SERBIA - Febbraio 2008 - Mercati a confronto

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SERBIA

 Febbraio 2008
Informazioni Generali

Superficie: La Repubblica di Serbia ha un’estensione di 88.361 Km2.

Capitale: Belgrado (1.576.000 abitanti) (a).
Altre città principali
Novi Sad (299.000 abitanti) (a); Nis (251.000 abitanti) (a); Kragujevac (176.000 abitanti) (a);
Pristina (108.000 abitanti) (c).
(a) dati dal censimento 2002 in Serbia
(c) molti albanesi kosovari non hanno partecipato al censimento 2002.

Popolazione: 7.500.000 abitanti (secondo il censimento del 2002 escluso il Kosovo) densità
103,7 abitati per Km2; (9.400.000 abitanti secondo stime della EIU, incluso il Kosovo);

Lingua: La lingua ufficiale del Paese è il Serbo-Croato; diffuso l’uso dell’Albanese nel Kosovo e
dell’Ungherese nella Vojvodina

Religione: Ortodossa 65%, Musulmana 19%, Cattolica 4%, Protestante 1%, altra 11%

Moneta: L’unità monetaria della Repubblica di Serbia è il Dinaro Serbo (CSD) suddiviso in 100
paras. La media annuale di cambio del Dinaro Serbo in Euro nell’anno 2006 è stata di 84.3945
CSD per 1 Euro.

Sistema politico
La Serbia è una repubblica democratica basata sulla costituzione del 1989 con un’assemblea
unicamerale (Skupstina) di 250 seggi. Il Governo è guidato dal primo ministro ed è
responsabile di fronte al parlamento. Le prime elezioni della Serbia come stato indipendente si
sono tenute il 21 gennaio 2007; il Nuovo Parlamento Serbo sarà costituito allo stesso tempo da
6 partiti e coalizioni e dai rappresentanti delle 8 minoranze nazionali. Alla seduta tenutasi il 14
febbraio 2007 si è costituito il nuovo Parlamento della Repubblica della Serbia. La prima seduta
del parlamento alla quale erano presenti tutti i neo eletti deputati è stata interamente dedicata
alla discussione del processo negoziale sul futuro status del Kosovo e della proposta dell'inviato
speciale Martti Ahtisaari.

Presidente della Repubblica di Serbia: Boris Tadic, dal 27 giugno 2004, prossime elezioni 2008.

Governo - Il governo è guidato da Vojislav Kostunica (DSS) ed è in carica dal 15 maggio 2007.
La coalizione comprende i DS, un’alleanza tra i DSS e la nuova Serbia (NS), e il partito G17
Plus.

Partiti politici - Come le ultime elezioni, anche quelle del 2007 hanno visto la vittoria dell’ultra-
nazionalista Partito Radicale Serbo (SRS, che si avvicina al 30% dei seggi) il cui presidente è
Vojislav Seselj; il secondo posto (64 seggi) spetta al Partito Democratico (DS)con il Presidente
serbo Boris Tadic; il terzo posto, con 47 seggi, spetta al Partito Democratico della Serbia (DSS)
il cui leader è il Primo Ministro Serbo Vojislav Kostunica; il partito liberale conservatore G17, è
guidato dal Ministro della Finanza Mladjan Dirkic e ha ottenuto 19 seggi.

                     Indicatore                    2004a   2005 a      2006a   2007b
       PIL a prezzi correnti (milioni di YuD)        1,431 1.750         2.084  2.374
       PIL a prezzi correnti (milioni di US$)       24.387 26.039       31.192 41.077
       Tasso di crescita reale (%)                     8,4    6,2          5,7    7,0
       Inflazione %                                    9.8   17.3         12.7    6,5
       Bilancia commerciale (milioni di US$)
       Esportazioni                                  3.897 4,647         6,487   8.563
       Importazioni                                -10.944 -10,210     -12,715 -16.784
       Saldo                                        -7.047 -5.563        -6228 -8.221
Tasso di cambio YuD/US$ (media
       annuale)                                   58,69 67,21       66,82        57,80
       Debito estero (milioni di US$)               14.1   15.5      19.6         24,3
       Riserve internazionali (mil. di US$)       4,245 5,745      11,638       14,600
       Fonte: Economist Intelligence Unit: Country Report gennaio 2008
       a
         dati attuali; b stime;

Rischio paese
La SACE colloca la Serbia in Categoria di rischio 7, (1 minor rischio; 7 maggior rischio).
Condizioni di assicurabilità

Restrizioni specifiche:
-Rischio sovrano: apertura
-Rischio bancario e corporate: apertura

                                          Congiuntura

Il repentino collasso della Confederazione Jugoslava nel 1991 – cui hanno fatto seguito le
guerre etniche, la destabilizzazione dei confini nazionali e l’interruzione dei flussi commerciali
tra le diverse Repubbliche - ha determinato una grave recessione dell’economia serbo-
montenegrina, accentuatasi, a partire dal 1992, dall’embargo decretato dall’ONU nei confronti
della Federazione.
Il vasto programma di risanamento basato su una politica monetaria restrittiva e
sull’indicizzazione del nuovo dinaro (introdotto nel gennaio del 1994) al marco tedesco, ha
apportato solo parziali miglioramenti.
Il Paese è peraltro rimasto segnato dal problema di un grave isolamento internazionale;
mentre l’ultima guerra scatenata dalla questione del Kosovo, con il crescere delle tensioni
all`interno ed all`esterno dei confini del Paese durante il 1999, ha portato ad un ulteriore
rallentamento dell`economia nello stesso anno (–20%).
Dopo l’intervento della NATO-Allied Force contro la Jugoslavia per ottenere il ritiro delle truppe
jugoslave dal Kosovo e l`instaurarsi di un pacifico dialogo, il Paese è uscito dal conflitto ancor
più devastato di prima: a parte il gran numero di vittime, risultavano distrutte la rete di
distribuzione elettrica, i ponti, le strade e gran parte delle case, mentre il settore industriale
registrava circa un milione di persone rimaste senza lavoro.
Dal punto di vista economico, l`accordo di pace, approvato dal Partito Serbo nel giugno 1999,
ha messo fine alla guerra ed ha portato al varo di un "Patto di Stabilità" per l`Europa sud-
orientale, necessario per affermare il processo di democratizzazione, la stabilità e la
cooperazione regionale. La gran parte dei profughi albanesi è così riuscita a rientrare nel
Kosovo già a fine `99, mentre la regione kosovara è stata invece ampiamente abbandonata da
quei pochi serbi ancora rimasti.
L’esame degli indicatori economici dimostra che gli anni 2000 hanno cominciato a segnare una
svolta per il paese: la produzione complessiva è infatti tornata a crescere per valori intorno al
5,0% già nel 2001, grazie soprattutto alla ripresa dell’agricoltura, piuttosto che ad una ripresa
dell’industria.
Nonostante il ripristino delle linee di collegamento e il riavvio dei rapporti commerciali almeno
con alcuni dei principali partner, la crescita del PIL è stata modesta nel 2002, ed assestata
intorno al 3,8%.
La ancora debole performance dell’agricoltura e dell’industria sono invece alla base della
ulteriore diminuzione della crescita del PIL nel 2003, attestatasi intorno al 2,0%, e solo in
parte controbilanciata dalla buona ripresa del settore dei servizi. Una netta discesa è invece
evidente per l’inflazione, che in media nel 2003 sembrerebbe aver registrato un valore intorno
al 10%.
Nuovamente in crescita, negli stessi anni, è anche l’interscambio commerciale, sebbene le
esportazioni risultino essere inferiori alla metà delle importazioni, con conseguenti saldi
commerciali pesantemente negativi.
La crescita della produzione industriale, ed in particolare del settore manifatturiero, è invece
alla base della buona performance economica registrata nel corso del 2004.
Il ritorno della Jugoslavia al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale ha segnato
inoltre un passaggio importante per il Paese. Ciò è stato possibile anche grazie alle risultanze
delle elezioni generali e municipali della Federazione Jugoslava del 24 settembre 2000 quando
- con il 64% dei voti - l’Opposizione Democratica Serba (DOS) ha vinto le elezioni.

