Riqualificazione, qualificazione e legittimo risparmio d'imposta alla luce delle modifiche all'art. 20 TUR

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  Riqualificazione, qualificazione e legittimo risparmio d’imposta alla luce delle
                             modifiche all’art. 20 TUR

Anche per effetto delle modifiche recate dalla legge n.205/2017 (legge di bilancio
2018) resta acclarato che l'art. 20 del TUR non è la sede idonea per contestare sul
piano fiscale la condotta 'complessiva' dei contribuenti, né rilevano "gli interessi
oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti "; neanche pare possibile
addivenire per il tramite della detta disposizione normativa ad una 'riqualificazione'
della fattispecie negoziale sottoposta a registrazione intesa come procedimento logico
e valutativo della sua rilevanza giuridica e fiscale.

di Adriano Pischetola*

    1. Premessa

Il disegno programmatico che la novella recata dall'art. 1 comma 87 lett.a) della legge
27 dicembre 2017 n.205 (cd.. legge di bilancio per il 2018) intendeva tracciare con
riferimento all'art. 20 del Testo unico dell'imposta di registro (TUR), è chiaramente
intuibile dalle osservazioni riportate nella relazione illustrativa ove a pag. 122 si legge:
"La modifica è volta a dirimere alcuni dubbi interpretativi sorti in merito alla portata
applicativa dell’articolo 20 del DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR), rubricato
‘interpretazione degli atti".1

Quali sono questi dubbi interpretativi è a tutti noto: primo fra tutti, e in via assorbente,
se l'A.F. possa o, adesso, sarebbe più corretto dire, potesse riqualificare la fattispecie
negoziale sottoposta a registrazione attingendo ad elementi extratestuali, non
desumibili dall'atto - ma magari dalla condotta tenuta dalle parti contraenti, anteriore o
postuma - o da altri atti ad essa collegati. E verrebbe da dire che ora siffatto dubbio non
ha più ragion d'essere, vista la chiara dizione utilizzata in tal senso dal legislatore.

* Notaio in Perugia
1
  La tematica è già stata oggetto di alcuni Studi del CNN, tutti reperibili all'indirizzo www.notariato.it e segnatamente
studio n. 95-2003/T, L’imposta di registro – Elusione fiscale, interpretazione e riqualificazione degli atti, est. Petrelli;
studio n. 170-2011/T, Sulla riqualificabilità come cessione di azienda della cessione dell’intero capitale di una s.r.l., est.
Puri; studio n. 151-2015/T, L’abuso del diritto o elusione in materia tributaria: prime note nella prospettiva della funzione
notarile, est. Mastroiacovo. e da ultimo Studio n.17-2018T, Considerazioni sull'art.20 del Testo Unico dell'Imposta di
registro dopo la legge di bilancio 2018, est. Lomonaco. V. anche la Segnalazione novità riportata in CNN Notizie del 29
dicembre 2017, Legge di bilancio 2018. Le modifiche all’art. 20 del testo unico dell’imposta di registro ed altre novità
fiscali di interesse notarile (est.Lomonaco-Mastroiacovo)
In dottrina sia consentito il richiamo a Pischetola, Con il nuovo abuso del diritto possibile una rilettura della norma
sull’interpretazione degli atti, in Il Fisco, 2016, 2452 ss.).
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Anche se poi quel dubbio riaffiora come l'araba fenice dalle proprie ceneri se solo si
pensa che già con la famosa circolare n.6 del 5 febbraio 2003 l'Amministrazione, nel
dare ai propri uffici indicazioni e istruzioni comportamentali, aveva raccomandato
nell'espletamento dell'attività di controllo fiscale conseguente all'autoliquidazione da
parte dell'ufficiale rogante "di rilevare esclusivamente errori ed omissioni sulla
base di elementi oggettivi, univoci e chiaramente desumibili dall'atto, senza
sconfinare, in questa fase riservata al controllo dell'imposta principale, in delicate
valutazioni o apprezzamenti sulla reale portata degli atti registrati..."

Ma tant'è. Sta di fatto che la giurisprudenza della Suprema Corte, forse del tutto
ignorando questo orientamento dell'A.F. o comunque prescindendone, ha fornito
spesso2, e tranne rare eccezioni 3, strade alternative e comunque efficaci affinchè fosse
ribadita la piena potestà dell'Amministrazione stessa di procedere a riqualificare le
fattispecie negoziali ad essa sottoposte per la registrazione, non solo al di là del 'nomen
iuris' assegnato dalle parti contraenti, ma soprattutto valorizzando circostanze ed
elementi estranei rispetto al documento da registrare e quindi applicando, se del caso,
un regime fiscale risultante da una diversa ricostruzione ipotetica della fattispecie da
tassare.

I motivi che risultano sottesi a questa scelta ideologica della giurisprudenza di
legittimità sono a tutti noti e comunque nella prospettiva che a noi qui interessa forse
non più rilevanti per quanto si verrà esponendo nel prosieguo.

    2. I contenuti della novella

2
  Basti qui ricordare per tutte le sentenze emanate in materia Cass. 12 maggio 2017 n. 11873, in Riv. giur. trib., 2017,
p. 778 («In tema di registro, ai fini della qualificazione degli atti sottoposti a registrazione in ragione degli effetti giuridici
prodotti, assume preminente rilievo la causa reale e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai
contraenti, seppure mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali o di singole operazioni, non rivelandosi
decisiva, in ipotesi di negozi collegati, la rispettiva differenza di oggetto. L’atto di conferimento di un ramo aziendale in
una società di nuova costituzione e l’atto di cessione, da parte della società conferente, della partecipazione totalitaria
detenuta nella società conferitaria a una terza società realizzano, se collegati, gli effetti di una cessione diretta di
azienda»); nonché Cass. 5 aprile 2017 n. 8793, in Riv. giur. trib., 2017, p. 782 («In tema di registro, ai fini della corretta
qualificazione degli atti sottoposti a registrazione, assume preminente rilievo la causa reale e la regolamentazione degli
interessi effettivamente perseguita dai contraenti, seppure mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali o di
singole operazioni, non rivelandosi decisiva, in ipotesi di negozi collegati, la rispettiva differenza di oggetto. Gli atti di
cessione di singoli beni aziendali realizzano, se funzionalmente e cronologicamente collegati, gli effetti di una cessione
diretta di azienda»). Cfr. anche Cass. n. 6758/2017 che qualifica l'imposta di registro come imposta 'di negozio' e non
come imposta d'atto, nonchè Cass. n.21767/2017; n. 1955/2015; n. 24594/2015;n. 3481/2014.
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   Cass, 2054/2017: "Se è indubitabile che l'Amministrazione in forza dell'art. 20 TUR non è tenuta ad accogliere
acriticamente la qualificazione prospettata dalle parti ovvero quella "forma apparente" al quale lo stesso art. 20 fa
riferimento, è indubbio che in tale attività riqualificatoria essa non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale
l'atto risulta inquadrabile, pena l'artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e
comportante differenti effetti giuridici. In altre parole non deve ricercare un presunto effetto economico dell'atto tanto
più se e quando - come nel caso di specie - lo stesso è il medesimo per due negozi tipici diversi per gli effetti giuridici
che si vogliono realizzare; .nel caso di conferimento d’azienda seguito da cessione della partecipazione totalitaria nella
società conferitaria, sebbene da un punto di vista economico si possa ipotizzare che la situazione di chi ceda l’azienda
sia la medesima di chi cede l’intera partecipazione, posto che in entrambi i casi si monetizza il complesso di beni
aziendali, si deve riconoscere che da un punto di vista giuridico le situazioni sono assolutamente diverse».
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Il novello art. 20 del TUR ora recita - in esito alle modifiche apportate dalle legge
n.205/2017 - "L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici
dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma
apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da
quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli
successivi".4

