Università della Terza Età Cinisello Balsamo Storia dell'Arte Contemporanea a.a. 2020 2021 - Dott.ssa Francesca Andrea Mercanti

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Università della Terza Età Cinisello Balsamo Storia dell'Arte Contemporanea a.a. 2020 2021 - Dott.ssa Francesca Andrea Mercanti
Università della Terza Età
Cinisello Balsamo

Storia dell’Arte Contemporanea
a.a. 2020 – 2021

Dott.ssa Francesca Andrea Mercanti
Università della Terza Età Cinisello Balsamo Storia dell'Arte Contemporanea a.a. 2020 2021 - Dott.ssa Francesca Andrea Mercanti
1.

 “Nella vita tutto è mistero”.
Magritte, le saboteur tranquille
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Considerato, insieme a Paul Delvaux il maggiore pittore
del surrealismo in Belgio, Magritte dopo iniziali vicinanze al cubismo e
al futurismo, s'incentrò su una tecnica raffigurativa accuratissima basata
sul trompe l'oeil, alla pari di Salvador Dalí e di Delvaux, ma senza il ricorso
alla simbologia di tipo paranoide del primo o di tipo erotico-anticheggiante
del secondo.

Ma René Magritte, detto anche le saboteur tranquille per la sua capacità di
insinuare dubbi sul reale attraverso la rappresentazione del reale stesso, non
avvicina il reale per interpretarlo, né per ritrarlo, ma per mostrarne il mistero
indefinibile. Intenzione del suo lavoro è alludere al tutto come mistero e non
definirlo.
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Salvador Dalì, Ragazza alla finestra, 1925,    Salvador Dalì, Senza titolo. Porta con
olio su cartone, Madrid, Museo Nacional       Trompe-l'oeil, 1972, olio su tela, Pubol,
Centro de Arte Reina Sofía                              Castello Gala Dalì
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Paul Delvaux, Il tempio, 1949, olio su
       tela, collezione privata
                                          Paul Delvaux, Il chiostro, 1957, olio su
                                         tela, Bologna, Galleria d’Arte Maggiore
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Nato a Lessines in Belgio nel 1898, René
Magritte è figlio di Léopold Magritte un      René Magritte in una fotografia
sarto e mercante. La natura del lavoro del      del tedesco Lothar Wolleh
padre costringe l’artista a trasferirsi più
volte in gioventù: nel 1910, all'età di 12
anni, si trasferirono a Châtelet. Qui, a
tredici anni Magritte vive uno shock che lo
accompagnerà per tutta l'esistenza: vede
recuperare dal fiume Sambre il cadavere
della madre, morta suicida.
Secondo una versione ricorrente, di cui
non è chiara la veridicità, venne ritrovata
annegata con la testa avvolta dalla camicia
da notte; questo fatto sarebbe rimasto
particolarmente impresso in alcuni suoi
dipinti come L'histoire centrale, Les
amants e Le fantasticherie del
passeggiatore solitario.
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Le fantasticherie del viaggiatore solitario,
    1926, olio su tela, collezione priata

Sullo sfondo di un paesaggio dominato da pesanti e
minacciose nubi stanno due figure: un uomo con la
bombetta visto di spalle e un cadavere di donna
rigido, secco, calvo, simile ad un osso di seppia.
Il fiume rappresentato è senza dubbio il Sambre, dove
la donna si era suicidata. Il personaggio maschile è
colto nell’atto di voltare le spalle al dolore, nel vano
tentativo di rimuovere il dramma che lo ha segnato.
Tuttavia, accanto a questa interpretazione di natura
biografica ci può essere un’altra: l’uomo è un
assassino che volge le spalle alla sua vittima e
nasconde l’arma del delitto tra le pieghe del cappotto
nero.
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L’assassino minacciato, 1926,
      olio su tela, collezione
               privata
L’immagine della morte violenta torna in
un altro dipinto, eseguito nello stesso
anno.
Qui la scena si svolge in un interno privo
di mobilio. Si possono scorgere solo una
sedia, un letto e un tavolino sul quale è
poggiato un grammofono. Nella stanza
attigua, due uomini elegantemente
abbigliati ed armati di clava e rete
scrutano ciò che è appena accaduto e
aspettano il momento opportuno per
agire.
L’assassino non si accorge della loro
presenza, intento forse ad ascoltare la
musica che inonda l’ambiente e che fa
quasi da colonna sonora, come nel
fotogramma di un film noir. Ritorna il
corpo di donna disteso, il panno bianco
attorno al collo, il rivolo di sangue che
esce dalla bocca.
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Storia centrale, 1927, olio su tela, collezione
                    privata

