DISPENSA DIRITTO DI SCIOPERO
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http://www.abcdeidiritti.it/website/ https://www.fpcgil.it/?home DISPENSA DIRITTO DI SCIOPERO INDICE Lo sciopero e teorie sociali La disciplina giuridica dello sciopero Lo sciopero come diritto La titolarità del diritto di sciopero Effetti dello sciopero sul rapporto di lavoro Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali I limiti all’esercizio dello sciopero nei servizi pubblici essenziali La commissione di garanzia Le sanzioni dello sciopero nei servizi pubblici essenziali LO SCIOPERO E TEORIE SOCIALI Lo sciopero è il principale strumento a disposizione dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali per sostenere le proprie rivendicazione. Esso è l’astensione collettiva dal lavoro che comporta un danno economico e produttivo per l’imprenditore. Lo sciopero chiama in causa diverse teorie della società lo sciopero è un istituto centrale del diritto del lavoro. Nella nostra Costituzione, l’obiettivo del superamento della subalternità dei lavoratori subordinati è stato reputato talmente importante, da far conferire ai medesimi il diritto di accompagnare o di proseguire quelle battaglie costituzionalismo sociale. Ciò si denota anche al diritto di serrata non conferito all’imprenditore. Una volta riconosciuto il diritto al conflitto sociale, difficile è istituzionalizzarlo. Marx: lo sciopero, nella sua primigenia essenza di lotta qualificata dall’appartenenza a una classe, si è inserito perfettamente nel paradigma marxiano, come inizio di ribellione della classe sfruttata, e quasi come una prova tecnica dello sbocco rivoluzionario. A partire dagli anni ’80, lo sciopero ha subito profonde mutazioni: lo sciopero ha perduto, nel bacino dell’industria, una parte della propria importanza sociale. Per un verso, lo sciopero è aumentato di intensità nel settore dei servizi essenziali, rendendo necessaria una legge adeguata a regolarlo. LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLO SCIOPERO 1
Italia post-unitaria: «le intese degli operai allo scopo di sospendere, ostacolare e far rincarare il lavoro senza ragionevole causa» erano sanzionate come reato, tranne che nell’ex-Granducato di Toscana (Codice Leopoldino) (sciopero-reato). Codice penale Zanardelli (1889): lo sciopero è divenuto un comportamento penalmente tollerato se attuato senza violenza o minaccia, pur restando illecito (ergo, sanzionabile col licenziamento, oltre che con il risarcimento danni) (sciopero-libertà). Codice penale Rocco (1930): l’ideologia fascista, all’art. 502, proclama il reato di serrata e di sciopero per fini contrattuali. (sciopero-reato). Costituzione Repubblicana: l’art. 40 proclama lo sciopero come un diritto (sciopero-diritto). LO SCIOPERO COME DIRITTO L’art. 40 Cost.: «il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano» Lo sciopero costituisce: a) Un diritto soggettivo pubblico di libertà, che inibisce la legislazione penale di reprimere lo sciopero, salvo in ipotesi estreme; b) Un diritto soggettivo del lavoratore subordinato nei confronti del datore di lavoro, che consente nel diritto di astenersi dal lavoro per sciopero, il cui esercizio, pur implicando la perdita della retribuzione, vale ad escludere che l’astensione dia luogo a un inadempimento contrattuale. Nella Carta di Nizza dell’UE, all’art. 28, si proclama il diritto…di azioni collettive, tanto ai lavoratori quanto ai datori di lavoro, e alle rispettive organizzazioni, sebbene in conformità alle legislazioni e prassi nazionali (clausola di conformità). LA TITOLARITÀ DEL DIRITTO DI SCIOPERO La direttrice dell’opera interpretativa sul diritto di sciopero ha preso in considerazione la sola area del lavoratore subordinato, fatte salve circoscritte eccezioni caratterizzate dalla presenza di particolari esigenze di ordine pubblico. Tale equiparazione è venuta meno con la sent. 222/1975 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità della norma della serrata posta in essere dagli esercenti di piccole