La modifica si accompagna ad altra integrazione recata all'art. 53-bis del TUR in
materia di attribuzioni e poteri degli uffici, ove, nell'incipit, viene aggiunto un inciso
per il quale resta ferma l'applicazione dell'articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n.
212, (Statuto del contribuente) ove è rifluita con disciplina definitiva la
regolamentazione dell'abuso di diritto o elusione fiscale5.

4
  Tra i primi commenti sula materia al vaglio A. Carinci - D. Deotto, “Pezo el tacòn del buso: una riforma improvvisata
sull’art. 20 del T.U.R.”, in il fisco, n. 46/2017, 4422 secondo i quali "la novella non puo` che essere positivamente accolta,
dal momento che riporta l’imposta di registro nel suo alveo naturale di imposta sull’atto; di imposta, cioe`, dove l’atto
va tassato in ragione degli effetti giuridici che lo stesso e` in grado di produrre e non piu` di imposta sugli effetti
(economici) asseritamente prodotti, a prescindere dall’atto che li ha realizzati e dalla circostanza che questi siano stati
mai realmente voluti dalle parti" rilevando però che " Se questo era l’obiettivo, lo strumento impiegato desta tuttavia
non poche perplessita`. In particolare, non convince la scelta di mettere sullo stesso piano di irrilevanza gli atti collegati
e gli altri elementi extratestuali, trattandosi di scelta che rischia di imporre una significativa anomalia nel processo di
interetazione e qualificazione negoziale..."
5
  Articolo inserito dall’ art. 1, comma 1, D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 e che così recita:
Art. 10-bis. (Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale)
1. Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle
norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione
finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto
di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.
2. Ai fini del comma 1 si considerano:
a) operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti
significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza
della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo
degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato;
b) vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con
i principi dell'ordinamento tributario.
3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche
di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa
ovvero dell'attività professionale del contribuente.
4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni
comportanti un diverso carico fiscale.
5. Il contribuente può proporre interpello ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera c), per conoscere se le operazioni
costituiscano fattispecie di abuso del diritto.
6. Senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l'abuso del diritto è
accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da
fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del
diritto.
7. La richiesta di chiarimenti è notificata dall'amministrazione finanziaria ai sensi dell'articolo 60 del decreto del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, entro il termine di decadenza
previsto per la notificazione dell'atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti ovvero di inutile decorso del
termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta e quella di decadenza dell'amministrazione dal potere
di notificazione dell'atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la
notificazione dell'atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei
sessanta giorni.
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L'adozione contemporanea di siffatte novelle forse - nelle presumibili intenzioni del
legislatore - si fonda sull'intendimento di additare comunque all'A.F. un percorso
(fornito di maggiori e adeguate garanzie procedimentali per il cittadino) attraverso il
quale comunque rendere inopponibili ad essa amministrazione taluni atti posti in essere
dai contribuenti, laddove ne ricorrano i presupposti, ovverossia se ricorra una
vantaggio fiscale indebito. Precisa infatti la relazione illustrativa:" In tale sede 6andrà
quindi valutata, anche in materia di imposta di registro, la complessiva operazione
posta in essere dal contribuente, considerando, dunque, anche gli elementi estranei al
singolo atto prodotto per la registrazione, quali i fatti, gli atti e i contratti ad esso
collegati" potendo così ad esempio contestarsi "l’abusivo ricorso ad una pluralità di
contratti di trasferimento di singoli assets al fine di realizzare una cessione d’azienda".

L'art. 20 del TUR pertanto non è più la sede idonea per contestare la condotta
'complessiva' dei contribuenti, nè rileveranno più - come essa relazione si affretta a
precisare - "gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi
in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali
giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di
azienda la cessione totalitaria di quote)."

Che fosse necessario addivenire ad una riforma del dato normativo perché questo
principio della irrilevanza degli 'interessi concretamente perseguiti dalle parti' fosse
recepito nell'ordinamento, la dice lunga sulla incertezza operativa e concettuale
afferente alla materia di che trattasi. Ancora nell'aprile del 2017 7la Suprema Corte di
Cassazione affermava il principio per cui, ai fini dell'applicazione dell'imposta di
registro facendo uso dei canoni interpretativi del cit. art. 20, ciò che conta non sono le

