GLI ZOO, INUTILI E DANNOSI PER GLI ANIMALI - di Enrico Moriconi

Pagina creata da Aurora Ferrario
 
CONTINUA A LEGGERE
GLI ZOO, INUTILI E DANNOSI
                     PER GLI ANIMALI
                     di Enrico Moriconi

        La nascita degli zoo si fa risalire al 1840 a Londra quando l'abbreviazione “zoo”
fu usata per indicare il parco creato dalla Zoological Society, dove erano conservati ed
esposti al pubblico animali provenienti da tutto il mondo.
        Le finalità che si prefiggevano erano divulgative, cioè portare a conoscenza dei
bambini e degli adulti animali provenienti da paesi lontani di cui si favoleggiava ma
che la maggioranza delle persone non aveva mai avuto la possibilità di vedere dal
vivo. Inoltre si pensava gli zoo potessero servire per la conservazione di specie a
rischio di estinzione.
Negli anni si è poi avuta una evoluzione degli zoo le cui strutture sono state ampliate,
laddove si è potuto, realizzando così i cosiddetti “Parchi Zoologici”. Il termine stesso
“Parchi zoologici” vorrebbe suggerire l’idea del superamento dello zoo tradizionale e
richiamare invece la situazione dei Parchi naturali, che sono però profondamente
differenti.
        Le considerazioni relative ai “Parchi zoologici” o simili, però, non sono diverse
da quelle fatte per gli “zoo” in quanto il parziale aumento dello spazio disponibile non
consente una vita sostanzialmente diversa. Pertanto le considerazioni che seguiranno
sono valide sia per gli zoo propriamente detti sia per i “parchi” zoologici variamente
definiti, mentre non riguardano le riserve naturali e le oasi di recupero degli animali,
senza scopo espositivo.
        Oggigiorno coloro che propugnano la persistenza degli zoo e strutture similari,
ne illustrano potenzialità in ambito non solo di conservazione di specie a rischio, ma
anche di ricerca e studio scientifico nonché un loro valore educativo al rispetto per gli
altri esseri viventi.
        Un'analisi globale permette di evidenziare invece le negatività connesse a tali
strutture.

Tutela ambientale
       La motivazione principale, che di fatto sostiene tutte le altre, è quella di
preservare le specie a rischio di estinzione.
       Se anche vi fosse una attività di conservazione, ma si vedrà in seguito che così
non è, si tratterebbe di un apporto minimo, in quanto, delle circa 5926 specie
catalogate dall' International Union for the Conservation of Nature (IUCN) in via di
estinzione, solo circa 120 ( pari al 2%) sono coinvolte in programmi internazionali di
allevamento negli zoo. Non solo si tratta di una minima parte ma è anche criticabile se
si considerano i presupposti scientifici di una vera opera di conservazione.
       Il punto centrale e irrisolvibile negli zoo, nei Parchi Zoologici e simili, è il
mantenimento del patrimonio genetico originale delle diverse specie, impresa
praticamente impossibile in quanto all'interno di una stessa specie esistono differenze
genetiche tra gruppi o nuclei che vivono in habitat diversi.
        Le diverse popolazioni appartenenti ad una stessa specie animale hanno infatti
selezionato un proprio particolare patrimonio genetico tipico di quella popolazione per
adattarsi in modo ottimale ad un determinato habitat. Lo studio di particolari
sequenze di DNA (“microsatelliti”) ha permesso di osservare che esistono differenze
sostanziali non solo quando sono visibili fenomenologicamente, come tra elefanti
indiani e africani, ma anche tra gruppi morfologicamente simili che popolano habitat
vicini ma diversi.
Negli zoo la “confusione genetica” raggiunge livelli altissimi in quanto le provenienze
degli animali sono molto variegate per cui una eventuale progenie avrebbe un
patrimonio genetico non corrispondente a nessuno di quelli presenti in natura.
        La riproduzione negli zoo invece di preservare la biodiversità diventa un fattore
di diminuzione della biodiversità, perché sottrae di fatto porzioni di patrimonio
genetico segregandole in cattività, rendendole inutilizzabili al rinsanguamento delle
popolazioni naturali e creando delle combinazioni artificiali non corrispondenti ad
alcuna delle tipologie presenti in natura.
        L'utilità della tutela è condizionata inoltre dalla effettiva possibilità di arrivare ad
un numero sufficiente di nascite. Le nascite in realtà sono poche e servono solo come
pubblicità alla struttura senza alcuna ricaduta pratica. Ad esempio le popolazioni di
elefanti in cattività in Europa e negli Stati Uniti, centinaia di esemplari, non sono in
grado di sostenersi autonomamente.
        La tutela ambientale, per essere veramente tale, dovrebbe puntare alla
reintroduzione in libertà degli animali, cosa che è praticamente impossibile per una
serie di motivi.
        In primo luogo si devono considerare le conseguenze della consanguineità
(inbreeding) che, nelle piccole popolazioni (come quelle degli zoo), dà luogo ad un
patrimonio genetico poco variato, e gli animali sono di conseguenza più vulnerabili e
meno adatti a sopravvivere in libertà. Quindi gli animali eventualmente riprodotti non
sopravviverebbero se fossero rilasciati in libertà.
Se nella vita libera arrivassero comunque a riprodursi inquinerebbero il patrimonio
genetico delle popolazioni presenti indebolendole, così per esse diminuirebbe la
possibilità di sopravvivenza invece di migliorare.
        In secondo luogo gli animali sono spesso in pericolo di estinzione non solo per
effetto della caccia ma anche per la distruzione del loro habitat. Di conseguenza la
reintroduzione è impossibile perché gli ambiti territoriali non ne permetterebbero la
sopravvivenza, e i nuovi arrivati avrebbero le stesse difficoltà dei preesistenti che si
sono estinti o sono in grave pericolo.
        In terzo luogo l'animale nato e vissuto negli zoo manca di tutte le conoscenze
che si sviluppano nella vita naturale, soprattutto per opera delle cure parentali.
Inevitabilmente hanno modalità di comunicazione diverse da quelle delle popolazioni
naturali per cui sono a fortissimo rischio di rimanere isolati, conducendo una vita
solitaria e non essendo utili alla riproduzione; nei casi più gravi possono addirittura
essere aggrediti dai loro consimili.
La nascita in ambiente artificiale li priva delle conoscenze utili a sopravvivere in
libertà, come ad esempio l'esperienza e l'abilità non solo per interagire con gli
eventuali avversari ma anche per procurarsi il cibo: manchevolezze che mettono a
grave rischio la loro vita.

