Verbi sintagmatici come categoria e come costruzione

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Raffaele Simone
                                  Università Roma Tre, Roma
                                     simone@uniroma3.it

                         Verbi sintagmatici
                 come categoria e come costruzione

                                         1. Preliminari

Insieme a Schwarze (1985) ho dato qualche contributo alla prima definizione
della nozione di “verbo sintagmatico” (d’ora innanzi VS) in italiano e alla
delimitazione di questa classe di parole (Simone 1997). Un esercizio del genere fu
reso possibile dal fatto che, pur essendo pochi per numero, questi verbi sono
omogenei come formula e per comportamento, sono frequentissimi nell’uso e
caratterizzano nettamente l’italiano tra le lingue romanze dal punto di vista della
tipologia lessicale. Per giustificarli come classe avevo adottato però, abbastanza
sommariamente, l’idea, di impronta “dialettologica”, che essi provenissero dal
fondo delle parlate settentrionali, filtrato nella lingua generale in misura variabile
da zona a zona. La spiegazione era in un certo senso “superficiale” e non teneva
conto di una varietà di fattori di sfondo, per esempio quello diacronico.
         In seguito diverse cose sono cambiate. Anzitutto tracce di questi verbi si
sono trovate numerose in diverse varietà dell’italiano (Vicario 1997) e già in
italiano antico (Masini 2007). Come questo convegno ha mostrato, altre tracce
importanti percorrono addirittura tutta la storia dell’italiano, scritto parlato e di
tutti i registri e modalità, oltre che apparire in altre lingue anche prive di relazioni.
Si è visto così che l’italiano conteneva VS già prim’ancora che qualsivoglia
“fondo settentrionale” cominciasse a operare, ossia dalla più remota antichità e
con speciale abbondanza in Dante. Inoltre si è visto che, pur confermandosi che è
plausibile interpretare i VS come una classe omogenea, i criteri per definirla
possono essere più sfumati e articolati di quanto prevedessi (Masini, in questo
volume).
         Ciò ha suggerito un’interpretazione più ricca e esplicativa, che chiamerei
“tipologica”: l’italiano si è dotato per tempo di questa classe di parole, per
rientrare compiutamente in un tipo dal quale era praticamente uscito, e (da un
altro punto di vista) per compensare una propria specifica “debolezza” semantica
nella codifica di taluni tratti del movimento.
         Non avrei motivo di presentarmi qui se non per associarmi alla nuova
interpretazione. Lo faccio invece anche perché, nei più che dieci anni passati da
quando ho pubblicato l’articolo sui VS, ho riflettuto ancora su quel tema e altri

  To appear in Cini, Monica (ed.), I verbi sintagmatici in italiano e nelle varietà dialettali.
         Stato dell’arte e prospettive di ricerca, Frankfurt am Main, Peter Lang.
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affini, e, se forse non sono in grado di dare – come vorrebbe il titolo di questo
convegno – nuove acquisizioni, confido di poter offrire qualche nuova riflessione,
che articoli e consolidi l’interpretazione tipologica, e suggerire un’interpretazione
dei VS – per usare la formula che piaceva a Benveniste – come “problema di
linguistica generale”.

                      2. Grammatica di Costruzioni e Categorie

Ho infatti sviluppato nel frattempo una teoria del significato grammaticale a cui
ho dato il nome di “Grammatica di Costruzioni e Categorie” (GCC: Simone
2006a, b; 2007). A prima vista la GCC può apparire come una variante della
Construction Grammar (CG), un indirizzo molto mainstream da alcuni anni.
Devo sottolineare subito che non è così. Benché esistano diverse innegabili
affinità di fondamento tra i due modelli, a differenza della CG la GCC non è
affatto una teoria della sintassi, cioè dei modi in cui le parole si combinano per
formare unità maggiori, ma è specificamente una teoria del significato
grammaticale: il suo focus è quindi sulla natura della grammatica e sul suo modo
di articolarsi. Inoltre nella GCC sono centrali due elementi estranei alla
Construction Grammar: la nozione di “categoria” (che, come si vedrà, ha
un’importanza teorica pari a quella di costruzione) e la componente pragmatica.
        Il motivo per cui sottolineo queste differenze è che, siccome la GCC è ben
sensibile a fenomeni come i VS (per motivi che illustrerò subito), è interessante
provare a vedere cosa si ottiene se in essa s’inquadrano i VS. Prima di fare ciò,
però, devo richiamare alcuni elementi fondamentali di questo modello. Le nozioni
che presenterò in forma sommaria sono sviluppate nei lavori indicati prima.