8. Fermo quanto disposto per i singoli tributi, l'atto impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione
alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati, nonché ai chiarimenti forniti
dal contribuente nel termine di cui al comma 6.
9. L'amministrazione finanziaria ha l'onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d'ufficio,
in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l'onere di dimostrare l'esistenza delle ragioni
extrafiscali di cui al comma 3.
10. In caso di ricorso, i tributi o i maggiori tributi accertati, unitamente ai relativi interessi, sono posti in riscossione, ai
sensi dell'articolo 68 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e, successive modificazioni, e dell'articolo 19,
comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
11. I soggetti diversi da quelli cui sono applicate le disposizioni del presente articolo possono chiedere il rimborso delle
imposte pagate a seguito delle operazioni abusive i cui vantaggi fiscali sono stati disconosciuti dall'amministrazione
finanziaria, inoltrando a tal fine, entro un anno dal giorno in cui l'accertamento è divenuto definitivo ovvero è stato
definito mediante adesione o conciliazione giudiziale, istanza all'Agenzia delle entrate, che provvede nei limiti
dell'imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure.
12. In sede di accertamento l'abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere
disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie.
13. Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l'applicazione
delle sanzioni amministrative tributarie.
Sul tema dell'abuso del diritto si rimanda agli studi CNN n. 151-2015/T (Est. Mastroiacovo) , L’abuso del diritto o elusione
in materia tributaria: prime note nella prospettiva della funzione notarile, e n. 56-2016/T (Est. Raponi),Abuso del diritto
nella pratica notarile: rilevanza delle valide ragioni extrafiscali nelle operazioni societarie straordinarie, reperibili
all'indirizzo www.notariato.it nonché rispettivamente in CNN Notizie del 26 gennaio 2016 e del 20 luglio 2016
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  E quindi in sede di verifica di un eventuale abuso diritto/elusione
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  Cass. 5 aprile 2017 n.8793; cfr. anche Cass. 11873 del 12 maggio 2017
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enunciazioni formali cui fanno ricorso i contraenti, ma la 'sostanza economica'
dell'operazione che si può desumere da "circostanze ed elementi di fatto diversi da
quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali (Cass. n. 6405/2014),
di guisa che gli stessi concetti privatistici sull'autonomia negoziale regrediscono a
semplici elementi della fattispecie tributaria" . In pratica l'A.F. aveva riqualificato
come unitaria cessione d’azienda una serie di quattro atti: una cessione di immobili,
già assoggettata a Iva, e tre cessioni di rami d'azienda, con la conseguenza della
tassazione della cessione immobiliare non con l'imposta fissa di registro, ma con
l'aliquota dell'imposta di registro proporzionale propria dei trasferimenti di immobili.
Nella sentenza i Supremi giudici svalutano l'importanza di eventuali ragioni
economiche che avrebbero potuto giustificare il frazionamento di quella che essi
ritenevano una operazione unitaria: ciò che conta, essi affermano, è che dagli elementi
fattuali (e non da quelli cartolari) emerga che si tratta di una unitaria operazione di
cessione di azienda.

Sennonché è evidente il salto logico operato dai giudici nella sentenza: si sono
sostituite talune tipiche e legittime fattispecie negoziali, cui le parti hanno dichiarato
di fare ricorso, con altra forma giuridica negoziale (un'unica operazione di cessione
d'azienda), forma altrettanto legittima, ma diversa da quella voluta dalle parti, anche
per i diversi effetti che ne discendono.

Questo effetto distorsivo nascente da una interpretazione dell'art. 20 quale norma (non
necessariamente antielusiva, ma) finalizzata ad individuare la causa 'reale' del
regolamento contrattuale, dovrebbe ora essere evitato dalla novella al vaglio.

Del resto con l'introduzione del nuovo art. 10-bis dello Statuto del contribuente era già
chiaro che non si potesse più invocare il medesimo art. 20 per contestare una presunta
caratura elusiva della fattispecie negoziale sottoposta a registrazione: l'inserimento
dell'art. 10-bis in un testo che regola in astratto e in generale i rapporti tra A.F. e
cittadini ha avuto il significato di indicare che solo il percorso da esso disegnato residua
per rilevare eventuali elusività nella condotta dei contribuenti. Per giunta, come è noto,
e come si desume dal comma 12 del detto art. 10-bis, l'abuso di diritto può essere
configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la
violazione di specifiche disposizioni tributarie e quindi la sua stessa applicazione è in
tal senso 'residuale'. Peraltro, come si rilevava, è ora il medesimo art. 53-bis del TUR
a fare salvo il ricorso all'art. 10-bis, così in effetti sancendo indirettamente che l'art. 20
è definitivamente estromesso dall'area dell'elusività.

   3. Riqualificazione, qualificazione e legittimo risparmio d'imposta.

Alla luce della ricordata novella recata dalla legge n.205/2017 appare ancora più netta
e marcata di quanto non fosse prima la distinzione tra i concetti di riqualificazione,
qualificazione e legittimo risparmio d'imposta.

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Ed invero non pare più possibile per l'.A.F. addivenire per il tramite dell'art. 20 TUR
ad una 'riqualificazione' della fattispecie negoziale intesa come procedimento logico e
valutativo della sua rilevanza giuridica e fiscale. Tale attività8 non pare ora più
esperibile (se anche prima della novella si fosse ritenuta lecita) in quanto richiede ed
implica un’attività di ricognizione valutativa e ricostruttiva di un ipotetico percorso
negoziale fiscalmente più oneroso che è quanto di più lontano dalla mera valutazione
sul piano tributario dei soli ‘elementi desumibili dall’atto’. Ciò non esclude – è chiaro
– la potestà dell’A.F. di esercitare nell’ambito delle attribuzioni e poteri ad essa
spettanti di cui agli artt. 31 e ss. del DPR n.600/73 qualsiasi verifica e conseguente
attività di recupero di materia imponibile laddove, ad esempio, si accertasse la
condotta simulatoria delle parti contraenti (tipico l’esempio del frazionamento in più
atti di un’unica attività dismissiva di un complesso aziendale, la cd. ‘cessione
spezzatino') o addirittura la evasione di imposte non versate con violazione di norma
imperative. Ma siffatto è un ambito completamente diverso da quello della
‘interpretazione’ dell’atto (cui solo inerisce il perimetro dell’art. 20 del TUR).

Così come diverso è l’ambito nel quale l’A.F. decida di rilevare un eventuale abuso del
diritto e quindi una fattispecie negoziale ritenuta ‘elusiva’, secondo le forme
procedimentali stabilite dall’art. 10-bis prima citato (possibilità di interpello da parte
del contribuente; accertamento con apposito atto preceduto a pena di nullità dalla
notifica al contribuente di richiesta di chiarimenti entro 60 gg.in cui sono indicati i
motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto, ecc...). In tale ultima sede
la contestazione eventuale da parte dell'A.F. non potrà limitarsi a fondarsi su di una
interpretazione dell’atto sottoposto alla registrazione (come dovrebbe avvenire se si
operasse nel circoscritto perimetro dell’art. 20 TUR), ma anzi dovrà presupporre :

a) il compimento di operazioni prive di sostanza economica;

b) il perseguimento di vantaggi fiscali indebiti realizzati in contrasto con le finalità
delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.