       In conclusione la finalità di tutela è solamente utopica in quanto non è
praticamente possibile riuscire a rinfoltire le popolazioni allo stato selvatico sia perché
la tipologia genetica della eventuale prole sarebbe un fattore di inquinamento genetico
con conseguenze negative per i consimili liberi sia perché la sopravvivenza
nell'ambiente sarebbe minima rispetto al numero di animali liberati.

Attività scientifiche, opportunità per formazione e ricerca
        La ricerca condotta su animali che vivono in ambiente artificiale come negli zoo
ha pochi riferimenti rispetto alla complessità della vita libera degli animali e delle loro
abitudini.
Molte delle ricerche prodotte in verità servono principalmente per giustificare la
presenza degli animali esotici negli zoo senza apportare elementi importanti di
aggiornamento scientifico, in quanto relative ad una tipologia di vita in stato di
confinamento che non può essere comparata con la vita in libertà; quindi non hanno
valore universale.
        La formazione in tal modo si riferisce prevalentemente alla vita in stato di
cattività e le conoscenze acquisite negli zoo non sono utili per poter comprendere e
operare sugli animali liberi, in quanto troppo distanti sono i comportamenti, le
esigenze, le abitudini di questi animali nelle due diverse situazioni.
        Le uniche ricerche con valore scientifico sono quelle sulle conseguenze indotte
negli animali dalla cattività, con un significato però ben diverso perché porta alla
conclusione della necessità di porre fine all'esperienza degli zoo e non della loro
continuazione.       Infatti, quando si promuovono ricerche mirate alla valutazione
oggettiva della vita degli animali negli zoo, emergono criticità più che positività, a
dimostrazione della negatività del confinamento e della non validità degli zoo. Al
riguardo si può ricordare il corposo lavoro di Clubb e Mason.1

Il significato educativo
       Il messaggio educativo degli zoo e dei parchi zoologici è contraddittorio rispetto
alla realtà in quanto parrebbe comunicare che sia possibile la conservazione della
natura, in questo caso degli animali, all'interno di strutture artificiali. Si diffonde così
l'idea che l'artificiale si possa sostituire al naturale, e si capovolge la realtà, perché la
conservazione non può che essere il mantenimento dello stato naturale e non ricreare
la naturalità con l'artificio. Se poi si ricorda che gli animali negli zoo non
rappresentano e non possono rappresentare un patrimonio genetico naturale, in
quanto si ha una ricombinazione casuale di patrimoni genetici molto diversi, si
comprende che il messaggio è totalmente diseducativo poiché si induce la convinzione
che si possa fare a meno della natura e che essa si possa conservare artificialmente.
       Si promuove altresì l'idea che le specie possano essere preservate a parte
rispetto al loro intero ecosistema, mentre è noto che tutelare l'habitat è la sola via per
una effettiva conservazione. Questo tipo di messaggio è a sua volta diseducativo in
quanto induce il pensiero che l'essere umano possa distruggere a suo piacimento la
natura per poi ricrearla anche solo in parte.
Il concetto è esattamente all'opposto rispetto a quello fondamentale per la
conservazione della biodiversità, per cui la salvezza della natura passa attraverso la
difesa della sua varietà, che è messa a repentaglio dalla distruzione degli ambienti
naturali.

1
       R Clubb, G Mason “A Rewiew of the Welfare of Zoo Elephants in Europe “ Report commissioned by th
RSPCA – Univ. Oxford, Animal behaviour research group, Department of Zoology.
In aggiunta gli animali in cattività non possono essere educati alla vita allo stato
libero, e questo diventa un problema per una eventuale reintroduzione e quindi per
una vera conservazione delle specie. Quindi anche questo messaggio educativo –
dell'importanza delle strutture di mantenimento per la loro conservazione – è errato e
controproducente.
        Praticamente l'unica funzione svolta dagli zoo è quella di presentare la visione
degli animali in un modo però totalmente fuorviante rispetto alla loro natura. E' la
riproposizione di quell'approccio che da sempre contraddistingue gli esseri umani che,
considerando gli animali come inferiori, li utilizzano a loro piacimento oppure li
considerano figure da ammirare per le loro forme estetiche di cui si apprezza la
bellezza nella diversità.
        Nel complesso si perde ineluttabilmente il significato vero della naturalità degli
animali, il loro essere diversi dagli esseri umani ma rappresentare una varietà una
ricchezza che va preservata per tutelare la biodiversità complessiva del pianeta, la
perdita della quale comporta la scomparsa di specie che non potranno più tornare.
        Inoltre il confinamento dell'animale accresce la convinzione che gli altri esseri
umani siano “per natura” inferiori all'essere umano e che questi ne possa fare uso a
suo piacimento, metterli in vetrina quando pare ma anche usarli in qualsiasi modo,
anche il più crudele.
        La visione dell'animale confinato, segregato, in parte richiama l'attenzione dello
sguardo sull'aspetto dell'animale, sulla sua bellezza o prestanza fisica, nel contempo
però trasmette un significato intrinseco di supremazia umana che porta ad un
rapporto distorto perché non paritario con l'altro essere, esperienza che soprattutto
per i giovani può essere fuorviante e instillare una falsa idea del rapporto dell'uomo
con gli altri esseri viventi animati e inanimati, come hanno scritto autori diversi di
psicologia tra i quali si può ricordare Annamaria Manzoni1.
        Al giorno d'oggi sono più utili per la conoscenza degli animali i filmati, che
permettono di vedere gli animali nel loro habitat e quindi di apprezzarne la varietà, la
bellezza e la complessità dei loro comportamenti. In verità occorre spendere qualche
parola anche sul fatto che i filmati spesso indulgano in maniera eccessiva su alcuni
aspetti che si ritiene siano più suggestivi, quali la predazione nelle specie predatrici,
magari a scapito di altre attività, quali l'esplorazione del territorio o il gioco o
l'educazione dei piccoli che sono sicuramente meno forti ma più formative.
        Il risultato complessivo è che, anziché essere un momento educativo, gli
animali negli zoo rappresentano una visione distorta della realtà, diffondono una
convinzione errata sui sistemi di conservazione della biodiversità e presentano
tipologie sociali degli animali che non corrispondono assolutamente alla realtà della
vita libera.

