Attive quotidianità: il diritto dei bambini al movimento Everyday active routines: the children's right to move - Pensa ...

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Attive quotidianità:
                         il diritto dei bambini al movimento
                                          Everyday active routines:
                                       the children’s right to move

                                                                 Antonio Borgogni
                         Università degli Studi di Bergamo - antonio.borgogni@unibg.it

ABSTRACT
The article analyzes conventions, charts, and declarations aiming at the
recognition of the children’s right to move being inspired by recent interna-
tional documents regarding the theme of the movement through a rights-
based approach. The interpretation is based on the concept of capabilities
and, secondary, on unperceived rights unfolding the connection between
the right to move and the possibility to choose in the everyday life. There-
after, a typical day of an 8-year-old pupil is described through a phenomeno-
logical approach and sustained by data from several sources. The description
focuses on the possibility of the child to be, or not to be, active. This choice
is based, from one side, to highlight the complexity of the phenomenon and
the relevance of the choices of the adults (parents, relatives, teachers, train-
ers, animators) in promoting the movement, from the other side, to empha-
size the relevance in terms of rights in relation to geographical and
sociocultural variables influencing the possibilities to be active in everyday
life. The conclusions reflect on the actual situation about the respect of the

                                                                                         Formazione & Insegnamento XVII – 3s – 2019
                                                                                                    Codice ISSN 2279-7505 (on line)
                                                                                                        © Pensa MultiMedia Editore
                                                                                              Codice doi: 10.7346/-feis-XVII-03-19_02
right to move, and on the fundamental role of the school, ending with some
experimentation proposals.

Il contributo analizza le convenzioni, le carte, le dichiarazioni che tendono
al riconoscimento del diritto al movimento dei bambini ed è ispirato da al-
cuni recenti documenti internazionali che hanno affrontato il tema del movi-
mento con un approccio centrato sui diritti. Viene proposta una lettura del
tema dei diritti basata sulle capabilities e, in minor misura, dei diritti inavver-
titi da cui si evince quanto il diritto al movimento consenta possibilità di
scelta nella quotidianità. Con un approccio fenomenologico supportato da
dati di varie fonti, viene successivamente descritta la giornata di un bambino
di otto anni letta dal punto di vista delle possibilità, o delle impossibilità, di
fare esperienze di movimento. Tale scelta si basa su due fondamentali ra-
gioni: evidenziare la complessità del fenomeno e l’importanza che le scelte
degli adulti (genitori, parenti, insegnanti, allenatori, animatori) hanno nel
promuovere o meno il movimento; mettere in luce la rilevanza in termini di
diritti rispetto alle variabili geografiche e socioculturali che sottostanno alla
possibilità di essere più o meno attivi nel corso della giornata. Le conclusioni
riflettono sull’attuale stato del rispetto del diritto al movimento, sul fonda-
mentale ruolo della scuola e lanciano alcune proposte di sperimentazione.

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KEYWORDS
                               Movement, Rights, Children, Capabilities, Phenomenology.
                               Movimento, Diritti, Bambini, Capabilities, Fenomenologico.

                       Introduzione

                       Quando si parla delle attività motorie nel periodo preadolescenziale, spesso ven-
                       gono usate le preposizioni “per”, “nei” o “con” i bambini. In tutti questi casi, pur
                       con diverse accezioni, sono sottese logiche organizzative, che vedono l’adulto
                       pianificare tempi, spazi e metodi, scientifiche, in cui i ricercatori studiano la quan-
                       tità e qualità del movimento, progettuali, con l’assunzione di una significativa re-
                       lazione di vicinanza da parte degli educatori.
                           Se, invece, ci concentriamo sui campi di esperienza motoria attuali o potenziali
    Antonio Borgogni

                       del bambino e assumiamo la prospettiva di una pedagogia che va oltre il campo
                       di azione istituzionale prospettando cambiamenti sociali, allora il focus può spo-
                       starsi non sull’attività motoria nei, per o con i bambini ma su quella dei bambini.
                       Tale rifocalizzazione apre il campo ad una gamma di possibilità che trova il suo
                       fondamento nell’ambito, appunto, dei diritti.

                       1. Il movimento come diritto

                       1.1. Documenti internazionali

                       Il tema del movimento dei bambini, così come il tema dello sport, non è diretta-
                       mente trattato nella Convenzione sui diritti dei bambini e degli adolescenti (UNI-
                       CEF, 1989); tuttavia, grazie all’articolo 31 e ai commenti, la convenzione affronta,
                       indirettamente, entrambi i temi. L’articolo 31, infatti, parla del diritto del bambino
                       al gioco, al riposo alle attività ricreative, culturali e artistiche1 ma è nel commento
                       del 2013 all’articolo stesso che si trovano indicazioni più specifiche rispetto al mo-
                       nitoraggio del rispetto dei diritti lì citati (United Nations - Committe on the Rights
                       of the child, 2013)2. Nel testo, il tema del movimento viene affrontato in varie oc-

                       1   L’articolo 31, diviso in due commi, recita: 1. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo
                           e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare li-
                           beramente alla vita culturale ed artistica. 2. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fan-
                           ciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in
                           condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e
                           culturali.
                       2   Il Commento è stato tradotto in italiano da parte di un gruppo di lavoro dell’associazione LUnGi
,                          (Libera Università del Gioco) di cui fa parte lo scrivente; la traduzione, ancora ufficiosa, verrà entro
                           breve presentata insieme con UNICEF Italia.