Realizzata quando Magritte non ha ancora trent’anni,
l’opera rappresenta un diretto richiamo al vissuto
dell’artista: ciò che viene mostrato, impaginato
paratticamente nella successione di oggetti comuni, è la
precoce morte della madre, trovata annegata quando
l’artista ha solo tredici anni.
La figura ha il volto coperto da un lenzuolo (come pare
fosse quello della madre al momento del ritrovamento) e si
porta una mano alla gola, come nel tentativo di togliersi
l’aria.
I due oggetti rappresentano più i pensieri dell’artista che la
realtà che ha di fronte: la valigia allude alla partenza e
all’allontanamento mentre la tuba ricorda i lineamenti del
corpo femminile: il suo essere fredda e statica la collega
direttamente con l’immagine del corpo annegato della
madre.
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Gli amanti I, 1927- 1928, olio su
tela, Canberra, National Gallery
          of Australia
Nell’opera, un uomo e una donna si
stringono insieme in un gesto
affettuoso, quasi come se si stesse
facendo fotografare. Potrebbe essere
un'istantanea della vacanza, con scorci
del verde della costa della Normandia e
del mare oltre. Ma attraverso il
semplice espediente dei sudari che
coprono la testa degli innamorati, si
tirano indietro contro i loro volti e si
arricciano come corde sulle loro spalle,
l'intimità spontanea di questa
'istantanea di vacanza' diventa uno
spettro di alienazione, soffocamento,
persino morte.
Gli amanti II, 1928, olio su tela,
     New York, collezione Richard S,
                  MoMA
Le figure si baciano attraverso i veli. Si trovano in
una stanza con la parete di fondo, la parete laterale
e il soffitto a vista.
La figura maschile indossa un abito nero e cravatta
con una camicia bianca. Abbraccia una donna
vestita di un abito rosso senza maniche con
rifiniture bianche. L'uomo è in una posizione
dominante rispetto alla donna: lei inclina la testa
verso l'alto mentre lui si china per
baciarla. Entrambe le figure hanno un velo
biancastro che copre completamente il viso e il
collo.
Magritte ha presentato due figure con i volti coperti
da un panno bianco, chiuse in un contesto ambiguo,
e incapaci di comunicare o toccarsi veramente,
probabilmente siamo di fronte a un bacio d'amore
negato . La stoffa mortale tiene per sempre separate
le due figure e come tali crea un'atmosfera di
mistero che celebra questa immagine.
Con il padre e i due fratelli si trasferisce nuovamente questa volta a Charleroi, per allontanare il
dolore della tragedia. Dopo gli studi classici, René volge i suoi interessi alla pittura. Nel 1916 si iscrive
all'Accademia di belle arti di Bruxelles, città dove la famiglia si trasferisce nel 1918. Segue i corsi di
Van Damme, Ghisbert, Combaz e Montald e incontra il pittore Victor Servranckx.
Nel 1922 si sposa con Georgette Berger, che aveva conosciuto nel 1913, quando aveva quindici
anni. Nel 1923 comincia a lavorare come grafico, principalmente nel design di carta da parati.

I suoi inizi di pittore si muovono nell'ambito delle avanguardie del Novecento, assimilando influenze
dal cubismo e dal futurismo. Secondo quanto affermato da lui stesso, la svolta surrealista avviene
con la scoperta dell'opera di Giorgio de Chirico, in particolare dalla visione del quadro Canto
d'amore.

Mosso dall’intento a dipingere semplicemente ciò che vede, Magritte si portò sempre più verso la
sperimentazione, e nel 1925 aderì al gruppo surrealista di Bruxelles, composto da Camille
Goemans, Marcel Lecomte e Paul Nougé, e dipinse il suo primo quadro surrealista, Le Jockey perdu (Il
fantino perduto), mentre lavora a diversi disegni pubblicitari.

Magritte si cimenta nell'impiego tipico delle accademie, accorgendosi però che quello che dipinge
non è la realtà bensì ne sta creando una nuova, come avviene nei sogni; cerca così di creare qualcosa
più reale della stessa realtà.
Ritratto di Pierre Bourgeois, 1920, olio su
Nudo, 1919, olio su tela, Bruxelles, Galerie   tela, Bruxelles, Communauté francaise de
               Isy Brachot                           Belgique, donazione Bourgeois
Georgette al pianoforte, 1923, olio su   Autoritratto, 1923, olio su tela,
 tela, Bruxelles, Galerie Isy Brachot           collezione privata
La Bagnante, 1925, olio su tela, Charleroi, Museo Comunale delle Belle Arti
Giorgio de Chirico, Canto d’amore,
1914, olio su tela, New York, MoMa

 Nell’opera compaiono, sul fianco di un
 edificio, un calco della testa dell'Apollo del
 Belvedere, un gigantesco guanto in lattice da
 chirurgo e una palla.
 Profondamente colpito dal dipinto, Magritte
 lo descrive come un'opera ”che
 rappresentava un taglio netto con le
 abitudini mentali di artisti prigionieri del
 talento, dei virtuosi e di tutti i piccoli
 estetismi consolidati: un nuovo modo di
 vedere."
Il fantino perduto, 1926, olio
  su tela, New York, Collezione
              privata
Considerata come la prima opera di
Magritte che lo stesso autore considerò
pienamente surrealista, nella versione
iniziale l’artista utilizzò una tecnica
diversa (collage di acquarello, china e
matita).
La scena è incorniciata da due tende
come un sipario, al centro c’è il disegno
di un fantino in corsa, il ricamo
geometrico del terreno fatto di linee
sottili arriva fino al cielo che sfuma dal
bianco al blu. Gli alberi ai lati richiamano
i pezzi della scacchiera su cui sono
disegnati note di spartiti musicali.
Gli scacchi, più e meglio di qualsiasi altro
gioco, rappresentano l’anima del
surrealismo, non è un caso che nel 1934
André Breton, leader del movimento
surrealista e amico di Magritte, riunì tutti
i surrealisti nella sua Scacchiera
surrealista.
Andrè Breton, Scacchiera surrealista, 1934,
                tecnica mista

Nell’opera le caselle di una normale scacchiera da gioco
sono sostituite con le fototessere degli amici surrealisti:
Vi sono rappresentati, dall'alto verso il basso e da
sinistra verso destra: André Breton, Max Ernst, Savador
Dalì, Hans Arp, Yves Tanguy, René Char, René Crevel,
Paul Éluard, Giorgio De Chirico, Alberto Giacometti,
Tristan Tzara, Pablo Picasso, René Magritte, Victor
Brauner, Benjamin Péret, Gui Rosey, Joan Miró, E.L.T.
Mesens, Georges Hugnet e Man Ray.
La scacchiera mette insieme chi surrealista lo è stato da
subito, chi fu espulso dopo il primo anno, come Dalì, e
chi non ha mai aderito formalmente, come Giorgio De
Chirico.
La grande notizia, 1926, olio
    su tela, Collezione privata
In primo piano, una sorta di scomparto
contenente lo scheletro di un uccello,
proveniente da chissà quale camera delle
meraviglie. Ad ali spiegate, lo scheletro
dimostra un'inquietante vitalità che,
mescolata ai toni cupi dello sfondo,
aggiunge un che di drammatico alla scena
che si svolge in secondo piano,
parzialmente rivelata da una tenda
scostata: nell'intimità di una camera da
letto, un manichino vestito da cameriere
sveglia il dormiente, probabilmente per
trasmettergli una notizia che non può
attendere la luce del giorno. I dettagli sono
troppo esigui per poter dare
un’interpretazione, ma alcuni particolari ( lo
scheletro, i toni cupi, l'agitazione dei
personaggi ) inducono a pensare al peggio.
La grande traversata difficile, 1926,
      olio su tela, Collezione privata

