LA MINIERA DI CABERNARDI - RICERCA SCIENTIFICA E SOCIO - STORICA - Civetta.tv

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LA MINIERA DI CABERNARDI - RICERCA SCIENTIFICA E SOCIO - STORICA - Civetta.tv
LA MINIERA
      DI CABERNARDI
RICERCA SCIENTIFICA E SOCIO - STORICA
LA MINIERA DI CABERNARDI - RICERCA SCIENTIFICA E SOCIO - STORICA - Civetta.tv
Dedicato a tutti i bambini che hanno il cuore
  aperto verso la conoscenza della storia, della
 cultura, della bellezza e della ricchezza della loro
terra e a tutti coloro che li aiutano nella scoperta
     della meraviglia del mondo che abitano…
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IL PROGETTO

Questo progetto interdisciplinare, che ha previsto l’intrecciarsi di percorsi educativi e
didattici relativi all’ambito scientifico e storico-geografico, è finalizzato alla scoperta del
territorio e del paesaggio. Il paesaggio, concepito come punto d’intersezione tra gli
elementi naturali, gli eventi storici e le espressioni dell’attività umana, è rivelazione
dell’identità. Fornire chiavi di lettura del paesaggio serve quindi a formare una sensibilità
che contribuisce alla formazione di una cittadinanza attiva, responsabile e consapevole.
Gli alunni sono stati condotti alla scoperta del territorio e dei beni culturali che lo
contraddistinguono per promuovere anche l’educazione ambientale e lo sviluppo del
senso di appartenenza ad una comunità. Le uscite didattiche al museo e al parco archeo-
minerario, gli approfondimenti scientifici, la raccolta di fonti storiche appartenenti alle
proprie famiglie, la lettura di fonti bibliografiche, la visione di fonti digitali, l’elaborazione
dei dati attraverso la creazione di mappe, grafici e linee del tempo, l’uso delle nuove
tecnologie per la creazione di una documentazione condivisa, sono state le strategie
didattiche      utilizzate     per      costruire     un      apprendimento           significativo.
 L’adozione della ricerca-azione come metodo di insegnamento ha permesso un
coinvolgimento profondo favorendo l’assunzione di un ruolo attivo da parte degli alunni.

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IL BACINO ARCHEOMINERARIO

Una realtà industriale avanzata in una
società prevalentemente agricola ed
economicamente           povera:      questo
rappresentava la miniera di Cabernardi il
secolo scorso in una vasta area
dell’entroterra marchigiano.
Il bacino solfifero che alimentò le due
importanti miniere di Cabernardi e
Percozzone appartiene alle province di
Ancona e Pesaro-Urbino occupando i
territori dei comuni di Sassoferrato, Arcevia
e Pergola. Nella carta geografica è
evidenziata anche Bellisio Solfare, la
frazione di Pergola in cui fu costruita la
raffineria di zolfo.

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LO ZOLFO
Lo zolfo è un minerale che si trova molto diffuso in natura.

È di color giallo pallido, morbido, leggero, insapore e inodore. Solo quando si lega con
l’idrogeno emana un forte odore caratteristico (odore di uova marce: è bene notare
che questo non è l'odore dello zolfo, ma solo del suo composto, il sulfuro d’idrogeno).
Lo zolfo quando brucia ha una fiamma bluastra che emette un odore caratteristico e
soffocante. Lo zolfo non si trova allo stato puro e deve essere sottoposto ad un
processo di raffinazione che lo rende puro e utilizzabile.

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USO DELLO ZOLFO

Lo zolfo ha innumerevoli usi. Viene usato in
agricoltura come fungicida. Mescolato con
potassio forma una miscela esplosiva,
quindi viene utilizzato per l'industria bellica,
infatti durante le guerre la richiesta di zolfo
aumentava.
In chimica è utilizzato per la produzione
dei farmaci (sulfamidici) e di cosmetici
come saponi e pomate; dallo zolfo si
estraeva anche l'acido solforico che veniva
usato per sbiancare la lana e i tessuti.
È usato dalľindustria vetraria per la
colorazione gialla dei vetri.
Oggi è uno dei minerali piú usati nella
industria chimica .

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Lo zolfo si estraeva seguendo diverse fasi.
Per prima cosa si doveva abbattere la roccia per fare "il buco", infatti i minatori
praticavano dei fori nella roccia per introdurre l'esplosivo e una volta inserito si faceva
esplodere per creare una galleria. In seguito la roccia solfifera veniva caricata su dei
vagonetti.

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I livelli della miniera erano 27 ma a Cabernardi si estraeva fino al 21 livello.

         PERCOZZONE                                      CABERNARDI

                                                                                   6
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ESTRAZIONE DELLO ZOLFO
Il metodo più antico di estrazione è quella del calcarone. Si costruivano delle enormi
fosse circolari su terreno in pendio tenute da un muro in mattoni, in fondo al pendio
c'era una porta di mattoni che veniva ogni volta abbattuta e ricostruita.

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La zona di combustione così creata si diffondeva lentamente
verso il basso, il calore si propagava fondendo tutto lo zolfo (il
punto di fusione dello zolfo è di 119 gradi) il quale, separandosi
dalla ganga (roccia) si raccoglieva in basso e giungeva alla porta
di chiusura in un periodo che oscillava dagli 8 ai 30 giorni dalla
accensione. La presenza dello zolfo fuso veniva avvertita dagli
operai dal calore emesso dai mattoni utilizzati per la chiusura.
A quel punto con una barramina (ferro cilindrico con punta
lungo 1,5-2 metri) veniva forato il tappo di argilla e lo zolfo
fuso, per mezzo di canalette di lamiera tipo grondaia, veniva
convogliato negli stampi dove solidificava in pani da 50 kg.

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La spillatura dello zolfo fuso avveniva da un piccolo foro praticato alla base.
Lo zolfo in pani veniva trasportato alla raffineria di Bellisio Solfare attraverso una
teleferica lunga 3450 metri ed era composta da 35 vagoni, ognuno dei quali trasportava
4 pani da 50 kg. A Bellisio Solfare veniva ulteriormente lavorato e raffinato ed era pronto
per i vari usi.

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Il tempo che intercorreva fra l'accensione del calcarone e l'esaurimento della raccolta
dello zolfo fuso, variava a seconda della dimensione del calcarone, ma mediamente a
Cabernardi impiegava 4 mesi.
La combustione che avveniva nei calcaroni lasciava comunque fuoriuscire dei fumi
che causavano la scomparsa della vegetazione delle zone circostanti.
La temperatura esterna intorno ai calcaroni era sempre sui 34 gradi.
A Cabernardi esistevano 40 calcaroni per la fusione dello zolfo.

Dal 1904 a Cabernardi i calcaroni vennero affiancati dai forni Gill.

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I FORNI GILL

Furono un’evoluzione per l'estrazione dello zolfo.
I forni Gill erano delle celle in muratura, poste in
batterie (le une vicino alle altre) da 4, 6 o 8 tra
loro comunicanti, che permettevano di
recuperare e ridistribuire il calore prodotto dalla
combustione ottenendo una più alta resa. Sulla
copertura a volta di ogni cella, un'apertura
permetteva il caricamento del forno con il
minerale.

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STORIA DELLA MINIERA DI CABERNARDI
Anno   Evento

1870   Un contadino di Cabernardi notò che le sue bestie da lavoro si rifiutavano
       di bere in una pozza d’acqua perchè maleodorante, così avvisò il prete del
       paese che si rivolse ad un perito di Arcevia il quale constatò la presenza di
       una falda di zolfo. Iniziarono le ricerche.

