La vicenda dei due fucilieri di marina. Cronologia degli avvenimenti

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La vicenda dei due fucilieri di marina. Cronologia degli avvenimenti
La vicenda dei due fucilieri di marina. Cronologia degli
avvenimenti
Dossier n° 113 - Schede di lettura
2 luglio 2020

Introduzione

L'arresto dei marò
   Il 15 febbraio 2012, al largo delle coste indiane del Kerala (Stato sud-occidentale dell'Unione Indiana),
nel Mar Arabico, la petroliera italiana Enrica Lexie incrociava un'imbarcazione non identificata, che
procedeva nella sua direzione senza rispettare l'alt intimato dai segnali luminosi del mercantile italiano, che
rappresentano un codice di comunicazione tra navi, necessario per identificarsi a distanza in quelle acque
ad alto rischio pirateria.
   L'area rientra infatti in una delle zone ad alto rischio pirateria, individuata già nel 2011 dall‘International
Transport Workers Federation (ITF) nel tratto che va dalle coste somale verso est, sino al meridiano 76 e
verso sud al parallelo 16, e quindi in acque internazionali direttamente confinanti con le acque
territoriali indiane. Nelle aree ad alto rischio pirateria i mercantili erano stati invitati ad adottare le misure di
autoprotezione raccomandate dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO); i marittimi imbarcati
percepivano un raddoppio delle indennità giornaliere e gli armatori pagavano premi di assicurazione
maggiorati.
    Nel corso dell'episodio i fucilieri di marina del reggimento San Marco imbarcati sulla Enrica Lexie con
compiti anti – pirateria esplodevano alcuni colpi di avvertimento per mettere in fuga l'imbarcazione sospetta.
Successivamente il peschereccio indiano St. Anthony, con undici uomini di equipaggio, rientrava nel porto di
Kochi (sulla medesima costa del Kerala), con due marittimi morti, colpiti da diversi colpi di arma da
fuoco. Le autorità del Kerala invitavano, con un pretesto, la Enrica Lexie a rientrare a Kochi e procedevano
all'arresto di due marò del reggimento San Marco, il sergente Salvatore Girone ed il capo di prima
classe Massimiliano Latorre, accusandoli di aver ucciso i due pescatori.

L'avvio delle trattative diplomatiche
   La linea sostenuta sin dall'origine dal Governo italiano era che l'episodio incriminato fosse avvenuto in
acque internazionali (dove vige il diritto dello Stato del quale la nave batte bandiera), e che i due marò in
quel momento stessero esercitando funzioni di militari in missione all'estero, e dunque agissero per conto
dello Stato italiano; in tale veste essi pertanto avrebbero goduto dell'immunità della giurisdizione
rispetto agli Stati stranieri.
  D'altra parte, lo Stato del Kerala considerava da subito il fatto di propria competenza, in quanto i due
pescatori uccisi erano di nazionalità indiana.
    Il 5 marzo, tre settimane dopo la morte dei due pescatori, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone erano
trasferiti dal carcere di Trivandrum alla Borstal School di Kochi. Il sottosegretario De Mistura si opponeva
con forza alla reclusione dei due militari italiani in un centro di detenzione per detenuti comuni, trattando con
il direttore del carcere per ottenere una soluzione più adeguata.
   Tre settimane dopo il fermo della Enrica Lexie nel porto di Kochi, anche l'Unione europea, nella figura
dell'Alto Rappresentante per la politica estera, si decideva a schierarsi a supporto dell'Italia nella sua azione
diplomatica per giungere, secondo le parole di Catherine Ashton, "ad una soluzione soddisfacente".
    Il G8 che si svolgeva a Washington nell'aprile 2012 (due mesi dopo la morte dei due pescatori indiani)
riaffermava poi, nel suo documento finale, il principio che attribuisce alla bandiera delle navi il diritto di
giurisdizione in caso di incidente in acque internazionali: un endorsement formale alla posizione sostenuta
dall'Italia nel negoziato con l'India, correlato dalla firma degli otto ministri degli esteri.
   A fine aprile 2012, il ministro degli esteri Terzi dichiarava di aver ottenuto l'appoggio di una ventina di
paesi di ogni parte del mondo, che erano intervenuti presso l'India per favorire una soluzione del braccio di
ferro diplomatico.
  L'azione diplomatica dell'Italia registrava tuttavia un momento di tensione quando, nel giugno 2012,
venivano formalizzate le accuse per i due marò da parte delle autorità del Kerala: omicidio, tentato
omicidio, associazione a delinquere e danneggiamento. A seguito dei gravi capi di imputazione, l'Italia
adottava la linea dura (attribuita prevalentemente a Staffan De Mistura), ovvero richiamare in patria per
"consultazioni" l'ambasciatore italiano in India Giacomo Sanfelice.
    La diplomazia italiana riprendeva successivamente la strategia "collaborativa", conseguendo un primo
risultato positivo, quando il 30 maggio 2012, dopo 82 giorni di detenzione, i due militari italiani erano
rilasciati su cauzione.