Nell’opera, il bastone bianco in mezzo alla scena
(necessario per il gioco del bilboquet) ha assunto
un occhio che tiene spalancato su una scena
drammatica, per quanto palesemente fittizia. Al
centro di una stanza arredata da una tenda
scostata e alcuni scenari teatrali, l'alieno si fa
palese figura dello spettatore che guarda, a
distanza protetta e consapevole della finzione, un
film d'avventura o il sipario di una tragedia.
In un primo piano, a fianco dell'automa, un
tavolo con tre gambe normali e una umana regge
il calco in gesso di una mano, da cui spunta una
colomba color rosso scuro.
Il matrimonio di mezzanotte, 1926,
   olio su tela, Bruxelles, Musées
       Royaux des Beaux-Arts
L’opera sembra svolgersi nel castello della Bella
addormentata, un luogo ordinato trasformato in
prigione da una cortina disordinata e
impenetrabile fatta di alberi capovolti. Come
molti dei successivi uomini con la bombetta, il
principe ci volge le spalle, sprofondando lo
sguardo nel mistero; la principessa, invece,
guarda verso di noi, ma il suo sguardo è assente
e il suo volto ha perso improvvisamente qualsiasi
attributo umano.
Il tema sembra essere quello del matrimonio
come fusione di due mondi inconciliabili, eppure
in grado di raggiungere una misteriosa,
inspiegabile unità: ma, come accade sempre in
Magritte, più che un tema esiste un'immagine
inquietante impossibile da tradurre ( e spiegare )
con altri linguaggi.
Nel 1926 prende contatto con André Breton, leader del movimento surrealista, che lo
colpì al punto di affermare "I miei occhi hanno visto il pensiero per la prima volta", e
l'anno successivo si tiene la sua prima mostra personale, presso la galleria Le Centaure
di Bruxelles, nella quale Magritte espone ben sessanta opere; successivamente si
trasferisce con la moglie a Perreux-sur-Marne, nei pressi di Parigi nel 1927.

Nel 1930, dopo l'esperienza parigina, Magritte decide di tornare a Bruxelles insieme con
Georgette. I due si trasferiscono al 135 della rue Esseghem di Jette (nel nord di
Bruxelles), in cui Magritte ha vissuto il suo periodo più prospero per 24 anni e creando
circa la metà di tutte le sue opere (800 in totale tra tele e disegni). Inoltre è qui che si
sviluppano i più importanti momenti del surrealismo belga, poiché l'appartamento di
Magritte fungeva da punto d'incontro del gruppo surrealista bruxellese e fu anche il
teatro di numerosi eventi (feste in maschera). Paul Nougé, Louis Scutenaire, Irène
Hamoir, Marcel Mariën, André Souris e altri si riunivano qui ogni sabato sera.

Dal 1999 questo appartamento è stato trasformato nella casa museo dedicata al celebre
artista belga.
Il doppio segreto, 1927, olio su tela, Parigi, Centre Georges Pompidou

Nell’opera le due immagini vengono
interpretate come frammenti di uno stesso
puzzle, che un minimo sforzo basta a
ricomporre.

In realtà, l'occhio ci mostra due immagini
distinte, e solo un atto forzato può
permettere di ricondurre a una unità;
un'immagine è qualcosa di concreto,
indipendente da ciò che rappresenta e dai
nostri meccanismi di comprensione, e
questo è il primo segreto che quest'opera ci
svela. Un analogo atto di forza ci induce a
ritenere che un'immagine condivida la
stessa natura dell'oggetto cui fa riferimento.
 Così, se a un volto umano togliamo un
frammento di pelle, o a un manichino parte
del volto, ci aspetteremo di trovare sotto di
esso sangue, ossa e fasci muscolari, o la
superficie liscia della plastica. Da qui
l'effetto conturbante dell'immagine di
Magritte, che sotto la pelle rivela la
corteccia di un albero adorna di sonagli.
Tentativo Impossibile, 1928, olio su tela,
   Toyota, Toyota Municipal Museum of Art

Nel quadro Magritte non dipinge una copia tanto fedele
al modello da simulare, o acquistare vita: dipinge
letteralmente il modello. E' un tentativo impossibile che
diventa possibile in pittura, dove l'artista è un'
immagine allo stesso modo di ciò che dipinge.

La riflessione di Magritte non si sofferma, banalmente,
sulle capacità mimetiche della pittura, ma va oltre,
indagando l'ambiguo rapporto esistente tra la realtà e la
sua immagine, tra il mondo in cui viviamo e quello,
assolutamente autonomo, cui può dare vita la pittura.
L'idea fissa, 1928, olio su tela, Berlino, Staatliche Museen

Nei tardi anni Venti, nell’opera di Magritte
compaiono i quadri divisi in settori. Qui la
soluzione adottata è estremamente
semplice: la superficie rettangolare del
quadro è divisa in quattro settori uguali,
che propongono, nell'ordine, una foresta
impenetrabile, un cielo nuvoloso, la
facciata di una casa, un cacciatore all'erta.
Magritte rompe l'unità di senso interna al
quadro. Lo spettatore tende
istintivamente a cercare un legame di
senso fra le immagini dei quattro riquadri,
tentando sia la via del rebus, sia quella
della narrazione.
La chiave sta forse, nella figura del
cacciatore, impegnato, come noi, in una
ricerca che sembra portare la sua
attenzione fuori dal quadro, a quella
realtà cui ostinatamente cerchiamo di
assimilare le tre immagini precedenti.
La speranza rapida, 1928, olio
        su tela, Amburgo, Kunsthalle
Scrive Magritte: ''Qualsiasi forma può sostituire
l'immagine di un oggetto...Le figure vaghe hanno
un significato tanto necessario e tanto perfetto
quanto quelle precise...A volte i nomi scritti in un
dipinto designano cose precise, e le immagini
cose vaghe‘’.
Qui cinque forme vaghe popolano un paesaggio
appena accennato su uno sfondo scuro.