La situazione ereditata dal presidente Kostunica, è stata quella di un paese afflitto da una
grave crisi economica aggravata dall’emergenza dei profughi provenienti dal Kosovo e
concentrati nell’area meridionale del paese. A ciò si sono poi aggiunte le istanze formulate dal
Montenegro per uno smembramento della Federazione Jugoslava ed il riconoscimento di due
stati sovrani all’interno di una più libera confederazione. La presidenza di Kostunica è riuscita
comunque a migliorare le relazioni estere generali della Jugoslavia, ricucendo rapidamente i
legami sia con i principali paesi occidentali - guadagnando l’ammissione alle Nazioni Unite,
all’OCSE e al Fondo Monetario Internazionale - sia con l’intera regione balcanica, ristabilendo le
relazioni diplomatiche con la Slovenia, la Bosnia Erzegovina e l’Albania. Il 14 marzo 2002 le
due parti costituenti la Jugoslavia – repubblica di Serbia e repubblica di Montenegro - hanno
raggiunto un accordo di massima per rimpiazzare la repubblica federale con uno stato comune,
da denominare “Serbia e Montenegro”. L’accordo, entrato ufficialmente in vigore a gennaio del
2003 con la nascita della “Unione di Serbia e Montenegro”, ha lasciato l'assetto delle due
repubbliche quasi inalterato, con monete separate, con sistemi fiscali e di bilancio separati, con
servizi doganali separati, con sistemi bancari e di supervisione finanziaria separati, sebbene
veniva espressamente riconosciuta la libertà di movimento tra persone e capitali. Le
repubbliche costituite si sono però entrambe impegnate a lavorare verso l’armonizzazione della
propria politica commerciale e doganale con il sistema dell’Unione Europea, che assumerà il
ruolo di arbitro nel caso di disaccordi. Tale impegno era stato assunto in linea con l’obiettivo di
un futuro accordo di stabilizzazione e associazione tra l’UE e la Serbia e Montenegro. Tuttavia il
21 maggio 2006 il Montenegro è riuscito ad ottenere l’indipendenza dalla Unione di Serbia e
Montenegro in seguito al referendum che ha visto il 55,4% dei votanti (sull’86% del corpo
elettorale) favorevoli all’uscita dall’Unione. Il 55% era la quota minima che l’UE aveva richiesto
per accettare il risultato del referendum. Il governo della Serbia ha riconosciuto formalmente
l'indipendenza del Montenegro e nel comunicato diffuso dal Consiglio dei Ministri di Belgrado si
legge che dopo la sessione del parlamento serbo svoltasi il 5 giugno, durante la quale e' stata
constatata l'indipendenza del Montenegro, si sono create le condizioni affinché il governo della
Serbia riconosca la Repubblica del Montenegro e stabilisca relazioni diplomatiche. La Serbia ed
il Montenegro hanno definito i termini della loro separazione e lo stabilimento di relazioni
diplomatiche già da giugno 2006. Nel mese successivo i due ministri delle finanze hanno
raggiunto l’accordo secondo il quale la Serbia (in base all’accordo di Belgrado del 2002 se una
repubblica optava per l’indipendenza l’atra ne ereditava lo status legale ed internazionale)
succede alla vecchia Repubblica Federale Jugoslava nelle istituzioni finanziarie internazionali
come il FMI e la Banca Mondiale, ma anche nelle altre sedi internazionali come l’ONU.
Naturalmente i due paesi hanno iniziato a negoziare sulle altre questioni come quella del
welfare e delle pensioni (riguardanti i cittadini che hanno lavorato nei due stati). A fine giugno
il Ministro dell’Educazione ha annunciato che gli studenti montenegrini potranno studiare in
Serbia negli stessi termini dei soggetti di etnia serba provenienti dai paesi vicini. In
conseguenza di questa divisione tra i due stati, il Parlamento serbo ha approvato una nuova
costituzione il 30 settembre 2006 poi sottoposta a referendum il 28/29 ottobre 2006. Il
risultato finale del referendum ha visto l’approvazione della Costituzione con il 52,3%
dell’elettorato (con un’affluenza bassa pari al 54%). Da notare che all’interno della nuova
costituzione il Kosovo è dichiarato parte integrante del territorio Serbo.
Dopo le elezioni di gennaio 2007 il governo è entrato in carica a maggio, accelerato anche dalle
pressioni dell’UE di voler riprendere i negoziati sui SAA (accordi di stabilizzazione ed
associazione) e dalle prospettive di ulteriore ritardo nel determinare lo status del Kosovo.
La coalizione è formata dal DS (Partito democratico, Boris Tadic), dal DSS (Partito Democratico
serbo, Vojisllav Kostunica), dal NS (Nuova Serbia) e dal G17Plus (guidato dal precedente
governatore della banca centrale Mladjan Dinkic). Il governo, guidato da Vojisllav Kostunica,
ha anche il supporto di alcuni rappresentanti di etnie minoritarie e gode di una buona
maggioranza nel Parlamento, il tutto però è stato possibile dopo travagliati accordi politici (il
governo si è insediato solo dopo 5 mesi). Un nuovo disaccordo sta attraversando il mondo
politico in seguito all’annuncio della data delle elezioni presidenziali, in un momento in cui la
situazione del Kosovo è in una fase cruciale. Al momento, infatti, il partito DSS sta
considerando come reagire dopo che il maggior partito di governo DS ha annunciato la data di
elezione anticipata per il 20 gennaio senza consultare gli altri partiti della coalizione
(soprattutto il DSS). Kostunica, il leader del DSS, è favorevole ad un rinvio almeno fino a
quando sarà risolta la delicata questione kosovara, mentre , al contrario, B.Tadic è favorevole
ad un’elezione il più imminente possibile per anticipare la possibile dichiarazione di
indipendenza unilaterale del Kosovo. Tuttavia una repentina elezione potrebbe favorire gli
estremisti e soprattutto il SRS (Partito radicale dei nazionalisti serbi) che, agli occhi della
gente, interpreterebbe il sentimento nazionale.
Il probabile scenario è quindi una tenuta della maggioranza sul breve termine per il fatto che
comunque, quella del Kosovo, è una questione che coinvolge ed unisce tutti i politici serbi.
Kostunica e Tadic, pur divisi in altre questioni, sono uniti nell’enfatizzare che mai la Serbia
concederà l’indipendenza alla riottosa provincia. Accanto a ciò, l’altra questione più importante
rimane il raggiungimento dell’adesione all’UE, anche se nel paese e nelle forze politiche si
potrebbe rafforzare il sentimento anti-occidentale in base alla risoluzione della delicata
questione kosovara. I maggiori candidati alle presidenziali sono T. Nikolic (SRS) e Tadic (DS),
ed al riguardo le previsioni sono quanto mai incerte.