    14
casioni nell’ambito di tre possibilità esperienziali del bambino: il gioco, la mobilità,
lo sport. Non viene citata l’attività motoria o educazione fisica scolastica, luogo in
cui risiede la sua espressione istituzionale intenzionalmente educativa e che viene
invece trattato in altri documenti internazionali.
     Nel Commento, uno dei temi ricorrenti rispetto al gioco è che la presenza di
adulti (genitori, animatori, facilitatori o allenatori) limiti, o rischi di limitare, le pos-
sibilità e la varietà stessa dei giochi. Secondo il Commento vengono sottovalutati
sia il diritto dei bambini di impegnarsi nel gioco o di svagarsi, sia la fondamentale
importanza di queste attività per il loro benessere, la loro salute e il loro sviluppo.
Ciò avviene anche negli spazi pubblici in cui, compresi i parchi gioco, ci sono
spesso limiti severi rispetto alle possibilità d’uso o all’accesso. Sebbene sia chiaro
che i bambini non debbano essere esposti a pericoli come conseguenza del ri-
spetto del loro diritto al gioco, appare evidente agli estensori come un certo grado
di rischio e sfida siano insiti nel gioco stesso e siano condizione perché i suoi be-
nefici vengano attivati.
     Per quanto riguarda la mobilità, il Commento sottolinea l’importanza che gli
adulti creino ambienti e misure per una mobilità sicura e indipendente così come
una pluralità di spazi comunitari di prossimità, di reti [connettive e sociali], in
grado di soddisfare le esigenze ludiche e ricreative di tutti i bambini.
     Lo sport, che il Commento dichiara non essere oggetto della propria tratta-
zione, viene tuttavia citato in più parti; in particolare, pur nel riconoscimento dei
comprovati benefici, è visto sovente come imposizione di attività obbligatorie, or-

                                                                                                Attive quotidianità: il diritto dei bambini al movimento
ganizzate e competitive spesso non scelte dai bambini stessi.
     In ordine di tempo, gli ultimi documenti europei basati sui diritti o in cui si
cita il movimento come diritto sono la risoluzione e la dichiarazione finale della
conferenza dei Ministri dello sport europei riuniti a Tbilisi nel 2018 e il Global Ac-
tion Plan on Physical Activity 2018-2030 del WHO-Europe.
     Nel documento di Tbilisi, dedicato alla protezione dei diritti umani nello sport
e alla lotta alla corruzione (Council of Europe and Sport – EPAS, 2018) vi sono di-
versi richiami al diritto al movimento. Questi riguardano sia la Carta Internazionale
per l’Educazione Fisica, l’Attività Fisica e lo Sport (UNESCO, 2015) in cui la pratica
dell’educazione fisica, dell’attività motoria e dello sport viene citata come diritto
fondamentale per tutti, sia con riferimento alla Carta Europea dello Sport (Council
of Europe, 2001), revisione di quella del 1991, il cui scopo è di assicurare che i gio-
vani abbiano l’opportunità di praticare l’educazione fisica e di acquisire abilità
sportive di base in un positivo contesto etico e di sicurezza.
     Il documento del WHO Europe (2018), presenta quattro obiettivi (creare so-
cietà, ambienti, persone e sistemi attivi) e richiama l’approccio originario dell’or-
ganizzazione centrato sulla salute come diritto; da qui deriva che anche
l’implementazione dei piani di azione per la promozione dell’attività fisica debba
essere centrata, appunto, sui diritti.
     Nella Dichiarazione di Bangkok sull’attività fisica per la salute globale e lo svi-
luppo sostenibile (ISPAH, 2016), sono descritti gli ambiti prioritari per la promo-
zione dell’attività fisica in relazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile (ONU,
2015). In relazione alla Tutela della salute (Sustainable Development Goal - SDG
3), l’attività fisica contribuisce alla riduzione delle malattie croniche non trasmis-
sibili e al miglioramento della qualità dell’aria (SDG 13 – Agire per il clima) soprat-
tutto qualora gli spostamenti motorizzati vengano ridotti in favore del cammino
e dell’uso della bici o di forme di trasporto integrate correttamente pianificate in
ambito urbanistico e della mobilità (SDG 11 – Città e comunità inclusive, resilienti,
sicure, sostenibili). La pianificazione territoriale che rende disponibili ambienti
naturali per la pratica dell’attività fisica, contribuisce, al contempo, alla conserva-