Che cosa rappresentino ce lo dicono i rispettivi
nomi, affiancati a ogni forma e scritti in un
corsivo elegante e lezioso. Allo spettatore non
resta che attendere che quelle forme vaghe
prendano a poco a poco la forma che suggerisce il
loro nome, e avrà di fronte il quadro più
''normale'' di Magritte.
Ancora una volta, l'artista belga si prende gioco
delle convenzioni che condizionano il nostro
linguaggio: e lo fa dipingendo un paesaggio
convenzionale in modo non convenzionale.
Il falso specchio, 1929, olio su
   tela, New York, Museum of
            Modern Art
Siccome il nostro occhio funziona un
po’ come un sistema di specchi, e
l'immagine inviata al cervello non è
altro che quella porzione di mondo che
viene riflessa sulla retina, Magritte
punta l'attenzione proprio sulla retina,
che viene ad assumere le sembianze di
ciò che riflette. Tuttavia il cielo non
costituisce una scelta casuale, che
poteva benissimo essere sostituita da
altro (una persona, o la facciata di una
casa).
Il cielo è reso necessario da una forma
di rispecchiamento qui implicata, che
non è relativa a una realtà esterna ma
a un mondo tutto interiore: si pensi a
due luoghi comuni come ''gli occhi
sono specchio dell'anima'' e ''ha il cielo
negli occhi''.
Il tradimento delle immagini, 1928-1929, olio su tela, Los Angeles, County
                             Museum of Art
Si tratta di una delle numerose variazioni sul tema della pipa, dipinte da Magritte tra il 1928 e il 1966.
Nelle prime versioni l'immagine è più semplice, con la pipa dipinta su uno sfondo uniforme, accompagnata
dalla didascalia ( in un corsivo lezioso ed elegante ) ''Ceci n'est pas une pipe‘’.

Le versioni che seguono tendono in genere ad aumentare gli elementi della finzione rappresentativa,
facendo proiettare alla pipa un'ombra, o inserendola in una cornice dipinta e facendo in modo che il fumo
sprigionato dal tabacco acceso passi davanti alla stessa, o dipingendola come sospesa davanti a un piano
di legno con tante venature.
Ma non c'è illusione che tenga: ''La pipa s'ostina a non essere una pipa, il che conferisce al sistema di
Magritte una dimensione supplementare, aggiungendo alla contestazione passionale dell'immagine
dipinta, la contestazione premeditata del linguaggio''. Una contestazione che parte da una riflessione
molto semplice: ''Chi oserebbe pretendere che la RAPPRESENTAZIONE di una pipa E' una pipa ? Chi
potrebbe fumare la pipa del mio quadro ? Nessuno. Quindi questa NON E' UNA PIPA‘’.

Tuttavia, una volta che l'idea si è trasformata in immagine, le cose si complicano. In questo quadro
Magritte ''nomina ciò che non ha bisogno di essere nominato (perchè è già familiare ) e lo fa negando ciò
che sia ciò che è...Per quanto l'immagine e il testo siano evidentemente correlati, è difficile dire se
l'asserzione del testo è vera o falsa. Non è una contraddizione, nè una tautologia, nè una verità
necessaria, poichè nulla può essere una pipa e una non pipa''.
Sulla soglia della libertà, 1930, olio su tela, Rotterdam,
Un cannone sembra pronto a sparare                                Museum Boijmans
contro il mondo di immagini cui Magritte
ha dato vita fino a questo momento.
L'impressione è di essere all'interno di
una stanza – archivio, con le pareti divise
in settori. La minaccia sembra evidente,
eppure il titolo non rivela nulla della
tensione interna all'immagine. Anzi,
''Sulla soglia della libertà'' sembra
implicare che il botto possa portare a una
liberazione, non certo a una tragedia.
Qui il nucleo poetico è la riflessione,
avviata da Magritte nei tardi anni Venti,
sul rapporto esistente tra un oggetto e le
sue rappresentazioni convenzionali nei
linguaggi, iconico e verbale. Per Magritte,
''un oggetto non svolge mai la stessa
funzione del suo nome e della sua
immagine'' ed ecco allora, il senso del
cannone: liberare, anzitutto, gli oggetti
dalle immagini che convenzionalmente
vengono loro assegnate, senza che vi sia
un reale legame tra gli uni e le altre.
La voce del cielo, 1931, olio su tela, Venezia,
          Collezione Peggy Guggenheim

In questo dipinto sono raffigurate, fluttuanti in un cielo
inverosimilmente azzurro, tre sfere gigantesche. Sfere di
color bianco sporco che, a prima vista, fanno pensare ad
un’entità sovrannaturale o comunque “extraterrestre”.
Il paesaggio, composto da una distesa prateria sul cui
orizzonte si distingue una stretta striscia di mare, è dipinto in
maniera quasi naturalistica e ancora una volta con colori
molto chiari e vivi; tutto o quasi è raffigurato in maniera
pressoché fotografica e dà una sensazione di estrema
tranquillità, e di un equilibrio rotto in parte, solo da quei tre
strani oggetti fluttuanti. Sembra di trovarsi in una località
irreale in cui tranquillità, calore del sole e lucentezza dei
prati verdi sono, tipici di un sogno o di una realtà che ormai
non ci appartiene più.
La condizione umana, 1933, olio su tela,
      Washigton, National Gallery of Art