La situazione della regione kosovara ha cominciato a migliorare sulla base della risoluzione del
Consiglio di Sicurezza n. 1.244, che ha concesso al Kosovo solo “un’autonomia sostanziale in
seno alla Repubblica Federale Jugoslava”. A fine 2001 il Kosovo si è dotato di istituzioni
democratiche, con un Parlamento multietnico di 120 seggi.
Le ultime elezioni dell’ottobre 2004, sono state tuttavia ampiamente boicottate dalla
minoranza serba della provincia, cosicché una coalizione di etnia albanese ha preso il potere.
All’inizio del 2006 (febbraio-marzo) si sono svolti due incontri sullo status internazionale del
Kosovo che non hanno portato a risultati concreti. In tali circostanze l’inviato speciale dell’ONU
per il negoziato in Kosovo (Martti Ahtisaari) è stato investito del compito di proporre un
ventaglio di raccomandazioni dal Gruppo di Contatto delle potenze occidentali
(Francia,Germania, Italia, UK, USA, Russia) che sono state presentate a marzo 2007. Il
rapporto raccomanda l’indipendenza del Kosovo anche se non parla esplicitamente dello status
finale. Tuttavia la serie di poteri conferiti al Kosovo sono chiaramente i principali attribuibili ad
uno stato indipendente il cui iter sarà accompagnato dalla supervisione internazionale (UE). Un
tentativo di mediazione tra le autorità serbe e kosovare non ha avuto, nessuno sbocco. La
decisione sul futuro status della provincia sarà preso dalle potenze internazionali, in seguito
alla sottomissione di un rapporto della troika (USA,UE, Russia) al segretario generale dell’ONU
il 7 dicembre 2007. Il Consiglio si Sicurezza rimane bloccato su ogni risoluzione, in quanto
Russia e Cina oppongono il veto su ogni questione che non sia accettata dalle autorità serbe o
kosovare. Intanto gli albanesi kosovari sono intenzionati a fare una dichiarazione unilaterale di
indipendenza nel corso del 2008 (si prevede dopo le elezioni presidenziali di febbraio)
confidando sull’appoggio USA ed UE. L’UE vorrebbe un’interpretazione della risoluzione 1244
del Consiglio di Sicurezza che permetta un cambio della missione ONU UNMIK con una
missione UE. La Russia e la Serbia reclamano che tale soluzione dovrebbe prevedere una
nuova risoluzione. Tale opposizione si fonda sull’Atto finale di Helsinki del 1975, il quale
stabilisce alcuni principi internazionali (in particolare il rispetto della sovranità, l’inviolabilità dei
confini, la non ingerenza negli affari interni) per cui senza passare per una decisione ONU si
infrangerebbero le regole internazionali. All’interno della stessa UE vi sono delle divisioni
emerse nell’incontro di Bruxelles del 14 dicembre e vi è chi riconoscerebbe il Kosovo con una
dichiarazione unilaterale, ma anche che si opporrebbe. In particolare ciò sarebbe un
precedente per altre questioni territoriali e specialmente Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia
e Cipro sono particolarmente preoccupate per una cosa del genere. Un possibile
riconoscimento del Kosovo da parte degli USA e UE potrebbe far precipitare la situazione
politica; la Russia non riconoscerebbe mai il Kosovo in ambito ONU, il sud-est europeo sarebbe
destabilizzato ed gli sforzi di promuovere un’integrazione e cooperazione regionale da parte
della UE sarebbero stati vani. In aggiunta i politici serbi renderebbero difficile la vita al Kosovo
con possibili embarghi economici e soprattutto tagli energetici che ne metterebbero in
ginocchio l’economia. Inoltre, con un’ipotetica indipendenza, è probabile un esodo di massa dei
serbi kosovari che non riconoscono altra autorità se non quella della Serbia, producendo in tal
modo un “conflitto congelato”. Un punto sicuro è che nessun governo serbo sarà pronto a
firmare un accordo che preveda la cessione della regione, soprattutto dopo l’indipendenza del
Montenegro. L’unico modo per convincere la Serbia potrebbe essere la concessione di un’
“indipendenza condizionale” al Kosovo in cambio di un’integrazione euro-atlantica accelerata.
Tuttavia la prospettiva appare lontana. Intanto sono iniziati i negoziati per i SAA con l’UE a
novembre 2007 e molti paesi UE sono favorevoli ad una firma dell’accordo per l’inizio del 2008,
sebbene la questione Ratko Mladic sia ancora in alto mare. La piena cooperazione con il
tribunale internazionale (ICTY) rimane una questione determinante per portare a conclusione
gli accordi. Si auspica la firma degli accordi già nel 2008 ed una qualifica della Serbia di paese
candidato.
Il tasso di crescita della Serbia in anni recenti è stato basso, anche se dal 2000 la situazione è
migliorata. Secondo i dati dell’Ufficio di Statistica Federale, l’economia è cresciuta con una
media del 3,9% dal 2001- al 2003. Questo dato è minore di più di un punto percentuale
rispetto alla media delle economie regionali in transizione. Nel 2004, invece, l’ufficio
repubblicano di statistica, ha stimato una crescita del PIL pari al 8,0% (anche in altri dati la
stima di crescita è al 9,3%). Questo ha comportato un forte recupero del settore industriale, la
crescita del settore edilizio e dei servizi. E’ stato un anno eccezionale per l`agricoltura dopo gli
effetti negativi dovuti alla siccità nel 2003. Tale tasso di crescita è difficilmente sostenibile ed
infatti il 2005 si è “fermato” con un’incremento del 6,8%. I settori dei servizi (in particolare),
del commercio, del trasporto e dell’ intermediazione finanziaria hanno sostenuto l’economia. Le
cause del leggero raffreddamento dell’economia nel 2005 (rispetto al 2004) sono dovute, oltre
ai modesti anni per l’agricoltura, dopo l’eccezionale raccolto del 2004, in un indebolimento del
settore manifatturiero e nell’adozione da parte delle autorità serbe, dovute alle pressioni del
Fondo Monetario Internazionale,di una politica monetaria e fiscale forte al fine di contenere
l’inflazione. Nel 2006 la crescita è stata del 5,7% secondo il RZS (Ufficio di statistica
nazionale), mentre nel corso del 2007 la crescita dovrebbe attestarsi al +7%. Nel primo
trimestre vi è stato un balzo del 8,7% con un forte incremento in tutti i settori, nel secondo
trimestre un rallentamento al 7,7% e nel terzo trimestre ancora una discesa al 6,1%. Questo
andamento (nel terzo trimestre) è dovuto all’impatto dell’agricoltura (-10%) ed al
rallentamento dell’industria e delle costruzioni. In tale periodo di riferimento, il settore dei
trasporti è risultato trainante e le vendite (sia al dettaglio che ingrosso) sono cresciute del
24,4% su base annua stimolate dalla forte impennata del Pil. I consumi familiari sono stati in
crescita del 8%, in discesa dal 9% del secondo trimestre. La spesa continua ad essere trainata
da un rapido aumento dei salari e dei trasferimenti sociali (pensioni) e del credito bancario. La
crescita annuale tra gennaio ed ottobre 2007 del salario netto è stata pari al 28,7% in termini
nominali e del 22,1% in termini reali.
Nel 2005 l’inflazione è stata in media del 16,1%, una delle più alte dal 2002. Questo a causa di
vari fattori quali il prezzo del petrolio, maggiori incrementi salariali, rapida espansione del
credito e prezzi ancora dettati da monopoli in alcuni settori. Nel 2006 l’inflazione ha
incominciato a scendere da maggio (il picco al 16,1%) e nei mesi successivi (tranne in agosto),
il che riflette sia fattori stagionali, sia l’apprezzamento del dinaro che una certa politica
monetaria restrittiva da parte della Banca Centrale della Serbia (NBS) per limitare il credito al
consumo, totalizzando alla fine una media del 12,7% per l’intero anno. Per l’intero 2007 il
tasso di inflazione ben lontano dal target voluto dalla NBS. L’andamento è stato influenzato
soprattutto dai maggiori costi del petrolio, del grano e dal rapido aumento dei salari. Pertanto
vi sono concrete preoccupazioni circa l’andamento inflattivo ed in una delle ultime sedute del
consiglio per la politica monetaria, la NBS ha stabilito come obiettivo un raggiungimento del
target al 3-6% per il 2008.
Il commercio con l’estero ha fatto segnare un deficit commerciale pari a 3,5 miliardi di dollari
nei primi otto mesi del 2006 totalizzando un rapporto con il Pil pari 11,7% per l’intero anno in
seguito ad un ulteriore peggioramento. Nel primo trimestre la Banca Nazionale di Serbia (NBS)
ha comunicato un deficit commerciale pari a 1,86 miliardi di US$, un aumento del 41%
sull’anno precedente. le importazioni sono cresciute del 43% mentre l’export del 46%, ma
siccome rappresentano circa il doppio in termini di volume il deficit è attesto in considerevole
aumento. Il deficit delle partite correnti nel 2005 è stato di 2,1 miliardi di dollari, in discesa del
26,1% dal 2004. Nel 2006, invece, il deficit delle partite correnti è tornato a crescere
attestandosi a 3,7 miliardi di US$ (pari all’11,7% del Pil) e conferma tale trend anche per il
2007. Per l’intero anno ci si attende un deficit delle partite correnti pari al 15% del Pil. La
rapida espansione della domanda interna, sospinta dai salari, i trasferimenti sociali ed il credito
alle famiglie e le imprese, ha contribuito ad allargare tale deficit. Per i primi dieci mesi del
2007 il deficit delle partite correnti hanno accumulato in totale un debito di 5,2 miliardi di US$,
più del doppio rispetto al medesimo periodo del 2006. Le esportazioni e le importazioni stanno
crescendo entrambe e tra gennaio ed ottobre 2007 l’incremento è stato del 39%. Il più largo
deficit delle partite correnti è stato causato anche da un più piccolo surplus dei trasferimenti
correnti (in particolare al calo delle rimesse ed un aumento dei pagamenti verso l’estero)
rispetto al medesimo periodo del 2006. Gli IDE nel 2007 sono scesi rispetto all’anno record del
2006 (caratterizzato dalla vendita della Mobi 63), e si avvicina di più ai livelli del 2005.
Tuttavia se si considera che nel secondo trimestre vi è stato anche l’acquisto della Telekom
Srbija (Bosnia Erzegovina), l’andamento sembra essere più favorevole di quanto sembra.
I conti pubblici hanno fatto segnare un surplus dell’1,6% nel 2005 e nel settembre 2006 è
stato approvato dal Parlamento il budget revisionato che evidenzia un surplus statale più
piccolo del previsto. Questo include anche la crescita delle spese capitali sotto il piano NIP
(National Investment Plan) che prevede investimenti in infrastrutture in seguito alle
privatizzazioni. La Serbia per tutto il 2006 ha totalizzato un surplus del budget statale pari allo
0,5% (stime della EIU) grazie soprattutto alle entrate percepite dalla vendita della seconda
licenza per operatori mobili e dalla mancata esecuzione del NIP. Per il 2007, tra gennaio e
novembre vi è stato un surplus di bilancio pari a 37,5 miliardi di RSD, piuttosto che un deficit
preventivato di 13,7 miliardi per l’intero anno. Il terzo trimestre ha segnato un notevole
miglioramento della situazione finanziaria statale ed il budget statale dei primi undici mesi ha
potuto contare su maggiori entrate dalle tasse (+11%). Un altro fattore positivo è venuto da
un minor livello di spesa rispetto a quanto preventivato, grazie ad un basso livello di uscite
nella prima metà dell’anno. Le spese si sono innalzate nella seconda parte dell’anno con
maggiori uscite per salari e servizi (+30% e + 22,3%). Tra gennaio e novembre le spese
capitali sono salite del 131% in esecuzione del NIP, anche se gli obiettivi di spesa non sono
stati raggiunti. Il governo sta cercando di attuare investimenti in progetti infrastrutturali, ma il
FMI è molto critico sulla mancanza di focus sui problemi da parte del NIP, oltre che sui
problemi amministrativi e di controllo.