                                                                                                                                15
zione e ripristino del territorio e della biodiversità (SDG 15 – La vita sulla terra). In
                       relazione all’Istruzione di qualità (SDG 4) viene sottolineato come l’educazione
                       fisica e le attività motorie scolastiche possano migliorare la preparazione e i risul-
                       tati scolastici e, insieme con le attività extrascolastiche e sportive, possano con-
                       tribuire all’Uguaglianza di genere (SDG 5) all’inclusione sociale e le pari
                       opportunità (SDG 10 – Ridurre le disuguaglianze) e a ridurre violenze e conflitti
                       (SDG 16 – Società eque, pacifiche, inclusive).
                           Anche alcune Convenzioni O.N.U. trattano direttamente o indirettamente il
                       movimento con un approccio centrato sui diritti. La Convenzione sul diritto delle
                       Persone con disabilità (ONU – CRPD Committee, 2006) si occupa di diritto al mo-
                       vimento inteso come mobilità personale nell’ottica della maggiore indipendenza
                       possibile (Art. 20) e nella pratica sportiva e nelle attività ludiche (Art. 30). La Con-
                       venzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (ONU –
                       CEDAW Committee, 1979) si occupa di uguaglianza di opportunità nella parteci-
                       pazione alle attività sportive e all’educazione fisica (Art. 10, comma g) e del diritto
                       delle donne di partecipare alle attività ricreative, sportive e culturali (Art. 13,
                       comma c). La UISP ha aggiornato la Carta europea dei Diritti delle Donne nello
                       sport del 1985 (UISP, 2011) nell’ambito del progetto europeo Olympia. La carta
                       contiene raccomandazioni riguardanti la pratica sportiva, la leadership, l’educa-
                       zione fisica, la ricerca, i media, la partecipazione a eventi sportivi.
                           Su di un piano più operativo, ISCA (International Sport and Culture Associa-
                       tion), tra le più importanti associazioni sportive “ombrello” d’Europa, ha recente-
    Antonio Borgogni

                       mente lanciato la campagna Human Right to Move. La campagna è basata, oltre
                       che sui riferimenti ai suddetti documenti, sull’evidenza che il corpo sia fatto per
                       muoversi e che il movimento sia spesso negato, appunto, come diritto proprio
                       perché il contesto sociale ed educativo lo ha reso difficile. Nelle scuole i bambini
                       stanno soprattutto seduti durante le lezioni e non viene invece insegnato come
                       muovere il proprio corpo, le città spesso non consentono di camminare, andare
                       in bicicletta o anche giocare per strada vista la mancanza di spazi o la presenza di
                       pericoli. Secondo ISCA, ciò comporta il fatto che i cittadini non abbiano sufficienti
                       risorse o motivazione per iniziare a muoversi (ISCA, 2017, 2018; Teixeira, 2012)

                       1.2. Capabilities e diritti inavvertiti

                       Possiamo riscontrare il senso profondo del diritto al movimento, sia pure indiret-
                       tamente, nell’approccio ai diritti centrato sulle capabilities, ovvero sull’amplia-
                       mento delle effettive possibilità e capacità di scelta delle persone in relazione ad
                       una costellazione di diritti umani basilari e universali (Nussbaum & Sen, 2004; Sen,
                       1992).
                           Nussbaum ha successivamente affrontato in modo indiretto il tema del movi-
                       mento inserendo tra le dieci central capabilities la salute del corpo (2. Bodily he-
                       alth), l’integrità del corpo (3. Bodily integrity) compresa la libertà di muoversi –
                       intesa qui in senso lato – da un posto all’altro, il gioco (9. «Play: being able to laugh,
                       play, to enjoy recreational activities») (Nussbaum, 2011, p. 34). Argomentando sul
                       tema del gioco in Nussbaum, Brugère (2013) ne sottolinea gli elementi di impre-
                       vedibilità [e, pertanto, la difficoltà di accettazione negli spazi pubblici]: il gioco,
                       infatti, oltre ad essere sovente legato al movimento, apre a «momenti di vulnera-
                       bilità e di emozioni da condividere» (p. 8).
                           Il riferimento alle capabilities, tuttavia, viene trattato anche più direttamente
                       negli studi sul movimento e sullo sport. I principali orientamenti, di cui qui si ac-
,
                       cennano solo i principali, riguardano l’attività fisica adattata (Silva & Howe, 2012),

    16
il ruolo dello sport nello sviluppo umano e nella promozione della pace o del be-
nessere (Bloodworth, McNamee, & Bailey, 2012; Darnell & Dao, 2017; Svensson &
Levine, 2017), le possibilità concrete di apprendimento autonomo nel momento
in cui si gode di mobilità indipendente (Borgogni, Arduini, & Digennaro, 2018).
     Probabilmente, tuttavia, il contributo meno esplorato di Nussbaum al tema del
movimento, in questo caso declinato nei termini del diritto ad una pratica sportiva
eticamente fondata e all’integrità e salute dei corpi, esula dalla specificità della
teoria delle capabilities e deriva dalla sua riflessione sul corpo e, ancora più spe-
cificamente, sull’oggettificazione della persona (Nussbaum, 2014). Nel testo Per-
sona oggetto, infatti, delinea una serie di nozioni relative al “trattare le persone
come oggetti” che prefigurano corrispondenze con il rispetto dei diritti dei bam-
bini nello sport (Borgogni, 2015). Nussbaum non parla di gioco, di movimento o
di sport. Le nozioni di strumentalità, negazione dell’autonomia, inerzia/passività,
fungibilità, violabilità, proprietà e negazione della soggettività sono, tuttavia, ca-
tegorie di lettura di una serie di comportamenti messi in atto nello sport – anche
con gli adulti – che, quando riguardano i bambini, violano i loro diritti e sfociano
in veri e propri crimini (David, 20053).
     Tinning, nel fondativo Pedagogy and Human Movement (2009) esplicita come
essere in grado di svolgere certe attività fisiche consenta l’accesso al capitale cul-
turale, si pensi all’autonomia di movimento di un anziano o alle possibilità di mo-
bilità indipendente di un bambino, e come «l’accesso, la partecipazione, la
comprensione della ‘cultura del movimento’ sia un diritto significativo in vari