industrie privi di lavoratori alle proprie dipendenze, ritenuta in contrasto con l’art. 40 proprio perché la sospensione dell’attività di quei soggetti doveva in realtà qualificarsi come sciopero. Ne è derivata una tendenza espansiva, che ha condotto la Cassazione sui medici convenzionati al SSN) a riconoscere la titolarità del diritto di sciopero anche ai lavoratori parasubordinati, alla quale la Consulta ha posto un freno, facendosi interprete della dottrina di riportare le astensioni dei lavoratori autonomi sotto l’ombrello della libertà di associazione, come poi riconosciuto nella l. 146/1990. A ridosso della Costituzione, ha prevalso l’idea per cui il titolare del diritto di sciopero dovrebbe essere ritenuto non il lavoratore singolo, ma l’associazione sindacale. Oppure, il sindacato era ritenuto contitolare del diritto di sciopero assieme al lavoratore. Secondo la tesi che ha prevalso in dottrina, e affermatasi nella giurisprudenza e nella prassi, titolare del diritto di sciopero è, invece, ciascun singolo lavoratore. Lo sciopero è stato configurato, dunque, come diritto individuale ad esercizio necessariamente collettivo. Ciò comporta l’estromissione dell’associazione sindacale dalla fattispecie giuridica dello sciopero, senza togliere che la maggior parte degli scioperi sia preceduta dalla proclamazione da parte dei sindacati. Tale proclamazione non è però indispensabile. Uno sciopero può essere proclamato, o attuato, anche a prescindere da un sindacato, e quindi da parte di coalizioni occasionali di lavoratori, anche nel dissenso dei sindacati. Se il diritto appartiene a ciascun lavoratore, l’eventuale clausola contrattuale (di tregua sindacale) con la quale un’associazione sindacale si impegna a non ricorrere per certi periodo allo sciopero, è di natura meramente obbligatoria, e non normativa, dunque: a) Non incide nella sfera giuridica dai singoli lavoratori (anche se affiliati al sindacato firmatario della clausola in questione) b) Vincola, ed espone a sanzioni soltanto il sindacato o i sindacati che l’hanno sottoscritta. 2
Il TU Rappresentanza prevede che i contratti collettivi aziendali, approvati secondo la procedura prevista dal TU che definiscono clausole di tregua sindacale e sanzionatorie, finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti con la contrattazione collettiva, hanno effetto vincolante, oltre che per il datore di lavoro, per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori nonché per le associazioni sindacali espressioni delle confederazioni firmatarie del presente accordo, o per le organizzazioni che ad esso abbiano formalmente aderito, e non per i singoli lavoratori. Peraltro, in nome del principio dell’esigibilità del contratto collettivo, le parti firmatarie e le rispettive associazioni di categoria non debbono adottare iniziative in contrasto a un contratto collettivo approvato nel rispetto della regola di maggioranza, e prefigura la previsione, da parte dei CCNL, di sanzioni (anche pecuniarie) per le imprese e soprattutto per i sindacati in caso di violazione del divieto. La legge 146/1990 ha creato le condizioni di un governo sindacale del conflitto, conferendo alle organizzazioni sindacali il potere di stipulare accordi collettivi rivolti a individuare le prestazioni indispensabili, che debbono essere garantite anche in caso di sciopero. Tale tesi si scontra con la legge, ha confermato l’assunto della titolarità individuale con esercizio collettivo: Art. 2 soggetti che proclamano lo sciopero; Art. 3 soggetti che promuovono lo sciopero; Art. 4 organizzazioni dei lavoratori che proclamano uno sciopero; Art. 8 soggetti che---proclamano l’astensione La legge 146/1990 ha ritenuto possibile conferire alle parti sociali il potere di dettare norme regolatrici dello sciopero. Un modo di conciliare le diverse esigenze potrebbe essere quello di riconoscere la titolarità del diritto di sciopero direttamente all’organizzazione sindacale. Lo sciopero dovrebbe essere riletto, come un diritto a titolarità collettiva, cioè