Il quadro illustra il paradosso della rappresentazione, di una
rappresentazione così fedele da ambire a sostituirsi al reale.
L'opera nasce come soluzione al problema della finestra:
''Misi di fronte a una finestra, vista dall'interno di una
stanza, un quadro che rappresentava esattamente la parte di
paesaggio nascosta alla vista dal quadro. Quindi l'albero
rappresentato nel quadro nascondeva alla vista l'albero vero
dietro di esso, fuori dalla stanza. Esso esisteva per lo
spettatore, per così dire, simultaneamente nella sua mente,
come dentro la stanza nel quadro, e fuori nel paesaggio
reale. Ed è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al
di fuori di noi anche se è solo d'una rappresentazione
mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi''.
Questo implica anche un'altra conseguenza: che ciò che è
rappresentato sul quadro non corrisponda necessariamente
a quello che nasconde.
Se così fosse, infatti, la parte di tenda nascosta dalla tela sul
cavalletto avrebbe dovuto essere riprodotta sullo stesso,
mentre invece il quadro prosegue la descrizione del
paesaggio che si presuppone ci sia dietro.
La condizione umana II, 1935, olio su tela,
            collezione privata
Lo stupro, 1934, olio su tela,
   Houston, The Menil Collection

L'idea alla base di questo quadro, più volte
replicato, è di una semplicità disarmante,
eppure sarebbe difficile pensare a una
raffigurazione più efficace della violenza che lo
sguardo di un uomo infligge quotidianamente al
corpo di una donna.
L’opera, quindi, ha due attributi principali:
1. I tratti del viso della donna sono sostituiti dal
busto e il bacino di una donna nuda è indicativo
in primo luogo del modo in cui i maschi vedono
la donna. L'idea è di creare un'immagine
sessuale dal viso della donna, la prima cosa che
di solito si vedrebbe.
2. In secondo luogo, è un ovvio riferimento alla
morte della madre e al modo in cui è morta, con
il viso coperto e il corpo nudo.
Lo stupro, 1945, olio su tela,
      collezione privata
Il ritratto, 1935, olio su tela, New York, MoMA

L’arte di Magritte non ha mai desiderato proporsi come
fantastica, e l'occhio che si apre in questa banale fetta di
prosciutto, al centro di un'altrettanto banale natura morta,
sembra solo uno scherzo di cattivo gusto, e, peraltro, molto
elementare.
Del resto, una volta superato lo shock iniziale, quello che
rimane è una denuncia della fondamentale mostruosità
dell'atto quotidiano di mangiare, realizzata nella più grande
economia di mezzi. L'occhio, che ci scruta dalla tavola
imbandita, accusa la nostra animalità di esseri umani e
trasforma le posate che affiancano il piatto in armi vagamente
minacciose, strumenti di un rituale che anche nella sua
versione più formalizzata ed educatamente ''borghese''
rimane comunque sanguinario e violento.
E dato che si tratta di un rito che tutti consumano
quotidianamente, il ''Ritratto'', non rappresenta più, come
accade di solito, un singolo uomo, ma ogni uomo.
La Chiaroveggenza-
  Autoritratto, 1936, olio su
   tela, collezione privata

L’opera rappresenta una realtà
come senso del presagio.
Infatti Magritte rappresenta non
solo se stesso nell’atto di dipingere
ma anche il processo spirituale
intrinseco all’arte: un processo di
trasformazione oltre il vincolante e
l’apparente staticità delle cose.
L'uovo è il soggetto, ma l’opera
dell'artista fa sì che sulla tela sia già
un uccello.
Il Modello Rosso, 1937, olio su tela,
L'Invenzione Collettiva, 1934, olio su      Rotterdam, Museum Boijmans
  tela, Düsseldorf, Kunstsammlung
La durata pugnalata, 1938, olio su tela, Chicago,
               The Art Institute

Spiega Magritte in una lettera: ''L'immagine di una
locomotiva è immediatamente familiare, ma il suo
messaggio non è percepito. Perchè il suo mistero sia
evocato, un'altra immagine immediatamente familiare -
priva di mistero - l'immagine di un caminetto da sala da
pranzo è stata unita all'immagine della locomotiva...Ho
pensato di unire l'immagine di una locomotiva
all'immagine di un caminetto da sala da pranzo in un
momento di 'presenza di spirito'. Intendo con questo un
momento di lucidità che nessun metodo può far comparire.
Si manifesta allora soltanto la potenza del pensiero‘’.
L'elemento non dichiarato, che accomuna il treno e il
caminetto è il fumo, che esce dalla locomotiva e sale lungo
la canna fumaria del camino: ma l'accostamento fa
emergere anche una dialettica più profonda, che oppone il
viaggio e l'ambiente domestico, la casa e l'avventura, la
novità e l'abitudine.
La Scala di Fuoco, 1939, olio su tela,   La Nostalgia, 1940, olio su tela,
         Collezione Privata                    Collezione Privata
La Calma, 1941, olio su tela, Bruxelles, Galerie Isy
                                                                      Brachot