1877   Iniziarono gli scavi a Percozzone (Pergola). La concessione mineraria
       venne data ai signori Buhl.

1888   Iniziarono gli scavi a Cabernardi diretti dall’Azienda Solfifera Italiana.
       Vennero costruiti 16 calcaroni da cui si otteneva lo zolfo greggio. Nello
       stesso anno iniziò la costruzione della raffineria a Bellisio Solfare che
       venne completata l'anno successivo.

1899   La proprietà della miniera passò alla società Trezza Albani che possedeva
       altre 11 concessioni minerarie in Emilia Romagna e nelle Marche.

1904   Entrarono in funzione a Cabernardi i primi forni Gill accanto a 30
       calcaroni.

1917   La miniera venne ceduta Montecatini che sfruttava già altre 10 miniere.         12
1918   La guerra provocò scarsità di manodopera: furono impiegati 200
       prigionieri di guerra e 60 donne per superare la quota di 400 lavoratori.

1919   Si raggiunse il record di 840 dipendenti e fu costruito un ambulatorio
       infermieristico. Iniziarono alcuni scioperi per abolire la diminuzione di
       una indennità caro-viveri.

1922   Ci furono 12 mesi di sciopero: alla fine il personale venne licenziato per un
       mese e lo stipendio venne ridotto del 20%.

1925   Vennero costruite a Cabernardi alcune case popolari per i minatori e
       arrivarono operai dalla Sardegna.

1929   Furono costruiti 20 appartamenti nel villaggio di Canterino.

1934   La miniera superò i 1000 dipendenti.

1937   Fu costruita la teleferica per trasportare lo zolfo greggio a Bellisio Solfare
       (prima il trasporto avveniva attraverso una galleria appositamente
       scavata).                                                                        13
1944   I bombardamenti aerei danneggiarono più volte le linee elettriche e la
       miniera sospese le attività di estrazione. I partigiani fecero saltare i
       trasformatori elettrici di Bellisio Solfare provocando enormi danni. I
       tedeschi, durante la ritirata, provocarono incendi ed esplosioni poiché la
       miniera e la raffineria erano considerate dei punti sensibili in quanto lo
       zolfo era necessario per la produzione di esplosivi.

1947   Iniziò la ricostruzione degli impianti distrutti.

1950   Gli Usa entrarono nel mercato dello zolfo con un prodotto più economico,
       insieme al Canada, al Messico, alla Francia e alla Polonia.

1952   La miniera raggiunse i 1600 dipendenti. La Montecatini annunciò il
       licenziamento di 860 operai per esaurimento del minerale. Circa 200
       operai occuparono la miniera per 41 giorni; vennero licenziati.

1955    Fu confermato l’esaurimento definitivo del minerale, restarono solo pochi
       dipendenti (30 all’interno e 25 all’esterno tra tecnici e impiegati). Fu
       recuperato tutto il materiale possibile.

1960   La Montecatini chiese di rinunciare alla concessione. La miniera di
       Cabernardi fu definitivamente chiusa.                                        14
Un contadino di Cabernardi si accorge che le sue bestie da lavoro si rifiutano di bere in
una pozzanghera perché maleodorante, così avvisa il parroco in quanto spaventato
dall’odore nauseabondo che si pensava fosse una manifestazione del diavolo. Il
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parroco, invece, chiede la consulenza di un perito di Arcevia.
VILLAGGIO MINERARIO DI CANTERINO

                    A 2 km da Cabernardi si trova il
                    villaggio minerario di Cantarino, dove
                    nel 1917 vennero costruite le prime
                    case-dormitorio, sei piccoli fabbricati
                    ad un solo piano composto da 2
                    stanze, con i servizi igienici esterni in
                    comune, per i minatori che non
                    potevano tornare a casa dopo il
                    lavoro. L’ultimo palazzo ad essere
                    costruito nel 1929 è il palazzo detto
                    “Cattedra” una casa di ringhiera che
                    domina le case sottostanti. Ad ogni
                    famiglia veniva assegnato un piccolo
                    appezzamento agricolo con spazi per il
                    ricovero degli attrezzi.
                    Cantarino era organizzato come una
                    piccola comunità autosufficiente
                    dotata di tutti i servizi essenziali.

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Con la crescita demografica si realizzano
nuove strutture per la comunità: fonti
d’acqua coperte usate anche come lavatoi,
il forno pubblico, la scuola, la chiesa, la
mensa per operai e impiegati e il
dopolavoro per i minatori.
La cooperativa Montecatini creò diversi
negozi in cui le merci avevano prezzi
inferiori e proponeva attività ricreative e
culturali come lo sport e le cerimonie. Negli
ultimi tempi arrivarono 70 famiglie fino a
raggiungere 300 abitanti.

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LA MINIERA DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE

                                      Questo tragico evento del XX secolo ebbe
                                      drastiche conseguenze anche su questo sito
                                      minerario in quanto era considerato un luogo
                                      di estrema importanza, visto che lo zolfo era
                                      necessario per la produzione di eplosivi. Nei
                                      primi anni di guerra vennero chiamati alle armi
                                      ben 350 minatori anche se poi fu loro
                                      consentito un esonero rinnovabile ogni 2 mesi
                                      per ritornare a lavoro e sfuggire così ad una
                                      sorte tragica.

Dopo l’8 settembre 1943, quando iniziò ad
organizzarsi il movimento partigiano, i fascisti
emanarono richiami alle armi, ma pochi minatori si
arruolarono, altri disertarono mentre altri
andarono ad arricchire le formazioni partigiane.
Fu proprio grazie al materiale esplosivo sottratto di
sotterfugio alla miniera che i partigiani riuscirono a
distruggere strade, ponti e tralicci per mettere in
difficoltà i tedeschi che stavano occupando il
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territorio.
Alla fine del 1943, a causa dei bombardamenti alleati e delle azioni dei partigiani,
        si verificò una sospensione sia dell’estrazione del minerale sia della raffinazione
        dello zolfo.
                                    Lo zolfo era necessario per l’industria chimica tedesca, per
                                    questo motivo i partigiani sabotavano continuamente i
                                    trasformatori elettrici e le linee ferroviarie e cercavano di
                                    impedire il rifornimento di legna e benzina, materiali
                                    indispensabili al funzionamento dell’azienda.
                                    I fascisti istituirono anche un Presidio composto da un
                                    comandante e 13 militi, i partigiani li resero prigionieri e li
                                    portarono a Monte Sant’Angelo sotto stretta sorveglianza.
                                    Un gruppo di 50 fascisti tentò di liberare i prigionieri, ma
                                    non ci riuscirono.
                                    Il Comitato di Liberazione Nazionale di Pergola, resosi
                                    conto che la resa fascista era vicina, intimò il direttore
                                    della Miniera di occultare i materiali più preziosi nelle
                                    gallerie, ciò permise una rapida ripresa dei lavori dopo
                                    l’occupazione. Prima di ritirarsi i tedeschi cercarono di
Documento che registra i
                                    distruggere gli impianti, ma provocarono meno danni di
danneggiamenti subiti dalle linee   quanto previsto. Tra la fine di luglio e e il mese di agosto
elettriche di Fabriano-Bellisio per 1945 avvenne la Liberazione dell’area mineraria di
un’incursione aerea su Fabriano.
                                    Cabernardi, ma si tornò alla normale attività produttiva
                                    solo nel 1946.                                                19
LA PRODUZIONE DI ZOLFO A CABERNARDI

                              TONNELLATE DI ZOLFO FUSO
  50000                                                   46271

  40000

  30000                                        26637                             27415

