’U.E. su 100 piante della medesima specie per ciascuna stazione, si basa sull’attribuzione di una classe di danno (determinata da grado di defogliazione e di scoloramento) tra le seguenti: Classe 0: pianta sana Classe 1: pianta leggermente danneggiata (sintomi compresi entro margini di oscillazione fisiologici e reversibili) Classe 2: pianta con danno medio, normalmente non recuperabile nell’arco di una stagione vegetativa Classe 3: pianta con danno grave, non più in grado di recuperare fino alla classe zero Classe 4: pianta morta Per ogni singola pianta viene annotata la presunta origine del danno (cause ignote, note o combinazione delle due). 4. Analisi dendrologica: • misurazione degli incrementi su 20 piante campione per stazione sperimentale mediante carote radiali; • elaborazioni degli accrescimenti al fine di correlare la crescita delle piante e la loro reazione agli stress subiti. 5. Analisi fogliari: • prelievo di campioni fogliari nella stagione estiva effettuato secondo la metodologia dell’ICP-Forests; • le piante campionate (4 per stazione) dovevano presentare condizioni di deperimento medie rispetto alla situazione della stazione. Le conifere in generale sono risultate in buone condizioni. La specie più danneggiata era la robinia nella stazione di Torino (maggior frequenza di piante in classe 3); seguiva la rovere, sempre a Torino. I principali sintomi di deperimento osservati sulla Collina Torinese sono stati: • microfillia soprattutto apicale, mentre i ricacci avventizi parzialmente ombreggiati possono presentare notevole vigore; • mancata schiusura delle gemme apicali; 27
• clorosi internervali anche molto marcate; • cascola foglie gialle a partire da giugno, indipendentemente dalla piovosità; • diradamento della chioma e progressivo die-back (morte a ritroso, iniziando dal cimale); • alla morte della pianta, nel caso della robinia, mancata emissione dei tipici polloni radicali (di solito abbondantissimi e molto vigorosi). Le cause contribuenti a questi fenomeni sono state individuate in: • stress idrico stagionale (piovosità media annua: circa 900 mm; minimo di 720 mm riscontrato nell’anno 1997 – primavera siccitosa); • precipitazioni acide (pH tra 4,7 e 5,4): l’ordine di grandezza è simile a quello riscontrato nel sud della Scandinavia e nel Nord –Est degli USA (primi effetti dell’acidificazione!); • scarsa capacità del suolo della stazione di tamponare l’acidità delle deposizioni, per lo meno a lungo termine; • presenza massiccia di due funghi ad attività parassitica, del genere Armillaria (A. gallica e A. mellea) sugli apparati radicali; • altre cause non del tutto note, quali l’O3, abbondante sulla Collina Torinese per la vicinanza alla città. Quest’ultimo composto, l’ozono, con concentrazioni in aumento nel corso degli ultimi anni, ha suscitato l’interesse dei ricercatori, avendone verificato l’amplissima distribuzione anche lontano dalle sorgenti di emissione, nonché la sua attività tossica sui vegetali. 3.2 - Il primo progetto Interreg Essendo il deperimento delle foreste un problema transfrontaliero, come d’altronde la causa supposta, legata all’inquinamento, si è cercata la collaborazione internazionale per poter meglio comprendere le dimensioni del fenomeno, la sua estensione territoriale e le possibili variazioni dovute a differenti condizioni ambientali, ampliando anche in tal modo il ventaglio delle specie osservate. Il lavoro in équipe presenta inoltre un innegabile vantaggio per il fatto che l’argomento degli studi era decisamente innovativo e quindi scarsa l’esperienza in merito, con conseguenti maggiori difficoltà d’interpretazione dei fenomeni osservati. Gli obiettivi del progetto “Studio dell’impatto e della concentrazione di ozono su differenti specie vegetali presenti nelle regioni mediterranee” (Interreg II Italia-Francia) erano: - l’individuazione delle specie sensibili all’ozono in Piemonte; - l’individuazione in campo di sintomi ozonosimili, detti ozone-like; - la messa a punto di un protocollo di analisi di laboratorio: - l’informazione e la sensibilizzazione del pubblico. 28
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