                                     Prospettive future

La promulgazione della nuova Carta Costituzionale aveva sancito la nascita dell’Unione di
Serbia e Montenegro e posto fine a un periodo di forte incertezza politica interna. Tuttavia una
insufficiente armonizzazione tra le due repubbliche aveva danneggiato gli scambi economici tra
le parti, riducendo le probabilità che l’Unione degli Stati, inizialmente definita solo come un
accordo triennale ad interim, potesse essere permanente. Il referendum di indipendenza
montenegrino ha spazzato via ogni dualismo e diviso i due stati. Ora i rapporti economici e
politici dopo la separazione sono in corso di definizione in tutti i loro aspetti. Per quanto
riguarda la politica internazionale l’Unione Europea ha finalmente deciso di riprendere i
negoziati per i SAA (accordi di associazione e stabilizzazione) che potranno essere firmati entro
la fine del 2007. Tutto è rimesso nella soluzione della vicenda Mladic, la cui soluzione è
essenziale per l’UE. Questi colloqui più la sistemazione del futuro del Kosovo saranno fattori
cruciali per l’avvicinamento della Serbia all’UE (anche se attualmente al suo interno vi è un
atteggiamento anti-allargamento).
La priorità per il governo serbo è l’incoraggiamento degli investimenti e lo stimolo per una
crescita economica più forte. Tutti i partiti concordano ampiamente sulla direzione generale
delle riforme. Alcune divergenze restano tuttavia circa le privatizzazioni, implicando l’inevitabile
accumulo di ritardi nella cessione delle quote di stato, soprattutto nei settori bancario e delle
telecomunicazioni. La situazione interna del Paese resta inoltre agitata dal persistere di conflitti
interni e rivalità, legate all’esperienza del passato. I conflitti sociali permangono soprattutto
dinanzi a una ripresa economica che ancora non può considerarsi diffusa, e a riforme che
incidono negativamente sugli interessi dei gruppi chiave del Paese.
La crescita del PIL della UE-25 nel 2008 rallenterà al 1,9%, riflettendo con ciò un
rallentamento dell’economia US, per poi riprendersi soltanto leggermente dal 2009. Questo
non potrà supportare la crescita dell’export serbo che ha generato il 50% delle entrate proprio
con le vendite nell’UE. I prezzi internazionali del petrolio nel 2008-09 rimarranno alti a causa
della forte domanda globale. Questo determinerà un ulteriore rischio per la bilancia esterna
della Serbia e potrebbe alimentare ulteriori costrizioni inflazionistiche. Le turbolenze finanziarie
si sono alleviate dopo il rapido restringimento delle condizioni di prestito di agosto. Una caduta
dei tassi di interesse è attesa in USA e nella stessa UE. Questo potrebbe aiutare a riprendere la
stabilità nei mercati finanziari. La forte dipendenza verso gli afflussi per finanziare i deficit delle
partite correnti rende il paese molto sensibile a tali crisi finanziarie.
La crescita reale del Pil è stata pari al 8% per la prima metà del 2007, uno dei più alti registrati
da quando è iniziata la transizione economica.
La rapida espansione riflette la crescita impetuosa della domanda domestica favorita dai
prestiti bancari in espansione e dalla crescita salariale pre-elettorale del settore pubblico. I
servizi rimangono il comparto a più forte crescita, con specialmente la vendita al dettaglio, i
servizi finanziari, i trasporti e le comunicazioni che hanno dato il loro contributo. Tuttavia
anche il manifatturiero ed il settore delle costruzioni stanno facendo la loro parte. La crescita si
è attenuata nella seconda parte dell’anno con un calo nella produzione industriale e di un
andamento agricolo influenzato dalla siccità. Per l’intero 2007 la crescita totale dovrebbe
attestarsi al 7%, con una leggera decelerazione nel 2008-09.