      A ciò si devono aggiungere le valenze educative psicologiche della visione di un
animale libero in uno stato di confinamento.

  1
         A. Manzoni In direzione contraria, ed. Sonda, 2009
Quali sono invece le conseguenze dirette per gli animali?

Le nascite negli zoo
        Le nascite negli zoo sono molto pubblicizzate ma non rappresentano quello che
viene loro attribuito. Come detto non sono di utilità per la conservazione delle specie e
neppure indicano un buon livello di benessere. La riproduzione di un animale è
l'espletamento di una funzione fisiologica determinata anche dai comportamenti
etologici, quali la ricerca del partner, la cerimonia dell'accoppiamento. Le molteplici
negatività connesse alla vita in cattività non vengono certo meno con la semplice
procreazione degli animali, ed essa non può far dimenticare che negli zoo sono
permanentemente negate le principali azioni etologiche, dalla ricerca del cibo
all'esplorazione del territorio ai rapporti con i consimili; inoltre gli animali sono
sottoposti ad una continua pressione psicologica dalla presenza delle persone e dalle
stimolazioni connesse.
        La procreazione inoltre non segue le modalità etologiche, in quanto in natura
l'accoppiamento è inserito in una serie di comportamenti che comprendono la ricerca
del partner, e quindi l'esplorazione del territorio, le cerimonie nuziali, ovvero il modo
in cui i partner si cercano e si conoscono e infine si ha l'accoppiamento. E' del tutto
evidente che negli zoo il processo è molto semplificato e ciò può essere un motivo
della bassa attività riproduttiva degli animali in confinamento. Pertanto non si può
pensare che, permettendo un solo comportamento fisiologico, per di più molto alterato
rispetto all'etologia, si possa portare giovamento, se permangono le altre gravi
criticità.    Avviene così che proprio la scarsità delle nascite sottolinea non già il
benessere ma il malessere degli animali.

Il benessere
        Negli zoo vi è una inevitabile difficoltà a rispettare i bisogni etologici e fisiologici
degli animali, per quanto riguarda più fattori.
        E' ormai universalmente riconosciuto che l'ambiente di vita è un fattore
determinante per il benessere degli animali mantenuti in qualsivoglia situazione di
cattività. Il confinamento incide profondamente sulla salute psico fisica degli animali
poiché con tutta evidenza la loro vita è correlata con l'ambito in cui si espleta.
L'etologia ha dettagliato esattamente i comportamenti naturali che esprimono le
necessità fondamentali per gli animali. Per esemplificare si possono riassumere con il
Rollin1 i “comportamenti” naturali degli animali: “condizionamento e apprendimento,
capacità sensoriali, abitudini generali, comportamento riproduttivo, comportamento di
alimentazione e comportamento sociale”. Sono tutte espressioni delle attività proprie
degli animali. Così pure le “Cinque libertà” , che indicano i bisogni fondamentali da
rispettare per gli animali in cattività, nell'ultima versione formulata dal Farm Animal
Council elencano:

- libertà dalla fame e dalla sete (con cibo e acqua adatti per qualità, quantità e
accessibilità)
- libertà dal disaggio (con un ambiente adeguato)
- libertà dal dolore (rapide diagnosi e terapie tempestive e adeguate)
- libertà di esprimere un comportamento specie specifico
- libertà dalla paura dal timore (anche mentale)

1
       B. Rollin, Il lamento inascoltato, ed. Sonda, 2011
Complessivamente si evince che per favorire una sistemazione adeguata occorre
garantire situazioni ambientali che rispondono il più possibile alle necessità etologiche
oppure alle cinque libertà.
      Il problema delle condizioni ambientali da realizzare negli zoo e nei parchi
zoologici è di non facile soluzione in quanto si trovano animali di specie molto diversa,
con esigenze etologiche anche contrapposte: si pensi ad esempio alla possibile
convivenza di specie predatrici e predate.