Le prime iniziative internazionali promosse dall'Italia
   Alla fine di ottobre, il ministro Terzi prendeva contatti con il nuovo ministro degli Esteri indiano Salman
Khurshid (musulmano di 59 anni, esponente del Partito del Congresso), sottolineando l'urgenza di una
soluzione positiva del caso che vedeva coinvolti i due fucilieri della Marina militare.
   L'Italia portava anche il caso all'attenzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, a margine della
riunione delle Nazioni Unite per l'accordo sull'estensione del protocollo di Kyoto, svoltasi nel dicembre 2012 a
Doha.
   Nel frattempo arrivavano due segnali distensivi da Nuova Delhi: il primo, il 20 dicembre 2012, era il
nuovo rinvio del processo da parte del tribunale di Kollam, in attesa del verdetto della Corte Suprema di
Nuova Delhi sulla giurisdizione del caso, e la contestuale concessione di una licenza di due settimane per
Natale, su cauzione e con dichiarazione giurata, per i due marò, che potevano così trascorrere le festività in
patria con le loro famiglie (per poi rientrare in India il 3 gennaio).
   Il secondo segnale era la pronuncia della Corte suprema indiana del 19 gennaio 2013, che negava la
giurisdizione alla Corte del Kerala sul caso, e disponeva la creazione di un tribunale speciale, costituito in
coordinamento dal governo e dalla stessa Corte suprema, a Nuova Delhi, per esaminare la questione della
giurisdizione (indiana o italiana). I giudici stabilivano l'incompetenza dello Stato del Kerala che "non
aveva giurisdizione" per intervenire, dato che "il fatto non era avvenuto nelle acque territoriali indiane",
anche se la Corte ribadiva che, nel loro servizio sulla Enrica Lexie, "i marò non godevano di quella
immunità sovrana" che avrebbe determinato automaticamente la giurisdizione italiana.
   Il risultato della "de-keralizzazione" era significativo, poiché in quello Stato si era venuta a creare una
certa pressione mediatica e dell'opinione pubblica nei confronti dei marò, che avrebbe potuto influenzare in
maniera negativa lo svolgimento del processo.
   Il 22 febbraio 2013, ai due marò era concesso nuovamente, dalla Corte suprema indiana, un permesso
di quattro settimane per tornare in Italia in occasione delle elezioni politiche svoltesi il 24 e 25 febbraio
2013, e per poter trascorrere un periodo di tempo con i loro familiari. I due fucilieri venivano in quei giorni
interrogati dalla Procura militare di Roma, e indagati per i reati di violata consegna aggravata e dispersione
di oggetti di armamento militare in relazione ai fatti del febbraio del 2012.