                                                                                                               Attive quotidianità: il diritto dei bambini al movimento
Paesi» (p. XVI). La competenza fisica come capitale è, per Tinning, una risorsa
“commerciabile” nel senso che la capacità di compiere determinate attività accre-
dita l’individuo soprattutto in alcune sub-culture, si pensi a quanto le abilità in al-
cune pratiche corporee o sportive significhino nelle culture giovanili.
     Ultimo riferimento, meno frequentato, è quello dei diritti inavvertiti, ovvero
di quei diritti di cui non c’è una percezione chiara da parte della pubblica opi-
nione. Sono diritti che passano in secondo o terzo piano perché, pur conclamati
e sanciti da documenti e dalla normativa, sono scivolati sotto la soglia di atten-
zione, non sono in realtà diritti minori ma, appunto, semplicemente non avvertiti:
i diritti dei bambini nella pratica sportiva (Borgogni, 2015; David, 2005; IOC, 2007;
UNICEF, 2010), il diritto dei bambini a godere di una mobilità indipendente (Bor-
gogni et al., 2018), il diritto al gioco, pur sancito dalla convenzione sui diritti del
fanciullo (Farné, 2016).
     Il diritto al movimento, ovvero, come accennato sopra, all’attività più naturale
dell’uomo, si connota allo stesso modo, sia pure con proprie peculiarità, essendo
strettamente legato ai precedenti: è “sotto gli occhi di tutti” quotidianamente, ogni
evidenza scientifica o riflessione accademica e culturale ne rileva la positiva si-
gnificatività su ogni piano della vita umana ma, al tempo stesso e come già esem-
plificato sopra, ben poco viene messo in atto, concretamente, per promuoverlo.

3   David rimarca il diritto all’integrità del giovane atleta in particolare descrivendo e argomentando
    sugli allenamenti eccessivi, sulle violenze e sugli abusi fisici, psicologici, sessuali, sui trattamenti
    medici e sul doping.

                                                                                                                                               17
2. Attive quotidianità: una documentata fenomenologia minima del movimento dei
                          bambini

                       Nel momento in cui il movimento venisse avvertito e accolto come diritto, in ge-
                       nerale e in particolare nei bambini, si aprirebbe un ventaglio di possibilità e si-
                       gnificati che originano proprio dall’esperienza quotidiana.
                           Proviamo, intenzionalmente prima di ragionare per proposte di azioni e pro-
                       getti di cui si discuterà nelle conclusioni, a seguire la giornata di un bambino di
                       otto anni sul piano delle possibilità di movimento.
                           Il criterio che verrà utilizzato fa riferimento al metodo descrittivo-interpretativo
                       di matrice fenomenologica ovvero si concentrerà su una descrizione verosimil-
                       mente “fedele” del fenomeno attraverso un approccio ermeneutico (Mortari, 2007,
                       2010), tendendo a presentare in modo cronologicamente organizzato ciò che si
                       manifesta nella reale esperienza quotidiana di un bambino. L’intenzione della de-
                       scrizione si concentra su alcuni fenomeni e categorie di comportamento. A parte
                       qualche digressione sull’alimentazione, infatti, le categorie sono le stesse trattate
                       nel paragrafo precedente sul piano dei diritti: la mobilità, il gioco, lo sport, l’attività
                       motoria scolastica, ovvero tutte le esperienze del bambino in cui l’ingrediente sia
                       il movimento.
                           Alla descrizione vengono affiancati dati per aiutare a comprendere la fre-
                       quenza dei comportamenti anche in relazione alle caratteristiche sociali e geo-
                       grafiche.
    Antonio Borgogni