8
   Sulle cui caratteristiche con specifico riferimento all'42 del Tur sia consentito il richiamo a Pischetola, Natura
dell’imposta richiesta dall’A.F. a seguito di “riqualificazione negoziale”, quesito n. 148-2012/T, in Cnn notizie del 23
maggio 2013, ove si precisa: "Se, come s’intuisce da una lettura piana del cit. art. 42 del TUR, la richiesta dell’ufficio è
diretta a correggere solo ‘errori od omissioni’ effettuati in sede di autoliquidazione, non sembra che la cd.
‘riqualificazione’ ex art. 20 del TUR - dovendosi applicare l’imposta ‘secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici
degli atti’ - possa essere attività legittimamente espletata dall’Ufficio già in tale fase di applicazione dell’imposta
principale. La ‘riqualificazione’ infatti non è evidentemente attività diretta solo a correggere ‘errori od omissioni’, ma
piuttosto rappresenta il frutto di una valutazione argomentativa logico-giuridica che non può fondarsi sugli ‘elementi
desumibili dall’atto’ (i soli cui ex art. 3-ter cit. si debba prestare attenzione per stabilire la debenza di una maggiore
imposta dovuta): essa richiede il ricorso da parte dell’Ufficio proprio a quegli “apprezzamenti sulla reale portata
dell’atto” che la ricordata Circolare n.6E/2003 ha voluto espungere con riferimento all’attività di controllo ‘postumo’
sulla regolarità e completezza della procedura di autoliquidazione espletata dal notaio rogante/autenticante. Gli errori
e le omissioni, pertanto, che soli legittimano un intervento correttivo da parte dell’Ufficio, attengono a quelli che
emergono per tabulas dall’atto sottoposto a registrazione telematica..." Cfr. anche Studio CNN n. 95/2003/T , Imposta
di registro. Elusione fiscale, interpretazione e riqualificazione degli atti,.approvato dalla Commissione studi tributari il
26 marzo 2004 (est.Petrelli) in CNN Notizie del 4 maggio 2004

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c) la 'essenzialità' dei vantaggi fiscali così conseguiti.

E per vantaggio fiscale indebito è evidente che si deve intendere un vantaggio fiscale
proprio vietato e non permesso dall'ordinamento.

Sicché non pare che abbia centrato tale specifico profilo una sentenza anche recente
(Cass. n.3533 del 14 febbraio 2018) in cui è stata ritenuto impossibile portare in
diminuzione del valore di terreno conferito ad una società l'ammontare del debito
contratto per un finanziamento pregresso dal conferente e accollato alla società
conferitaria. Secondo i Supremi Giudici si è trattato di un 'vantaggio fiscale che non
può spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio d'imposta';
in aggiunta essi hanno ritenuto che la contestazione della illegittima detrazione dalla
base imponibile dell'ammontare del debito accollato potesse giustificarsi facendo
ricorso alla categoria concettuale della capacità contributiva, sancita come è noto
dall'art. 53 Cost., categoria - essi affermano - recepita dal legislatore nello Statuto del
contribuente all'art. 10-bis. Ma in avviso contrario a quanto ritenuto dai Supremi
Giudici va qui rilevato che i vantaggi fiscali sanzionati dall'art.10-bis sono solo quelli
'indebiti', e certamente non è indebito un vantaggio - rectius - una modalità di
applicazione dell'imposta di registro quale quella contemplata da un espresso disposto
normativo, l'art. 50 del TUR, che fa appunto salva la detraibilità dalla base imponibile
di passività accollate alla società conferitaria in caso di conferimento immobiliare.9

Analogamente non pare cha abbia colto nel segno una recente sentenza della CTR
Lombardia, per la quale non si applica l’imposta di registro in misura fissa al
conferimento di immobili, ubicati in Italia, in una società che abbia la sede legale o
amministrativa in uno Stato Ue, quando la società sia “esterovestita”, cioè,
«fittiziamente localizzata» al di fuori del territorio nazionale, avendo invece in Italia
«l’effettiva direzione organizzativa»10. È questa la decisione, priva di precedenti (se
non quello di primo grado), della Ctr Lombardia 1265/21/2018 (presidente e relatore

9
  Desta in quest'ottica quindi almeno perplessità quanto l'A.F. è venuta esponendo nelle risposte date a Telefisco in data
1° febbraio 2018 per cui “a partire dal 1˚ gennaio 2018, ove si configuri un vantaggio fiscale che non puo` essere rilevato
mediante l’attivita` interpretativa di cui al novellato art. 20 del T.U.R., tale vantaggio potra` essere valutato dal
competente Ufficio dell’Agenzia, in sede di controllo degli atti registrati anche in data antecedente al 1˚ gennaio 2018,
sulla base della sussistenza dei presupposti costitutivi dell’abuso del diritto, di cui all’art. 10-bis della Legge n. 212 del
2000”. Ma in effetti l'unico vantaggio fiscale che assume rilevanza nello scenario offerto dall'art.10-bis è quello indebito,
e non un mero vantaggio fiscale, data la libertà opzionale tra regimi fiscali diversi concessa al contribuente dal comma
4 medesimo art.10-bis. Sul punto, Carinci, L’efficacia temporale del nuovo art. 20 T.U.R., il fisco, 9,2018, 854-855
10
   Vedi per una fattispecie analoga Ctr Toscana nella sentenza 933 del 16 maggio 2018, per la quale non si applica
l’imposta di registro in misura fissa al conferimento in una società lussemburghese della nuda proprietà di un bene
immobile sito in Italia se l’ubicazione della sede sociale è considerabile come «una mera domiciliazione di comodo» e
non «un centro amministrativo e direzionale effettivo». La Ctr Toscana ha ritenuto disapplicabile la norma recata dalla
nota IV all’articolo 4 della tariffa parte prima allegata al Dpr 131/1986 (che stabilisce l’imposta di registro in misura fissa)
in quanto, nella fattispecie, la società conferitaria è stata ritenuta come una «mera intestazione formale,
economicamente non operativa e priva di un insediamento reale in Lussemburgo»; rilevando come la «direzione
effettiva» della società «fosse in Italia», come la società stessa «non [fosse] dotata di uno specifico ed autonomo ufficio»
e «non produce ricavi, non possiede beni strumentali, non ha personale dipendente, sostiene irrilevanti spese di
gestione, non ha effettuato ulteriori investimenti in Lussemburgo; è priva di operatività imprenditoriale».
                                                               7
8

D’Agostino), che ha respinto il ricorso contro una sentenza analoga della Ctp Milano
(7808/5/2016). In effetti la sentenza si richiama al concetto astratto di 'elusione' senza
però nemmeno evocare l'art. 10-bis e senza nemmeno riflettere sul fatto che l'imposta
di registro in misura fissa è stabilita dalla Nota IV all'art. 4 della tariffa Parte Prima
allegata al DPR n.131/86, e quindi il relativo vantaggio fiscale non è 'indebito', ma
previsto già dall'ordinamento tributario.