 Ancora ci sono specie che hanno esigenze particolari, ad esempio di vita notturna, ed
altre che in libertà sono caratterizzate da habitat estesi, che cioè esplorano
quotidianamente grandi territori.
        Un esempio della difficoltà di corrispondere ai bisogni viene dall'analisi
dell'alimentazione. Negli zoo questa è fornita dagli esseri umani mentre in natura è
un'attività di assoluto rilievo che prevede la ricerca del cibo con tutte le attività
connesse di esplorazione del territorio. In cattività non si sviluppano inoltre i pattern
comportamentali collegati a tutte le esperienze possibili solo in natura. Tra queste, il
confronto con animali di altre specie, predatorie o predate, l'esplorazione del territorio
e il riconoscimento delle sue caratteristiche, la ricerca delle variazioni intervenute
nell'intervallo tra due successivi passaggi nello stesso posto. Tutte queste attività
sollecitano l'intelligenza degli animali e sono invece negate in cattività per cui
facilmente subentra la noia.
A conferma di ciò si è osservato che gli elefanti africani e asiatici nei loro ambienti
naturali utilizzano tra il 40% e il 75% del loro tempo nell'attività di alimentazione1. In
particolare, gli elefanti asiatici possono consumare tra 33,6-44,4 kg di erba per 12
ore2 che equivale ad una percentuale variabile tra 1,5-1,9 % del loro peso corporeo.
Inoltre, gli elefanti africani del Delta dell'Okavango3 possono percorrere 30 - 50 km in
una sola giornata4 e si è calcolato che spendono il 57% delle ore di luce in movimento
e alimentazione.
Al contrario, e inevitabilmente, l'attività fisica è molto limitata nei giardini zoologici e il
pascolo non è disponibile nel 90% dei giardini zoologici europei che mantengono
elefanti asiatici5.
               Non è contestabile che negli zoo, qualunque sia la struttura
realizzata, non è possibile fornire agli animali la libertà di movimento e la
qualità dell'ambiente naturale. E ciò vale per tutte le specie.
        Gli studi rilevano che la sistemazione offerta agli animali in cattività è
insufficiente e questa causa una diminuzione delle attività. Così ocelot, giraffe e okapi
in cattività sono meno attivi         rispetto ai loro omologhi selvatici6,7, anche se la
differenza non è quantificata per tutte le specie. In uno studio comparativo tra i
bilanci di tempo di giraffe selvatiche e in cattività, gli ungulati in confinamento hanno
1
          Sukumar, R. (2003) The living elephants – evolutionary ecology, behaviour, and conservation. Oxford
University Press, New York, USA
2
          Sukumar, R. (1992) The Asian elephant: ecology and management. Cambridge University Press, Cambridge,
UK
3
          Evans, K. personal communication
4
          Leuthold, W. (1977) Spatial organization and strategy of habitat utilization of elephants in Tsavo National
Park, Kenya. Zeitschrift für Säugetierkunde 42: 358-379
5
          Taylor, V.J. & Poole, T.B. (1998) Captive breeding and infant mortality in Asianelephant: a comparison
between twenty western zoos and three eastern elephant centers. Zoo Biology 17: 311-332
6
          Veasey, J.S., Waran, N.K. & Young, R.J. (1996) On comparing the behaviour of zoohoused animals with wild
conspecifics as a welfare indicator, using the giraffe (Giraffa camelopardalis) as a model. Animal Welfare 5: 139-153
7
          Weller, S.H. & Bennett, C.L. (2001) Twenty-four hour activity budget and patterns of behavior in captive
ocelots (Leopardus pardalis). Applied Animal Behaviour Science 71:67-79
trascorso in media più tempo in movimenti stereotipi rispetto a quelli liberi,(42 %
contro 23%). Anche quando gli Autori hanno confrontato gli zoo che più si
avvicinavano alle condizioni selvatiche dimensioni e struttura dei recinti, è ancora
stata notata una differenza significativa nel tempo di alimentazione (76,9% in libertà,
26% nello zoo) e negli atteggiamenti stereotipi (0% selvatico, circa il 13% zoo)7.
       Oltre ad essere limitato, l'ambiente negli zoo è nella maggioranza dei casi poco
stimolante e di fatto rende impossibile il gioco. In natura il gioco svolge una forte
funzione di stimolo intellettivo e si esplica nell'interazione con l'ambiente naturale, con
i parenti e con i consimili. E' evidente che tali fattori non sono disponibili negli zoo, o
solo alcuni di essi, come la presenza di qualche consimile o della prole, le rare volte
che gli animali si riproducono. Viene pertanto a mancare un altro elemento di stimolo
della funzione cerebrale la cui assenza aumenta la possibilità che si instauri uno stato
di noia.
       Gli animali inoltre sono costretti a stimolazione continua per la presenza delle
persone e non possono usufruire di aree dove sottrarsi alla loro vista, perché
cesserebbe lo scopo di “metterli in mostra”.
       Non hanno infine una vita sessuale etologica, che in natura non si risolve nel
semplice atto dell'accoppiamento ma si inserisce nell'attività di esplorazione del
territorio, richiede una ricerca, impone il rispetto delle cerimonie che precedono
l'accoppiamento per vincere la concorrenza dei conspecifici: tutti fattori che sono
assenti negli zoo.
       L'ambiente quindi, non rispondendo alle necessità fisiologiche ed etologiche,
diventa una causa, riconosciuta scientificamente, di stress, il quale è di per sé motivo
di sofferenza e di abbassamento delle difese organiche, condizioni che si possono
ripercuotere negativamente sulla sopravvivenza degli animali.
       Le ricerche hanno dimostrato che il processo per cui un ambiente di cattività
può indurre stress è valido per tutte le specie animali e si presenta anche negli animali
degli zoo.
Ad esempio si vedano gli studi di Kurt e Coll.1, e Gruber e Coll.2 sulle stereotipie negli
animali in cattività, comportamenti ripetitivi senza finalità pratica, che sono ritenuti
indicatori etologici di malessere.
       Anche le ipotesi per cui lo stress determina un abbassamento delle difese
immunitarie e può rendere gli animali in cattività più facilmente aggredibili dalle
patologie con una minore longevità rispetto agli animali selvatici, è stata confermata
da ricerche apposite. Lo stress agisce negativamente anche perché sottopone il fisico
ad un continuo sforzo di adattamento che lo usura e lo rende meno adatto a reagire
agli assalti dei germi e contribuisce a creare condizioni fisiche generali più deboli
rispetto all'età anagrafica; in questo senso si può affermare che gli animali in cattività
mostrano segni di invecchiamento più celermente rispetto alla vita libera.
La sopravvivenza degli animali differisce significativamente tra animali che conducono
una vita libera e quelli in condizioni di confinamento.
       Uno studio sulla sopravvivenza media di un campione di 4500 elefanti ha
confrontato valutato la durata della vita tra gruppi di elefanti viventi negli zoo, sia lì
nati sia nati liberi e poi rinchiusi, confrontandola con l'età media della mortalità
naturale. Il tasso di sopravvivenza era molto più elevato negli elefanti delle riserve
naturali rispetto ai gruppi presenti negli zoo, con una differenza di 20 anni (50 anni di

1
          Kurt F , Garai M (2001) Stereotypies in captive Asian Epephants – a symptom of social isolation. Abstracts of
the International Eelehant and Rhino research Symposium, Vienna, Austria, Schulling, Munster.
2
           Gruber T.M., Friend T,H. , Gardner J.M. Packard J.M., Beaver B., Bushoing D. (2000) Variation in
stereotypic behavior related to restraint in circus elephants. Zoo Biology 19:209-221.
sopravvivenza negli zoo rispetto ai 70 delle riserve naturali, che non vanno confuse
con parchi zoo variamente definiti).1
       Considerato che i gestori degli zoo hanno interesse a garantire la salute e la
sopravvivenza dei propri animali, è evidente che la marcata differenza tra la vita
naturale e quella di cattività induce alla conclusione che sia la differenza della tipologia
di vita ad incidere in maniera importante sulla diversità dei risultati. A conferma si può
citare il lavoro di Clubb e Mason nel quale si afferma che la mortalità è un indice di
benessere povero, cioè di malessere.2 Altri studi, quale quello di Kurt e Mar3 hanno
approfondito il tema della mortalità neonatale negli elefanti asiatici presenti negli zoo,
rilevando dati peggiori rispetto alla vita libera.
       Le ricerche si riferiscono spesso agli elefanti, perché è una popolazione
molto diffusa nelle strutture e rappresenta quindi un campione facilmente
studiabile, i risultati ottenuti sono però estrapolabili alle altre specie in
quanto le condizioni di base che vengono chiamate in causa dalla ricerca,
cioè la differenza della vita libera rispetto alla cattività, sono uguali in tutte
le specie di animali mantenute in cattività in quanto per tutti valgono gli
stessi principi di negazione dei basilari bisogni della vita libera.