                       2.1. Mattino

                       Il bambino, appena sveglio può o non può (questa doppia possibilità non verrà
                       sempre citata per non appesantire il testo ma sarà presente in ogni momento
                       menzionato come potenzialmente di scelta) prepararsi da solo lavandosi, vesten-
                       dosi, organizzando la cartella o lo zaino, contribuire a preparare la colazione per
                       sé e gli altri. Piccoli gesti che fanno parte della motricità quotidiana, alcuni dei
                       quali comportano non solo un apprendimento relativo alla motricità fine (allac-
                       ciarsi le scarpe, preparare o consumare la colazione) ma anche al comprendere
                       sequenze logiche mentre ci si intrattiene con la famiglia.
                           Ecco che, nella prima ora di veglia, il nostro bambino ha già imparato molto e
                       ha messo in atto procedure utili ad organizzarsi in modo originale per essere
                       pronto ad uscire. Un tempo che, secondo i dati dell’Osservatorio OKkio alla salute
                       (che studia i comportamenti connessi con la salute dei bambini di otto e nove
                       anni) per il 7,9% dei bambini italiani non comprende la colazione (con un gra-
                       diente negativo nord-sud: Bolzano 4%, Sicilia 15,4%) o la vede inadeguata (33%).
                       Emerge altresì una correlazione tra consumo della colazione e obesità (8,5% di
                       chi fa una colazione adeguata contro il 15,6% di chi non la fa). Nel complesso,
                       sembra che, rispetto allo stato ponderale, siano simili le situazioni dei bambini
                       che consumano la colazione in modo più o meno adeguato (tra cui si riscontra il
                       30% circa di sovrappeso o obesità) mentre sono significative le differenze pon-
                       derali con chi non la consuma (40,7% dei quali è almeno in sovrappeso) (Ministero
                       della Salute – ISS, 2018). È da subito intuitivo comprendere come questo tema sia
                       legato ai diritti e alle capabilities anche in connessione con lo status socioecono-
                       mico delle famiglie. Non fa colazione il 4,8% dei bambini di genitori di cui almeno
                       uno sia laureato mentre questa percentuale sale all’11,8% nel caso di entrambi i
,
                       genitori con licenza media o inferiore. Non si riscontrano, invece, differenze si-
                       gnificative in relazione alla cittadinanza di provenienza dei genitori. Il nostro bam-

    18
bino, pertanto può o non può, già prima di uscire di casa, avere messo in atto
comportamenti salutari intesi non solo come preventivi rispetto all’obesità ma
anche rispetto all’apprendimento di stili di vita sani e attivi.
    Il bambino esce di casa e si reca a scuola, azione che presuppone uno sposta-
mento, breve o lungo che sia. Il bambino può o non può svolgere attività motoria
nel percorso anche in dipendenza della possibilità di mobilità indipendente (Bor-
gogni et al., 2018) della distanza della scuola da casa (Mackett, 2013) e, soprattutto,
della cultura dei genitori rispetto agli stili di vita attivi.
    Nel nostro Paese, il 26,9% dei bambini si reca a scuola in modo attivo (a piedi
o in bicicletta) con un gradiente nord-sud non particolarmente marcato (29,6%
nord, 24,2% centro, 25% sud). Significative, in questo caso, le differenze sul piano
culturale. Infatti, solo il 23,2% dei bambini che hanno entrambi i genitori italiani
va a scuola in modo attivo mentre questa sale al 32/% quando i genitori hanno cit-
tadinanza mista e al 53% nel caso siano entrambi di origine straniera. Secondo
ISTAT, che presenta dati del 2013, i bambini tra gli 8 e i 10 anni abitanti entro un
chilometro da scuola che vi si recano senza accompagnamento dei genitori, e per-
tanto in modo attivo, sono il 17,3%. Ciò avviene soprattutto nei comuni sotto i
2000 abitanti (79,5%) e nei comuni centro di aree metropolitane (25%). Si riscontra
una significativa correlazione tra mobilità indipendente e autonomia in altri ambiti
della quotidianità. I bambini che vanno a scuola senza supervisione di un adulto,
infatti, si lavano e vestono da soli (25,7% contro 9,3%) e fanno i compiti da soli
(35,3% contro 10,1%) in misura decisamente maggiore rispetto ai coetanei che

                                                                                                 Attive quotidianità: il diritto dei bambini al movimento
vengono accompagnati (ISTAT, 2018)
    In alcune regioni e comuni sono da tempo attivi i Pedibus (o Piedibus) con fre-
quenza e durata assai diverse da contesto a contesto: non esiste, tuttavia, un mo-
nitoraggio degli stessi se non a livello di alcune Regioni o Distretti Socio Sanitari.
    Una volta arrivato a scuola, il nostro bambino può o non può svolgere attività
non sedentarie a partire dall’educazione fisica che viene effettuata per almeno
due ore settimanali nel 53% delle scuole primarie (dal 34,6% nel Lazio all’81,5% in
Valle d’Aosta). Anche per l’adeguatezza delle strutture in cui si svolge o si po-
trebbe svolgere attività motoria risultano differenze geografiche rilevanti: nel sud
Italia, infatti, il 32,9% dei dirigenti scolastici valuta inadeguati i cortili scolastici e il
38,8% delle palestre mentre nel nord queste percentuali scendono rispettiva-
mente al 20,1% e al 23,5%.
    In poche scuole, invece, sono attive, in via sperimentale, azioni relative agli in-
tervalli attivi o a brevi pause attive durante le lezioni. Non esistono dati, a nostra
conoscenza, relativi alla tipologia, attiva o non attiva, di uscite didattiche o visite
guidate che i bambini compiono nel corso dell’orario scolastico.
    Al termine delle lezioni, alcuni bambini rimangono a scuola e, nel 62% delle
scuole, possono partecipare ad ore di attività motoria extracurricolare (dal 50,8%
in Abruzzo al 94% nella P.A. di Bolzano) (Ministero della Salute – ISS, 2018). Altri-
menti il bambino ritorna a casa, con percentuali di mobilità attiva leggermente su-
periori a quelle dell’andata (Renzi, Prisco, & Tonucci, 2014) e si appresta alle attività
pomeridiane.