                       2.1. Domini di grammaticalizzazione

 Come ho appena detto, la GCC è una teoria del significato grammaticale, si
riferisce cioè a quelle aree di “significato obbligato” che si addensano sotto forma
di grammatica, in quel sistema di “scelte omogenee e complementari” a cui ho
suggerito (Simone 1990) di ricondurre la grammatica. In diversi lavori Lazard
(2006) ha chiamato queste aree “domini di grammaticalizzazione” (domaines de
grammaticalisation) e le ha rappresentate articolate in partizioni più fini, che
designa come “zone focali” (zones focales). Tra i domini di grammaticalizzazione
primari sono ad es. le informazioni sul tempo o per meglio dire sull’intera area
TAM (tempo/aspetto/modo), che tutte le lingue grammaticalizzano, ancorché in
forme diverse e tipologicamente rilevanti.
        In questa prospettiva quando si parla di grammatica si postulano alcune
proprietà:
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(1)     Postulati della grammatica
        a. ciascuna lingua adotta i domini di grammaticalizzazione;
        b. questi sono articolati in zone focali;
        c. ai significati dei domini sono attribuiti dei significanti;
        d. i significati grammaticali “obbligati” non possono perdere il
           significante.

        Alcuni di questi postulati torneranno nella discussione seguente. Il motivo
per cui certe aree diventano “domini di grammaticalizzazione” e altre no è oscuro,
e sarebbe di grande interesse indagarlo a fondo. La risposta non è semplice né è
una sola. Suggerisco che stia in parte nel fatto che certi domini di
grammaticalizzazione si stabilizzano proprio per permettere il funzionamento dei
quadri fondamentali del linguaggio: “predicare” e compiere “operazioni
pragmatiche” di varia natura (Simone 2007). In questo senso, il fatto che nei
domini di grammaticalizzazione rientrino certi settori di significato (come TAM)
invece che altri può esser dovuto a uno di quei “vincoli naturali” sull’architettura
del linguaggio di cui si discute (Chomsky 2005; Simone & Lombardi Vallauri, in
prep.), i quali provvedono i tratti che una lingua “deve” avere se si vuole che sia
proprio una lingua e non un artefatto qualsivoglia.
        Questa risposta, però, se è forse giusta, è troppo generale. Tradurla in un
insieme di proposte più articolato è un’impresa difficile, a cui non siamo ancora
pronti. Mi basta dire per ora che secondo uno dei principi basilari della GCC il
significato grammaticale si codifica in due canali che, pur essendo diversi, sono
convergenti e suscettibili di sovrapporsi: Categorie e Costruzioni.1
        Categoria è però un termine con più sensi. Lo uso per designare tre entità
diverse:

(2)     Tipi di categoria
        a. Categorie grammaticali, come solitamente intese in linguistica
            (Tempo, Modo, Aspetto, Aktionsart, ecc.);
        b. Categorie Nozionali;
        c. Classi di parole.

        Che cosa siano le categorie grammaticali è noto. Meno evidente è che esse
hanno un tratto funzionale in comune: contribuiscono a codificare il modo in cui
l’evento è raffigurato nell’enunciato. Categorie nozionali è termine non-standard
che uso in mancanza di meglio per indicare quelle categorie che codificano talune
“nozioni” (Partecipazione, Possesso, Concomitanza, Prossimità, etc.) che
concernono la relazione tra il parlante e l’ambiente extra-linguistico.2 Quanto alla
terza accezione di categoria (intese come classi di parole), vi tornerò tra un
attimo, perché questo punto è strettamente pertinente ai nostri scopi.

1
  Per dirla in un altro modo, categorie e costruzioni sono le due principali Tecnologie Linguistiche
di cui si serve una lingua per codificare la propria grammatica (dettagli in Simone 2007).
2
  Si tratta evidentemente delle nozioni studiate da Hansjakob Seiler e la sua scuola in numerosi
importanti lavori. Per una rassegna, vedi Seiler (2000).
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                            2.2. Aggregazioni di parole

Venendo alle costruzioni, esse sono combinazioni relativamente stabili di parole,
trattate (cioè depositate in memoria, recuperate, elaborate formalmente e
semanticamente) come unità su qualche livello di rappresentazione. Il fatto che le
parole possano combinarsi in aggregazioni è possibile perché nelle lingue opera il
“principio sintagmatico” (Simone 1995, 1996): le parole, disponendosi in
successione, non si limitano a affiancarsi l’una all’altra in modo markoviano ma
contraggono tra loro relazioni in sintagmi di varia natura, varia forza attrattiva e
varia estensione.
        Anche in quest’ambito i punti oscuri sono numerosi. In pratica, entrando a
far parte di una catena sintagmatica, le parole sono agglutinate da forze attrattive
di diversa intensità e natura. Queste “forze” sono evidenti anche al parlante, visto
che sono loro che gli permettono di distinguere con rispettabile precisione le
parole-che-formano-sintagma (anche se distanti tra loro nella catena) dalle parole-
che-non-formano-sintagma (anche se contigue). La consapevolezza del diverso
tipo di legame è evidente in diversi aspetti del comportamento linguistico: nella
lettura (ove il lettore attribuisce la giusta intonazione proprio secondo la sua
percezione delle aggregazioni di parole), nella scrittura, ecc.
        Chiamo “Forza Coesiva” l’effetto di questi “attrattori” che costituiscono
un link tra le parole. Non sappiamo molto della natura e dei gradi di intensità della
Forza Coesiva, ma possiamo almeno osservare che le parole si combinano in
sintagmi secondo due regimi principali:

(3)    Regimi di connessione delle parole in sintagmi
       a. nella maggior parte dei casi, una volta combinate in sintagmi, le parole
          sciolgono i loro legami e – per così dire – tornano al loro posto nel
          lessico; si tratta in questi casi di combinazioni “volatili”;
       b. in altri casi si combinano in modo non-volatile, cioè le parole entrano
          nel sintagma – per così dire – già legate.