Ciò che invece pertiene specificamente all’area disegnata dall’art. 20 è la vera e
propria ‘qualificazione’ della fattispecie, in grado di far emergere la ‘intrinseca natura
e gli effetti giuridici’ (e non quelli economici) dell’atto sottoposto a registrazione. Di
guisa ad esempio che un contratto di comodato nel quale è prevista la corresponsione
di un corrispettivo per il godimento potrà essere più correttamente ‘qualificato’ (e
quindi tassato) dall’Amministrazione come locazione; analogamente la fattispecie (per
la quale magari si è fatta applicazione erronea del principio di alternatività Iva/registro)
potrà essere qualificata dall’Amministrazione sul piano fiscale in modo diverso,
laddove dall’atto emergano al contrario tutti gli elementi, soggettivi, oggettivi e
negoziali, che escludano il lecito ricorso al detto principio; un contratto erroneamente
qualificato come divisione (laddove invece emerga per tabulas che le attribuzioni in
proprietà esclusiva non concernano una massa comune) potrà essere correttamente
‘qualificato’ dall’Amministrazione come permuta, ecc…

Altro esempio pratico di maggiore intelligibilità potrebbe essere forse quello di un
contratto qualificato dalle parti come “preliminare” che però - attraverso la
ricostruzione della loro reale volontà espressa nelle singole clausole negoziali - vada
piuttosto inteso o “riqualificato” come “definitivo” (perché ad esempio preveda fin da
subito il versamento dell’intero prezzo o di una sua parte cospicua, nonché
l’immissione nel possesso del promissario acquirente e semmai anche il trasferimento
a suo carico dei rischi del perimento del bene). È evidente che in tal caso la
“riqualificazione” lecitamente operata - attraverso una lettura piana dei dati desumibili
dallo stesso atto effettuata ai sensi dell’art. 20 del T.U.R. - è il risultato soltanto di un
corretto processo interpretativo della volontà emergente dal medesimo regolamento di
interessi posto in essere alle parti e non certo di un giudizio di verifica della eventuale
violazione (o meno) di norme fiscali o di principi dell’ordinamento tributario, diretto
ad accertare “vantaggi fiscali indebiti”11.

11
   Anche l’Amministrazione finanziaria ritiene che la qualificazione di un contratto preliminare in “definitivo” può
conseguire solo se emerga con chiarezza dalle clausole contrattuali una siffatta volontà dei contraenti (R.M. 8 gennaio
1976, n. 301596; R.M. 5 maggio 1981, n. 251294; R.M. 17 dicembre 1991, n. 500013). E così pure la giurisprudenza delle
Commissioni tributarie (Comm. trib. centr., 2 ottobre 1990, n. 6217 che, con riferimento all’ormai abrogato art. 19,
D.P.R. n. 634/1972, considera possibile la riqualificazione ove siano presenti gli elementi tipici del contratto definitivo;
Comm. trib. centr., 21 novembre 1989, n. 6798 che ritiene la stessa consegna del bene e il pagamento del prezzo fattori
non necessariamente legittimanti la riqualificazione del preliminare in definitivo; Comm. trib. centr., 4 giugno 1985, n.
5473; Comm. trib. centr., 4 maggio 1983, n. 590; Comm. trib. centr., 23 aprile 1982, n. 2051). D’altra parte, e in coerenza
con quanto sopra esposto, la riqualificazione non pare impedita se risulta che al contratto definitivo venga assegnato
dalle parti una mera funzione ricognitiva e riproduttiva di un consenso negoziale già “compiuto” e formatosi nell’ambito
della contrattazione preliminare (Cass., 22 dicembre 1981, n. 6759; in dottrina R. Braccini, “Contratto preliminare, II)
Diritto tributario”, in Enc. Giur. Treccani, IX, Roma, 1988 secondo il quale deve essere valutato con maggiore incisività
                                                             8
9

Analogo ragionamento è da farsi nell’ipotesi di una fattispecie contrattuale denominata
formalmente divisione di cosa futura (avente ad oggetto quindi l’assegnazione di
singole porzioni di una erigenda costruzione da realizzarsi su di un suolo di comune ed
indistinta proprietà e soggetta a un trattamento fiscale moderato) laddove emerga al
contrario che, attraverso opportune clausole pattizie, le parti abbiano inteso concedersi
veri e propri reciproci diritti ad edificare, convenzione siffatta che in tal modo
sconterebbe un trattamento fiscale ben più rilevante e che tra l’altro condurrebbe al
risultato di far acquisire ai contraenti la proprietà superficiaria e non piena delle
porzioni assegnande. Anche stavolta, l’eventuale “riqualificazione” operata
dall’Ufficio avverrebbe giusto nel solco del solo art. 20 del T.U.R., non dandosi luogo
ad alcuna fattispecie abusiva o elusiva e sottoponendo a tassazione i reali effetti
giuridici prodottisi12.

E così pure dicasi per un atto “formalmente” nominato “di rettifica” che non si limiti
ad una mera attività esplicativa o di più esatta precisazione dei dati (ad esempio
catastali o anche anagrafici) riportati nell’atto rettificato, ma introduca veri e propri
elementi additivi e “novativi” rispetto a quelli originari. L’interprete in tale evenienza
potrà senz’altro “superare” il dato solo testuale e nominale per colpire i reali effetti
giuridici ex art. 20.

Al contrario i dubbi invece s’infittiscono (e, coerentemente a quanto sopra si
argomentava, conducono alla ritenuta impossibilità di far ricorso ad una
“riqualificazione” ex art. 20) qualora ci si trovi di fronte a fattispecie negoziali
ritenute talvolta elusive o abusive.

Paradigmaticamente si può accennare alle c.d. business combinations o operazioni di
spin-off (e cioè operazioni di conferimento, o fusione o scissione tra società che
comportino, tra gli altri effetti leciti e possibili, quello - che peraltro è altrettanto lecito
in sé - del possibile trasferimento, anche a terzi, della titolarità di quote o di azioni
possedute nelle società beneficiarie, cui risultino pervenuti per effetto di quelle
operazioni stesse compendi immobiliari o aziende già di spettanza dei soggetti
conferenti o che partecipano alla fusione o dei soggetti “scissi”). Sul punto tra l’altro
giova ricordare come l’A.F. abbia sdoganato dall’area della elusività molte delle
configurazioni e delle operazioni connesse con fenomeni di scissione riconoscendo che
la elusività non scatta al cospetto di ragioni economiche valide, anche di carattere

sul piano fiscale il c.d. preliminare ad esecuzione anticipata, ove differito al definitivo sia solo l’effetto traslativo a
maggior garanzia del venditore e le prestazioni contrattuali risultino compiutamente già eseguite, da considerarsi
pertanto in tal caso il “preliminare” anche sul piano civilistico quale “definitivo”).
12
   La questione di cui si tratta è stata oggetto di numerose sentenze della giurisprudenza tributaria (v. tra le altre, Comm.
trib. centr., 5 aprile 1989, n. 2524; Cass., 15 luglio 1983, n. 4868; Id., 5 luglio 1982, n. 4001; Id., 31 ottobre 1981, n. 5767;
Comm. trib. centr., 7 maggio 1981, n. 1704; Cass., 15 aprile 1981, n. 6781; Id., 5 luglio 1980, n. 4283; nel senso che
debba essere individuata nella convenzione di cui si parla nel testo una reciproca concessione di diritti ad edificare
Comm. trib. centr., 11 novembre 1981, n. 4659).
                                                               9
10

organizzativo o gestionale (come peraltro già espressamente previsto dal comma 3 art.
10-bis)13.