  20000
                                    14680
                         11500
  10000
                                                                      3394
                34
        0
               1887       1900       1914       1930       1938       1945       1946
Dall’istogramma a barre verticali si può osservare che la massima produzione di zolfo si
ebbe a ridosso della II Guerra Mondiale. Durante la guerra si verificò una forte
riduzione della produzione a causa dei danni provocati prima dai partigiani e poi dai
tedeschi durante la ritirata.                                                            20
1952:L’OCCUPAZIONE DELLA MINIERA

         Un evento fondamentale per la storia della miniera
         di Cabernardi fu l’occupazione del 1952. La forte
         crisi del settore fu causata dall’entrata di altri paesi
         sul mercato dello zolfo, in particolare degli USA. Gli
         Stati Uniti avevavo trovato una falda di zolfo quasi
         puro dello spessore di circa 40 metri e soprattutto
         avevano scoperto un nuovo metodo di estrazione.
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Il metodo Crash consisteva nell’iniettare acqua ad alta
temperatura nella falda e nel risucchiare lo zolfo fuso che
sarebbe stato poi trasportato con delle autobotti nelle
raffinerie ancora liquido. In questo modo i costi di
estrazione erano veramente concorrenziali. Inoltre le
ricerche che continuarono ad essere effettuate nel bacino
minerario di Cabernardi non ebbero esito positivo e quindi
l’azienda Montecatini annunció il licenziamento di 860
operai. I dipendenti decisero di mobilitarsi per evitare la
chiusura della miniera e la conseguente perdita del
benessere economico che avevano raggiunto. Il 20 maggio
1952 gli operai del turno delle 22 si rifiutarono di uscire
dalle gallerie per 41 giorni fino al 5 luglio.
Gli     operai     del   turno
successivo, non potendo
entrare nei pozzi per
l’intervento     delle   forze
dell’ordine, si accamparono
fuori. In totale gli occupanti,
denunciati per il reato di
occupazione arbitraria di
aziende industriali, furono
377.                                                          22
Le mogli, i figli e il parroco del paese si
unirono alla protesta manifestando tutto il
loro appoggio agli occupanti. Le mogli
recapitavano i viveri ai loro mariti facendoli
calare dai pozzi. L’evento fece grande
scalpore, tanto da attirare l’attenzione di
importanti testate giornalistiche, come l’
Unità che così scriveva: “Quelli dei pozzi di
Cabernardi si sono congiunti, attraverso una
galleria, con quelli di Percozzone, e dopo
affettuosi abbracci, hanno tenuto, al 15°
livello, un’assemblea. Poi, a mille metri
sottoterra, si è svolto uno straordinario
corteo….”. Purtroppo l’occupazione fu inutile,
gli occupanti vennero licenziati e la miniera
smise di produrre quell’anno stesso, per
essere defintivamente chiusa nel 1960.

                                           23
IL DECLINO DEMOGRAFICO
La presenza della miniera di Cabernardi incise profondamente sull'andamento demografico di
tutto il bacino interessato, infatti quando la miniera era in piena attività la popolazione
aumentava gradualmente ed andava ad insediarsi in paesi che prima erano prevalentemente
agricoli e spopolati.

                       ANDAMENTO DEMOGRAFICO DI ARCEVIA

  A Sassoferrato, Cabernardi e ad Arcevia aumentano notevolmente i residenti nei periodi di
  massima attività della miniera (1931-1951) e invece si nota un notevole declino
  demografico che inizia dopo la chiusura della miniera, prosegue negli anni successivi (1961-
  1971) e purtroppo continua ancora oggi.                                                 24
L'ondata migratoria non ha interessato solo il paese di Cabernardi ma anche tutte le
località e i paesi del circondario, la cui economia aveva beneficiato della presenza di
questa attività produttiva, unica in una realtà prevalentemente agricola. Questi dati
non possono che significare il declino completo dei paesi. Infatti, durante le
migrazioni, i primi ad andarsene sono i giovani, che devono costruirsi un futuro e
coloro che hanno una famiglia da sfamare. Pertanto nei paesi rimangono solo le
persone anziane che non riescono a staccarsi dalla loro casa e dalla loro terra. Questa
analisi non vale solo per Cabernardi ma anche per Arcevia dove non esistevano
attività produttive in grado di sostentare le famiglie. Lo spopolamento non
comportava solo la migrazione delle persone, ma anche la scomparsa dei servizi che
erano legati alla miniera come la cooperativa, la mensa, le attività commerciali e la
pompa di benzina. Oggi questi comuni, grazie anche allo sviluppo di piccole e medie
imprese artigianali sono diventati centri dove, nonostante la diminuzione della
popolazione, si può vivere bene con una certa presenza di servizi fondamentali e
una adeguata rete commerciale. Purtroppo in questi paesi si nota ancora un lento
calo della popolazione con movimenti migratori verso la costa e verso centri
industriali del Nord.

                                                                                      25
Cappella di Santa Barbara, protettrice dei minatori.
All’interno è visibile la lapide con l’elenco dei
lavoratori morti all’interno della miniera.

Il 15 luglio 2015 è stato inaugurato il
Parco archeo-minerario di Cabernardi
in presenza delle autorità e del
Presidente della Camera Laura Boldrini.

                                                       26
TRA GIOIA E DOLORE: IL RACCONTO DI MARIO ALBERTINI
Mi chiamo Mario Albertini, sono nato in Arcevia il 15/3/1930 e
vivo a Santa Croce, una piccola frazione di Arcevia.
Ho iniziato a lavorare nella miniera di Cabernardi il 1 marzo
1947, a 17 anni, quando ancora non ero maggiorenne perchè
allora la maggiore età si raggiungeva a 21 anni. Restai in
miniera per 5 anni. All'inizio avevo la qualifica di manovale: il
mio compito era scaricare i vagoni di minerale dentro i
calcaroni. I vagoni arrivavano direttamente sui binari e io da
solo dovevo spingerli per svuotarli senza farli cadere dentro i
calcaroni. Il primo giorno di lavoro gli altri operai si divertirono
alle mie spalle facendomi faticare il doppio: per far scivolare
meglio le rocce, gli scaricatori usavano delle lastre di metallo,
ma io non lo sapevo e svuotavo il minerale direttamente sopra
le altre pietre facendo poi una gran fatica per spingerlo giú con
la pala! Solo dopo ho scoperto come dovevo fare!
 Il mio turno era di 8 ore, avevo circa 20 minuti per mangiare.
Di solito il pranzo lo portavo da casa, anche se c’era una mensa
in cui si poteva mangiare dove lavoravano le donne.

                                                                       27
Dopo qualche tempo l’ingegnere responsabile dei lavori mi cambiò qualifica e diventai
uno spinatore. Il mio compito era togliere il tappo di argilla alle porte dei calcaroni per
far fuoriuscire lo zolfo liquido e, attraverso una canaletta, mandarlo dentro gli stampi
per fare i pani di zolfo. La mattina, appena arrivavo, dovevo sistemare gli stampi
mettendoli in fila in modo che lo zolfo passasse dall’uno all’altro attraverso un foro. La
fila poteva essere formata anche da 50 stampi e di solito non si riusciva a riempirla più
di una volta al giorno. Prima però dovevo bagnare con dell’acqua gli stampi per facilitare
il distacco dello zolfo una volta solidificato. Quando lo zolfo era diventato solido, dovevo
estrarlo con la sola forza delle braccia. Ogni pane pesava circa 50 chili, ma io riuscivo a
tirarlo fuori dallo stampo senza l’aiuto di nessuno.
Il lavoro di spillatore non mi piaceva perchè si doveva lavorare anche il sabato e la
domenica e siccome io ero giovane volevo anche andare a divertirmi. Lo dissi
all’ingegnere, ma mi rispose che mi avrebbe fatto continuare finchè non avesse trovato
un altro spinatore bravo come me.