2.2. Pomeriggio

Secondo l’Osservatorio OKkio alla salute, i bambini considerati attivi, ovvero che
hanno svolto attività motoria, sportiva, di gioco o scolastica il giorno precedente
sono l’82,3% (il 66,4% ha giocato all’aperto e il 44,8% ha fatto sport). I valori degli
inattivi (17,7%) sono influenzati, sia pure in modo non rilevante, dal genere (bam-

                                                                                                                                 19
bine 18,6%, bambini 16,9%), dalla Regione di residenza (Sud 24, 2% contro il 14,4%
                       del Nord e il 14,8% del Centro) , dalla zona di abitazione (19,9% nei comuni oltre
                       i 50000 abitanti e 18,4% nelle aree metropolitane), dal titolo di studio dei genitori
                       (16% tra chi ha almeno un genitore laureato, 19,6% tra chi ha il titolo di scuola
                       media o inferiore), dallo stato ponderale dei genitori (19,5% tra chi ha almeno un
                       genitore obeso) (Ministero della Salute – ISS, 2018).
                           Sono dati che, a parte il gradiente nord-sud, non presentano differenze parti-
                       colarmente significative e cha lasciano presupporre un’accettazione culturale, in
                       vasti strati (circa i quattro quinti) della popolazione adulta, rispetto ai benefici
                       dell’essere attivi per i bambini.
                           Per quanto riguarda il gioco, argomento meno trattato sul piano della ricerca
                       quantitativa, risultano ancora una volta utili i dati dell’Osservatorio di OKkio alla
                       salute che lo intende come gioco di movimento. Circa un terzo dei bambini svolge
                       giochi di movimento quasi ogni giorno (32,6%, cinque-sette volte a settimana)
                       mentre uno su dieci (il 9%) non li svolge mai. Le differenze tra maschi e femmine
                       e in base alla cittadinanza di provenienza dei genitori sono limitate mentre più si-
                       gnificativi sono i dati relativi al titolo di studio dei genitori: i bambini con almeno
                       un genitore laureato tendono a giocare meno assiduamente (27% tra coloro che
                       giocano cinque-sette volte a settimana contro il 38,7%) di quelli con genitori poco
                       scolarizzati.
                           Sul tema del gioco, i dati ISTAT (2011) non sono purtroppo recenti e rischiano
                       pertanto di non cogliere i cambiamenti dovuti all’uso di tecnologie di gioco por-
    Antonio Borgogni

                       tatili ma risultano comunque utili per comprendere alcuni aspetti delle abitudini
                       dei bambini tra i sei e dieci anni. Questi, infatti, giocano a casa (97,9%), a casa di
                       amici (49,8%), nei giardini pubblici (34,9%), in cortile, 28, 8%, in oratorio (23,1%),
                       in campi e prati (14,7%), in strade poco trafficate (8,1%). Si riscontrano rilevanti
                       differenze regionali con un gradiente tra centro-nord e sud preoccupante: gio-
                       cano in cortile il 39,2% dei bambini residenti in Emilia-Romagna mentre solo
                       l’11,2% di coloro che risiedono in Basilicata; giocano nei parchi pubblici il 62,1%
                       dei bambini toscani e solo il 12,6% dei siciliani.
                           Per quanto riguarda lo sport, i genitori affermano che il 23,5% dei bambini pra-
                       tica attività strutturata per non più di un’ora a settimana; il 39,2% la svolge per due
                       volte a settimana, il 20% tre volte, il 5% quattro volte e il 2,2% tra le cinque e le
                       sette volte.
                           I maschi fanno attività sportiva più delle femmine e con maggiore frequenza.
                       Diversamente dai dati citati sopra relativi ai bambini attivi, la pratica sportiva evi-
                       denzia significative differenze geografiche e socioculturali relative ai bambini che
                       non la praticano : le regioni del centro (17,7%) e del nord (16,6%) mostrano infatti
                       percentuali significativamente più basse rispetto al sud (28,9%) Il riferimento alla
                       cittadinanza di provenienza dei genitori presenta il dato assai interessante di una
                       minore pratica nei bambini i cui genitori sono entrambi di origine straniera (50,9%
                       contro il 37,1% di genitori misti e il 31% di genitori italiani tra coloro che praticano
                       mai o una volta alla settimana) mentre il dato si inverte, pur con percentuali molto
                       più basse, per i bambini assidui praticanti (3,7% genitori stranieri, 2,9% genitori
                       misti, 2,1% genitori italiani per chi pratica cinque-sette volte alla settimana). Il dato
                       sarebbe da approfondire nelle motivazioni; ad una prima interpretazione, tuttavia,
                       potrebbe condurre a pensare ad una maggiore difficoltà, culturale, economica,
                       da parte dei genitori di provenienza straniera di far praticare sport ai figli mentre,
                       nel momento in cui i bambini svolgono un’attività con un certo grado di successo,
                       desumibile dall’assidua frequenza, questi risultano più presenti. Altro dato signi-
,
                       ficativo è la relazione tra l’istruzione dei genitori e la pratica sportiva dei figli. Men-
                       tre, infatti, tra i non praticanti (zero o un giorno alla settimana) la percentuale dei