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L'apertura della controversia internazionale e lo svolgimento delle indagini in India
   Il successivo 11 marzo, l'ambasciatore italiano a Nuova Delhi Daniele Mancini dichiara che i due fucilieri
di marina non sarebbero tornati in India alla scadenza del permesso loro concesso, sulla base di un
decisione assunta d'intesa con i ministeri della Difesa e della Giustizia, e in coordinamento con la
Presidenza del Consiglio dei ministri. La decisione era confermata dal Ministro degli Esteri Giulio Terzi.
   Il 13 marzo il premier indiano Manmohan Singh minacciava "seri provvedimenti", mentre il governo
indiano annunciava restrizioni alla libertà di movimento dell'ambasciatore italiano Mancini, negandogli la
piena immunità e vietandogli di lasciare l'India.
   La decisione italiana veniva modificata pochi giorni dopo: il 21 marzo 2013, infatti, il Governo decide
di far ritornare i due sottufficiali italiani in India, dopo aver ottenuto garanzie sulla tutela degli stessi, che
sarebbero stati giudicati da un tribunale speciale indiano.
   I due fucilieri di marina rientravano in India il 22 marzo, accompagnati dal sottosegretario Staffan de
Mistura, e venivano ospitati nell'Ambasciata italiana a Delhi, con obbligo di firma settimanale in un posto
di polizia della capitale.
   Il 25 marzo i due militari rivolgevano un appello alle forze politiche, con una lettera aperta che chiedeva
di unire le forze per risolvere questo gravissimo caso internazionale. In seguito alla decisione di far tornare in
India i due marò, il 26 marzo,
   Durante il dibattito parlamentare sulla questione svoltosi presso la Camera dei deputati, il Ministro degli
Esteri Giulio Terzi annunciava le sue dimissioni, opponendosi alla decisione assunta dal Governo di
riconsegnare i due militari all'India. Il Presidente del Consiglio Monti assumeva l'interim del dicastero degli
esteri il 27 marzo.
   Il giorno successivo, il Presidente del consiglio pro tempore Monti rendeva al Senato una informativa
sulla vicenda dei due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
   Il 30 marzo il Governo indiano annunciava l'affidamento di nuove indagini all'Agenzia nazionale di
investigazione (Nia), la polizia federale indiana specializzata nei reati contro la sicurezza nazionale. I legali
dei due marò presentavano ricorso contro la decisione, ma la Corte suprema indiana non lo accoglieva.
  Il successivo 10 aprile il premier Singh garantiva che il caso dei due fucilieri non rientrava fra quelli
suscettibili di comportare la pena capitale.
  Il 3 maggio 2013 Staffan De Mistura era nominato inviato speciale presso il governo indiano per il
caso dei marò da parte del Governo Letta.
   Il 9 agosto 2013 i due marò rifiutavano di rilasciare dichiarazioni alla NIA; il 16 settembre le autorità
indiane chiedevano di poter interrogare gli altri quattro fucilieri presenti all'incidente. Si apriva un
contenzioso tra il Governo italiano e quello indiano: l'Italia si rifiutava di inviare i quattro militari e proponeva
che l'eventuale interrogatorio potesse svolgersi in territorio italiano. La soluzione trovata era quella di
consentire l'interrogatorio in videoconferenza presso l'ambasciata indiana a Roma, che avveniva l'11
novembre, quando i quattro militari erano interrogati separatamente alla presenza di un traduttore e di un
team della NIA.
   Il 13 novembre presso le Commissioni congiunte Esteri e Difesa dei due rami del Parlamento si svolgeva
l'audizione del Commissario straordinario del Governo per la questione dei due fucilieri «marò», dottor
Staffan de Mistura.
   Il 30 novembre fonti della NIA affermavano che l'Agenzia avrebbe suggerito al Ministero dell'Interno di
procedere all' incriminazione di Latorre e Girone in base all'articolo 3 del SUA Act (The Suppression of
Unlawful Acts against Safety of Marittime Navigation and Fixed Platforms on Continental Shelf Act, la legge
adottata dal legislatore federale indiano il 20 dicembre 2002 per dare esecuzione ad un'omonima
Convenzione internazionale firmata a Roma il 10 marzo 1988 dopo il dirottamento della nave Achille Lauro),
che prevede l'applicazione della pena capitale.

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L' 8 gennaio 2014 l'Italia otteneva il rinvio al 30 gennaio dell'udienza, in quanto la polizia indiana non
aveva ancora depositato il rapporto frutto delle indagini svolte dal mese di aprile. Dal 10 gennaio si
rincorrevano sempre più le voci sulla possibile applicazione al caso dei due marò della pena capitale da
parte delle autorità giudiziarie indiane.
    Il 14 gennaio l'Italia decideva di ricorrere alla Corte suprema indiana per denunciare i gravi ritardi
nell'inchiesta e per contestare l'applicabilità del SUA Act che, essendo uno strumento normativo di
repressione del terrorismo internazionale, era per ciò stesso totalmente inapplicabile al personale militare
italiano, imbarcato proprio in funzioni di lotta alla pirateria.