Nel 2008/09 la crescita economica rimarrà comunque forte con una previsione di oltre il 5,5%,
riflettendo una politica fiscale più espansiva (a causa del NIP), maggiori investimenti nelle
recenti aziende privatizzate ed una domanda interna sempre robusta (grazie al continuo
aumento dei salari reali). Le uniche incognite sono da ascrivere alla situazione politica
kosovara ed ad un eccessivo deficit esterno che porterebbero ad azioni correttive che
deprimerebbero la crescita.
La pressione inflazionistica si è allentata nel corso del 2006, soprattutto grazie
all’apprezzamento del dinaro, ad una politica monetaria prudente della Banca Centrale ed al
differimento di alcuni incrementi sui prezzi amministrativi. A fine 2006 l’inflazione media si è
attestata al 12,7%, mentre a novembre 2007, dopo un costante aumento nei sei mesi
precedenti, il tasso si è attestato al 8,8%. Si stima, per l’intero anno 2007, un tasso medio
totale al 9,2%. La pressione inflazionista sarà presente anche nel periodo di previsione, con ciò
riflettendo un sovradimensionamento del pubblico settore, la presenza di monopoli nel settore
privato, gli incrementi dei prezzi amministrati e le alte quotazioni del petrolio. Nonostante ciò,
con l’assunto che la politica economica rimarrà prudente, e che il dinaro rimarrà stabile verso
le principali monete, si dovrebbe assistere ad una graduale disinflazione. I prezzi alla vendita
sono stimati al 7% per il 2008 ed al 5,5% per la fine del 2009.

Il dinaro serbo nel 2006 è stato sostenuto da un afflusso record di IDE ed un largo ammontare
di prestiti esteri dalle banche commerciali. Dopo essere salito per tre anni nei confronti
dell’euro, a novembre 2007 si è deprezzato velocemente. Successivamente, su intervento della
banca centrale, il dinaro ha recuperato molto della perdita, ma rimane vulnerabile ai
cambiamenti politici attuali.
Nonostante ciò nel 2007 vi è stato un apprezzamento reale del dinaro nel contro le principali
monete dei partner della Serbia. I suoi effetti saranno però limitati dal processo di deflazione
ed eventualmente dalla reazione della Banca Centrale serba preoccupata dalla competitività dei
prezzi serbi nell’ottica dell’export. Il cambio reale dovrebbe salire modestamente nel 2009. Il
deficit di conto corrente è stato in crescita al 11,7% nel 2006 (dal 8,6% nel 2005), largamente
a causa del deficit commerciale e dal deterioramento delle altre voci delle partite correnti. Nei
dati dei primi dieci mesi del 2007 il deficit commerciale è stato pari a 6,9 miliardi di US$ e
(+39% sul 2006) con una robusta crescita sia dell’import che dell’export. Per l’intero anno il
deficit dovrebbe attestarsi al 15% del Pil. Nonostante ciò le imprese si stanno ristrutturando e
questo rafforzerà la loro competitività nel biennio 2008/09, anche con l’apprezzamento reale
del dinaro. Da considerare però che la forte domanda interna e i prezzi energetici faranno
salire il conto dell’import, sebbene la politica monetaria rimanga restrittiva. Per tali ragioni è
previsto un allargamento del deficit commerciale e deficit annuali delle partite correnti pari al
12,5% del Pil negli anni 2008/09.
2008          2009
Prodotto sociale (var. %)                                                  6,0           5,5
Inflazione (%)                                                             7,9           6,0
Bilancia commerciale (miliardi di US$)
Esportazioni (Fob)                                                         10,3          11,8
Importazioni (Fob)                                                         -19,3         -21,2
Saldo                                                                      -9,0          -9,4
Fonte: Economist Intelligence Unit: Country Report gennaio 2008