Nel 1940 Magritte scappò dal Belgio per
l’invasione delle truppe tedesche e trascorse
un periodo al confine francese, a
Carcassonne. In questo sperimentò prima
una pennellata pseudo-impressionista e poi
la tecnica fauvista, tecnica molto differente
dalla sua, precisa e scrupolosamente banale
(forse in ricordo dei primi tempi nei quali si
era guadagnato da vivere lavorando in
un'industria di carta da parati), sempre
fedele al surrealismo.
A parte questa brevissima fase intorno al
1940 Magritte lavorò sempre rimanendo
fedele al surrealismo.
Il Primo Giorno, 1943, olio su tela,
         collezione privata             I Presagi Felici, 1944, olio su tela,
                                       Bruxelles, Collezione Berger-Hoyez
La Quinta Stagione,
1943, olio su tela, Lascito
  di Irène Scutenaire-
   Hamoir, Bruxelles
La Dialettica applicata, 1944-1945,olio su tela, collezione privata
Nel 1948 Magritte eseguì un gruppo di dipinti e acquerelli chiaramente diversi dal resto della sua
produzione, in particolare per una mostra personale a Parigi. Sulla base di uno stile nuovo, rapido e
aggressivo particolarmente ispirato a spunti popolari come le caricature e i fumetti, Magritte realizzò in
poche settimane una serie completa di circa trenta opere che causarono indignazione a Parigi. L’artista
concepì deliberatamente la mostra come una provocazione rivolta al pubblico parigino, dipingendo in modo
intenzionatamente crudo, scherzoso e persino “cattivo”.
I lavori di questo periodo sono solo sporadicamente inclusi nelle retrospettive dell’opera dell’artista.
Il termine “vache” usato dallo stesso Magritte per questo nuovo gruppo di opere viene generalmente inteso
come un’allusione ironica al movimento storico dei “Fauves”, dei quali le esageratamente colorate opere di
Magritte erano una parodia. Inoltre, “vache”, in francese, non significa soltanto “mucca”, ma anche
“malvagio” o “schifoso”: ad ogni modo, il termine allude chiaramente all’essenza aggressiva e
deliberatamente cruda che caratterizza tutta quanta questa particolare produzione.
Considerando sia i soggetti che lo stile, le opere del Période vache non costituiscono un insieme
consistente, ma piuttosto una specie di “patchwork” di diversi pseudo-stili. Questi elementi diventano
qualcosa di comico, di triviale o grottesco che si mescola ad aspetti della cultura popolare visiva.
Con numerosi riferimenti storici – a James Ensor, Henri Matisse o Joan Miró – Magritte ridicolizza i
tradizionali valori culturali e le norme estetiche. Contrariamente a quanto accade con le sue opere dal taglio
più “classico” dove primeggiano la precisione e l’aspetto concettuale, le opere del Périodo vache ci
sorprendono per la loro esplosione cromatica, la loro bidimensionalità, la velocità di realizzazione e
l’assoluta, raggiante, diretta spontaneità.
Pom'po Pon Po Pon Pon Pom Po Pon, 1948,        L'Omissione, 1948, olio su tela, Bruxelles,
olio su tela, Francoforte, Schirn Kunsthalle         Royal Museum of Fine Arts
La Carestia, 1948, olio su tela, Bruxelles,   Lo Storpio, 1948, olio su tela, Parigi, Centre
     Musées Royaux des BeauxArts                              Pompidou
Abbandonati il neoimpressionismo e il fauvismo, Magritte riprese la propria andatura
ripartendo daccapo e fu un susseguirsi fino alla morte di quadri splendidi, mettendo da
parte questi due periodi senza lasciare traccia. Se ce ne furono, sono impercettibili; la
scelta dei colori, spesso più generosa di prima, può essere una di queste. Nei nuovi lavori
vediamo persistere e fortificarsi sempre di più, le idee fondamentali, la scelta del dizionario
degli oggetti preferiti e il vocabolario originale degli inizi. E' all'interno di questi principi che
si colloca la maggior parte dei quadri nati tra il 1948 e il 1967.
La maggior parte della sua opera forma un tutto inalterabile. Dal momento in cui nel 1925,
ruppe con l'arte convenzionale, fino alla sua morte, i quadri da lui dipinti si articolarono
intorno allo stesso concetto: tutto è oggetto, tutto è cosa, a qualsiasi genere appartenga;
bisogna dipingere gli oggetti soltanto nei loro dettagli apparenti e combinandoli tra loro
secondo similitudine insolite, si ottiene un 'immagine sorprendente. In termini pittorici si
può dire che non esiste differenza di genere tra il vivente e lo stereotipo: le cose devo
essere rappresentate in modo realistico, persino anonimo e la sorpresa deve nascere da
questo realismo e anonimato e da accostamenti inusuali. L'opera di Magritte si fonda su
questi principi: rifiuto della pittura emotiva. La non pittura in contrapposizione alla
pittografia.
La memoria, 1948, olio su
         tela, Bruxelles, Collezione
              dello Stato belga
L'immagine sembrerebbe nascere da una
riflessione sulla questione della statua; qualcosa
di inanimato che copia le sembianze di qualcuno
che ha avuto una vita, una storia, una durata nel
tempo. Così il volto in gesso di un personaggio
femminile, con gli occhi chiusi e un sorriso
discreto tra le labbra, non conserva della vita di
un tempo se non una macchia di sangue. Di fianco
sullo stesso ripiano, una foglia accartocciata e un
sonaglio bianco. Nelle diverse versioni dello stesso
tema, la testa in gesso compare sempre affiancata
a un altro elemento, quasi sempre a formare una
natura morta.
Resta da capire se la macchia di sangue provenga
dalla statua - segno evidente di una piaga che non
riesce a rimarginarsi - o se si tratti, come lascia
supporre la sua conformazione, di uno schizzo
proveniente da un fatto di sangue di cui la statua
è stata testimone silenziosa.
Canzone d’amore, 1648-1649, olio su   Il dominio di Arnheim, 1949, olio su
      tela, collezione privata              tela, Collezione Privata
Le manie di grandezza, 1948,
         olio su tela, Washington,
            Hirshhorn Museum
Al di qua di una muraglia che si affaccia sul mare
compare una figura femminile molto
particolare.I tagli alle braccia e al capo farebbero
pensare a una statua di marmo o in gesso, ma la
sua epidermide, invece di essere candida, è del
colore ambrato della carne. Inoltre non si tratta
di una figura unitaria, ma di tre moduli di scala
sempre più ridotta che si incastrano l'uno
all'altro. Di fianco una candela accesa che però
essendo giorno fatto non emette luce alcuna; nel
cielo le consuete nuvole bianche si incastrano fra
volumi celesti, curiosi parallelepipedi fatti d'aria
e di cielo che si appoggiano l'uno sull'altro.
Le questioni implicate sono numerose, ma tutte
legate in maniera diversa alla messa in
discussione delle proporzioni: i cubi celesti
compaiono all'inizio degli anni Trenta, in opere
che hanno sempre a che vedere con una
riflessione sull'universo, la sua natura e la sua
scala.
L'arte della Conversazione ,1950, olio   Sheherazade, 1950, olio su tela,
su tela, New Orleans, Museum of Art            Collezione Privata
Il balcone di Manet, 1950, olio su tela, Gand,
                  S.M.A.K.