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Io però mi ero stancato cosí andai dal medico dell'azienda e gli dissi che non riuscivo più a
sopportare l’odore di zolfo, anche se non era vero. Il dottore mi scrisse un certificato e io
corsi a consegnarlo all’ingegnere, ma l’ingegnere neanche lo guardò e io continuai ancora
per un po’ di tempo a fare lo spinatore contro la mia volontà. Finalmente mi mandarono
sotto la miniera a fare il manovale. Dovevo “fare la ripiena”, cioè dovevo riempire le
gallerie ormai sfruttate per evitare crolli. Si usavano i resti dei minerali bruciati nei
calcaroni, che venivano nuovamente riportati sottoterra attraverso i pozzi. Dentro la
miniera i carrelli venivano trainati dai muli che vivevano sempre lí dentro, nelle stalle
sotterranee. Mi ricordo che c’era anche un cavallo da tiro che non veniva mai fatto uscire.
Le gallerie erano illuminate dalla luce elettrica. Il primo giorno raggiunsi Cabernardi a piedi
impiegando circa un’ora insieme ad altre 10 persone della Costa. Successivamente andai
alla miniera con i camion che facevano da corriera. Il mio camion partiva da Arcevia,
passava per Conce, Santo Stefano, Civitalba, San Gianni, Sassoferrato e Cabernardi. Un
altro partiva da Montefortino, si fermava a Palazzo, Caudino, Sterleto fino ad arrivare alla
miniera.

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In tutto c’erano 5 o 6 camion. Ogni camion trasportava fino a trenta operai e passava tre
volte al giorno ogni otto ore, in base ai turni dei lavoratori: 6.00-14.00/14.00-
22.00/22.00- 6.00
Il primo turno era il più numeroso.
Alcuni minatori venivano pagati a giornata, altri a contratto, per esempio in base al
numero dei vagoni caricati. Appena arrivato in miniera, ritiravo la medaglietta, il mio
numero era 2129. Solo quando lavoravo dentro la miniera passavo anche in lampisteria a
ritirare la lampada. Prima di raggiungere il cantiere in galleria, qualche volta passava
anche un’ora perchè si doveva fare la fila ai pozzi, scendere e poi percorrere un tragitto
più o meno lungo. Sotto c’era l’illuminazione elettrica solo dove c’erano le cellette dei
sorveglianti, poi ogni minatore procedeva usando la propria lampada. Spesso i minatori
lavoravano indossando solo un paio di pantaloni corti perché era molto caldo. Ogni 30-
40 minuti si smetteva di lavorare per rinfrescarsi un po’ raggiungendo un punto dove
c’era della corrente di aria fresca. Oppure ci si bagnava con il tubo dell’acqua che serviva
per bagnare la roccia ed impedire che durante le eplosioni ci fosse troppa polvere
nell’aria. Dallo stesso tubo bevevamo l’acqua che peró potevamo prendere anche dalle
botti di ferro che ci venivano calate dai pozzi. Ai miei tempi lavoravano in miniera più di
mille persone.

                                                                                          30
I minatori erano molto orgogliosi del proprio lavoro e la domenica, se si andava a
Cabernardi, bisognava vestirsi bene perché lì c'era il lusso.
Nel 1952, quando ci fu l’occupazione della miniera, io lavoravo proprio durante il turno in
cui gli operai iniziarono lo sciopero, ma decisi di uscire fuori e tornare a casa perché avevo
paura che mia madre non vedendomi si sentisse male. Infatti lei era diventata vedova a
causa di un incidente mortale accaduto a mio padre all’interno della miniera. Dopo alcuni
giorni decisi peró di andare a vedere come procedeva l’occupazione e mi recai sul posto;
uno dei sorveglianti mi vide e mi segnaló ai superiori. Fui inserito nell’elenco dei dipendenti
che parteciparono all’occupazione all’esterno della miniera e cosí venni licenziato.
Mi diedero una buonuscita di circa 240 mila lire.
Gli anni che seguirono furono molto duri perché fino al 1962 lavorai sempre a giornata
svolgendo lavori con le macchine agricole; finalmente nel 1963 venni assunto alla cava di
Arcevia, mia moglie venne assunta in un calzaturificio e quindi riuscivamo ad andare avanti
bene.

                                                                                          31
Mio padre Angelo, nato ad Arcevia
nel 1903, morí il 23 dicembre 1936,
il giorno prima della Vigilia e di
Natale. Era un minatore e stava
preparando le mine quando il
grisou causò un’esplosione che a
sua volta provocó il crollo di una
parte della galleria. Lui morí sul
colpo, il socio con cui lavorava visse
ancora 3-4 anni. Quando mio padre
morí, lasció la moglie Romilde
ancora giovane e 3 figli piccoli: io
avevo solo 8 anni, mia sorella Rita
ne aveva 10, mia sorella Daria ne
aveva solo 5. La vita di mia madre fu
molto dura perché fu aiutata solo
dai suoceri Domenico e Concetta e
dalla zia paterna Maria che ancora
viveva con loro. Il suocero era già
vecchio, aveva solo un pezzetto di
terra e lavorava a giornata dagli altri
contadini, inoltre era quasi cieco.       32
Buste paga di Albertini Angelo, una risalente al 1935,
l’altra al 1936.

 Nel retro delle buste paga erano scritte le norme
 sulla sicurezza del lavoro in miniera. : imdossare la
 maschera antigas, non tirare ma spingere I carrelli
 evitando di tenere le mani lateralmente per non
 graffiarsi o schiacciarsi le mani, fare attenzione
 quando si passava sotto le impalcature, usare la
 lampada di sicurezza che avvertiva della presenza di
 grisou, assicurarsi della regolare funzionalità delle
 tubature dell’acqua prima della sparatura delle
 mine, fare attenzione alla caduta dall’alto di
 materiali ed utensili, ecc…

                                                         33
Medaglia di bronzo
                         ricevuta da Angelo
                         Albertini per atti di
                         eroismo.

Il 16 maggio 1927 mio padre fu coinvolto in un
altro incidente: lo scoppio di una mina provocò
una frana. Sotto la roccia rimasero intrappolati
due suoi colleghi. Nonostante la paura lui ebbe
come primo pensiero quello di soccorrerli
mettendo a rischio la propria vita. Uno dei
giovani che riuscì a salvare divenne poi il padre
di mia moglie Lea. In seguito ricevette una
medaglia di bronzo per atti di eroismo
accompagnato da un attestato.                   34
Dopo la morte di mio padre, mia madre ricevette dall'azienda un'indennità di 30 mila
lire, di cui la quarta parte spettò a mia madre e i tre quarti a me e alle mie sorelle, ma
noi avremmo potuto spenderli solo dopo aver raggiunto la maggiore età di 21 anni.
Anche mia moglie Lea, nata a Caudino, aveva il padre e i suoi sette fratelli che
lavoravano in miniera. Quando i fratelli riscuotevano la paga consegnavano tutti i soldi
al “capoccia”, cioè al padre che era il capofamiglia e decideva come gestire il denaro.
Suo padre però, che era bravo, comprò con quei soldi una casa per ciascuno di loro.

                                            In questo libretto
                                            venivano segnati
                                            i giorni lavorativi
                                            di ogni mese e la
                                            paga ricevuta.