esercitabile da qualsiasi, seppure elementare, organizzazione collettiva di lavoratori, così come da un’associazione sindacale, e a esercizio individuale (liberà di partecipare o no). EFFETTI DELLO SCIOPERO SUL RAPPORTO DI LAVORO Il lavoratore che si astiene dal lavoro esercita il diritto di sospendere l’esecuzione della prestazione lavorativa, per cui non è inadempiente, e non può patire conseguenze negative, né disciplinari né risarcitorie, sul piano del rapporto di lavoro. È pacifico che la partecipazione a uno sciopero comporta, in applicazione del principio di corrispettiva sinallagmatica fra le prestazioni, la perdita della retribuzione. La sospensione dell’obbligazione retributiva non è circoscritta alla parte di retribuzione immediatamente compensativa della prestazione di lavoro, masi estende agli istituti retributivi differiti, come le mensilità aggiuntive. Il problema più discusso da giurisprudenza e dottrina è quello degli effetti dello sciopero articolato o parziale nei confronti di lavoratori non scioperanti. I non scioperanti potrebbero essere, nella realtà, sostanziali partecipanti all’azione di sciopero, pur essendo in quel momento teoricamente disponibili ad adempiere; per cui la messa di libertà dei medesimi da parte del datore di lavoro potrebbe mascherare una serrata di ritorsione nei confronti degli scioperanti. Oppure potrebbe trattarsi di dipendenti effettivamente estranei allo sciopero. La giurisprudenza affronta questa tematica separandola della valutazione sulla legittimità dello sciopero per cui «quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta…» estinto il diritto del lavoratore, la cui prestazione sia divenuta temporaneamente impossibile in conseguenza dello sciopero, di esigere la corrispondente retribuzione. La giurisprudenza tende a adottare un’accezione ampia di impossibilità, esonerando il datore di lavoro dall’erogazione retributiva non soltanto nei casi di impossibilità assoluta della prestazione lavorativa, ma anche in quelli di mera inutilizzabilità, o persino di non proficuità, della prestazione medesima. Questo orientamento è stato oggetto di critiche dottrinali (il rifiuto di retribuzione sarebbe una sanzione di fatto dello sciopero). 3
LO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI Negli scioperi di servizi l’arma è anche il danno provocato all’utenza, in merito però anche a diritti altrettanto o più importanti di quelli di sciopero. Negli anni ’80 del secolo scorso questo settore è divenuto sindacalmente esplosivo, per la proliferazione di nuovi sindacati, in genere “di mestiere” o “di professione”, inclini all’adozione di strategie fortemente rivendicative e conflittuali. La legge 146/1990 – elaborata con il sostanziale consenso politico dei sindacati confederali (e nel dissenso di quelli minori) – ed è stata congegnata in modo da lasciare ampio spazio, nella fase di attuazione, alla contrattazione collettiva, e dunque i sindacati stessi. Per bilanciare il sistema, è stata creata una Autorità indipendente, la Commissione di Garanzia. È stato altresì ridefinito più democraticamente il regime della precettazione. I LIMITI ALL’ESERCIZIO DELLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI Concetto guida: il diritto di sciopero, nell’ambito delle amministrazioni o delle imprese eroganti determinati servizi pubblici essenziali, deve esercitarsi nel rispetto del contenuto essenziale di determinati diritti della persona, tutelati costituzionalmente salvaguardia di un nucleo di diritti. L’art 1 contiene l’elenco di questi diritti, costituenti limiti esterni al diritto di sciopero vita, salute, libertà, sicurezza, libera circolazione, assistenza, previdenza sociale, istruzione, libertà di comunicazione. Versante più importante è quella dell’identificazione dei servizi rivolti a garantire il soddisfacimento di tali diritti. L’art. 1 precisa che l’enumerazione dei servizi contenuti in esso non precluda di identificarne altri, là dove siano funzionali al soddisfacimento dei diritti tutelati. Sono