    20
figli di almeno un laureato è del 22,3%, questa sale al 32,6% tra i figli di almeno un
diplomato e al 50,7% tra i figli con almeno un genitore di istruzione non superiore
alla scuola media (Ministero della Salute – ISS, 2018).
    I dati ISTAT (2017) relativi al 2015 indicano che, nella fascia di età 6-10 anni, il
64,3% dei bambini (67,6% maschi, 61,1% femmine) pratica sport. Tra questi, il 31,7%
pratica più di due volte a settimana, il 64,9% una o due volte a settimana e il 2%
meno di una volta a settimana. La maggioranza, lo pratica fino a due ore (34%) o
tra le due e le quattro ore (33,2%); circa la metà (53,9%) lo pratica durante tutto
l’anno e il 91,2% con la presenza di un educatore o istruttore. Il 31% non ha mai
praticato sport e il 4% ha abbandonato la pratica; entrambi i dati presentano una
prevalenza tra le femmine. Infine, tra i non praticanti, il 12, 6% svolge solo qualche
attività fisica e il 22,9%, da considerare sedentari assoluti, non pratica né sport né
attività fisica (ISTAT, 2017).
    Questo complesso di dati, che vede l’82,3% di bambini considerati attivi e il
64,3% praticanti sport, tuttavia, non sembra in sé predittivo di percentuali conte-
nute di obesità, in particolare comparandole con quelle di altri Paesi europei. I
dati relativi al 2015-17 della Children Obesity Surveillance Initiative (COSI) vedono
infatti l’Italia ai primi posti per tassi di sovrappeso e obesità rispetto ai Paesi indagati
preceduta solo dalla Grecia (WHO-Europe, 2018a). Nel nostro Paese circa un terzo
dei bambini è almeno in sovrappeso (30,6% con il 9,3% di obesi), dato in calo ri-
spetto al 35,2% (12% obesi) del 2009. In questo caso, le differenze regionali sono
non solo significative ma, sul piano del diritto alla salute, drammatiche passando

                                                                                               Attive quotidianità: il diritto dei bambini al movimento
dal 14,9% (2,4% obesi, 0,3% gravemente obesi) della PA di Bolzano al 43,7% (13,2%
obesi, 4,7% gravemente obesi) della Campania (Ministero della Salute – ISS, 2018).

2.3. Sera

Con una forzatura temporale si intende qui per sera il periodo che va dal tardo
pomeriggio, dopo il rientro a casa, al momento del sonno. I comportamenti qui
segnalati, tuttavia, vengono messi in atto anche in altri momenti della giornata.
    Mentre, come abbiamo appena visto, i dati ISTAT indicano il 22,9% di sedentari
nella fascia di età 6-10 anni, i dati di OKkio alla salute (relativi alla fascia di età 8-9
anni) si concentrano sulla connessione tra sedentarietà e uso di dispositivi elet-
tronici incluso il televisore. I bambini che trascorrono più di due ore davanti a
schermi di dispositivi sono il 41,2% (47,4% maschi, 34% femmine), in crescita di
circa sei punti percentuali rispetto alle precedenti rilevazioni; il 9% dei bambini
vi trascorre oltre cinque ore al giorno. Anche in questo caso e, come vedremo,
ancor più in relazione all’apparecchio televisivo nella propria camera, il gradiente
nord-sud è assai significativo. Per il dato relativo a trascorrere oltre due ore, infatti,
il dato medio del nord è del 33,8% mentre quello del sud è del 52,7%; per la tele-
visione in camera (dato medio 43,6%) il dato della PA di Bolzano è di 11,3% mentre
in Campania sale al 72,6%. Il titolo di studio dei genitori è correlato sia con l’uso
di dispositivi (30,5% laureati, 53,5% media inferiore) che con la presenza del tele-
visore in camera (28,8% laureati, 55,6% media inferiore). Minore, con una diffe-
renza di circa il 10%, appare l’influenza della cittadinanza di provenienza dei
genitori (51,2% entrambi stranieri contro il 40% entrambi italiani). I bambini con
almeno un genitore obeso appaiono significativamente più sedentari (50,1%) dei
coetanei con genitori sotto-normopeso (35,2%). Com’è intuibile, vi è una diretta
correlazione tra tempo trascorso davanti agli schermi e stato ponderale del bam-
bino: il 47% degli obesi vi trascorre meno di due ore contro il 61,5% dei sotto o
normopeso (Ministero della Salute – ISS, 2018).