                                       Settori produttivi

La struttura economica della Federazione Jugoslava ha subito negli anni una profonda
trasformazione determinata da eventi contingenti. Nel contesto della Repubblica Federale
Socialista di Jugoslavia, la Serbia rappresentava i paesi con un’economia ed un livello di
prosperità medio. L’ economia serba è stata seriamente danneggiate dall’imposizione delle
sanzioni, dalla rottura dei legami con le altre Repubbliche socialiste e dall’elevato costo di
sostentamento dei serbi nei Paesi limitrofi. Si può dire che nel 1989 lo scenario economico di
questa Nazione era molto più aperto e liberale di quello dei Paesi confinanti; lo stesso discorso
vale per il livello di vita, che era molto più vicino allo standard europeo ed ai paesi
industrializzati. Negli ultimi tempi, invece, la politica economica è stata piuttosto in ritardo
rispetto alle altre Nazioni in fase di transizione, e spesso se ne è distinta per il fatto di rivelarsi
particolarmente conservatrice ed ispirata al socialismo di Stato.
Anche prima dello scoppio della guerra del Kosovo nel 1999, l`economia jugoslava operava in
condizioni di forte difficoltà, pressata dal blocco dell`accesso ai finanziamenti esteri e dalle
sanzioni commerciali, e come risultato della rinuncia alle preferenze commerciali e
dell`imposizione del divieto degli investimenti da parte dell`Unione Europea nel 1998, quale
condanna per le politiche di Belgrado nel Kosovo. Per tutto il 1998, con il deteriorarsi della
situazione in Kosovo e a seguito degli effetti delle sanzioni occidentali che cominciavano a
soffocare la produzione industriale e le esportazioni, i controlli statali sulla vita economica sono
aumentati: controllo dei prezzi, tasse speciali, quote di commercio e confisca di beni privati da
parte dello Stato erano diventati la norma. A fine 1999 il governo di Belgrado aveva comunque
eliminato il controllo dei prezzi imposto nel periodo di guerra.
A partire dagli anni 2000 gli andamenti dei diversi settori economici sono tornati tuttavia a
essere positivi, con una spinta proveniente principalmente dal settore dei servizi, mentre
l’agricoltura resta invece afflitta da problemi legati a periodi di grave siccità, anche se nel 2004
c’è stata una crescita eccezionale del settore. Anche gli aiuti e gli investimenti esteri diretti
cominciano inoltre ad avere alcuni effetti sulla produzione. Dal 2000 la domanda domestica è
stata il fattore principale di crescita, con il consumo privato che è cresciuto con una media del
9% per anno. Questo è stato possibile per l’espansione sia dei salari che del credito che ha
supportato la robusta crescita nel consumo delle famiglie. La relativa rapida crescita serba non
è stata sostenuta da un altrettanto veloce incremento degli investimenti fissi (si calcola ad un
range del 10-14% ma nel 2004, secondo dei dati revisionati, la crescita di tali investimenti
sarebbe invece stata del 20%), fattore che ha portato preoccupazioni per la sostenibilità della
crescita. La struttura economica serba continua la sua trasformazione passando ad essere
un’economia basata prevalentemente sui servizi. Nel 2005 l’industria era responsabile del 28%
circa della formazione del Pil, l’agricoltura del 15% ed i servizi del 57%. Nel 2006, l’industria
pesava per circa il 25%, l’agricoltura per il 13% ed i servizi per il rimanente 62%.
La Serbia ha, tuttavia, un significativo settore manifatturiero che comprende la chimica, il
tessile, la produzione di automobili, di mobili e la lavorazione degli alimenti. L’agricoltura si
basa per lo più sulle produzioni nella provincia della Vojodina, a nord del paese. A livello di
paese la Serbia rappresenta un medio-mercato in termini regionali, con una popolazione di 7,4
milioni (9,4 con il Kosovo), il secondo più grande dopo la Romania (22 milioni). Tuttavia è
anche uno dei più poveri. Infatti il reddito pro capita a parità di potere di acquisto (PPP) è stato
stimato a 7.029 US$ nel 2006, circa il 40% del livello dell’Ungheria (che ha più o meno la
stessa popolazione). Il gap di reddito sarà colmato se non lentamente.

Settore                                   2005
Agricoltura                               13.5
Industria                                 27.6
Servizi                                   61.9
Fonte: Economist Intelligence Unit: Country Report ottobre 2007

Materie prime
Le principali risorse minerarie del Paese sono il carbone (per il quale la Jugoslavia è quasi
completamente autosufficiente), la bauxite e il rame. Il settore minerario, dopo anni negativi è
tornato in crescita al 2,1% nel 2005, al 3,5% nel 2006 e positivo per i primi mesi del 2007.
Rilevante inoltre la produzione di elettricità; le principali centrali elettriche sono Nikola Tesla A
(1.650 milioni di watt) e Nikola Tesla B (1.123 mw) nella Serbia centrale, e Kosovo A (680
mw) e Kosovo B (678 mw) nella regione omonima. La capacità produttiva dei settori
dell’energia e dei combustibili è stata seriamente compromessa durante la guerra del Kosovo
del 1999. Nel corso del 2002, il governo serbo ha predisposto un nuovo disegno di legge per
l’energia, sul modello degli standard dell’Unione Europea. La nuova legge predispone
un’organizzazione all’intero della quale le società pubbliche possono essere ristrutturate e i
prezzi liberalizzati. La nuova legge comprenderà anche un capitolo dedicato ai problemi
ambientali. Ulteriori leggi per lo sviluppo del settore del combustibile, in particolare per il
carbone, sono state pianificate nel corso del 2002, mentre nello stesso anno è stato elaborato
anche un piano quinquennale per lo sviluppo dell’energia. Il settore dell’elettricità è dominato
da due monopoli statali, la Electric Power Industry della Serbia (Elektroprivreda Srbije, EPS),
che conta per circa l’84% del totale della produzione di energia primaria e per il 95% della
generazione di elettricità. Le principali attività della EPS sono la produzione di carburante, la
genarazione di energia, la trasmissione e distribuzione, la gestione del sistema energetico, e le
attività di lavorazione, trasporto, fatturazione e riscossione. La EPS ha un totale di 63.500
impiegati ed appare ampiamente sovradimensionata se comparata con le equivalenti società
europee. Alcuni piani di ristrutturazione della EPS sono stati predisposti dal governo per
avviarne la privatizzazione. La EPS è afflitta da problemi di debiti e mancati pagamenti, ma
ciononostante è stata preparata per la privatizzazione nel 2001, quando il governo ha
pianificato di vendere il 51% delle quote.

Successivamente l’innalzamento delle tariffe ha migliorato la situazione finanziaria della
compagnia ed il governo serbo, in carica dal maggio 2007, sta progettando di vendere parte
dell’azienda dopo averla ristrutturata.
Tuttavia il governo intende vendere solo un pacchetto di minoranza ed attualmente ogni passo
verso la vendita rimane incerto per l’attuale momento politico.
Nel Paese si estraggono inoltre petrolio e gas naturale. L’industria petrolifera, una volta
considerata una parte redditizia dell’economia del Paese, ed anche il primo settore candidato
alla privatizzazione prima dell’imposizione del divieto di investimenti del 1998, è stata
annientata dai bombardamenti del 1999. Prima di ciò, la Jugoslavia produceva circa 20.000
barili al giorno di petrolio, vale a dire un terzo del suo fabbisogno annuale, prevalentemente
dai giacimenti petroliferi della Vojvodina, e importava circa 2 milioni di tonnellate di greggio
all’anno dalla Russia, dalla Cina e dall’Iraq per soddisfare interamente la domanda locale. Le
due maggiori raffinerie del paese, a Pancevo e a Novi Sad, sono state ripetutamente
bombardate durante la guerra del 1999, cosicché la capacità di raffinazione del Paese è stata
distrutta. Inutilizzabile risulta anche un’importante struttura per lo stoccaggio del petrolio a
Smederevo, come anche i centri regionali di distribuzione. Il costo dei danni diretti della guerra
in questo settore sono stimati intorno ai 650 milioni di US$. I danni della guerra hanno peraltro
aggravato la già povera condizione delle installazioni petrolifere della Serbia, che apparivano in
posizione negletta già nella precedente decade, cosicchè alla fine della guerra la ripresa è stata
lenta e solo parziale.
Le prospettive in qualche modo appaiono però attualmente migliori. Le due raffinerie
petrolifere di Pancevo e Novi Sad sono state ricostruite ed hanno ricominciato a raffinare il
petrolio grezzo e a produrre petrolio dalla metà del 2001, raggiungendo così il 70% delle
capacità produttive anteguerra, mentre le operazioni di trivellazione nella Vojvodina sono
riprese più o meno nello stesso periodo. Attualmente si può dire che vengono estratti dalla
Voyvodina circa 18.000 barili di petrolio che coprono il 33% del fabbisogno del paese. La prima
privatizzazione del settore è stata conclusa nel 2003 con la vendita del 79,5% elle azioni di
Beopetrol alla russa Lukoil. Il processo di vendita delle raffinerie statali continuerà se non
prima aver ristrutturato i siti (soprattutto Pascevo e Novi Sad) ed averle rese appetibili per gli
investitori stranieri. Il FMI attendeva per la metà del 2006 l’inizio del processo di
privatizzazione, ma questioni politiche e le elezioni hanno bloccato il tutto. Il nuovo governo
dovrà adottare il piano disposto dalla precedente legislatura per la vendita del 25% della NIS
ad un investitore strategico che voglia poi salire fino al 37,5% delle azioni societarie attraverso
un incremento di capitale. Il FMI crede che le autorità serbe vogliano vendere la maggioranza
delle azioni per massimizzare gli introiti statali.