Lo stress e le sue manifestazioni
       Allo stato attuale delle conoscenze, gli Autori sono pressochè concordi nel
riconoscere il meccanismo con il quale un ambiente inadatto genera sofferenza negli
animali. Qualunque animale quando viene immesso in un ambiente che non permette
l'espletamento dei suoi comportamenti naturali (etologici) subisce un danno e cerca di
adattarsi alla nuova condizione. Lo sforzo dell'organismo è stato descritto da Selye4
come “Sindrome generale di adattamento” che è la causa dello stress, termine che ha
poi prevalso nell'uso scientifico e comune. Se le condizioni ambientali non sono troppo
negative, l'individuo può assuefarsi, lo stress rimane contenuto o superato del tutto.
Se, al contrario, le condizioni sono molto negative l'organismo non può arrivare ad un
adattamento e si instaura uno stato di stress cronico o meglio di “distress”.
       Lo stress cronico quindi è causa di sofferenza, intesa come “la percezione o la
sensazione di un incombente evento rovinoso o di un danno; la sopportazione o la
sottomissione ad uno stress fisico o mentale, dolore o danno” (Gaynor e Muir)5.
       Lo stress provoca delle conseguenze sugli organismi, attraverso l'attivazione
dell'asse ipofisi-cortico-surrenale (che determina la produzione di corticosteroidi) e
dell'asse simpatico-medullo-surrenale (che controlla l'emissione di catecolamine). A
loro volta gli ormoni sollecitano a cascata altre importanti modificazioni, ad esempio
l'aumento di produzione dell'ormone della crescita e dell'insulina, così come
l'accelerazione del battito cardiaco: tutti elementi indicatori di uno stato di stress.
Nell'insieme queste alterazioni hanno ricadute negative sulla redditività degli animali
(minore crescita ponderale) e sullo stato di salute, con una maggiore possibilità di
insorgenza di malattie per la depressione delle difese immunitarie.

1
         Ros Clubb, Marcus Rowcliffe, Phyllis Lee, Khyne U. Mar, Cynthia Moss, Georgia J. Mason “Compromised
Survivorship in Zoo Elephants” Science, vol. 322, 12.12.2008.
2
         Ross Club, Gergia Mason “A Rewiew of the Welfare of Zoo Eelphants in Europe “ Report commissioned by
th RSPCA – Univ. Oxford, Animal behaviour research group, Department of Zoology.
3
          Kurt F, Mar K.U. Neonate mortality in captive Asian elephants (elephas maximus) Zeischrift fur
Saugetierekunde 61:155.164.
4
         H. Selye The Stress of Life McGraw-Hill (Paperback,) (1956)
5
        J.S. Gaynor, W.W. Muir ,Pain and Stress Handbook of veterinary Pain Management, 2002-09
E' possibile identificare una serie di “indicatori”, che sono parametri oggettivi il
cui scostamento rispetto ai valori normali indica la presenza di stress; esistono
indicatori fisiologici,     patologici, produttivi ed etologici. Gli indicatori etologici
permettono di oggettivare e catalogare gli atteggiamenti e i comportamenti innaturali
degli animali, come conseguenza dello stress.
        Oltre che attraverso gli indicatori, lo stress degli animali negli zoo può essere
valutato facendo riferimento alle “cinque libertà” citate in precedenza, poiché la
violazione di una o più libertà, determina una condizione di negatività e malessere, in
modo proporzionale alla gravità gravità della privazione. Le “cinque libertà” sono
molto interessanti ai fini valutativi perché hanno un significato predittivo, in quanto
dall'analisi di quanto esse vengano garantite agli animali detenuti, si può prevedere se
deriveranno loro delle conseguenze negative. Dunque, mentre gli indicatori
evidenziano la presenza dello stress, le “cinque libertà” permettono di prevedere se la
situazione analizzata potrà causare una risposta negativa dell'animale prima ancora
che essa si manifesti.
        E' quasi comprensibile che i gestori delle strutture cerchino di contrastare i
segnali negativi, modificando soprattutto gli indicatori produttivi e patologici che sono
quelli più suscettibili a trattamenti farmacologici, e facendo sì che gli animali diano
risposte fallacemente negative, ovvero apparentemente normali perché corrette con le
terapie. Ad esempio l'indice di natalità – che è uno degli indici produttivi spesso
enfatizzati - può essere migliorato appositamente con l'inseminazione artificiale o con
medicinali ormonali. Pure i parametri fisiologici possono essere falsati, perché le
metodiche di rilievo, come il prelievo di campioni ematici, è di per se stesso un
possibile motivo di stress. Per ovviare a tali criticità, sono in uso da qualche tempo
sistemi di controllo che non prevedono un maneggiamento dell'animale: si può
ricorrere al controllo del cortisolo fecale, che non necessita di alcuna partecipazione
dell'individuo, ma che non riesce a fornire risposte utilizzabili se in uno stesso
ambiente sono collocati più animali. E' stato così messo a punto un sistema per
determinare il cortisolo salivare facendo masticare agli animali una spugna imbevuta
di sostanze a loro appetibili. In tal modo non si turba il soggetto e gli esiti sono anche
individuali.
        Il rilievo degli indicatori etologici non coinvolge direttamente l'animale,
semplicemente osservato per un congruo periodo di tempo e permette di evidenziarne
le etoanomalie (cioè comportamenti innaturali). L'unica accortezza per l'osservatore è
di scegliere una posizione che non disturbi l'animale in esame; negli zoo le
osservazioni etologiche sono pertanto facilitate.