                                                                                                                               21
Conclusioni

                       Il tema del movimento “umano” (Tinning, 2009) sta assumendo sempre maggiore
                       rilevanza nello scenario politico, scientifico e culturale internazionale.
                            Da quando, negli ultimi trent’anni, le evidenze scientifiche nell’ambito della
                       salute pubblica hanno spinto all’avvio di politiche, progetti e azioni centrate sulla
                       necessità di promuovere l’attività motoria, l’ambito preventivo si è affiancato a
                       quello sportivo come fattore chiave nella promozione del movimento umano.
                            Come è stato esposto sopra, dopo l’affermazione dello sport come diritto in
                       alcune convenzioni internazionali relative a disabili e donne (ONU – CEDAW
                       Committee, 1979; ONU – CRPD Committee, 2006; UISP, 2011), solo negli ultimi
                       anni il tema del movimento, di cui lo sport rappresenta una possibilità, si sta af-
                       fermando come diritto universale.
                            Per quanto riguarda il movimento dei bambini, nelle sue varie declinazioni (at-
                       tività motorie educative, mobilità, sport, gioco) la proposta di una fenomenologia
                       della vita quotidiana del bambino sul piano del movimento riteniamo abbia suf-
                       ficientemente evidenziato quanto il tema del movimento sia connesso con quello
                       dei diritti. Trattare il movimento con un approccio rivolto ai diritti, infatti, consente
                       non solo di verificarne la valenza in sé ma anche di misurarne l’importanza come
                       determinante dei diritti alla salute, all’educazione, alla socialità.
                            In quest’ottica i dati e i commenti forniti nel secondo paragrafo possono risul-
                       tare esplicativi rispetto alla situazione del diritto al movimento nel nostro Paese.
    Antonio Borgogni

                       Per quanto riguarda diversi parametri (ISTAT, 2017; Ministero della Salute – ISS,
                       2018), infatti, appare gravissimo il differenziale tra le opportunità di scelta, nucleo
                       centrale della teoria delle capabilities (Nussbaum & Sen, 2004), di un bambino che
                       vive in alcune regioni del Sud rispetto ad altre del Nord. La residenza, per vari pa-
                       rametri, risulta assai più significativa rispetto alla nazionalità di origine o al grado
                       di istruzione dei genitori (Ministero della Salute – ISS, 2018).
                            Ciò ad affermare l’inaccettabilità, sul piano politico, legislativo, educativo, e
                       prima ancora della riflessione pedagogica, di una così rilevante disuguaglianza tra
                       aree dello stesso Paese che si accompagna alle disuguaglianze socioculturali ed
                       economiche.
                            Appare pertanto chiaro come gli interventi da attuare e le azioni da svolgere
                       possano essere collocati solo nell’ambito di visioni ecologiche (Borgogni, 2019)
                       che, pur vedendo la scuola come protagonista, la rendano promotrice o partner
                       di progettazioni integrate con i sistemi amministrativi locali e con le organizza-
                       zioni territoriali. Tali politiche devono superare lo stato progettuale e connotarsi
                       come strutturali aspirando, in un approccio centrato sui diritti, in primo luogo ad
                       assicurare al bambino lo svolgimento effettivo delle ore curricolari di Educazione
                       Fisica previste, unico tempo educativo offerto per legge a tutti i bambini. Tali le-
                       zioni devono assicurare la qualità educativa, metodologica e didattica ed essere
                       svolte pertanto da personale interno qualificato o pienamente integrate con la
                       programmazione e l’offerta formativa della scuola.
                            Lezioni che dovrebbero arricchire la polisemia del movimento e della corpo-
                       reità comprendendone le possibilità espressive, percettive, relazionali e che siano
                       aliene da quell’atrofia educativa che, nella semplificante prospettiva dell’affida-
                       mento a pur volonterosi “esperti” esterni ha, negli anni passati e in molti casi, ri-
                       dotto le attività motorie nella scuola ad una procedura istruttiva “secca”, più
                       attenta alla misurazione finale delle prestazioni che ai contenuti educativi.
                            In questa prospettiva, appare evidente il sottodimensionamento che il corpo
,                      e il movimento hanno avuto nei processi di formazione dei docenti della primaria.

    22
Solo il riconoscimento di un diritto di base, ovvero quello già previsto dalla legge,
potrà consentire di strutturare un’avanzata cultura del movimento tramite progetti
e azioni in ambito scolastico (intervalli e pause attivi, attività aggiuntive, uscite di-
dattiche e visite guidate attive) e integrati con il territorio (Pedibus, offerta sportiva
scolastica).
    Significative innovazioni sul piano delle politiche educative di promozione del
diritto al movimento potrebbero essere rappresentate dall’istituzione della figura
di un activity manager scolastico (che potrebbe nascere sulla scorta delle espe-
rienze di mobility manager già prevista dalla legge4) e dalla formazione di studenti
activity leader in una logica di educazione tra pari (Borgogni, 2018). Oltre a ciò,
per assicurarne la valutazione e la diffusione, tali azioni dovrebbero attuarsi nel-
l’ambito di una rete di “Scuole attive” monitorata dalle università.
    Riteniamo che solo questa cultura del movimento garantita dalla scuola potrà
consentire, insieme con il coinvolgimento dei genitori, di far cogliere l’importanza
delle opportunità extrascolastiche di movimento, gioco e mobilità attiva offerte
dagli spazi pubblici così come di sensibilizzare ad una lettura critica dell’offerta
sportiva o ricreativa extrascolastica vissuta, appunto, come possibilità di scelta per
il bambino.

Riferimenti bibliografici

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    per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse na-
    turali” entrata in vigore il 2 febbraio 2019.

                                                                                                                                              23
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                                                                                                                                   25
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