Successivi sviluppi
   Dopo che il 23 gennaio 2014 l'allora Ministro degli esteri Emma Bonino tornava a rivolgersi al governo
indiano perché escludesse in ogni caso la prospettiva dell'applicazione della pena di morte per il caso dei
due fucilieri di marina, il 27 gennaio una missione parlamentare di deputati e senatori italiani si recava
in India per colloqui in ordine alla questione. In effetti il 30 gennaio il governo indiano tornava ad affermare
che non sarebbe stata applicata la pena capitale, in concomitanza con le parole del Presidente della
Commissione europea Barroso, che definiva semplicemente inaccettabile quella eventualità.
    Iniziavano poi una serie di rinvii, da parte della Corte Suprema, in relazione all'istanza presentata
dall'Italia il 14 gennaio, fino a che il 25 febbraio veniva da parte indiana ufficialmente abbandonata la
possibilità di applicazione della legge antiterrorismo SUA, apparentemente fugando in modo definitivo il
rischio di una condanna a morte per i due fucilieri di marina italiani. La decisione del 25 febbraio veniva
tuttavia in seguito utilizzata dalla difesa italiana per contestare anche la legittimità delle indagini svolte dalla
polizia antiterrorismo, che può attivarsi solo in caso di applicazione della legge SUA.
    In marzo cominciava ad emergere con chiarezza l'orientamento del governo italiano di passare
all'internazionalizzazione della questione, ovvero all'avvio di una procedura per un arbitrato
internazionale. Intanto il Presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva occasione di parlare del caso con il
Presidente degli Stati Uniti Obama, ringraziando per il sostegno avuto e preannunciando in certo qual modo
di poter ancora ricorrere all'appoggio statunitense sul caso aperto con l'India.
  Il 28 marzo la stessa Corte Suprema indiana sembrava allinearsi alla decisione delle autorità di Nuova
Delhi del 25 febbraio, ammettendo un ricorso specificamente presentato dai due fucilieri di marina
contro l'utilizzazione della legislazione antiterrorismo SUA: contestualmente la procedura giudiziaria
veniva sospesa, in attesa delle eventuali controdeduzioni del governo indiano.
   Nel corso della seduta del 13 marzo 2014 la Camera approvava all'unanimità l'ordine del giorno n.
9/2149/1, a prima firma Vito, con il quale si impegnava il Governo "a definire come una priorità della propria
politica estera e delle sue relazioni internazionali, la rapida soluzione della vicenda dei nostri due Fucilieri di
Marina; ad assumere, sia a livello internazionale, sia presso le autorità indiane, tutte le iniziative politiche,
diplomatiche e giudiziarie, incluso il sollecito avvio della procedura finalizzata all'arbitrato internazionale, che
si rendano necessarie per una soluzione rispettosa del diritto internazionale e dei diritti dei due Marò e del
nostro Paese, con il convinto coinvolgimento dell'ONU, della NATO e dell'Unione europea, in coerenza con
la competenza internazionale sulla vicenda; a realizzare tutte le iniziative utili per ottenere nel più breve
tempo possibile il rientro in Patria con onore di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, assicurando nel
contempo a loro ed alle a definire come una priorità della propria politica estera e delle sue relazioni
internazionali, la rapida soluzione della vicenda dei nostri due Fucilieri di Marina; ad assumere, sia a livello
internazionale, sia presso le autorità indiane, tutte le iniziative politiche, diplomatiche e giudiziarie, incluso il
sollecito avvio della procedura finalizzata all'arbitrato internazionale, che si rendano necessarie per una
soluzione rispettosa del diritto internazionale e dei diritti dei due Marò e del nostro Paese, con il convinto
coinvolgimento dell'ONU, della NATO e dell'Unione europea, in coerenza con la competenza internazionale
sulla vicenda; a realizzare tutte le iniziative utili per ottenere nel più breve tempo possibile il rientro in Patria

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con onore di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, assicurando nel contempo a loro ed alle e loro
famiglie tutto il sostegno e la assistenza dovuti in ogni sede, in coerenza con il principio dell'immunità
funzionale.
   Successivamente nel corso della seduta della Commissione difesa del 24 aprile 2014 il Presidente della
Commisione On Elio Vito informava i colleghi commissari che il Ministro degli affari esteri, Federica
Mogherini, aveva dato conto "dell'avvio della procedura di arbitrato internazionale in riferimento alla vicenda
dei due fucilieri di Marina, e ciò in ottemperanza dell'ordine del giorno sottoscritto da tutti i gruppi e approvato
lo scorso 13 marzo".