Tra i comportamenti che costituiscono indicatori etologici di stress sono da molto
tempo note le stereotipie, con gli animali che percorrono incessantemente il perimetro
o anche solo un lato della gabbia o del recinto.
        Le ricerche hanno osservato che le stereotipie sono più comuni nei carnivori in
cattività durante le ore crepuscolari, quando in natura sono fisiologicamente più attivi
(Weller & Bennett)1; parimenti possono intensificarsi stagionalmente – come nel caso
dell'orso bruno - in corrispondenza dei periodi in cui l'attività di ricerca del compagno
è più sviluppata (Carlstead & Seidensticker ).2

1
         SH. Weller , CL Bennett 2001 Twenty-four hour activity budget and patterns of behavior in captive
ocelots (Leopardus pardalis). Applied Animal Behaviour Science 71: 67-79
2
         K Carlstead , J Seidensticker J 1991 Seasonal variation in stereotypic pacing in an American black
bear, Ursus americanus. Behavioural Processes 25: 155-161
Le percentuali di presenza delle stereotipie variano ampiamente nei carnivori
presenti negli zoo, così si è rilevata una media dello 0,16% delle osservazioni in volpi
rosse (Vulpes vulpes) , del 30% in leoni (Panthera leo) e fino al 60% nelle tigri
(Bashaw et al 20031; Clubb & Mason )2
Per quanto riguarda gli elefanti negli zoo, Clubb e Mason 3 hanno riportato il 4% delle
stereotipie.
Ancora altri ricercatori (Mallapur & Chellam 4; Montaudouin & Le Pape5) hanno
osservato che gli orsi nello zoo e leopardi (Panthera pardus) hanno un passo di
ampiezza minore, e i pappagalli in cattività mostrano più stereotipie orali e locomotore
in gabbie sterili rispetto a quelle con arricchimenti (Meehan et al.6).
        Il movimento stereotipo di “tessitura” o “weaving” degli elefanti, ovvero il
ciondolare la testa alternativamente a destra e a sinistra, è di rilievo abbastanza
frequente, anche se da alcuni si sostenga che aiuti la circolazione come il camminare
in libertà. (Friend7). Se anche la “tessitura” servisse ad attivare la circolazione, questo
non modifica il fatto che la sua espressione rientra tipicamente nella definizione di
stereotipo ovvero di comportamento ripetuto ossessivamente. La finalità, qualora
fosse dimostrata, di essere utile alla circolazione sarebbe una testimonianza ulteriore
del malessere dell'animale che cerca di sopperire alle condizioni di forte negatività,
così un tale comportamento diventa in ogni caso denuncia dello stress dell'animale.
        Da qualche tempo si è pensato di introdurre all'interno delle gabbie e dei recinti
degli oggetti in grado di stimolare gli animali sollecitando la loro curiosità e
stimolandoli mentalmente per contrastare lo stress. Secondo Desmond & Laule 8
l'accorgimento produrrebbe benefici effetti sulla capacità riproduttiva negli zoo. E'
bene tuttavia sottolineare che tali oggetti, definiti tecnicamente “arricchimenti”, sono
utili in maniera proporzionale alle condizioni fornite agli animali. Se le situazioni sono
fortemente negative, ben difficilmente gli arricchimenti riusciranno a compensarle; al
contrario se le condizioni sono più vicine ai bisogni degli animali, l'effetto sarà più
consistente.

       Un altro elemento cui porre attenzione è la tipologia degli oggetti, i quali
devono essere scelti in modo corrispondente all'etologia dell'animale. Anche la
tipologia della gabbia o del recinto entra nel concetto di arricchimento poiché quanto
più sarà conforme alle esigenze naturali tanto più porterà giovamento agli animali
insieme agli altri arricchimenti.

1
         MJ Bashaw, MA Bloomsmith, MJ Marr, TL Maple 2003 To hunt or not to hunt? A feeding
enrichment with captive large felids. Zoo Biology 22: 189-198
2
         R Clubb, G Mason G 2007 Natural behavioural biology as a risk factor in carnivore welfare: How
analysing species differences could help zoos improve enclosures. Applied Animal Behaviour Science 102:
303-328
3
         R Clubb, G Mason G 2003 Captivity effects on wide-ranging carnivores. Nature 425: 473-474
4
         A Mallapur, R Chellam R 2002 Environmental influences on stereotypy and the activity budget of
Indian leopards (Panthera pardus) in four zoos of southern India. Zoo Biology 21: 585-595
5
         S Montaudouin, G Le Pape 2005 Comparison between 28 zoological parks: stereotypic and social
behaviours of captive brown bears (Ursus arctos). Applied Animal Behaviour Science 92: 129-141
6
         Cl Meehan, JP Garner, JA Mench 2004 Environmental enrichment and development of cage
stereotypy in orange-winged Amazon parrots (Amazona amazonica). Developmental Psychobiology 44: 209-
218
7
        TH Friend 1999 Behavior of picketed circus elephants. Applied Animal Behaviour Science 62: 73-88
8
         T. Desmond and G. Laule G 1994 Use of positive reinforcement training in the management of
species for reproduction. Zoo Biology 13: 471-477.
Va però in ogni caso considerato che la vera risposta all'utilizzo
dell'arricchimento viene dall'animale stesso, se, infatti, nonostante la loro
disponibilità, si evidenzia la presenza di indicatori di qualsiasi tipo (fisiologici,
produttivi, patologici o etologici) che segnalano una sofferenza, è chiaro che ci si trova
di fronte ad una situazione di malessere tale sulla quale poco o nulla servono gli
arricchimenti.