Per quanto riguarda il gas, la produzione domestica copre circa un quarto della domanda,
considerato che la Jugoslavia necessita annualmente di 3,6 miliardi di metri cubi di gas. La
produzione locale era di 679 milioni di metri cubi nel 1999, comparata con i 731 del 1998. La
parte non coperta dalla produzione interna è sempre stata importata dalla Russia. Il gas è
usato per l’industria (in particolare per la produzione di fertilizzanti e di gomma sintetica), per
usi domestici (con 170.000 utenti di gas domestico, prevalentemente nella Vojvodina dove le
riserve di gas sono concentrate) e per gli impianti di energia termoelettrica per il
riscaldamento. Durante il primo periodo di sanzioni la società statale di gas e petrolio, Naftna
Industrija Srbije (NIS), ha interrotto le ricerche di riserve di gas, a causa della mancanza di
fondi. Le ricerche, che richiedono un investimento annuale di circa 100 milioni di US$, sono
riprese nel 1996 su scala limitata. Il gas è tuttavia considerato come una delle principali risorse
di energia per il futuro del Paese, e la sua quota all’interno dei consumi energetici del Paese è
attesa in aumento dal 15-20% del 1997 al 30% nel 2020, con un numero di utenti che
potrebbe arrivare intorno alle 500.000 unità. Tuttavia, sebbene lo Stato punti molto sul gas
come energia da sfruttare per il futuro, sia attraverso lo sfruttamento dei propri giacimenti, sia
con l’incremento delle importazioni dalla Russia, non è chiaro da dove il gas potrebbe
provenire, poiché la Serbia ad un certo punto avrà bisogno di trovare alternative proprio al gas
proveniente dalla Russia. La Serbia ha infatti avuto perenni problemi con la fornitura di gas
russo a causa del mancato pagamento dei debiti verso il fornitore russo, Gazprom, che ha
ripetutamente tagliato le forniture. Per risolvere tali problemi, sono state proposte alla
Gazprom un certo numero di gruppi di imprese, compreso un serbatoio di gas sotterraneo a
Banatski Dvor, come mezzi di ripagamento del debito jugoslavo relativo al gas. La OMV Austria
ha progettato nel 2002 di costruire 70-80 stazioni di servizio, e anche le società Royal
Dutch/Shell e LUKoil della Russia hanno interessi nel mercato del gas serbo.
Quanto alle infrastrutture dedicate al settore del gas, nel Paese ci sono circa 2.000 chilometri
di gasdotti. Il gas è importato dalla Russia via Ungheria attraverso la principale rete di gasdotti
di 500 chilometri, che però è stata distrutta durante i bombardamenti del ‘99, quando la
compagnia statale petrolifera e del gas ungherese MOL venne messa sotto pressione affinchè
cessasse le forniture. Prima della guerra erano stati formulati alcuni progetti per portare il gas
russo nel sud della Serbia a circa 800.000 abitanti e utilizzatori industriali, attraverso una rete
di connessione con la Bulgaria. Attualmente una reale rete di distribuzione del gas esiste però
solo nel nord della Serbia.

Agricoltura
Il Paese ha un settore agricolo tradizionalmente forte. Il Paese può contare su circa 5,7 milioni
di ettari di terra agricola di cui circa il 85% è arabile, mentre il 4,3% è adibita a frutteti, l’1,4%
a vigneti e il 34% lasciata a pascoli naturali. Il 70% dei terreni agricoli dell’ex-Jugoslavia si
concentra in Serbia e nella provincia della Vojvodina, si tratta di terra fertile, prevalentemente
di proprietà privata e divisa in piccoli appezzamenti. La regione della Vojvodina è la più
attrezzata e attiva; qui la collettivizzazione agricola era stata potenziata con la creazione di
ampi kombinat, aziende che associavano alla coltivazione di mais, grano, canapa, girasole,
barbabietole da zucchero e foraggi, l’allevamento integrato e molteplici industrie di
trasformazione. Le favorevoli condizioni di questo settore hanno permesso al Paese di
fronteggiare le sanzioni internazionali meglio del previsto. Le principali culture agricole sono
mais, frumento e vite.
Il settore agricolo presenta però grossi problemi, sia dal punto di vista dei macchinari, ormai
antiquati e difficilmente sostituibili, sia per quanto riguarda le fonti di finanziamento. Le riforme
fiscali iniziate da parte del governo salito al potere in Serbia all’inizio del 2001, hanno peraltro
anche accentuato i problemi finanziari del settore agricolo. Avendo per molti anni sofferto per
la mancanza di sostanziale supporto finanziario da parte del governo, i contadini hanno
fronteggiato la decisione governativa di porre fine ai finanziamenti dell’agricoltura provenienti
da fonti completamente extra-bilancio. Mentre la campagna ha ampiamente dimostrato di
avere ben poca fiducia nella capacità del governo di risolvere i problemi a lungo termine del
settore.
Nonostante qualche ripresa, la produzione resta ancora ben sotto i livelli del 1989, sebbene sia
proprio l’agricoltura a sostenere la gran parte della crescita economica. I bisogni nazionali di
frumento si aggirano sui 2,2-2,4 milioni di tonnellate, ma buona parte del raccolto è esportata.
L’allevamento rappresenta il punto più debole del settore agricolo, che si trova in uno stato di
crisi già dal 1991. Il numero dei capi, che era cresciuto nel 1995, è nuovamente crollato tra il
1996-97 nonostante il Governo abbia stanziato crediti e sussidi per la riabilitazione del settore.
Nonostante alcune ristabilizzazioni del comparto dell’allevamento, non ci sono evidenti segni di
ripresa. Dal 2004 il budget statale ha diretto sempre più risorse per l’agricoltura con un
programma d’investimento significativo.
Infatti, proprio nel corso del 2004 c’è stata una crescita eccezionale dell’agricoltura,
soprattutto in Serbia dove il settore agricolo ha sempre avuto molta importanza. Secondo i dati
dell’Ufficio di statistica federale la crescita del settore in quell’ anno è stata del 18,2% (riferito
all’Unione di Serbia e Montenegro). Il raccolto dei principali cereali nel 2005 è stato più
moderato anche per l’inondazione in aprile specialmente nella vojvodina. La produzione di
frumento dovrebbe aggirarsi intorno a 1,7-1,8 tonnellate (1 in meno rispetto al 2004) mentre
anche la frutta ed i vegetali sono previsti in calo. La Serbia dovrebbe così essere riuscita a
coprire il suo fabbisogno per quanto riguarda i cereali, ma non a creare surplus per l’export.
Nel corso del 2006, sebbene la quota di apporto alla formazione del Pil sia sceso
costantemente, l’agricoltura valeva il 13%-15% del Pil. Se vi si associa le attività di
trasformazione di alimenti e bevande, la quota aumenta al 21%. Circa il 44% della popolazione
vive in aree rurali ed un terzo della popolazione trae sostentamento dall’attività agricola.
L’export dei beni agricoli primarii è stata pari al 19% del totale sempre nel medesimo anno
2006. Visti i problemi del passato, il supporto finanziario statale verso il settore è andato in
crescendo dal 2004, con significativi investimenti nel biennio 2004-06. Vi son state importanti
riforme nella politica commerciale con una certa semplificazione della struttura delle tariffe ed
il loro conseguente abbassamento. Molti dei prodotti agricoli beneficiano ancora di protezione e
di quote all’export nonostante la membership del WTO. Il settore ha il potenziale per
accrescere la produzione e l’efficienza e, con appropriate politiche, diventare uno dei motori
dell’economia per il medio-lungo termine. I principali ostacoli a ciò sono ancora legati al
mercati dei fattori di produzione della terra ed alla concessione del credito. La risoluzione di tali
problemi è la base essenziale per avere poi riforme istituzionali ed investimenti esteri.