                                                                                        35
DALLA TERRA ALLA MINIERA: NAZZARENO MILLETTI
Io mi chiamo Leda Milletti e sono nata in Arcevia il 18/4/1939.
Vi racconteró di Milletti Nazzareno che era mio padre.
Egli nacque il 1/12/1912 in Arcevia dove visse il resto della sua
vita. La sua famiglia era composta da moglie e tre figli .
Mio padre era un contadino mezzadro e le condizioni di vita
erano difficili, ma mio padre lavorando in miniera, guadagnava
bene. Venne assunto alla miniera quando aveva 17 anni .
Raggiungeva il posto di lavoro in bicicletta e in inverno,
quando c’era la neve, anche a piedi.
Aveva la qualifica di minatore e il suo lavoro si svolgeva in
questo modo: mio padre andava giú sottoterra scendendo dai
pozzi ed estraeva lo zolfo dalla roccia. Quando scendeva
portava con sé una lanterna ad olio.
Il suo turno di lavoro era dalle ore 8:00 alle ore 18:00, a volte
faceva anche lo straordinario.

                                                                    36
In miniera lavoravano anche degli animali: i
muli che con i carretti trasportavano lo zolfo,
i cavalli e gli asini.
La retribuzione, per i tempi che correvano,
era abbastanza buona.
Una volta all’anno l’azienda donava ai suoi
dipendenti 2 litri di vino rosso e un chilo di
bollito.
La festa di Santa Barbara era una festa
importante, perché è la protettrice dei
minatori. In questa occasione nella
parrocchia di Costa si faceva una gran festa: i
minatori andavano a messa tuti insieme e
dopo la messa facevano la colazione con una
bella braciolata di carne. Era una gran festa.
In estate la Montecatini organizzava anche la
colonia marina per i bambini figli dei
dipendenti, si andava ad Igea Marina.
I minatori erano considerati uomini fortunati
perché avevano un buon lavoro. Mio padre
era soddisfatto del proprio lavoro, perché
così poteva mantenere la sua famiglia.         37
Egli non ha occupato la miniera nel 1952 perché era arrivato per la pensione. Mio padre
é deceduto a 63 anni per problemi polmonari perché aveva respirato zolfo.

Libretto di lavoro di Nazzareno Milletti in cui si attesta l’assunzione della Montecatini come minatore
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avvenuta nel 1937.
Nel Libretto di Lavoro di Milletti Nazzareno vi erano delle pagine riservate alla registrazione degli infortuni che
all'interno della miniera erano frequenti. Lo stesso minatore aveva denunciato ferite, contusioni e distorsioni che per
fortuna erano guarite in pochi giorni.

                                                                                                                      39
QUINTO MARCHEGIANI
 Mi chiamo Giuseppe Marchegiani e sono nato il 19 settembre 1943.
 Vi racconterò di mio padre Quinto nato il 13 febbraio 1916 nella frazione S.Stefano di
Arcevia. La sua famiglia era composta da mio padre, mia madre, mia sorella Nadia,
nonna Albina e zia Sesta che era la sorella di mio padre. Rimasto orfano di padre alla
età di 10 anni, mio padre per poter mangiare ha fatto il mestiere di garzone in case di
persone nella zona, ma aveva 5 fratelli e sorelle e anche se Ia nonna prestava servizio
presso la casa Severini di Santo Stefano, la paga era talmente poca che non si riusciva a
sfamare la famiglia.

                                                                                        40
Mio padre all’età di 12 anni, grazie al fatto che era orfano di un dipendente della società
che gestiva la miniera di Cabernardi, venne assunto con incarichi vari, per servizi
all’esterno della miniera. All’età di 16 anni circa veniva ammesso fra le maestranze che
lavoravano all’ interno della miniera con la qualifica di minatore. Il turno di lavoro era di 8
ore, con turni continuativi. Le condizioni di lavoro erano gravose, sia perché il lavoro era
quasi tutto realizzato a mano e l'aria e la temperatura arrivavano anche a 40 gradi, sia
perchè era molto pericoloso a causa di un gas, chiamato “grisou” altamente esplosivo. A
causa di uno scoppio di questo gas, il padre di mia madre era stato raggiunto da alcuni
massi, morendo sul colpo all'età di anni 24.

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La retribuzione permetteva di vivere non da ricchi, ma in modo decoroso, visto le
 esigenze degli anni ’40-’50. I dipendenti dell’azienda festeggiavano S. Barbara,
 protettrice dei minatori. Negli anni ‘50 avevano anche organizzato la colonia marina, io
 stesso nel 1949 sono stato a Cattolica. A quel tempo gli abitanti di Cabernardi e dei
 paesi limitrofi, i comuni di Sassoferrato, Arcevia e Pergola, erano abbastanza benestanti.
 Da tutti coloro che per vari motivi non lavoravano in miniera, i minatori erano
 considerati dei privilegiati.

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Mio padre era molto soddisfatto del proprio lavoro perché gli permetteva, insieme alla
famiglia, di vivere abbastanza decentemente. Nel 1953 mio padre fu licenziato, in quanto
l'azienda ha ritenuto non più remunerativa l'estrazione dello zolfo, e pertanto ha iniziato a
licenziare o trasferire tutte le maestranze e chiudere tutti gli impianti. Dal momento della
chiusura, purtroppo si è verificato uno spopolamento di tutte quelle zone e paesi, fino ad
allora “ricchi”, con una emigrazione in vari paesi d'Italia e del mondo, con la condizione
economica disastrosa che si riprese negli anni ‘70.

 Su questi due foglietti Quinto Marchegiani aveva annotato le destinazioni di lavoro che furono assegnate ai suoi
 colleghi dopo il licenziamento dalla miniera di Cabernardi e anche la liquidazione che alcuni di loro avevano
 accettato. Nel primo documento si legge: «Loretelli Alfredo fu Antonio che morì sotto un treno a Ferrara, accettò il
 trasferimento e (l’azienda) gli diede più di 600 mila lire di liquidazione mentre noi tutti ci diede circa 200 mila lire»
 nel secondo biglietto è leggibile un elenco di persone con le relative destinazioni (miniere di Ferrara, Sicilia e Isola
 d’Elba).                                                                                                                  43
Fronte e retro della
Tessera ENAL E della
Tessera di
riconoscimento.

                       44
LENCI DOMENICO
Io mi chiamo Lenci Egle, sono nata in Arcevia nel
1951 in frazione Costa. Vi racconterò di mio nonno
che era Lenci Domenico, nato in Arcevia nel 1900 e
residente in frazione Costa. La sua famiglia era
composta da moglie e 6 figli. Mio nonno era
proprietario di 4 ettari di terreno. Le condizioni di
vita erano difficili perché le famiglie erano
numerose e il terreno rendeva poco. Venne
assunto alla miniera all’età di 30 anni circa.
Raggiungeva il posto di lavoro a piedi passando per
i campi per accorciare il percorso. Era un operaio e
il suo lavoro era a turni di 8 ore, le condizioni di
lavoro erano molto pesanti e pericolose, tanto che
lui stesso ebbe un brutto infortunio: un masso di
zolfo lo colpì in testa e dovette stare a casa per 2
anni. Nella miniera lavoravano tantissime persone
ed era un bene perché la retribuzione faceva
vivere dignitosamente le famiglie. L’azienda gestiva
una cooperativa dove gli operai potevano fare gli
acquisti per le loro famiglie.
                                                        45
All’interno della miniera lavoravano anche degli
asini che trasportavano i carrelli con lo zolfo che i
minatori cavavano con i picconi. Il 4 dicembre,
festa di Santa Barbara patrona dei minatori, era
un giorno speciale per i minatori. La mattina si
andava alla santa messa e alla processione, poi
tutti a pranzo per ringraziare la santa per averli
protetti. A quel tempo Cabernardi era un paese
popolato, proprio in funzione della miniera. I
minatori erano considerati fortunati perché si
portavano a a casa uno stipendio e mio nonno
era molto felice nonostante i sacrifici. Anche mio
padre Elio, figlio di Domenico, ha lavorato per un
periodo in miniera, poi nel 1952 inizió
l’occupazione, mio nonno era già a casa, ma mio
padre fu licenziato. La miniera chiuse nel 1959.