        Complessivamente si devono sottolineare alcuni principi.
Innanzi tutto che le osservazioni sono significative non tanto per il rilievo puntuale cui
si riferiscono, ovvero le specie interessate e le modalità, quanto per il fatto che
confermano un assunto importante: la stereotipia, come la presenza di altri indicatori
di stress quali ad esempio l'aggressività, è di per sé il segno di una condizione
negativa per l'animale. Quand'anche fosse osservata per la prima volta in una specie
prima non considerata, la sua presenza è ineludibilmente associabile allo stress.
Infatti, come afferma Mason1, le stereotipie sono comportamenti ripetitivi senza scopo
apparente che si sviluppano quando un animale in cattività è impedito nell'esecuzione
di un comportamento altamente motivato, cioè sono il segno di una forte privazione
comportamentale dell'individuo animale.
        Insieme alle stereotipie, i comportamenti problematici di più comune
osservazione sono quelli di apatia, noia, disinteresse con gli animali che passano lungo
tempo abbandonati in maniera indifferente, totalmente ignorando quanto avviene loro
intorno. E' questo un atteggiamento che si deve differenziare dal riposo fisiologico.
Ogni animale alterna con un ritmo proprio i momenti di attività, di riposo e di sonno
propriamente detto. Nel riposo l'individuo animale non perde del tutto la sua reattività
ed è in grado, se si presenta una stimolazione esterna, di passare rapidamente allo
stato vigile; nella condizione di apatia, invece, l'animale non risponde agli stimoli se
non dopo un certo lasso di tempo e dopo che questi hanno superato una soglia di
attenzione molto più alta di quella presente nel riposo.
L'apatia è un indicatore etologico riconosciuto di stress e il fatto che essa sia
facilmente osservabile è un altro chiaro segnale del malessere degli animali nella vita
confinata all'interno degli zoo.

Le malattie
        Non solo si possono rilevare forme dovute alla immunodepressione indotta dallo
stress, come già detto in precedenza, ma anche patologie direttamente collegate alla
cattività indotta.
        La cattività può determinare direttamente il fatto che gli elefanti negli zoo, a
causa dello scarso esercizio fisico diventino obesi provocando delle conseguenze
negative alle zampe e ai legamenti (Kurt e Hartl) 2. In un controllo su 62 elefanti
asiatici e 5 africani in tre circhi e cinque zoo i veterinari hanno rinvenuto un'alta
incidenza di disordini di tipo reumatoide e in uno si è osservata un'artrite cronica e

1
          GJ Mason 1991a Stereotypies: a critical review. Animal Behaviour 41: 1015-1037
2
          Kurt, F. & Hartl, G.B. (1995) Asian elephants (Elephas maximus) in captivity – a challenge for zoo biological
research. In: Research and captive propagation (eds Gansloßer, U., Hodges, J.K. & Kaumanns, W.), pp. 310-326.
Finlander Verlag, Furth
zoppia1. La zoppia è una problematica comune non solo nei circhi 2ma anche negli zoo
ed è significativamente più rara negli elefanti liberi3.

Inoltre negli zoo in cui gli elefanti sono mantenuti in un ambiente con superficie in
sabbia, possono introdurre sabbia e anche sassi con grave detrimento per la loro
salute4
        L'immunodeficienza può essere il motivo per cui la trasmissione delle malattie è
più rapida e comune in cattività rispetto alla vita libera; per esempio, si è dimostrato
che gli elefanti africani trasmettono il l'herpes virus endoteliotropo (EEHV), mortale,
agli elefanti asiatici negli zoo europei.5 Le due specie, africana e asiatica, non si
incontrano in natura mentre la comunanza è possibile in cattività, anche perchè
spesso non ci si cura di tali particolari quando si allestiscono gli zoo. Il virus colpisce
gli elefanti molto giovani e causa anche aborti neonatali per cui costituisce un'ulteriore
minaccia al successo riproduttivo degli elefanti in cattività in aggiunta all'infanticidio i
all'abbandono della prole 11.
        Altri problemi sanitari derivano dal fatto che è difficile evitare il contatto tra la
fauna locale – attratta dal cibo - e gli animali degli zoo (e dei circhi); ciò può facilitare
la diffusione delle malattie. In Svizzera alcuni anni fa si è avuta una forma dovuta al
virus del cimurro, probabilmente trasmesso da animali selvatici (martore) che ha
colpito leoni e tigri6. E' vero che negli zoo le recinzioni sono previste sia per evitare le
fughe degli animali sia per impedire questo pericolo, ma è difficile riuscire ad evitare
totalmente ogni forma di contatto, anche perché gli uccelli possono svolgere un ruolo
importante nella trasmissione.

        Altre tipologie, bioparchi e simili
        Come accennato in precedenza, tutte le criticità appena discusse sono
ugualmente presenti nelle strutture che si stanno diffondendo e che appunto hanno
perso la dizione “zoo” a favore del termine “parco”. Le modalità di mantenimento degli
animali non differiscono sostanzialmente da quelle degli “zoo” e lasciare qualche
metro quadrato in più a disposizione non cambia la condizione degli animali. E' molto
significativo, al riguardo, come le nascite di cuccioli, di qualsivoglia specie siano
sempre molto limitate di numero e le poche che avvengono sono molto pubblicizzate
proprio per cercare di confermare l'idea di una sistemazione benevola per gli animali.
Si deve tenere inoltre conto del fatto che una maggiore disponibilità di spazio, che
rimane comunque insufficiente, non cambia la condizione dell'animale ancora di più
se, ad esempio, l'ambiente rimane spoglio e l'animale è mantenuto in forma solitaria.
1
          Clark, H.W., Laughlin, D.C., Bailey, J.S. & Brown, T.McP. (1980) Mycoplasma species and arthritis in
captive elephants. Journal of Zoo Animal Medicine 11: 3-15
2
          Lindau, K.-H. (1970) Lameness in circus elephants – a result of training? Verhandlungsberichte des 12
Internationalen Symposiums über die Erkrankungen der Zootiere: 129-131
3
          Schmidt, M. (1986) Elephants (Proboscidae). In: Zoo and Wild Animal Medicine (ed. Fowler, M. E.), pp. 883-
923. W. B. Saunders Company, Philadelphia
4
         Schulze, W. (1986) Zur Haltung von Elefanten im Zirkus mit Beruecksichtigung ihrer Minimalbeduerfnisse
[On the keeping of elephants in a circus with regard to their minimal environment]. Praktische Tierarzt 67: 809-811
5
          Fickel, J., Richman, L.K., Montali, R., Schaftenaar, W., Göritz, F., Hildebrandt, T.B. & Pitra, C. (2001) A
variant of the endotheliotropic herpesvirus in Asian elephants (Elephas maximus) in European zoos. Veterinary
Microbiology 82: 103-109
6
          D.L. Myers, A. Zurbriggen, H. Lutz, A. Pospischil . (1997) Distemper: not a new disease in lions and tigers.
Clinical and Diagnostic Laboratory Immunology 4: 180-184
Una tigre, che percorre in libertà, non avrà molto giovamento se il recinto è
leggermente più ampio, e non lo condivide neppure con un compagno.
Così confinare pinguini in un ambiente corredato da una vasca, non sarà di grande
giovamento se si considera che lo svago per loro non è di per sé il “mare”, ma lo è
l'ambiente di vita, di pesca, esplorazione, gioco. In una vasca senza grandi stimoli, gli
animali non hanno l'incentivo neppure per giocare, perché il gioco è il coronamento di
un'insieme di attività e ben difficilmente si sviluppa se è l'unica possibilità esistente.
Si tratta di due esempi, ma tali problematiche riguardano qualsiasi specie animale:
nella vita confinata una disponibilità maggiore di spazio, comunque sempre molto
ridotta rispetto alle caratteristiche etologiche degli animali che in natura hanno habitat
molto estesi, non cancella le negatività legate alla vita in cattività.