         Il primo punto è evidente. Il secondo richiede una varietà di specificazioni
e di tipi. Per esempio, alcune combinazioni si attivano solo quando le parole
entrano a far parte di un ambiente sintagmatico specifico. A questo requisito
rispondono le collocazioni (disco rigido, fare benzina, fare un esempio, mettere
fretta) e le combinazioni preferenziali (caro amico, bella donna, buon lavoro),
che sono costituite di entità lessicali indipendenti, tra le quali una Forza Coesiva
si attiva solo quando l’una si trova a co-occorrere con l’altra.
         Altre combinazioni invece si stabilizzano a livello paradigmatico fino a
formare lemmi unitari nel vocabolario, dei quali nessun elemento può
rappresentare l’insieme. A questo requisito rispondono le costruzioni in senso
proprio, che come vedremo tra un istante sono di diversa natura.
         Rappresento la situazione con lo schema di (4), a cui aggiungo qualche
osservazione in (5):
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(4)    Diagramma delle combinazioni e delle costruzioni
                                            Sintagmi

                           Combinazioni

             Combinazioni Combinazioni Collocazioni       Costruzioni
               volatili   preferenziali

(5)    Combinazioni e costruzioni
        a. Combinazioni volatili: meri sintagmi, fatti di parole che si aggregano
           nel discorso e si disaggregano quando questo è esaurito;
        b. Combinazioni preferenziali: aggregazioni di parole (coppie, triple,
           etc.) di varia natura sintattica, che occorrono insieme frequentemente
           ma non sono né collocazioni né costruzioni in senso proprio; sono
           quindi definite solo da ragioni statistiche;
        c. Collocazioni: aggregazioni di parole di varia natura che rispettano le
           due seguenti condizioni
             i. CONDIZIONE SINTATTICA: formano sintagmi che incorporano
                 sempre la propria testa;
             ii. CONDIZIONE LESSICALE: bloccano la sinonimia: ciò vuol dire
                 che nella collocazione entra un solo termine di una serie
                 sinonimica, o al massimo pochi, ma l’alternanza non è libera:
                 una sola scelta: disco rigido (*disco duro, *disco tosto), ecc.;
                 due scelte: caffè lungo o alto (*caffè elevato), ecc.
        d. Costruzioni in senso proprio (rispondenti ad un insieme di requisiti
           specifici).

        Va notato anche che non tutte le aggregazioni si collocano sullo stesso
piano: Combinazioni Volatili, Combinazioni Preferenziali e Collocazioni sono
fenomeni sintagmatici, dato che si attivano solo quando le parole co-occorrono
nella catena. Le Costruzioni, invece, tagliano di traverso l’opposizione tra piano
sintagmatico e piano paradigmatico: al livello massimo di Forza Coesiva, quando
una costruzione diventa figée, questa passa a costituire una “voce lessicale” in
senso lato, trasferendo sul piano paradigmatico una struttura che si è costruita
sintagmaticamente.
        Le costruzioni rispondono a condizioni peculiari che le distinguono dalle
altre aggregazioni. Ne ho presentato una lista dettagliata in Simone (2007). Qui
mi limito a richiamarne qualche elemento:
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(6)    Alcune condizioni sulle Costruzioni
       a. Significato costruzionale: alcuni tipi di costruzione hanno un
           “significato costruzionale”, cioè un significato stabilmente “incollato”
           alla costruzione e si dissolve al di fuori di essa.
       b. Marche: una parte delle costruzioni sono riconoscibili da marche
           dedicate.
       c. Forza Pragmatica: alcune costruzioni portano una specifica
           informazione pragmatica e sono in questo peculiari.
       d. Specificità: le costruzioni sono language-specific, ma possono esserci
           somiglianze di funzione da una lingua all’altra.

       Nella cornice definita dalle costruzioni rientrano, con varia specificità, una
grande quantità di oggetti. La tabella seguente ne indica i principali:

(7)    Livelli di costruzioni
                                               Costruzioni

                                Predicative                    Non-Predicative

                         Con             Senza           Livello      Livello      Livello
                   Forza Pragmatica Forza Pragmatica Classi di forme Modificatori Connettori
                                                         [Parole
                                                     sintagmatiche]

                                                   Nomi Verbi     etc.

        A noi interessano qui le speciali costruzioni non-predicative che
costituiscono classe di parole.