menzionati: la sanità; l’igiene pubblica; la protezione civile; la raccolta o lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli speciali; le dogane; l’amministrazione della giustizia; l’apertura al pubblico dei musei; protezione ambientale e vigilanza culturale; libertà di circolazione; assistenza e previdenza sociale: servizi di erogazione degli importi; istruzione quella pubblica, gli scrutini finali e gli esami superiori, gli universitari per gli esami conclusivi del ciclo di istruzione. Nell’ambito di applicazione così delineato, la direttiva della legge è per il bilanciamento fra diritto di sciopero e diritti della persona. Lo sciopero deve essere esercitato nel rispetto delle prestazioni indispensabili, tali da garantire l’effettiva tutela del contenuto essenziale. Lo sciopero può essere regolato soltanto limitatamente a tali prestazioni indispensabili. Le parti prima di proclamare uno sciopero, debbono attivare le procedure di raffreddamento e di conciliazione, finalizzate a una composizione pacifica del conflitto e previste dai contratti collettivi. Qualora non intendano adottare le procedure previste da tali contratti, debbono essere esperite dinanzi a un soggetto terzo (Prefetto, Ministro del Lavoro), a seconda del carattere del conflitto. Solo dopo tali procedure i soggetti possono proclamare lo sciopero. Deve esserci dunque una formale proclamazione, all’atto della quale debbono essere comunicati per iscritto, col rispetto di un termine minimo di preavviso di 10 giorni rispetto alla data prevista per l’azione, la durata, le modalità di attuazione, nonché le motivazioni dell’astensione collettiva del lavoro. Il preavviso (almeno 5 giorni) è finalizzato al rispetto degli obblighi di predisporre le misure indispensabili, tenute a garantire l’utenza, nonché comunicare tempestivamente l’elenco dei servizi garantiti. Un’eventuale revoca spontanea dello sciopero, dopo che v’è già stata l’informazione all’utenza (effetto annuncio) costituisce forma sleale di azione sindacale, valutata dalla Commissione per l’eventuale irrogazione delle sanzioni previste. Le disposizioni non si applicano: Astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale; Sciopero di protesta contro gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori La legge stabilisce che le parti debbono indicare intervalli minimi fra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione di quello successivo «quando ciò sia necessario a evitare che, per effetto di sciopero 4
proclamati in successione da soggetti sindacali diversi e che incidono sullo stesso servizio finale o lo stesso bacino di utenza sia oggettivamente compromessa la continuità dei servizi pubblici di cui all’art. 1» Da alcune delibere della Commissione di garanzia, discendono due regole: Rarefazione soggettiva: un sindacato che proclama uno sciopero non può proclamare un secondo sciopero nel medesimo servizio, se non dopo che sia trascorso un lasso di tempo dalla effettuazione del precedente; Rarefazione oggettiva: gli scioperi proclamati in un servizio debbono essere distanziati da un lasso di tempo, indipendentemente dal soggetto proclamante. Fermo il rispetto delle regole illustrate, deve svilupparsi l’attività dei contratti collettivi, rivolta a individuare, su rinvio della legge, le prestazioni indispensabili vere e proprie. Spetta ai contratti collettivi «disporre l’astensione dello sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori tenuti alle prestazioni e indicare le modalità per l’individuazione dei lavoratori interessanti, ovvero […] forme di erogazione periodica dei servizi», nonché di indicare gli intervalli minimi necessari per rispettare la regola della rarefazione, tanto soggettiva quanto oggettiva. Il rinvio è – nel settore privato – ai contratti collettivi senza specificazioni di rappresentatività. Una volta che i contratti collettivi in questione sono stati conclusi, le relative previsioni sono efficaci erga omnes a prescindere dall’iscrizione ai sindacati firmatari. LA COMMISSIONE