  Lo spettatore ricorda il quadro di Manet, con i suoi
  impettiti gentiluomini e le due belle signore in abito
  bianco, e vedendo le bare non si può non cogliere il
  ridicolo di questi curiosi bozzoli di legno che della
  persona che imprigionano conservano posizione e
  proporzioni. Di questi quadri, scriverà Foucalt ''...il
  vuoto invisibilmente contenuto tra le assi di quercia
  laccata dissolve lo spazio che era composto dal
  volume dei corpi vivi, dall'espansione degli abiti,
  dalla direzione dello sguardo e da tutti quei volti
  pronti a parlare: il 'non luogo' sorge 'in persona', al
  posto delle persone e là dove non c'è più persona
Édouard Manet, Il balcone,1868, olio su tela,
         Parigi, Museo d'Orsay
I valori personali, 1952, olio su tela, San Francisco, Museum of Art

Non è necessario pensare che gli oggetti qui
rappresentati si siano ingranditi a dismisura: è
sufficiente che siano stati posti in una casa in
miniatura. Ma l'effetto spiazzante rimane, e il
dubbio sulle dimensioni, grazie anche
all'estrema verità del quadro, si estende ben
al di fuori della camera da letto del quadro.
''Il valori personali'' sono oggetti così
quotidiani che difficilmente ne notiamo
l'esistenza. Qui le loro dimensioni sembrano
però sottolineare la falsità di questa
indifferenza: in realtà questi oggetti ci
dominano, a tal punto che non possiamo
farne a meno; il pettine, il fiammifero, il
pennello da barba, il bicchiere sono oggetti
che definiscono il perfetto borghese,
condizionano la sua vita e ne delimitano gli
orizzonti.
Forse per Magritte erano più familiari le
nature morte fiamminghe e gli interni di
Vermeer, ma è chiaro che se un omaggio c'è,
è puramente funzionale, teso a conferire
normalità a un'immagine impossibile.
Golconda, 1953, olio su tela,
        Houston, Menil Colection

Golconda raffigura una serie di uomini in bombetta
che cadono giù dal cielo, come se si trattasse di una
normale pioggia in una grande città. Magritte,
come accade per altri dipinti, non dà una
spiegazione tangibile del significato intrinseco
dell'opera, ma rifacendoci alle basi della corrente
surrealista possiamo dire che l'effetto di
depaisement (spaesamento) è percepibile, per vari
motivi. Una delle prime cose che ci rende straniti è
l'idea prima del dipinto: uomini che cadono dal
cielo, o uomini che si elevano da terra? E questo
grazie a cosa?
Il titolo inoltre aiuta l'osservatore: ricordiamo che
Golconda fu una antica città dell'India, ricca e
potente: ciò potrebbe essere visto come utopico,
proprio come la presenza di uomini tutti uguali
sospesi in un cielo senza nuvole e di un azzurro
piatto ed inespressivo e che possono permettersi di
"camminare" nel cielo senza bisogno di avere ali.
L'Abito da Sera, 1954, olio su tela,   Il mondo invisibile, 1954, olio su tela,
        Collezione Privata                 Houston, The Menil Collection
La Rosa Reclusa, 1955, olio su tela,   Ricordo di un viaggio, 1955, olio
        Collezione Privata                su tela, Collezione Privata
Il Grande Secolo, 1954, olio su tela,   Il Bouquet, 1956, olio su tela,
Gelsenkirchen, Stadtisches Museum             Collezione Privata
Il 16 settembre, 1957, olio su tela,     Il Banchetto, 1958, olio su tela,
         Collezione Privata            Chicago, The Art Institute of Chicago
Nel 1961 René Magritte era un artista di fama internazionale; identificato dai suoi dipinti
più famosi, era ancora considerato un agente segreto, una misteriosa figura riconosciuta
per l'abito scuro e la bombetta. I suoi hobby erano la cinematografia amatoriale e gli
scacchi; gli piaceva fare passeggiate con la moglie e il suo cane. A 63 anni disse: "Sto
invecchiando, ho mal di denti e mal di testa, e non c'è niente che io possa fare a
riguardo". Magritte visse in una casa e in un ambiente confortevole nei pressi di Bruxelles,
in un silenzio schiacciante e anche se famoso, i suoi dipinti non ebbero i prezzi elevati nel
come alcuni altri importanti artisti surrealisti (ad esempio Dalì).