Industria
Diversamente dalle altre Nazioni del blocco sovietico, che hanno sofferto della concentrazione
nell’industria pesante imposta da Mosca, la Jugoslavia possedeva una varietà di industrie, e
riserve modeste ma continuative di carbone, metalli ferrosi e non, su cui può contare per
soddisfare il proprio fabbisogno. Gli effetti del conflitto del 1999 hanno tuttavia distrutto gran
parte di queste riserve. Le maggiori produzioni precedenti alla guerra erano a Kragujevac in
Serbia, dove si producevano automobili e vi erano importanti fabbriche chimiche, tessili, del
legno e della trasformazione alimentare. Le maggiori perdite si sono registrate proprio nei
settori a lavoro intensivo, come il tessile e i settori legati al legno, ma anche in quelli
dell’engineering. Si stima che a causa della guerra del 1999 in tutto circa 40 della maggiori
industrie jugoslave siano state distrutte, insieme al danneggiamento di circa 100 altre attività
imprenditoriali. Questi danni sono andati peraltro ad accumularsi alle perdite derivate
dall’interruzione dei tradizionali collegamenti con le altre repubbliche della precedente
Jugoslavia, e dall’isolamento internazionale degli anni ’90. La politica di austerità monetaria
condotta dal Primo Ministro Ante Markovic prima, e il primo conflitto poi, hanno fatto cadere
vertiginosamente la produzione industriale (fino al 37,3% nel ’93). Nel `94-`95 c’è stata una
modesta ripresa, rafforzatasi nel ’96 e ’97 con la cessazione dell’embargo, mentre nel 1998 le
critiche performance del settore hanno messo in evidenza le difficoltà legate alla carenza di
capitali. Le prospettive rimangono poi deludenti se si paragonano i tassi di crescita attuali con
quelli precedenti la guerra; ciò è dovuto sia alla diffidenza dei partner stranieri, sia ai problemi
di generale insolvenza e pesantissimo debito pubblico del Paese. All’indomani del conflitto del
Kosovo è emerso che circa 1/3 delle aziende del paese aveva subito danni diretti. La maggior
parte delle aziende completamente distrutte apparteneva al settore metalmeccanico, chimico e
petrolchimico. L’industria serba appare poi contratta anche nei settori a bassa e media
specializzazione tecnologica. I più cospicui sono stati tuttavia i danni indiretti, perché nelle
negoziazioni commerciali sia i fornitori che gli acquirenti non hanno potuto rispettare gli
obblighi contrattuali.
Gli andamenti della produzione industriale in parte riflettono anche la debolezza della domanda
domestica; questa situazione ha cominciato però a cambiare una volta che gli aiuti esteri sono
confluiti verso la nuova Unione di Serbia e Montenegro su più larga scala. Tuttavia, questi
andamenti riflettono anche, dal lato delle forniture, i problemi di mancanza di investimenti,
l’incapacità di una parte delle imprese di incontrare gli standard di qualità internazionali e le
conseguenze della carenza di energia elettrica. Sebbene le riforme orientate al mercato del
nuovo governo aiuteranno a creare un ambiente maggiormente favorevole alle attività
produttive, una soluzione adeguata dei problemi di approvvigionamento dipenderà in maniera
critica dagli investimenti, ed in particolare dagli investimenti esteri che porteranno nuova
tecnologia e nuovo ossigeno alle finanze.
Numerose industrie serbe hanno raggiunto accordi di produzione con società occidentali, che
potrebbero aiutare a spingere la ripresa industriale. Dopo essere rimbalzata del 14,5% nel
2000, la performance dell’industria nel corso degli anni è stata incerta. La produzione
industriale, misurata sulle basi del valore aggiunto, si è contratta nel biennio 2001-2003 a
causa soprattutto della ristrutturazione del manifatturiero, per poi segnare una crescita media
del 4% per anno nel 2004-06.

Nel corso del 2006 tutto il comparto è salito del 5%, spinto dalla lavorazione del tabacco, dei
metalli ed altri minerali, dei mobili e dei prodotti chimici. La produzione di macchinari ed i
settori ad alta tecnologia continuano ad andare male, così come le aree tradizionali del tessile
e del legname, mentre il settore delle attrezzature della TV e comunicazioni, radio e strumenti
di precisione sono al collasso. La debolezza di questi ultimi comparti è data da una serie di
fattori e riflette una mancanza di investimenti, il fallimento delle ristrutturazioni e
privatizzazioni, un dinaro forte, una generale mancanza di competitività (rispetto alla Cina e gli
altri paesi a basso reddito) e una insufficiente liquidità nelle imprese del settore. Il momento di
debolezza potrebbe essere sintomatico anche di un certo deterioramento nel capitale umano e
del fallimento degli IDE di controbilanciare ciò. La ristrutturazione, anche se ha portato alla
chiusura di fabbriche e perdita di lavoro momentanea, ha creato nuove linee di produzione più
competitive e ad alto valore aggiunto. Il manifatturiero, il nocciolo dell’industria serba, sta
guidando il cambiamento con il settore dei metalli di base al seguito. Per il settore alimentare e
del tabacco ci si attende lo stesso andamento.

I dati della produzione aggregata mostrano una produzione industriale in aumento del 4,8%
per il primo trimestre del 2007, del 7,7% nel secondo e del 6,1% nel terzo. Il momentaneo
rallentamento è dovuto soprattutto all’impatto dell’agricoltura che, con un’estate
particolarmente arsa, ha registrato una flessione nel terzo trimestre del 10%. In rallentamento
anche l’industria e le costruzioni. Il maggior contributo al Pil, sempre nel terzo trimestre, viene
dai trasporti, dalla vendita al dettaglio/ingrosso, con quest’ultimo settore cresciuto del 24,4%.
Si può dire, dai dati 2007, che il manifatturiero serbo sta riavendo nuovo vigore anche se è
basato soprattutto sulle tradizionali attività metallurgiche che, si sa, sono influenzate dal
commercio internazionale.
Dal punto di vista settoriale quello che sta soffrendo è certamente il tessile, infatti nonostante
sia entrato in vigore un accordo di libero commercio con l’UE nell’agosto 2005, la produzione
nei primi 4 mesi del 2005 (ultimo dato disponibile) era scesa del 8,4%.
Uno dei settori più interessanti rimane quello dei metalli che è essenzialmente rivolto verso
l’export.
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