DI GARANZIA La normativa in esame ha istituito una Commissione di garanzia dell’attuazione della legge, investita di importanti funzioni: Favorire in ogni modo l’accordo fra le parti in conflitto, convocandole in apposite audizioni o sollecitando le medesime a incontrarsi per confrontarsi sul problema oggetto della vertenza ed eventualmente a differire l’agitazione per procedere a un ulteriore tentativo di mediazione; Valutare l’idoneità dei contratti collettivi a proteggere i diritti dell’utenza; Riempire il vuoto lasciato dalle parti o riparare le idoneità tramite la formulazione alle parti di una proposta, con invito a recepire in un accordo collettivo i contenuti della stessa, nonché con l’adozione, nel caso che le parti non seguano l’invito, di una regolamentazione provvisoria degli scioperi nel settore, destinata a rappresentare l’unico parametro di individuazione delle prestazioni indispensabili da parte della Commissione; Segnalare in via preventiva le eventuali violazioni delle regole legali o contrattuali sullo sciopero, che emergono già dall’atto di proclamazione. Tale potere è molto utilizzato dalla Commissione, conoscendo gli errori nei quali sono incorse e di correggere la proclamazione, oppure di revocare lo sciopero e procedere a una nuova proclamazione. LE SANZIONI DELLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI Le sanzioni individuali sono di carattere disciplinare. Debbono essere proporzionate alla gravità dell’infrazione – art. 2016 c.c. – con esclusione di misure estintive del rapporto, cioè del licenziamento. Deve trattarsi di sanzioni conservative, tali da non comportare mutamenti definitivi del rapporto, e da irrogare nel rispetto della procedura e dei limiti di contenuto prescritti dall’art. 7 l. 300/1970. L’art. 4 detta sanzioni collettive destinate alle organizzazioni che proclamano uno sciopero. Nei confronti di esse sono previste: 1. La sospensione dei permessi sindacali retribuiti per la durata dell’astensione, tra un minimo di 2500€ e un massimo di 50000€, tenuto conto di vari elementi tra cui la gravità della violazione; 2. La sospensione, in alternativa a quella (a) o cumulativamente con essa per la durata dell’astensione, 3. della facoltà di riscuotere i contributi sindacali; 4. La possibile esclusione da qualunque trattativa sindacale per un periodo di almeno 2 mesi, a decorrere dalla cessazione dello sciopero effettuato in violazione delle regole legali; Sono previste sanzioni amministrative di carattere pecuniario per i rappresentanti legali delle P.A. che non abbiano fatto il possibile per garantire l’osservanza della legge. Se tutto ciò non funziona, esiste un rimedio estremo, la precettazione. Questo è un provvedimento amministrativo, con forma di ordinanza, la cui adozione presuppone l’esistenza 5
di un fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati. È possibile precettare, cioè comandare al lavoro, quote di lavoratori, tramite l’emanazione di un provvedimento del Presidente del Consiglio o di un Ministro, qualora il conflitto sia nazionale, o del Prefetto, qualora esso abbia un rilievo esclusivamente locale. L’attivazione di tale procedimento potrebbe avvenire soltanto a seguito di una indicazione in tal senso da parte della Commissione di garanzia. Nella prassi, l’autorità precettante procede spesso autonomamente, o sulla base della segnalazione preventiva inviata dalla Commissione. Qualora neppure la precettazione sia osservata, sono previste sanzioni amministrative pecuniarie, ma questa volta di rilevante importo [min. 500€ max. 1000€ per giorno di mancata ottemperanza], a carico dei soggetti inosservanti. I soggetti che promuovono lo sciopero possono impugnare il provvedimento di precettazione, entro il termine di 7 giorni dalla comunicazione dello stesso, davanti al Tribunale amministrativo regionale competente per territorio, qualora si ravvisino limiti di legittimità. http://www.abcdeidiritti.it/website/ https://www.fpcgil.it/?home 6
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