Intorno al 1963 scoprì di essere malato e viaggiò alla ricerca di un clima più mite,
trascorrendo del tempo in Italia a Ischia. Nonostante i suoi problemi di salute nel 1965,
fece il primo viaggio negli Stati Uniti, in occasione della retrospettiva al Museum of
Modern Art di New York. Magritte si riferì al lavoro di questo ultimo periodo come i suoi
"figli" trovati. Nei primi mesi del 1967, dopo una mostra personale a Parigi, intraprese la
realizzazione di otto sculture. Purtroppo non ebbe il tempo di vedere le sue opere in
bronzo.
Il castello dei Pirenei, 1961, olio su
 tela, Gerusalemme, Israel Museum

Il dipinto, ispirato ad un racconto di Edgar Allan
Poe, appartiene ai soggetti, frequenti in Magritte,
delle "pietrificazioni". Magritte si basa, come in
molti dei suoi dipinti, su un paradosso visivo. Si
riconoscono diversi elementi reali: un castello su
un'inospitale sommità rocciosa, questa sospesa sul
mare, un cielo chiaro abitato da bianche nuvole. Il
mare, in basso, è agitato, come lo voleva il pittore:
"Un mare tempestoso - egli scriveva - cupo come il
Mare del Nord della mia gioventù".
Tutto appare bloccato in una condizione di
immobile irrealtà. Realtà e assurdo sono resi
compatibili nello spazio virtuale del dipinto, grazie
all'estremo realismo delle immagini, alla loro
precisione quasi fotografica.
Il Mondo Meraviglioso, 1962, olio su
                                               tela, Collezione Privata
Le Barricate Misteriose, 1961, olio su
       tela, collezione privata
La Grande Guerra, 1964, olio su tela,
         Collezione Privata

L’opera è parte del ciclo di uomini con bombetta
a mezzo busto sullo sfondo di un cielo grigio e
una mela verde che sta davanti il volto dell'uomo,
il punto dove lo sguardo di chi osserva si posa per
prima. Il pittore ha dato lo stesso titolo ad un
altro quadro che presenta una donna in abito
bianco, con ombrello, borsetta e un cappello
piumato, anche qui il volto è coperto, ma da un
mazzo di fiori. "...abbiamo la faccia apparente, la
mela, che nasconde ciò che è visibile ma nascosto,
il volto della persona. E' qualcosa che accade in
continuazione...C'è un interesse in ciò che è
nascosto e che il visibile non ci mostra. Questo
interesse può assumere le forme di un sentimento
decisamente intenso, una sorta di conflitto, direi,
tra il visibile nascosto e il visibile apparente"
R.Magritte.
Da questa affermazione del pittore il titolo
prende un senso perchè si tratta di una guerra
fra le immagini nata dalla rivolta di due oggetti
insignificanti che si contendono la condizione
di visibilità ai due volti dei due personaggi.
Questo titolo però sarà dovuto anche in parte
all'evento reale della Grande Guerra,
composta da trincee e da uomini spazzati via a
causa di oggetti ancora più insignificanti di una
mela o di un mazzo di fiori, una guerra che ha
annullato la personalità e dove la
cancellazione del volto fa da metafora.
Il Figlio dell'Uomo, 1965, olio
   su tela, Collezione Privata
La Firma in Bianco, 1965, olio su tela,
        Washington, National Gallery of Art

Quest'opera pone l'attenzione di chi osserva sulla
frammentarietà della visione su due diversi livelli: la
realtà e la rappresentazione. Nel reale una figura posta,
in questo caso, dietro alberi si presenterà a frammenti,
ma non avremmo dubbi sulla sua unità, mentre davanti
ad una rappresentazione bidimensionale vedremo ciò
che sta davanti dipinto sopra quello che sta dietro e
viceversa. Il pittore in questo dipinto fonde i due livelli in
un' unica immagine, violando le leggi su cui i due livelli si
basano, inoltre con questa fusione la realtà risulterà un
astrazione.
Decalcomania, 1966, olio su tela, Parigi, Centre Pompidou, Collection of Dr. Noémi
                   Perelman Mattis and Dr. Daniel C. Mattis
Il Pellegrino, 1966, olio su tela,
              collezione privata
Magritte desiderava coltivare un approccio che
evitasse le distrazioni stilistiche della pittura più
moderna. Mentre altri surrealisti come Max
Ernst , Man Ray , Salvador Dalì hanno sperimentato
nuove tecniche, Magritte ha optato per una tecnica
illustrativa impassibile che articolava chiaramente il
contenuto delle sue immagini.
La ripetizione era una strategia importante per
Magritte poiché lo incoraggiava a produrre più copie
di alcune delle sue più grandi opere. Il suo interesse
per l'idea potrebbe provenire in parte
dalla psicoanalisi freudiana, per la quale la ripetizione
è un segno di trauma. Ma il suo lavoro nell'arte
commerciale potrebbe anche aver giocato un ruolo
nello spingerlo a mettere in discussione la
convinzione modernista convenzionale nell'opera
d'arte unica e originale.
La qualità illustrativa delle immagini di Magritte si
traduce spesso in un potente paradosso: immagini
belle nella loro chiarezza e semplicità, ma che
provocano anche pensieri inquietanti. Sembrano
dichiarare di non nascondere alcun mistero, eppure
sono anche meravigliosamente strani.
Cicerone, 1965, olio su tela, Collezione   Le Belle Relazioni, 1966, olio su tela,
                Privata                              Collezione Privata
Magritte ha continuato a dipingere fino
al 1967, anno della sua morte; morì di
cancro al pancreas nella sua casa il 15
agosto 1967, undici giorni dopo
l'apertura di una retrospettiva delle sue
opere presso il Boijmans-van
Beuningen Museum di Rotterdam.

Lasciò un dipinto incompiuto sul suo
cavalletto. Il lavoro era stato
commissionato da un giovane
collezionista di Colonia, che voleva
qualcosa sul genere dell' "Impero delle
luci", ma il quadro rimase sul suo
cavalletto fino alla morte di Georgette
Magritte nel 1986.

Venne sepolto nel cimitero di
Schaerbeek.
L’impero delle luci, 1950, olio su tela, New York, MoMA
L’impero delle luci, 1953–54,
    olio su tela, Venezia,
      Collezione Peggy
        Guggenheim
L’impero delle luci, 1967,
  olio su tela, collezione
           privata
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