   Il 24 aprile, intervenendo in audizione innanzi alle Commissioni congiunte Esteri e Difesa dei due rami del
Parlamento, i ministri della Difesa Pinotti e degli Esteri Mogherini preannunciavano effettivamente l'avvio di
una procedura internazionale, con l'affidamento della questione all'arbitrato internazionale, e il
contestuale ritorno a New Delhi dell'ambasciatore Mancini - due mesi prima richiamato in Italia per
consultazioni -, con la cessazione del mandato dell'inviato speciale De Mistura. La ministra Pinotti ribadiva
che per i due marò, tutelati dall'immunità funzionale nel corso dei fatti addebitati, non si poteva accettare
la prospettiva di un giudizio da parte dell'India, oltretutto incapace fino a quel momento anche solo di
formulare un preciso atto di accusa.

   Il 26 aprile la legale rappresentante di Freddy Bosco, proprietario del peschereccio coinvolto nell'incidente
con la Enrica Lexie, presentava ricorso alla Corte Suprema per chiedere il ritorno del processo ove
originariamente era stato incardinato, ovvero nello Stato del Kerala.
    Nel corso di un colloquio telefonico del Presidente del Consiglio Matteo Renzi con Narendra Modi dell'11
agosto, il nuovo premier indiano, pur concordando sulla necessità di un dialogo ravvicinato con l'Italia,
rivendicava la competenza indiana nelle procedure giudiziarie nei confronti dei due marò, sottolineando la
libertà e l'indipendenza della giurisdizione di Nuova Delhi.
   Il 2 giugno si svolgeva un'audizione informale dei due marò in collegamento dall'India e alla presenza
dei loro familiari, presso le Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato. Nel corso della
videoconferenza Salvatore Girone esortava a un dialogo tra i due Paesi per la soluzione della questione,
non mancando di sottolineare la fermezza e lealtà del comportamento suo e di Latorre, tuttavia ancora
trattenuti in India.

  Il 31 agosto Massimiliano Latorre era colpito da una ischemia cerebrale e subito ricoverato in un
ospedale della capitale indiana.
   Anche come risultato di numerosi pronunciamenti di parlamentari, nel corso dell'esame in Commissione
del decreto-legge periodico di rinnovo della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace, in
Senato veniva approvato il 3 settembre un emendamento - poi confermato in Aula e nel testo definitivo del
D.L. 109/2014 – che subordinava la prosecuzione della partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali
contro la pirateria alla valutazione del governo italiano sulla evoluzione della vicenda dei due fucilieri di
marina.
   Mentre le condizioni di Latorre evolvevano positivamente, il 4 settembre veniva presentata alla Corte
Suprema indiana un'istanza per il rientro in Italia del fuciliere di marina, allo scopo di favorire il suo più rapido
e completo ristabilimento, eliminando almeno temporaneamente l'indubitabile fattore di stress che la
permanenza forzata in India comportava. La decisione della Corte Suprema giungeva il 12 settembre,
quando veniva autorizzato il rientro di Latorre in Italia per quattro mesi, previa garanzia scritta del suo
ritorno in India.
   Il 25 settembre la cancelleria della Corte Suprema indiana, in relazione al ricorso presentato dai due
fucilieri di marina e ammesso il 28 marzo, constatava l'assenza dei pareri richiesti alle autorità indiane - con