La Direttiva europea
        La legislazione europea nasce con un approccio “protezionista”, come tutte le
leggi europee e nazionali in materia, secondo il principio della “riduzione del danno”
ovvero della contenimento della sofferenza indotta dalle diverse situazioni
contemplate. Anche in materia di zoo si è seguita tale linea e si è legiferato
sollecitando gli zoo ad indirizzarsi verso obiettivi di formazione, ricerca e
tutela della biodiversità nel contempo chiedendo il rispetto di condizioni ambientali
non troppo negative.
        Il punto cruciale e contraddittorio del percorso è che si prevedono delle finalità
che sono impossibili da realizzare negli zoo, come si è evidenziato in precedenza,
tanto che esse si possono definire buoni propositi inarrivabili che servono a giustificare
la continuazione dell'attività ma non tengono conto dei risultati oggettivi delle ricerche
scientifiche, le quali hanno dimostrato che nessun obiettivo posto dalla Direttiva è
perseguibile dagli zoo.
Se già a livello scientifico si possono criticare le finalità legislative poste agli zoo per
giustificarne la permanenza, la situazione appare ben peggiore quando si analizza la
realtà: un'indagine effettuata presso numerosi zoo europei ha rilevato una serie di
gravi lacune gestionali.
In primo luogo si sono individuate diffuse carenze gestionali non solo amministrative
per quanto riguarda l'acquisizione e la provenienza degli animali, ma anche
relativamente alle condizioni strutturali stesse, quale scarsa manutenzione, mancanza
di arricchimenti, elementi pregiudizievoli per la condizione degli animali. In molti casi i
progetti educativi erano assolutamente scadenti e inadatti, e le attività di
ammaestramento continuavano pur essendo vietate, allo scopo, come ben si può
comprendere, di rendere gli animali di più interessante osservazione per i visitatori.
Anche molto grave il rilievo che gli operatori in servizio, in molti stati, non sanno
fornire cure adeguate agli animali.
        La ricerca concludeva affermando che la Direttiva europea non ha
raggiunto alcun obiettivo che si era prefissa.1 Quindi si può affermare che
non solo la Direttiva europea si basa su di una forte contraddizione in quanto
prevede finalità che non possono essere realizzate ma è pure largamente
disattesa

1
       The EU Zoo Inquiry 2011. www.euzooinquirv.eu
In conclusione

Gli zoo – e le strutture quali bioparchi e simili – sono obsoleti in quanto inutili a
raggiungere gli obiettivi scientifici che si vorrebbero loro attribuire.

       La tutela delle specie a rischio non ha significato reale in quanto riguarda una
piccolissima percentuale ( 2%) delle specie in pericolo secondo lo IUCN, e gli animali
allevati in cattività non sono adatti ad essere reintrodotti nell'ambiente.

        La ricerca scientifica si può definire parziale in quanto non fornisce dati
utilizzabili in senso assoluto poiché, essendo riferiti alla cattività, non corrispondono
alla vita naturale.

      Lo scopo educativo non è positivo e, soprattutto per i giovani, contribuisce a
formare un'idea erronea degli animali selvatici e a riproporre una visione
antropocentrica del rapporto tra gli esseri umani e gli altri esseri viventi.

       Invece è possibile dimostrare obiettivamente, e in misura sempre maggiore,
che le condizioni causano inevitabilmente una condizione di stress e quindi di
sofferenza per gli animali. Le etoanomalie presenti, soprattutto stereotipie e apatia, il
tempo di sopravvivenza minore in cattività che in libertà e l'alta mortalità infantile, la
presenza di forme patologiche sono elementi che confermano le negatività per i
selvatici di vivere in stato di confinamento.
A tal proposito si deve rilevare come tali criticità non siano adeguatamente conosciute
e pubblicizzate sia tra la popolazione sia tra gli amministratori pubblici.

      A ciò si deve aggiungere che la tecnologia odierna permette di osservare gli
animali con altri mezzi e strumenti che forniscono elementi di conoscenza ben più
approfonditi e reali di quella possibile nelle strutture dove gli animali vivono confinati.

       Complessivamente pertanto appare del tutto superata l'utilità di tali
strutture e pertanto si deve operare affinchè si giunga al riconoscimento
della loro obsolescenza e quindi alla chiusura.

                                                                          Enrico Moriconi
                                                                      Nato a Torino il 11.02.1949
                                                                 Medico Veterinario Dirigente SSN
                                           Componente Comitato Scientifico Nazionale Legambiente
                Componente Segreteria Reg. Legambiente Piemonte -Responsabile Settore Agricoltura
                                              Fondatore Associazione Veterinari per i Diritti Animali
                                 Fondatore Centro di Documentazione Eco-animalista del Piemonte
LAV Lega Anti Vivisezione
    Sede Provinciale di Torino
Via Balme 11/c - 10143 - TORINO

           011746392
        lav.torino@lav.it
       www.lavtorino.org

          www.lav.it
Puoi anche leggere