                                                        46
DANTE CAPITANELLI

Io mi chiamo Priori Annita e sono nata ad Arcevia nel 1921.
Vi racconterò di Dante Capitanelli che era mio marito. Egli nacque il 7 settembre 1914 in
Arcevia ed era residente a Costa, una frazione di Arcevia. La sua famiglia era composta da
me Annita, dai suoi genitori Capitanelli Angelo, Agarbati Maddalena e dai nostri cinque figli.
Mio padre era un contadino, aveva alcuni ettari di terra e le condizioni di vita erano buone.
Mio marito venne assunto alla miniera di Cabernardi quando aveva sedici anni.
Raggiungeva il posto di lavoro a piedi con altri compagni impiegando circa un’ora di tempo.
Aveva la qualifica di minatore e il suo lavoro si svolgeva in questo modo: preparava dei fori
                                                                                            47
a mano con delle trivelle, poi dentro questi fori metteva della polvere da sparo.
Collegavano un filo con la miccia per far esplodere la roccia. Il turno di lavoro di mio
marito era dalle 6:00 alle 14:00 oppure dalle 14:00 alle 22:00. Le condizioni di lavoro
erano molto pericolose, ma per fortuna Dante Capitanelli non ha avuto infortuni. In
miniera c’erano anche degli animali: buoi e somari. La retribuzione era buona. L’ azienda a
fine anno, per Natale, gli regalava un chilo di carne. La festa di Santa Barbara era una
ricorrenza molto importante per i minatori e vigili del fuoco. A quel tempo Cabernardi era
grande e c’era anche la scuola. I minatori erano considerati uomini fortunati e importanti
e mio marito era soddisfatto del proprio lavoro perché portava a casa i soldi per i figli. Nel
1952 quando ci fu l’occupazione della miniera fece lo sciopero a casa. Nel 1954 fu
licenziato perché lo zolfo da estrarre era terminato. Subito però trovò lavoro a Trento in
una miniera di ferro. La miniera chiuse nel 1960.

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SABBATINO BOMPREZZI
Sono Elio Bomprezzi e vivo a Santo Stefano, una frazione di
Arcevia e abitavo a Civitalba. Sono nato nel 1905 il giorno
8 settembre ad Arcevia. Mio padre Sabbatino lavorava
nella miniera di Cabernardi. La sua famiglia era composta
dai suoi genitori, da due fratelli e una sorella, dai nonni
paterni e da due fratelli di mio padre, Gigi e Alfredo.
Alfredo era un mezzadro, mentre Gigi faceva i pani di zolfo
nella miniera. Prima di iniziare a lavorare nella miniera,
mio padre Sabbatino era emigrato in Francia dove aveva
trovato occupazione in una miniera di ferro.
Nella nostra zona i minatori erano considerati signori
rispetto ai contadini. Mi ricordo che quando mio padre
riscuoteva tirava fuori un mazzo di carte da 10 000 lire
grosso come un quaderno, guadagnava 90-100 000 lire. Le
donne si avvicinavano ai minatori perché sapevano che
avrebbero fatto le signore se li avessero sposati. La cugina
di mia moglie Graziella era andata a servizio a Roma
quando era ragazza, ma dopo soli 3 giorni tornó a casa
dicendo alla signora per cui lavorava: “Mio padre è un
minatore, quindi io non ho bisogno di farvi da serva!”.        49
Mio padre era un minatore a terra perché maneggiava la terra e non lo zolfo. Per
raggiungere la miniera partiva a piedi passando per i campi di Santo Stefano; tra questa
frazione e Civitalba circa altre 15 persone percorrevano la strada insieme, poi si arrivava
a Camerano dove si aggiungevano altri dipendenti della miniera. C’era “lo stradello della
miniera”, un percorso di terra battuto che permetteva di raggiungere il più rapidamente
possibile il luogo di lavoro. Bisognava attraversare anche dei fossi che erano un vero
problema quando pioveva perchè si ingrossavano al punto di ricoprire anche i ponti che
permettevano di attraversarli. Così gli operai chiedevano aiuto alle persone che vi
abitavano vicino facendosi prestare delle scale, che disposte orizzontalmente, avrebbero
sostituito I ponti. Le donne che abitavano in questi luoghi sapevano che ad un certo
orario i minatori le avrebbero chiamate, così si mettevano vicino alla finestra in attesa.

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Più tardi la miniera organizzò un servizio
di trasporto per i minatori, utilizzando i
camion come corriere. I camion avevano
i copertoni sopra e delle scalette per
salire dietro. La ditta permetteva ai
dipendenti di fare domanda affinchè
anche i loro figli usufruissero di questo
servizio per andare a scuola. Io pure da
bambino salivo sul camion tutte le
mattine. Successivamente ľazienda
organizzò un servizio gestito dalla
famiglia Pianelli di Arcevia e il capo era il
sindaco del paese.

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Quando mio padre arrivava in miniera passava in portineria, prendeva la targhetta con il
numero di matricola, prendeva la “lampa” a carburo che era sigillata e che quindi non era
pericolosa, gli venivano forniti gli attrezzi da lavoro,cioè il motopicco e la pala, poi si
recava al pozzo dove c’erano gli ascensori: 2 gabbie, una che saliva e un’altra che
scendeva. Ogni gabbia aveva 2 piani e ogni piano conteneva 10 persone, quindi potevano
scendere venti persone contemporaneamente. Ogni 30 m circa si scendeva di un livello. Si
arrivava in una galleria centrale dove c'era un capo operaio. Mio padre raggiungeva il
punto che gli veniva indicato, faceva i buchi nella roccia, “sparava” e poi caricava il
minerale sui carrelli trainati dai muli. Babbo raccontava che quelle bestie non venivano
mai portate fuori tranne il giorno della festa di Santa Barbara.
In questa occasione ľazienda
regalava ai dipendenti 1 Kg di
carne e un bottiglione di vino.
Era festa grande e si faceva
una     lunga      processione
attraverso il paese partendo
dalla cappellina della Santa
fino ad arrivare al circolo.
Dentro la miniera c’erano
anche le stalle, c’era chi
faceva    il   mulattiere     e
“guernava” i muli.                                                                       52
Mio padre era pagato a cottimo in base a quanti metri di roccia faceva saltare. Se si
accorgeva che non era stato pagato come dovuto andava in ufficio e “sparecchiava” cioè si
faceva      sentire     senza    paura     per     reclamare      una      paga    più     giusta.
Babbo raccontava in casa di incidenti accaduti in miniera. Si ricordava che Angelo Albertini,
che era morto a causa di un’esplosione, aveva la macchina per battere il grano, siccome era
estate e si avvicinava il tempo della battitura, aveva chiesto un permesso per poter svolgere
più liberamente questo lavoro agricolo. Quando era rientrato a lavoro il caposorvegliante
quasi per ripicca, gli aveva cantato questo stornello: “Fiori di pesco, gira quanto vuoi, che poi
ti aspetto!”. Questo stornello Angelo l’aveva riferito alla moglie che non lo dimenticò
considerandolo una minaccia, tanto che durante il funerale del marito, stava per prendere
per il collo il caposorvegliante, accusandolo di aver mandato per dispetto il marito in una
zona troppo pericolosa della miniera.                                                           53
Un’altra disgrazia grave fu quella che accadde a Giuliano Silvestrini: l’esplosione di una
mina gli staccò di netto la testa.
Un altro incidente accadde a Cinti Virgilio: si racconta che lavorasse insieme ad un suo
compagno e che questo accese la mina senza avvisarlo.
Si salvò, ma aveva il corpo pieno di bruciature e perse un occhio. Quando mio padre
tornava a casa era già pulito perché poteva lavarsi in miniera. Si portava sempre il pranzo
al lavoro, ma se gli era avanzato un po’ di pane e lo dava alle galline, al gatto o al cane,
questi animali si rifiutavano di mangiarlo da quanto puzzava di zolfo. La stessa cosa
facevano i maiali che non toccavano più anche il cibo con cui il pezzo era stato a contatto.
Babbo era abituato all’odore di zolfo e quindi non lo sentiva neanche più, però a noi dava
fastidio. Ricordo che il suo fiato puzzava anche dopo 12 giorni di ferie, così come una
vecchia giacca dì velluto con cui dava lo zolfo alle piante, a 10 anni dalla morte di mio
padre, emanava ancora quell’odore.