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l'eccezione del Ministero dell'interno - e fissava un'ulteriore udienza per il 12 dicembre 2014.
   Il 1° novembre si svolgeva alla Farnesina il passaggio di consegne tra Federica Mogherini - nuovo Alto
rappresentante per la politica estera europea - e il suo successore Paolo Gentiloni, che prima ancora di
insediarsi ufficialmente si intratteneva al telefono con Massimiliano Latorre in Italia e Salvatore Girone
ancora trattenuto in India, confermando l'assoluta priorità del loro caso nella sua agenda.
    Il 4 novembre, in occasione della giornata delle Forze Armate, Massimiliano Latorre, invitato alla
Camera, declinava l'invito sia in relazione alle ancora precarie condizioni di salute, sia soprattutto per
sottolineare lo stretto collegamento del suo caso con quello di Salvatore Girone, assieme al quale si
riprometteva in futuro di onorare l'invito, come da lettera inviata al presidente della Commissione Difesa, On.
Elio Vito.
   La questione dei due fucilieri di marina costituiva poi uno dei punti delle conclusioni della Conferenza
interparlamentare di politica estera, sicurezza e difesa comune, svoltasi nell'ambito della dimensione
parlamentare del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dei Ministri dell'Unione europea, nelle
giornate del 6 e 7 novembre, nella sede del Senato. Nelle conclusioni veniva ribadita la preoccupazione per
la situazione dei due militari italiani, sottolineando la necessità di risolvere il caso nel rispetto del diritto
internazionale, e anzitutto della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.

   Il 3 luglio 2015 la procura indiana accetta in Corte suprema il procedimento di arbitrato
internazionale presentato dall'Italia presso la Corte permanente di arbitrato (Cpa) e acconsente a
estendere di 6 mesi il permesso in Italia di Latorre. Il 21 luglio - L'Italia fa ricorso al Tribunale internazionale
del diritto del mare (Itlos) di Amburgo, chiedendo che fino alla sentenza arbitrale Latorre resti in Italia e
Girone rientri.
    Il Tribunale di Amburgo decide che, in attesa della conclusione dell'arbitrato, "Italia e India devono
sospendere ogni iniziativa giudiziaria e non intraprenderne di nuove che possano aggravare la disputa".
Viene quindi tolta la giurisdizione all'India, ma non viene accolta la richiesta italiana per il rientro di Girone in
Italia e la permanenza di Latorre in Italia.

   Il 2 maggio 2016 la Farnesina informa che il Tribunale arbitrale istituito a L'Aja ha anticipato la propria
decisione che il Fuciliere di Marina Salvatore Girone faccia rientro in Italia fino alla conclusione del
procedimento arbitrale, avviato dal Governo il 26 giugno 2015.
    ll 26 maggio la Corte Suprema indiana ha accettato di rendere immediatamente esecutivo l'ordine del
Tribunale arbitrale internazionale dell'Aja di far rientrare in Italia il fuciliere di Marina Salvatore Girone per
tutta la durata del procedimento arbitrale.
    Il 10 settembre 2018 la ministra della difesa pro tempore Elisabetta Trenta ha incontrato Latorre e
Girone. Ai due fucilieri della Marina Militare italiana la ministra ha confermato il sostegno dell'Italia e delle
istituzioni ai due fucilieri di marina.
   L'8 dicembre 2018, in una giornata caratterizzata dal forte valore simbolico nella ricorrenza di Santa
Barbara, patrona della Marina, il presidente Gianluca Rizzo ed alcuni membri della Commissione Difesa
della Camera dei deputati, hanno ricevuto, in due distinti e separati incontri, i fucilieri appartenenti alla
Brigata Marina San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. I due incontri informali hanno
rappresentato l'occasione per manifestare l'attenzione e la solidarietà costante della Commissione Difesa alla
loro vicenda.

La decisione del Tribunale internazionale dell'Aja del 2 luglio 2020
  Giovedi 2 luglio 2020 il Tribunale arbitrale internazionale dell' Aja ha riconosciuto la giurisdizione italiana
sul "caso Lexie" sulla base della considerazione che i due marò erano in quel momento funzionari dello

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Stato italiano impegnati nell'esercizio delle loro funzioni.
   Inoltre, secondo il Tribunale "l'Italia ha violato la libertà di navigazione e dovrà pertanto compensare l'India
 per la perdita di vite umane, i danni fisici, il danno materiale all'imbarcazione e il danno morale sofferto dal
 comandante e altri membri dell'equipaggio del peschereccio indiano Saint Anthony", a bordo del quale
 morirono i due pescatori del Kerala. "Al riguardo, il Tribunale ha invitato le due Parti a raggiungere un
 accordo attraverso contatti diretti".

    Sul caso dei due fucilieri di marina, l'Italia dovrà, quindi, esercitare la propria giurisdizione e riavviare il
 procedimento penale sui fatti occorsi il 15 febbraio 2012, a suo tempo aperto dalla Procura della Repubblica
 presso il Tribunale di Roma».

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