Qui è chiaro che non si trasferiscono direttamente gli asset di un soggetto o di più
soggetti economici, ma solo le quote di partecipazione alle società beneficiarie del
trasferimento dei compendi immobiliari o aziendali (si tratta di un contratto definito
share deal), e a causa dell’effetto finale che si produce (di sostanziale circolazione dei
detti compendi) si può ritenere abusiva l’intera operazione, lucrando questa
complessivamente un trattamento fiscale migliore rispetto a quello che colpisce il
trasferimento diretto (e semprechè ricorrano i requisiti di una siffatta elusività di cui
l’A.F. ha l’onere di dimostrarne l’esistenza14).

Altresì è possibile pensare alle tante critiche di elusività che si riannodano al c.d.
Merger Leveraged Buy Out - MBLO - (quando si incorpori una società controllata la
cui partecipazione sia stata acquisita con risorse provenienti dal sistema bancario, il
che comporta la possibilità della deduzione degli interessi passivi del finanziamento
acceso per l’acquisizione della partecipazione nella società “obiettivo” che viene poi
incorporata in quella “veicolo”)15.

O ancora è possibile immaginare un contratto di finanziamento che non presenti
alcun elemento di estraneità (né quanto ai soggetti che ne siano coinvolti né quanto
agli scopi per i quali esso è concesso né infine quanto al Foro competente), ma che
venga stipulato all’estero, sottraendosi pertanto all’applicazione dell’imposta
(ancorché sostitutiva) che presuppone di regola il compimento dell’operazione nel
territorio italiano. Siffatta fattispecie, come è noto, è stata talora ritenuta abusiva,
laddove non emerga alcuna valida motivazione che giustifichi la stipula fuori dal
territorio dello Stato, se non quella di sottrarsi alla imposizione16.

13
   Cfr. Ris. n.101/E del 3 novembre 2016; Ris. N. 97/E del 25 luglio 2017 e n.98/E del 26 luglio 2017
14
   Comma 9 art. 10-bis Statuto del Contribuente
15
    Comm. trib. prov. di Milano con le sentenze n. 9999-1002/24/15, depositate il 10 dicembre 2015, ha escluso la
elusività dell’operazione in oggetto con riferimento ad una fattispecie in cui si era verificato una effettiva variazione
dell’assetto di controllo della società target. L’Ufficio dell’Agenzia delle entrate competente aveva contestato
l’operazione in quanto sprovvista di motivazioni economiche diverse dal risparmio fiscale ottenibile dalla deduzione
degli interessi passivi pagati in forza del mutuo stipulato dalla società “veicolo” e finalizzato all’acquisizione delle società
target. Ma i giudici hanno al contrario rilevato che per effetto dell’operazione si erano verificati effetti “civilistici” e
organizzativi importanti; in particolare era risultato sussistere, da parte dei nuovi soci, un’influenza dominante
sull’assemblea ordinaria, consolidata da patti di sindacato perfezionatisi al termine dell’operazione. Da un’altra
prospettiva inoltre, la permanenza nella compagine sociale di soggetti già presenti anteriormente all’operazione di
merger leveraged buy out non è stata ritenuta sufficiente a sorreggere la tesi dell’Ufficio, atteso che tali soggetti avevano
comunque conservato partecipazioni di minoranza.
La circostanza poi - rilevata dall’Ufficio - che analogo mutamento del controllo della società avrebbe potuto avvenire a
mezzo di operazioni societarie o acquisizioni meno vantaggiose fiscalmente, è stata ritenuta dai giudici irrilevante, in
quanto tali alternative non avrebbero permesso di conseguire il vantaggio “civilistico” proprio delle operazioni di
leverage buy out, vale a dire l’accollo in capo alla società target del debito finanziario contratto per l’acquisto delle
partecipazioni di controllo della medesima.
16
   Comm. trib. prov. di Torino 8 maggio 2013, n. 55/15; Nota Direz. Reg. Entrate della Lombardia n. 2008/25064/DA3
del 24 aprile 2008; prima ancora risoluzione Min. Dir. AA.GG. e cont. trib. n. 45/E del 10 aprile 2000. Segnatamente nella
risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 20/E del 28 marzo 2013 si ritiene che resti comunque assoggettato ad imposta
                                                              10
11

E’ evidente che in tutte le ipotesi solo emblematiche sopra illustrate l’inopponibilità
all’A.F. può discendere solo in esito ad un percorso dimostrativo articolato secondo le
forme procedimentali del cit. Art. 10-bis e non giammai in forza dell’art. 20 TUR.

Inoltre da quanto detto esce ribadito il concetto del legittimo risparmio d’imposta.
Non è più revocabile in dubbio la facoltà riconosciuta a ogni soggetto dell’ordinamento
di optare per la soluzione negoziale – sia pure articolata attraverso un procedimento
complesso – fiscalmente meno onerosa. Ciò non solo perché il citato art. 10-bis dello
Statuto del contribuente al quarto comma sancisce che ‘Resta ferma la libertà di scelta
del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni
comportanti un diverso carico fiscale’, ma anche perché dopo la novella i poteri di
inibizione riconosciuti all’A.F. non possono più comportare - almeno in sede di
applicazione dell’imposta principale, ancorché postuma - un sindacato sulle scelte
negoziali operate dai contribuenti con applicazione di un regime fiscale ipoteticamente
riferibile ad una diversa attività negoziale, più onerosa sul piano fiscale. Essi hanno la
facoltà di adottare qualunque delle possibili scelte negoziali non vietate
dall’ordinamento (e perciò stesse non ‘indebite’) e semmai la eventuale contestazione
da parte dell’A.F. con inopponibilità dell’atto perfezionato nei suoi confronti potrà
riguardare in fasi temporali diverse rispetto a quello dell’applicazione e della
riscossione dell’imposta principale – come innanzi si è accennato – la ritenuta
contrarietà a norme tributarie o alle finalità dalle stesse perseguite o ai principi
dell’ordinamento tributario, e in ogni caso facendo sempre salva la liceità delle
‘operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine
organizzativo o gestionale’ (come prevede il comma 3 del cit. art. 10-bis).