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A quei tempi si estraevano anche 2000 vagoni
di minerale al giorno. Gli scarichi dei calcaroni
venivano buttati in una discarica vicino la
miniera, i fumi erano così forti che bruciavano
gli occhi. Nel 1952 ci fu l’occupazione della
miniera per impedirne la chiusura. Le mogli e i
figli dei minatori percorrevano lo stradello della
miniera per portare cibi e bevande che
venivano calati giù per il pozzo. A Cabernardi
non       conveniva     più    scavare      perché
avevano trovato in Sicilia dello zolfo a minore
profondità. Mio padre non occupò la miniera
perché in quel periodo faceva parte di una
squadra di ricerca di zolfo a Colle Aprico, quindi
non venne licenziato, ma lavorò fino al 1958,
quando andò in pensione. Tanti altri minatori,
invece, furono trasferiti a Ferrara. Se qualcuno
andava in pensione poteva mandarci al suo
posto un figlio, infatti mio fratello si trasferì in
Sicilia, altri trovarono occupazione nelle
miniere di carbone in Belgio. Mio padre morì
nel 1977 dopo circa 20 anni di pensione.               Il sorvegliante della miniera   55
GRASSI GIOVANNI
Io mi chiamo Grassi Adele, sono nata a Sassoferrato nel
1950 e vivevo a Cabernardi. Vi racconterò di Grassi Giovanni
che era mio padre. Egli nacque nel 1920 a Fabriano ed era
residente a Cabernardi. La nostra famiglia era composta da
mia madre, mio padre, mio fratello ed io. Mio padre era un
contadino proprietario di circa 5 ettari di terra e le
condizioni di vita erano difficili perché mio padre e mia
madre lavoravano entrambi la terra e i soldi erano pochi.
Per risparmiare mio padre si adattava a fare di tutto, tipo il
tavolo le sedie e i mobili che potevano servire a casa. Le
sedie le aveva fatte con il legno raccolto e la sgarza che era
la paglia che veniva attorcigliata per farla indurire. Mio
padre venne assunto alla miniera di Cabernardi quando
aveva circa 25 anni e raggiungeva il posto di lavoro a piedi
perché abitava in una casa vicino alla miniera. Aveva la
qualifica di operaio e trasportava i carrelli dello zolfo da
dentro a fuori della miniera. Le condizioni di lavoro erano
difficili e si viveva sempre in ansia, infatti quando suonava la
sirena, tutti al paese correvano alla miniera per vedere se
c'erano state frane o incidenti.                                   56
Nella miniera lavoravano delle donne ma prevalentemente uomini con varie mansioni:
minatori, carrellisti, infermieri, addetti ai forni, ecc…
C'erano gli asini che tiravano i carrelli. Non mi ricordo quanto era la retribuzione di mio
padre e nemmeno di doni fatti dall’azienda.
Le feste di Santa Barbara era una festa importante: si facevano i fuochi d’artificio, c’era
la banda che suonava in piazza, il prete che celebrava la messa e la processione fino alla
miniera. La Montecatini gestiva anche una cooperativa che era come un supermercato
ubicato nella casa di proprietà della Montecatini. In questa cooperativa si vendeva di
tutto: carne, pasta sfusa, vaschette di crema tipo la nutella, prodotti di ogni genere. In
queste cooperative tutti potevano fare spesa. A quel tempo Cabernardi era un paese
dove vivevano tante persone tant'è che si pensava di farlo comune. La scuola era fuori
dal paese tra Cabernardi e Camartoni e c’erano 60 alunni. La scuola era vecchia, il
pavimento di legno, non c’erano i riscaldamenti, c’era un solo bagno per tutti. I minatori
erano considerati importanti perché estraevano lo zolfo e avevano in media un buon
stipendio.

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Mio padre era soddisfatto del proprio lavoro
perché poteva guadagnare più soldi e
permettersi una vita più agiata.
Nel tempo libero mio padre si adattava a fare
altri lavori, ma un giorno un controllore della
Montecatini lo ha trovato a fare questi lavori e
mio padre fu licenziato. Mio padre fu molto
dispiaciuto, ma non ebbe la possibilità di
replicare e si dovette adattare alla situazione.
Ancora oggi la casa dove abitavamo è di mia
proprietà e io ci vado volentieri perché mi
ricorda quando ero piccola e le esperienze
vissute là.                                        58
NORBERTO MARCHEGIANI

Mi chiamo Bruno Santoni e sono nato a Santo
Stefano il 6/11/1944. Vi racconterò quello che mi
ricordo di Norberto Marchegiani, che era mio
nonno. Egli nacque negli ultimi anni del 1800 e
abitava a Santo Stefano con sua moglie Apollonia,
detta Polla, che era la madre di mia madre e
avevano quattro figli. Nonno Berto faceva il
falegname ma guadagnava poco, per fortuna nonna
Polla coltivava un orticello, allevava polli e conigli,
cuciva vestiti e faceva anche le scarpe con i
copertoni delle ruote di vecchi veicoli. In questo
modo riuscivano a non morire di fame e a non
andare in giro nudi e scalzi. Nonno Berto iniziò a
lavorare alla miniera di Cabernardi come falegname
intorno al 1920, non faceva il minatore, ma il lavoro
era ugualmente duro. Andava alla miniera a piedi
insieme ad altri minatori e doveva partire la mattina
presto quando era ancora buio perché la strada era
lunga e doveva essere puntuale altrimenti veniva
licenziato.                                               59
Passava per un sentiero tra i monti che si chiamava “Fosso di Cercamo’” e per illuminare
la strada portava un lume ad olio. Quando tornava a casa era già notte e non vedeva l’ora
di andare a dormire; a letto però ci stava poco, perché non faceva in tempo ad
addormentarsi che nonna Polla lo svegliava per un altro giorno di duro lavoro.
Mi ricordo un episodio che nonno mi raccontava quando era piccolo: una mattina, quasi
al buio, stavano andando alla miniera, quando vennero fermati da un gruppo di soldati
tedeschi che gridarono: «Chi va là?», nonno rispose: «Marchegiani!», ma i soldati
capirono: «Partigiani!» e ci mancò poco che sparassero a tutti.