                             3.        I VS come categoria

I VS sono insieme una classe di costruzioni non-predicative e una classe di parole:
in altri termini sono un esempio di sovrapposizione di una costruzione con una
categoria (nel senso definito in (2)c). Sono “parole costruzionali”, secondo uno
schema che ricorre spesso nelle lingue: hanno una omogeneità formale (per questo
si possono trovare criteri per definirle: Simone 1997; Masini, in questo volume),
dato che rispondono a una formula; inoltre, dal punto di vista semantico
codificano una zona focale anch’essa stabile, dato che sono per lo più verbi di
movimento (vedine la lista completa in Masini 2007).
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                 3.1. Forzature di Formato e Operazioni Discorsive

3.1.1. Forzature di formato. Per la GCC una classe di parole non è una pura e
semplice lista di voci lessicali ma rappresenta un “formato semantico predefinito”,
cioè un modo specifico e “obbligato” di strutturare l’informazione semantica
associata a una parola. Inoltre, la GCC prevede che, dato un determinato formato
semantico, debba esistere una classe di parole che sia la migliore candidata a
dargli codifica linguistica. Per esempio, un’entità stabile, discreta e numerabile è
naturalmente candidata a essere codificata da un Nome, anche se il Nome non è
l’unico modo di codificare quel formato.
        Adoperando etichette come quelle che ho appena citato (“entità stabile,
discreta e numerabile” e rispettivamente “nome”), faccio implicito riferimento al
fatto che nell’analisi delle classi di parole occorre distinguere tra più livelli. Nel
quadro della GCC si distinguono due livelli per quanto riguarda la transizione dal
significato al significante. Il primo è il livello “concettuale-cognitivo”: questo è
pre-linguistico (cioè privo di significante) e consiste in un pattern (che chiamo qui
“formato”) di organizzazione del significato che “cerca” una forma linguistica. Il
secondo è un livello linguistico, che assegna un significante al formato in
questione:

(8)     Relazioni tra livelli

      livello concettuale-cognitivo                       livello linguistico

                Formato
                concettuale-                                    Nome

                cognitivo
                cognitivo
                                                                Verbo

                Formato
                concettuale-                                    Clausola
                cognitivo
                cognitivo

                     ….                                           ….

        Le “bolle” che rappresentano i “formati concettuali-cognitivi pre-definiti”
sono topologicamente deformabili. Infatti, nella dinamica del discorso il parlante
può aver bisogno di “forzare” il formato concettuale-cognitivo di una parola fino
a convertirlo in quello proprio di una classe di parole diversa. In pratica, conserva
alcuni parametri del formato concettuale-cognitivo originario e converte il resto
nel formato di un’altra classe di parole.
        Nella GCC ha un ruolo importante la nozione di “operazione” (che in
linguistica è relativamente poco evocata, se si fa eccezione per taluni indirizzi
della ricerca francese: vedi ad es., Culioli 1999). Infatti, alla funzione di compiere
forzature rispondono alcune operazioni dedicate. Queste sono di due ordini: le
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Forzature di Formato (FF), che operano sul livello concettuale-cognitivo
convertendo un Formato in un altro, e le Operazioni Discorsive (OD) che
agiscono al livello linguistico assegnando al Formato concettuale cognitivo una
forma linguistica definita.
       Le FF sono in numero limitato. Ne indico alcune:

(9)    a. forzatura di un processo in un’entità;
       b. forzatura di un’entità in un processo;
       c. forzatura di un processo indefinito in un processo definito.

       Il ricorso a FF risponde a varie motivazioni. Alcune sono connesse con la
rappresentazione del significato, altre con ragioni metadiscorsive. Ad esempio, la
FF che converte Processo in Entità serve a rendere disponibile nel discorso un
oggetto discreto e numerabile:

(10)   ?il fatto che tua zia sia svenuta tre volte ci preoccupa molto
(11)   i tre svenimenti di tua zia ci preoccupano molto

       All’inverso, la FF che converte Entità in Processo permette di “distaccare”
(Simone 2008) sul nome in output alcuni parametri verbali (come la duratività)
ottenendo così speciali effetti di senso:

(12)   la nostra passeggiata verso casa dura un’ora ogni sera

       Dal punto di vista metadiscorsivo, la FF che converte Processo in Entità
rende disponibile un Tema, e quindi permette di compiere su di esso tutte le
elaborazioni conseguenti, ad esempio la focalizzazione:

(13)   ?è del fatto che tua zia sia partita che sto parlando
(14)   è della partenza di tua zia che sto parlando

        Come si vede, la soluzione (14), pur essendo accettabile, è meno efficiente
e flessibile della soluzione (13).
        Le FF sono processi del livello concettuale-cognitivo, che di per sé non è
manifesto linguisticamente (dato che non è associato a un significante). Per avere
una manifestazione superficiale, esse devono avere correlati linguistici: in altri
termini, il formato che si ottiene con una FF deve essere codificato da una forma
linguistica specifica. Quindi, a valle della FF occorre un’operazione propriamente
linguistica capace di convertire un oggetto linguistico in un altro. Ad es., se lo
Stato-di-Cose (che è un oggetto del livello concettuale-cognitivo) è tipicamente
rappresentato da una clausola (che è un oggetto linguistico), l’Entità compatta è
tipicamente rappresentata da un Nome.