Il concetto esposto ha trovato precisa conferma in una recente sentenza della CTP di
Milano (n. 1358 del 28 marzo 2018) pronunciata in riferimento a varie fattispecie
negoziali, distinte e formalizzate in tempi anche assai diversi l'una dall'altra, e
considerate dall'A. delle Entrate invece come operazione nel suo complesso unitaria.
Si trattava di operazioni perfezionate da varie società negli anni tra il 2013 ed il 2017:
in forza di dette operazioni (aumento di capitale mediante con conferimento in natura
di ramo d'azienda e cessione delle quote) sarebbe derivato un considerevole risparmio
di imposta indirette e ciò avrebbe evidenziato un'unica fattispecie a formazione
progressiva, produttiva di un unico effetto giuridico finale configurabile come cessione
di ramo d'azienda; per conseguenza, l'Agenzia aveva determinato l'imposta
complementare di registro in base al prezzo definitivo di Euro. 41.000.000,00

l’atto di finanziamento, pur stipulato all’estero, preceduto dalla formazione in Italia di una scrittura privata già
contenente lo scambio dei consensi negoziali tra le parti del finanziamento stesso, poi stipulato successivamente solo
in via ricognitiva. Al contrario la Comm. trib. prov. di Brescia, Sez. X, 10 aprile 2012, n. 27 leggibile in Obbligazioni e
contratti, 2013, pagg. 478-479 ha ritenuto che per un siffatto finanziamento “la circostanza che la vicenda sia stata
espressamente prevista dal legislatore [N.d.R. che assoggetta ad imposta di registro in caso d’uso gli atti stipulati
all’estero ex art. 11 della Tariffa del T.U.R. parte II] esclude … che la sua applicazione possa integrare l’abuso contestato
ai ricorrenti” e ancora “… non vi è alcuna necessità che in tale quadro normativo siano fornite dagli interessati persuasive
ragioni volte a giustificare la scelta in concreto effettuata … dovendo detta scelta essere considerata lecita, essendo
stata attuata attraverso la sola individuazione di una località estera per sottoscrivere il contratto”.
                                                             11
12

dichiarato dalle parti per la cessione della quota di partecipazione rappresentativa del
ramo d'azienda ritenuto ceduto, applicando l'aliquota del 9% per la presunta cessione
della parte immobiliare e quella del 3% per la presunta cessione della parte mobiliare
del ramo d'azienda conferito a liberazione dell'aumento di capitale.

I giudici contestano la riqualificazione operata dall'Agenzia, richiamandosi alla libera
scelta negoziale riconosciuta ai contribuenti dallo Statuto del contribuente e nello
stesso tempo anche valorizzando il comportamento tenuto dai contribuenti, la cui
legittimità e 'linearità' hanno concorso in ultima analisi ad escludere che i vantaggi
fiscali ottenuti fossero considerati indebiti.

La commissione così si esprime: "se il sistema offre più percorsi alternativi e tutti questi
percorsi risultano legittimi il contribuente è libero di scegliere quello fiscalmente meno
oneroso a prescindere dalla sostanza economica sottostante; sicché, per ritenere
legittima la riqualificazione, non basta il solo scopo di recupero del gettito (attribuendo
peraltro alla norma dell'art. 20 del TUR una connotazione antielusiva che non le è
propria, senza magari dare al contribuente nemmeno le relative garanzie di difesa) ma
occorre che gli Uffici, da un lato, rispettino il limite del legittimo risparmio d'imposta
codificato dal comma 4 dell'art. 10-bis dello Statuto del Contribuente, che non può
portare a veicolare la tassazione attraverso una forma giuridica diversa da quella
utilizzata, se questa risulta legittima; dall'altro, che tengano conto e valutino la linearità
o meno dei comportamenti dei contribuenti".

   4. Decorrenza della novella

Turbolenta è apparsa fin da subito la tematica dell’entrata in vigore della novella.
Da una parte l’art. 19 della legge n.205/2017 statuisce che le disposizioni di cui alla
legge stessa (salvo quanto diversamente stabilito) entrano in vigore dal 1° gennaio
2018, e per quanto concerne la materia in oggetto non esistono statuizioni particolari.
Ciò ha indotto prima la Cassazione (sent. 26 gennaio 2018 n.2007) e poi l’A.F. (nelle
risposte date a Telefisco pubblicate su Sole24ore del 2 febbraio 2018) ad escludere
qualsiasi concessione sul versante di una possibile/presunta retroattività della novella
e a non dare particolare rilievo alla sua potenzialità ‘chiarificatrice’ (come pure
sembrava potersi desumere da quanto riportato nella relazione illustrativa della legge).
Dall'altra parte proprio con riguardo all’efficacia della novella, il servizio del bilancio
del Senato, nella nota di lettura n. 195, pur rilevando che la precisazione normativa è
finalizzata ad assicurare la certezza del diritto, potendo svolgere anche per il futuro una
funzione deflattiva del contenzioso con l’Amministrazione finanziaria, osserva come
la stessa non sembrerebbe avere natura di norma di interpretazione autentica in senso
tecnico, con la conseguenza che «gli effetti della stessa dovrebbero valere per il futuro
e non retroagirebbero quindi con riguardo alle fattispecie in essere ed ai contenziosi
non ancora definiti».
                                             12
13