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Un’altra cosa che non dimenticherò mai è questa: i lavoratori si portavano il pranzo da
casa, solitamente pane con formaggio, frittata, erbe di campo e mai carne perché costava
troppo. Se avanzava del pane, lo riportavano a casa, ma era così puzzolente di zolfo che
neanche i cani lo mangiavano. Un’altra volta, mentre tornavano a casa, era buio e
nevicava così tanto che non riuscirono a ritrovare la strada, per fortuna un contadino li
fece dormire nella stalla insieme alle mucche. Le famiglie presero un bello spavento
quando non li videro tornare, non c’erano i telefoni per avvisare e fino al giorno dopo
pensarono che avessero avuto un incidente in miniera.

    Norberto Marchigiani è il secondo uomo a destra, in
    questa foto è insieme alla sua famiglia.                                           61
Quando mio padre Antonio e mio zio Dario divennero abbastanza grandi, cominciarono
a lavorare anche loro presso la miniera di Cabernardi. Scendevano sottoterra con una
specie di ascensore di legno e lavoravano tante ore al giorno scavando la roccia per
trovare lo zolfo e caricando i secchi che venivano poi tirati fuori dalla miniera. Il lavoro
era pesante e più di 100 uomini morirono per gravi incidenti come frane del terreno o
esplosioni del grisou, che è un gas che si forma sottoterra. I minatori avevano degli
occhiali da sole molto scuri che dovevano mettere quando uscivano fuori, altrimenti
dopo tante ore al buio la luce avrebbe causato danni agli occhi.
 Mio nonno e mio zio lavorarono in miniera per molto tempo, mio padre invece dovette
smettere perché aveva problemi di respirazione a causa delle esalazioni di zolfo.

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La miniera dava tanto lavoro e parecchi
contadini abbandonarono la coltivazione dei
loro campi per lavorarci, nella speranza di
guadagnare di più e migliorare le loro
condizioni di vita, inoltre usavano i buoi (che
prima servivano per lavorare la terra perché
a quei tempi non c’erano i trattori) per
trasportare lo zolfo estratto dalla miniera
fino alla raffineria. Quando poi arrivò
l’elettricità, il trasporto venne effettuato con
la «funicolare» per cui i buoi non servivano
più e parecchi contadini tornarono a coltivare
la terra.
Nel 1952 la Montecatini annunciò che il
giacimento di zolfo si stava esaurendo; ci
furono scioperi, la miniera venne occupata e
alcuni lavoratori vennero trasferiti in
stabilimenti e miniere in altre regioni d’Italia.
Tanti uomini però persero il lavoro e ci
furono dei periodi veramente duri. La miniera
venne definitivamente chiusa nel 1954.
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SEBASTIANO BUCCI
Mi chiamo Maria Principi e vi parlerò di mio suocero
Sebastiano Bucci. Nacque a Sassoferrato il 9 febbraio
1910 in una famiglia composta dai genitori, dai nonni
paterni, da 3 sorelle e 3 fratelli.
Si sposò giovane con Rodi Maria ed ebbe insieme a lei 4
figli. Uno di nome Franco morì all’età di circa 6 anni per
una polmonite.
La sua era una famiglia di contadini mezzadri e per
questo motivo ogni tanto si spostava perché prendeva in
gestione le terre di proprietari diversi.
Non mi ricordo molto di ciò che raccontava della
miniera, tranne che passava per campi per andare a
lavorare. Era malato di depressione, probabilmente
dovuta al troppo lavoro perché aveva lavorato a lungo
in miniera e contemporaneamente si era dovuto
occupare del terreno che aveva a mezzadria.

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Il libretto di paga «Rilasciato a Bucci Sebastiano figlio di Cesare nato in Sassoferrato il giorno 9 del mese di Febbraio
dell’anno 1910 domiciliato in Arcevia residente a Palazzo» testimonia l’assunzione di Sebastiano nel mese di
novembre del 1929. Vengono riportate la data della paga, il numero effettivo delle giornate o delle ore lavorative
svolte ogni mese e l’ammontare della paga. L’ultima data riportata è il 9 luglio del 1937, Sempre al 1929 risale un
libretto in cui sono state registrate il numero degli inneschi giornalieri (o 5 o 10) e della grisoutine (esplosivo)
utilizzato (sempre 1 al giorno).

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Il tesserino del prelevamento generi veniva consegnato ai
minatori dall’azienda per ritirare a prezzi favorevoli il
pane o altri prodotti della cooperativa situata a
Cabernardi e gestita dall’azienda stessa. Interessante i
timbri ancora visibili sulla parte esterna della tessera in
cui si attestava di aver ricevuto delle scarpe di cuoio dalla
Montecatini .
Si può osservare anche il Certificato di Pensione di
invalidità rilasciato dall’INPS il 22 luglio 1948 in cui
venivano registrate le date di ritiro della pensione.

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Con questa richiesta datata 13/12/1952 inviata al Sindaco del          Bucci Sebastiano con la moglie, i figli e
comune di Arcevia, Sebastiano voleva che venisse nominato              il padre sul cavallo di sua proprietà.
capofamiglia il figlio maggiore, in quanto il lavoro in miniera e lo
stato cagionevole di salute gli rendeva impossibile occuparsi della
gestione delle terre che aveva a mezzadria e di fare affari nelle                                                  67
fiere dei paesi vicini.
FONTI BIBLIOGRAFICHE   Paroli, Marcucci, Cabernardi la miniera di zolfo,
                       tipografia Garofoli di Sassoferrato, 1992.
                       Verdini, Zolfo, carbone e zanzare, Quaderni del consiglio
                       regionale delle Marche, 2011.
                       Fabbri, Gianti, La miniera di zolfo di Cabernardi-
                       Percozzone, Editrice Fortuna di Fano, 1993.
                       Pedrocco, Un mondo cancellato- Miniere e minatori di
                       Cabernardi, Editrice Fortuna di Fano, 1995.
                       Gatti, Lo zolfo a Cabernardi e Percozzone, Quaderno 29
                       di Marche contemporanee, Sassoferrato 2011.

SITO ARCHEOMINERARIO   Sito archeominerario di Cabernardi

FONTI ORALI            Testimonianze dirette e indirette raccolte da alunni e
                       insegnanti tramite interviste. I testimoni hanno fornito
                       anche fonti scritte e iconografiche inedite.

FONTI MUSEALI          Tutte le fonti scritte, iconografiche e materiali
                       conservate nel Museo della Miniera di zolfo di
                       Cabernardi.

FONTI DIGITALI         Video su Youtube “Pane e zolfo” del regista Pontecorvo

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Un ringraziamento agli alunni che hanno affrontato questa avventura con
 interesse e curiosità e alle famiglie che hanno collaborato fornendo le
      testimonianze e le fonti necessarie per condurre le ricerche.
GLI ALUNNI
     AGUZZI JENNIFER                       LUCARINI LUNA
     AJDARI ENDRITA                        MARCHEGIANI DILETTA
     AMBROSINI CRISTIAN                    MARIOTTI ALICE GIULIA
     BIANCINI GIACOMO                      MENCARELLI ROMINA
     BRUNI LEGIEN SOFIA                    PAPI JENNY
     CASTIGLIONI LEONARDO                  PIETRINI NICOLA
     CAVALLETTI FRANCESCO                  SERI MARCO
     CURZI CRISTIANO                       SERVADIO DENNIS
     DA SILVA LUIS                         TORRETTI ALESSANDRO
     GOBBETTI SIMONE                       UGOLINI MARIA STELLA
     LAMETTI IVAN                          VERDINI LORENZO

                        LE INSEGNANTI
        Bucci Ombretta - Petronilli Maria Cristina
I.C. DI ARCEVIA, SERRA DE’ CONTI E MONTECAROTTO
PLESSO ANSELMO ANSELMI DI ARCEVIA - CLASSE IV A
                              a.s. 2015/2016
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