3.1.2. Operazioni Discorsive. Alle FF corrispondono sul piano linguistico le
Operazioni Discorsive (OD). In diversi lavori (Simone 2006a, b; 2007) ho
sviluppato elementi di una teoria delle OD e non posso riprenderla qui. Ricordo
9|18

solo che le OD più importanti includono la Nominalizzazione, la Trasposizione di
Livello e la Forzatura di Tipo, le cui funzioni sono sinteticamente le seguenti:

(15)    Funzioni e effetti delle OD
        a. Nominalizzazione:
           i. Al livello concettuale-cognitivo, converte uno Stato-di-Cose on un
                Evento in un’Entità compatta;
           ii. Al livello linguistico converte una clausola in un nome,
                modificando la distribuzione degli argomenti originari e
                sopprimendo alcuni parametri (per es., l’informazione temporale
                viene cancellata; l’agente viene demosso);
           iii. Permette di disporre di un Tema;
           iv. Produce nuove voci lessicali.
        b. Trasposizione di Livello:
           i. Al livello concettuale-cognitivo, opera una serie di conversioni,
                 come risulta dalla sua proprietà seguente.
            ii. Al livello linguistico, traspone qualunque unità linguistica, di
                 qualunque livello, a un livello diverso da quello originario, sia
                 conservando la categoria grammaticale originaria sia
                 modificandola;
           iii. Non produce nuove voci lessicali, ma ricategorizza elementi già
                 esistenti.
        c. Forzatura di tipo:
           i. Al livello concettuale-cognitivo, forza il significato di una voce
                lessicale da un tipo semantico a un altro: ho bruciato un giornale
                (giornale “oggetto fisico”) > lavoro in un giornale (giornale
                “organizzazione che produce il giornale”);
           ii. Non produce nuove voci lessicali, ma articola la semantica di voci
                già esistenti.

                  3.2. Parole costruzionali e verbi di movimento

A questo punto possiamo tornare ai VS, che vediamo come parole costruzionali
originate attraverso una Trasposizione di Livello.
        Dal punto di vista tipologico non è infrequente che una classe di parole (in
particolare di verbi) sia costituita da costruzioni. A non menzionare la notissima
classe dei phrasal verbs inglesi, molte lingue altre hanno ad esempio verbi
costruzionali. in persiano moderno questo tipo di verbi è tipologicamente
produttivo; in giapponese, il fenomeno riguarda in particolare i verbi di
neoformazione; in lingue creole diverse, esso concerne soprattutto verbi di
movimento. Ecco alcuni esempi:

(16)   NEOPERSIANO
       zendegi kardan    vivere           “vita fare”
       shekast dâdan     sconfiggere      “disfatta dare”
       pâyân yâftan      finire           “fine trovare”
10|18

       In questi casi si tratta di VS formati da verbo leggero + nominale oggetto.
Ma ci sono casi in cui i componenti del VS sono verbo pieno + altro elemento
pieno, di tipo avverbiale o preposizionale, secondo la formula:

(17)    VERBO DI MOVIMENTO + AVVERBIO DI DIREZIONE

         Attraverso questa formula, si formano costruzioni che danno luogo a una
singola parola, che si comporta come unità.
            Le analisi di Masini (2007) e già prima le mie mostrano che i VS
italiani sono quasi tutti verbi di movimento: una loro forma prototipica (in quanto
rappresenta nella forma migliore tutte le loro proprietà) è volare via, che contiene
un verbo di movimento seguito da un avverbio che indica la direzione rispetto a
un punto di partenza. È interessante notare che in varie lingue è proprio tra i verbi
di movimento che i VS sono particolarmente frequenti. Il fenomeno era stato già
messo in luce in Talmy (1975; 2000), dove i verbi di movimento sono distinti –
come è noto – in due classi (verbi verb-framed e verbi satellite-framed) opposte
per il modo in cui esprimono il path del movimento.
         I verbi di movimento sono dotati, al livello che ho chiamato concettuale-
cognitivo, di un formato semantico predefinito, che specifica alcuni parametri (ad
es., la “fonte”, il “punto d’arrivo” e la “maniera”) e facoltativamente altri (ad es.,
il path del movimento). Nei verbi verb-framed l’informazione sul path è
codificata dalla voce verbale, nei satellite-framed da una particella aggiunta (il
“satellite”) alla voce verbale. L’italiano starebbe allora (insieme a inglese,
tedesco, olandese, russo…) nella categoria delle lingue satellite-framed. La
diversa soluzione che le lingue danno al path del movimento può essere adoperata
(secondo Talmy) come tratto tipologico per caratterizzarle.
         Benché abbia il merito di aver posto con acume il problema, la tipologia di
Talmy ha bisogno di riforma. Anzitutto concerne solo l’aspetto “superficiale” dei
verbi, e anche in questo quadro non mi pare che esaurisca le possibilità
tipologiche esistenti. Ad esempio, in latino, per via del tipico fenomeno della
preverbazione (Meillet & Vendryes 1924) che permette di aggiungere
informazione rilevante al verbo mediante un prefisso o un prefissoide, il path del
movimento è indicato dal prefisso. Ora, questo non è proprio un satellite, dato che
non essendo separabile non ha autonomia sintattica rispetto al verbo:

(18)   LATINO
       ex-eo      “esco”            fuori-vado
       ob-eo      “attraverso”      attraverso-vado
       de-sum     “sono assente”    giù.da-sono
       ad-sum     “sono presente”   in.direzione.di-sono
       in-sisto   “sto sopra”       in-sto.fermo
       re-sisto   “mi oppongo”      ripetutamente-sto.fermo

      Nella serie di sisto risalta in particolare la varietà di modi per segnalare il
path movimento:
11|18

(19)    Informazione dei prefissi verbali latini
        as-sisto  “sono presente (a un evento)”
        con-sisto
        de-sisto  “cesso di essere presente; abbandono”
        in-sisto  “sono presente (in un posto stabile)”
        per-sisto “sono presente attraversando”
        re-sisto  “sono presente con insistenza”
        sub-sisto “sono presente sotto (un posto determinato)”

       Alla classificazione à la Talmy occorre associare quindi un parametro
tipologico di maggior impegno semantico: il “peso” che ogni lingua attribuisce
alla codifica del path. Infatti in alcune lingue il verbo di movimento incorpora
invariabilmente informazione sul path, in altre questa informazione appare in
modo intermittente e dev’essere supplita con mezzi addizionali. Chiamo le prime
“lingue a forte mozionalità”, le seconde “lingue a bassa mozionalità”. Il latino è
una lingua del primo tipo, l’italiano del secondo.
       Incrociando i due criteri accennati avremo allora:

(20)    Incrocio di criteri per la classificazione dei verbi di movimento
        a. Struttura superficiale
              lingue verb-framed
              lingue satellite-framed
        b. Livello concettuale-cognitivo
              lingue a bassa mozionalità
              lingue a alta mozionalità

         In questi termini, possiamo considerare il latino come una lingua (a)
satellite-framed (con preverbazione) e (b) ad alta mozionalità, l’italiano come una
lingua (a) satellite-framed e (b) a bassa mozionalità. Per cogliere appieno il senso
di questa classificazione bisogna però tenere conto anche della prospettiva
diacronica. Resta infatti da spiegare come mai l’italiano sia l’unica tra le lingue
romanze3 che abbia scelto la strada di trasferire l’informazione di movimento
sull’avverbio associato.

                               4.       Verbi Sintagmatici

In latino il path – la freccia che collega un punto del movimento all’altro – è
codificato in modo netto, soprattutto a carico dei prefissi verbali, come si vede
dagli esempi che ho dato sopra. La codifica del path è infatti un tratto
tipologicamente cruciale per caratterizzare i formati del latino.
        Per converso, nelle lingue romanze la leggibilità dei prefissi latini si è
ridotta. La struttura morfologica originaria è bensì conservata e ancora

3
      Come è noto, nelle lingue romanze che hanno VS questi costituiscono liste minime e non
particolarmente caratterizzanti: in francese se ne trovano una decina, in spagnolo anche meno.
12|18

riconoscibile (con i dovuti adattamenti) ma il confine tra prefisso e verbo non è
più leggibile. Ciò è importante, perché rende non più visibile la struttura del
formato semantico sottostante. Questo fenomeno, se influenza tutto il lessico
ereditato dal latino, colpisce in particolare i verbi di movimento, in cui
l’informazione sul path, portata in origine soprattutto dal prefisso, non è più
individuabile.
        Si confrontino gli eredi italiani diretti delle voci della lista in (19):

(21)   Eredi italiani dei verbi latini di (19)
       assisto
       consisto
       desisto
       insisto
       persisto
       resisto
       sussisto

         I verbi italiani in (21) hanno del tutto (o quasi) perduto la lettura
mozionale, come si vede spec. per consisto, insisto, sussisto, persisto. La distanza
tra latino e italiano non potrebbe essere maggiore: se i prefissi verbali latini erano
per lo più marcatori di path, quelli italiani sono prefissi solo in senso superficiale,
dato che non portano alcuna peculiare informazione. Una parte degli eredi di quei
prefissi ha preso in italiano una funzione “aspettuale” (Masini & Iacobini 2006),
dato che codifica gradi diversi di Aktionsart: così per as-sisto, dove ad- > as- non
dà informazione sulla direzione del movimento ma sulla sua processualità.
         La perdita di leggibilità della struttura di parola si presenta in gradi diversi
nelle lingue romanze. In alcune la direzionalità, pur essendo codificata
frammentariamente, è ancora chiara e densamente codificata: spagnolo e
portoghese hanno ad es. due distinti verbi di “portare” secondo che il processo
coinvolga o no il parlante come proprio elemento (nel primo caso llevar, nel
secondo traer). Il francese occupa una posizione peculiare, perché ha attraversato
(come ha suggerito Kopecka, in stampa) un cambiamento tipologico per quanto
attiene ai verbi di movimento: (a) originariamente ha avuto una fase satellite-
framed, (b) ne ha attraversata poi una in cui in alcuni prefissi si conserva
informazione sul path (è una sorta di preverbazione: sor-saillir “saltare in alto”,
por-aller “andare in cerca”, par-jeter “gettare via”), (c) nella fase attuale il path è
codificato indistinguibilmente in un verbo sintetico, anche se sussistono tracce
delle fasi precedenti (in verbi come ap-porter “portare con sè”, a-mener “portare
verso chi parla”, em-mener “portare [una persona] verso”, em-porter “portare
via”, en-voler “volare via”, ecc.).
         Si ha dunque una successione interessante:

(22)   Successione francese nei verbi di movimento
       verbi satellite-framed > verbi con prefissi di movimento > verbi sintetici

       Nella famiglia romanza l’italiano occupa la posizione di massima
debolezza: i prefissi latini di path non sono più leggibili, i verbi di “portare” sono
13|18

ridotti a uno (che non dice più nulla né sulla posizione dell’emittente, né sulla
direzione del movimento, né sul path), i verbi di “andare” a due (andare e venire),
la scelta di verbi di andare “con maniera” (alla stregua di ciò che accade con to
ride in inglese, fahren in tedesco e rouler in francese) non è affatto obbligatoria,
ecc. È quindi una lingua “a bassa mozionalità”.

                               5. I VS come costruzione

Da un punto di vista tipologico il movimento (nella varietà dei suoi parametri:
direzionalità, maniera, path) è una zona focale. Non si danno lingue in cui l’area
del movimento sia talmente indebolita da risultare neutralizzato. Una simile
condizione è esclusa dal postulato (1d). Si può assumere allora che, se una lingua
subisce un “danno” grammaticale che viola il livello minimo di adeguatezza
semantica, questo danno dev’essere riparato.
        Una zona focale danneggiata può essere riparata con mezzi diversi. In un
lavoro di diversi anni fa (Simone 2002) ho mostrato che, in alcuni dialetti italiani
(come il salentino) che hanno perduto l’infinito per ragioni storiche diverse, si è
recuperata la “funzione infinitiva” destinando a ciò una clausola completiva
dedicata (quella introdotta dal complementatore cu). Il caso è istruttivo perché
mette in evidenza una delle tecniche che le lingue seguono per riparare aree focali
danneggiate: dedicare ad essa una nuova forma, anche se questa è di tipo diverso
da quella originaria. Nel caso specifico, una clausola completava – dunque una
struttura sintattica – prende le funzioni di un’antecedente forma semplice
(l’infinito).
        Per la riparazione esistono altre risorse. Una è offerta dalle costruzioni.
Dal punto di vista costruzionale i VS italiani sono formati di un lemma verbale e
un elemento avverbiale che porta l’informazione sul path. Il carattere “avverbiale”
di questo secondo elemento è però instabile: esso può convertirsi in preposizione,
diventando testa di argomenti e producendo cambiamenti rilevanti nella fonologia
e nell’intonazione (Masini, in questo volume).
        Il francese, che ha subito un danno di “mozionalità” non diverso da quello
dell’italiano, ha scelto un’altra strada. Nel cambiamento tipologico che Kopecka
(in stampa) suggerisce di vedere nella diacronia di questa lingua per quanto
concerne i verbi di movimento, il francese è passato da una soluzione in termini di
VS ad una a verbo sintetico: sortir è ad es. l’equivalente preciso dell’italiano
tirare fuori e illustra in modo chiaro la situazione.
        Tra le lingue (tra quelle romanze in particolare) è attestata anche un’altra
risorsa: l’aggiunta di una particella clitica originariamente locativa, che distingue i
verbi “normali” da classi diverse di verbi marcati (di movimento, ecc.). Tracce di
questa soluzione appaiono in lingue diverse in Europa. In inglese, ad esempio, up
si aggiunge a verbi diversi per renderne perfettivo il significato. In salentino, la
particella clitica nde (lat. inde, ital. ne) codifica il “distacco” dalla fonte e crea
un’opposizione tra la classe dei verbi “di distacco” e quella dei verbi non-marcati.
14|18

Il clitico, che specifica un significato “perfettivo”, ha perso la semantica locativa e
indica oramai solo l’aspetto:4

(23)    Verbi con clitici mozionali
        se nde ola “volare via [in modo definitivo]” vs. sta bbola “volare”
        se nde ae “andare via [in modo definitivo]” vs. sta bbae “andare”
        se nde bbesse “esce [in modo definitivo]” vs. sta bbesse “esce”

       Si può supporre che esista un ciclo di risorse per ricostruire zone focali la
cui codifica sia stata danneggiata, indebolita o distrutta, che indico con una scala
che può essere letta sia diacronicamente sia sincronicamente.:

(24)    Ciclo di ricostruzione di verbi di movimento danneggiati
        VS > verbi con particella clitica > risemantizzazione mozionale di verbi
        sintetici preesistenti

        Nella lettura diacronica la scala descriverebbe in parte il caso del francese,
in quella sincronica rinvia alla scala tipologica seguente:

(25)    Scala tipologica delle risorse di ricostruzione
        Procedimento     VS          verbi con particella       risemantizzazione di verbi
                                     clitica                    sintetici preesistenti
        Lingue           italiano    dialetti diversi           francese

                               6.       Due nodi da esplorare

In conclusione vorrei segnalare alcuni nodi indagando i quali è possibile che si
chiariscano alcuni ulteriori aspetti dei VS.
        Anzitutto, va segnalato che, mentre i dati di Masini e di Vicario (in questo
volume) suggeriscono che il fenomeno dei VS sia limitato alla varietà toscana e
nord-orientale dell’italiano e dei dialetti retrostanti, il fenomeno sembra
interessare tutta la penisola. In diverse parlate dialettali del sud d’Italia e nei
corrispondenti tipi di italiano regionale, ad es., si incontrano VS.
        In salentino, ad es., i verbi di movimento possono diventare VS con la
preposizione di un avverbio di direzione, che funziona non come codifica del path
ma come intensificatore di mozionalità:

(26)    VS di movimento “intensificati” in salentino
        iessi fore “uscire fuori” vs. iessi
        mina abbasciu “gettare giù” vs. mina
        nchiana subbra “salire su” vs. nchiana
        scinni abbasciu “scendere giù” vs. scinni

4
  Avverto che le forme del verbo salentino sono trascritte alla persona 3, dato che questo dialetto
manca dell’infinito di citazione.
15|18

        spingi nnanti “spingere innanzi” vs. spingi
        trasi intra “entrare dentro” vs. trasi

        Un’indagine geolinguistica di questo fenomeno sarebbe del più alto
interesse.
        Infine va sottolineata la produttività dei VS a livello di discorso. Pur
costituendo a livello di sistema un insieme piuttosto limitato, i VS di movimento
non sono infatti un insieme chiuso. Ne abbiamo prove diverse nei corpora. In una
pagina di Pirandello5 ho trovato ad esempio le linee seguenti:

(27)    Una pagina di Pirandello
        Un lieve sterzo. C’è una carrozzella che corre davanti. Pò, popòòò, pòòò.
                Che? La tromba dell’automobile la tira indietro? Ma sì! Ecco pare che la
        faccia proprio andare indietro, comicamente.
                Le tre signore dell’automobile ridono, si voltano, alzano le braccia a
        salutare con molta vivacità, tra un confuso e gajo svolazzio di veli variopinti; e la
        povera carrozzella, avvolta in una nuvola alida, nauseante, di fumo e di polvere,
        per quanto il cavalluccio sfiancato si sforzi di tirarla col suo trotterello stracco,
        seguita a dare indietro, indietro, con le case, gli alberi, i rari passanti, finché non
        scompare in fondo al lungo viale fuor di porta. Scompare? No: che! È scomparsa
        l’automobile. La carrozzella, invece, eccola qua, che va avanti ancora, pian
        piano, col trotterello stracco, uguale, del suo cavalluccio sfiancato. E tutto il viale
        par che rivenga avanti, pian piano, con essa. […] Le tre signore dell’automobile
        sono tre attrici della Kosmograph e hanno salutato con tanta vivacità la
        carrozzella strappata indietro dalla loro corsa meccanica […] nella carrozzella ci
        sono io. M’han veduto scomparire in un attimo, dando indietro comicamente, in
        fondo al viale; hanno riso di me; a quest’ora sono già arrivate. Ma ecco che io
        rivengo avanti, care mie. Pian pianino, sì; ma che avete veduto voi? Una
        carrozzella dare indietro, come tirata da un filo, e tutto il viale assaettarsi avanti
        in uno striscio.

        Questo testo è evidentemente percorso da un’estrema preoccupazione
dinamica. Lasciando a uno specialista di dire se davvero (come si sospetterebbe) il
testo è in chiave “futurista”, salta agli occhi come esso tenda alla rappresentazione
di un movimento continuo da parte di tutti i personaggi e gli oggetti che sono in
scena, in una sorta di carosello di moti a contrasto reciproco (l’automobile che
corre e la carrozzella che a confronto va tanto lenta che pare indietreggiare invece
di avanzare).
        Si ha l’impressione di essere dinanzi a una fase “genetica” del VS di
movimento: per codificare la massima mozionalità, l’autore inventa VS a volontà,
sfruttando all’estremo la formula di questa classe di parole. Alcuni dei verbi che
usa sono già pronti a livelli di sistema, altri sono inventati:

(28)    VS “inventati”
        assaettarsi avanti, correre davanti, dare indietro, rivenire avanti, strappare
        indietro, tirare indietro
5
    Cito da L. Pirandello, I quaderni di Severino Gubbio operatore, a c. di G. Ferroni, Giunti:
Firenze 1994.
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        E’ difficile trovare un esempio più vistoso del fatto che in tutti i casi in cui
la mozionalità del verbo è sentita come debole la si può rafforzare con invenzioni
di discorso, nelle quali viene messa a frutto la formula tipica del VS.
17|18

Riferimenti

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