Inoltre a favore della tesi della irretroattività – sempre ad avviso dei Giudici di
legittimità e dell’A.F. – gioca il fatto che la novella non ha qualificato espressamente
la modifica come ‘norma interpretativa’, circostanza che, anche secondo quanto
statuisce lo Statuto del contribuente, sarebbe stata necessaria per attribuire valenza
retroattiva e che la modifica recata dalla novella all’impianto normativo in materia ne
segna una rivisitazione strutturale, profonda ed antitetica, tale da non sopportarne
un’applicazione indiscriminata anche a fattispecie anteriori al 1° gennaio 2018. Sicché
a tutto concedere – secondo l’A.F. – si può ritenere che la novella trovi applicazione
con riferimento all’attività di liquidazione dell’imposta effettuata dagli uffici a
decorrere dal 1° gennaio 2018 (il che significa anche in relazione a fattispecie
perfezionate in tempi anteriori, purché non siano già stati notificati a quella data avvisi
di accertamento).
Segue a quanto detto la mutevolezza delle posizioni manifestate dagli organi di
giustizia tributaria:
- la CTP di R.Emilia (setn.n.4/2018 dep. 31 gennaio 2018) dopo avere ribadito che la
novità normativa conferma una volta per tutte che nella fattispecie occorre guardare ai
soli effetti giuridici dell'operazione - e non, come più volte sostenuto dalla Cassazione,
anche ai suoi effetti economici ed alla causa concreta della stessa - afferma la natura
interpretativa e, quindi, retroattiva della norma, posto che "nel momento in cui il
legislatore sceglie una tra le varie, possibili, interpretazioni di una norma, la norma che
cristallizza la scelta del legislatore non può che qualificarsi come norma di natura
interpretativa, al di là del fatto che, formalmente, non sia qualificata come tale";
- la CTP di Milano (sentenza n. 571 del 12 febbraio 2018 innanzi ricordata), pur non
riconoscendo natura retroattiva della norma, ha sostenuto che tuttavia l'interprete non
può non tener conto della novità legislativa e che proprio il contrasto registratosi nella
giurisprudenza di legittimità autorizza a tener conto della novità stessa sulla base di
una lettura costituzionalmente orientata in direzione della preminenza del principio di
ragionevolezza;
- la Cassazione ( sentenza n. 4407 del 23 febbraio 2018) ribadisce la natura irretroattiva
e non interpretativa della norma: la prima, in quanto la retroattività di una norma nel
nostro ordinamento ha natura eccezionale e, per superare il vaglio di costituzionalità,
occorrerebbero "adeguati motivi di interesse generale" o "ragioni imperative di
interesse generale" che, ad avviso della Corte, nella fattispecie non ricorrono; la
seconda, in quanto la norma "introduce limiti all'attività di riqualificazione della
fattispecie che prima non erano previsti";
- ancora la CTP di Milano (sent. n.1358 del 27 marzo 2018) – statuisce che la cessione
totalitaria di quote non è assimilabile a una cessione d’azienda; dalla sentenza emerge
che la modifica apportata recentemente dal legislatore all’articolo 20 del TUR, seppur
non esplicitamente rubricata quale norma interpretativa, è stata introdotta per dirimere
i dubbi interpretativi in merito alla sua portata applicativa, resasi necessaria in seguito
agli evidenti contrasti giurisprudenziali. Essa osserva che già prima del recente
intervento normativo chiarificatore la dottrina maggioritaria riteneva dovessero essere
presi in considerazione i soli effetti giuridici dell’atto da registrare; questa tesi è da
connettere alla libertà che il sistema offre al contribuente di scegliere legittimamente
                                            13
14

percorsi alternativi, indi anche quello fiscalmente meno oneroso, a prescindere dalla
sostanza economica sottostante.
L’Ufficio pertanto è tenuto a rispettare il limite del legittimo risparmio d’imposta,
codificato dal comma 4 dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, «che non
può portare a veicolare la tassazione attraverso una forma giuridica diversa da quella
utilizzata, se questa risulta legittima, tenendo altresì conto della linearità o meno del
comportamento dei contribuenti».

     5. Conclusioni

Quando fu introdotto a suo tempo nello Statuto del Contribuente il più volte ricordato
art. 10-bis17, ci si chiese se per ipotesi il legislatore non avesse voluto ritenere abrogato
(magari tacitamente) l’art. 20 del TUR nella supposta duplicazione di un nuovo
congegno normativo che non giustificasse la sopravvivenza di quest’ultimo, ma la
risposta fu decisamente negativa.18 Ciò per la considerazione per cui l’area coperta
dall’art. 10-bis non si sovrappone a quella cui inerisce l’art. 20: il primo riguarda
supposti fenomeni elusivi, il secondo quello della sola interpretazione dell’atto
soggetto a registrazione, interpretazione che è finalizzata ad una corretta qualificazione
della fattispecie arrivando, se del caso, anche alla evidenziazione di una possibile
deriva simulatoria o fraudolenta, con conseguente applicazione dell’idoneo regime
fiscale pertinente19.
Ora, dopo la novella in commento, non solo appare giustificata la risposta a suo tempo
elaborata circa la sopravvivenza di un congegno normativo autonomo rispetto a quello
che regolamenta i rapporti tra Fisco e cittadino sotto la prospettiva dell’abuso del
diritto/elusione, ma ben si comprende la ragione di tale sopravvivenza, proprio per

17
   Per effetto dell’art. 1 comma 1 D.lgs. 5 agosto 2015 n.128
18
    Sia consentito il richiamo a PISCHETOLA, Con il nuovo abuso del diritto possibile una rilettura della norma sulla
interpretazione degli atti, in Il fisco, 2016, 2452 ss. ove si riporta alla nota 26 l’opinione di DEOTTO, “Risparmio d’imposta
lecito con il Registro”, in Il Sole - 24 Ore del 25 gennaio 2016, n. 24, pag. 23, per cui “Il fatto che la norma dell’art. 20
del D.P.R. n. 131/1986 - ritenuta erroneamente da molti una norma a carattere antielusivo in materia di imposta di
registro - non sia stata abrogata dal D.Lgs. n. 128/2015, si deve proprio al fatto che, non avendo appunto questo scopo,
non doveva essere abrogata ma ricondotta a quel che effettivamente è: una disposizione riferita all’interpretazione dei
contratti, e quindi rivolta a osteggiare fenomeni di evasione. Se un contratto portato alla registrazione viene qualificato
diversamente dal contribuente per assoggettarlo ad una tassazione più lieve, l’Ufficio deve qualificarlo in modo corretto
e assoggettarlo alla giusta tassazione. Questo è il compito dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986”.
19
   Cfr. MIELE, Abuso del diritto distinto dalle fattispecie di evasione, in Corr. Trib., n. 4/2015, pag. 243), per il quale “il
citato art. 20 contiene un principio generale fissato per l’interpretazione degli atti da sottoporre al tributo, secondo cui
l’imposta è applicata in base all’intrinseca natura e gli effetti giuridici (non economici) degli atti presentati alla
registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. Se così è, tale previsione è compatibile con il
nuovo art. 10-bis dello Statuto e, quindi, in coerenza con siffatto orientamento il legislatore non ha soppresso la norma
del Testo Unico del registro. Si ritiene che la scelta effettuata nello schema di Decreto delegato [n.d.r. che ha poi
introdotto l’art. 10-bis], seppur implicitamente, intenda ‘superare’ l’orientamento di quella parte della giurisprudenza
che, attribuendo alla norma del registro una finalità antielusiva, consente agli Uffici di riqualificare gli atti anche sotto il
profilo economico. Se all’art. 20 si assegnasse tale finalità - tesi non condivisibile - allora tale previsione andrebbe (forse)
più opportunamente abrogata in quanto la nozione di abuso dell’art. 10-bis dello Statuto ha valenza generale, per tutti
i tributi, e mal si concilia con altre previsioni aventi finalità antielusiva (non specifica)”.
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