Tradurre in Azione l'Accordo di Parigi - Conferenza sul Clima di Katowice - Briefing - Novembre 2018 - Legambiente

Pagina creata da Paolo Simone
 
CONTINUA A LEGGERE
Conferenza sul Clima di Katowice

Tradurre in Azione l’Accordo di Parigi

                         Briefing – Novembre 2018
Katowice è una tappa cruciale del viaggio intrapreso a Parigi nel dicembre 2015 per vincere la crisi
climatica. A Parigi il mondo si è messo in marcia verso un futuro rinnovabile e libero da fossili. Per
la prima volta l’azione globale contro i cambiamenti climatici è governata da un accordo
universale, che prevede impegni – giustamente differenziati e da rivedere regolarmente ogni
cinque anni – sia dei paesi industrializzati che emergenti e in via di sviluppo. Nell’accordo i governi
si pongono l’obiettivo ambizioso di contenere entro la fine del secolo l’aumento della
temperatura media globale ben al di sotto di 2°C e di mettere in atto tutti gli sforzi possibili per
non superare la soglia critica di 1.5°C, in modo da meglio contenere i rischi per le comunità
vulnerabili del pianeta e in particolare dei paesi più poveri.

A tre anni dall’accordo, come evidenzia il recente rapporto dell’IPCC, la strada che abbiamo
davanti è ancora in salita. Ma possiamo e dobbiamo farcela. Alla Conferenza sul clima (COP24),
che si tiene a Katowice dal 2 al 14 dicembre, serve una risposta politica chiara e forte dei governi
al messaggio di urgenza e speranza inviato dall’IPCC per tradurre in realtà la promessa di Parigi.

Rapporto IPCC sul riscaldamento globale di 1.5°C

Il recente rapporto IPCC, commissionato e approvato da tutti i governi che hanno sottoscritto
l’Accordo di Parigi, ha fornito solide prove sulla necessità e l’urgenza di contenere l’aumento della
temperatura media globale entro 1.5°C per poter vincere la sfida climatica. La differenza tra 1.5 e
2°C non è trascurabile. Un aumento della temperatura superiore a 1.5°C provocherebbe
fenomeni metereologici estremi – alluvioni, ondate di calore, siccità, incendi boschivi - molto più
pericolosi e devastanti.

Allarme confermato anche dal World Meteorological Organization (WMO), che nel suo ultimo
bollettino sulla concentrazione di gas-serra nell’atmosfera sottolinea come la concentrazione di
CO2 continua a crescere e ha raggiunto nel 2017 il nuovo record di 405.5ppm. L’ultima volta che il
nostro pianeta aveva raggiunto una simile concentrazione è stato 3-5 milioni di anni fa quando la
temperatura era di 2-3°C superiore e il livello dei mari 10-20 metri più alto. Senza una rapida
riduzione delle emissioni di CO2 e degli altri gas-serra, anche per il WMO, i cambiamenti climatici
avranno crescenti ed irreversibili impatti sulla vita sul pianeta.

Ancora più preoccupante è la situazione nei paesi del Mediterraneo, che nell'ultimo secolo si
sono riscaldati più del resto del mondo (+1,4 gradi contro +1 grado), facendo aumentare le ondate
di calore e i nubifragi e reso questi eventi più devastanti. Nei prossimi anni, il riscaldamento
dell'area del Mediterraneo sarà più alto del 25% di quello globale, in particolare con un
riscaldamento estivo maggiore del 40% rispetto alla media. Sono dati che emergono da una
ricerca internazionale condotta da varie Università dell'area (Marsiglia, Barcellona, Salento,
Nicosia, Haifa, Rabat) e pubblicata sulla rivista Nature Climate Change.

Ma siamo ancora in tempo per contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di
1.5°C. Servono impegni di riduzione delle emissioni molto più ambiziosi di quelli sottoscritti a
Parigi, che ci porterebbero pericolosamente oltre i 3°C, in modo da poter raggiungere zero
emissioni nette entro il 2050 a livello globale.

I prossimi 12 anni saranno cruciali. Infatti, secondo l’Emissions Gap Report, appena pubblicato da
UN-Environment, gli impegni di riduzione delle emissioni al 2030 sottoscritti a Parigi devono
essere incrementati in maniera considerevole, in modo da poter raggiungere un livello globale di
emissioni del 55% più basso rispetto a quello registrato nel 2017.

Solo così sarà possibile contenere il riscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C e
ridurre in maniera significativa i danni climatici non solo per i paesi più poveri e vulnerabili, ma
anche per i paesi industrializzati e emergenti, a partire dall’Europa. Secondo Eurostat, nel 2015 le
perdite economiche sono state di ben 11.6 miliardi di euro. Mentre un recente studio
dell’Agenzia europea dell’ambiente stima costi sino a 120 miliardi l’anno con un aumento della
temperatura globale di 2°C e addirittura oltre 200 miliardi se si raggiungessero 3°C.

Nonostante le emissioni siano riprese a crescere, sia a livello globale che in Europa, invertire la
rotta è possibile, come evidenzia il rapporto IPCC, sia dal punto di vista tecnologico che
economico. Decarbonizzare non serve solo a contrastare i cambiamenti climatici in corso, ma
produce anche benefici sociali ed economici. Un’azione climatica in linea con gli obiettivi di Parigi,
secondo il recente rapporto della Commissione Globale su Economia e Clima, può far crescere
l’economia mondiale di ben 26.000 miliardi di dollari, creare 65 milioni di nuovi posti di lavoro ed
evitare 700.000 morti premature per l’inquinamento atmosferico già entro il 2030.

Serve un segnale forte dall’Europa

Per vincere questa sfida è indispensabile un maggiore impegno da parte dei paesi più ricchi.
L’Accordo di Parigi, infatti, prevede la necessità di una più rapida azione climatica per quei paesi
che hanno maggiori capacità economiche e responsabilità storiche per l’attuale livello di emissioni
climalteranti.

L’Europa senza dubbio è tra questi. E soprattutto ha un grande potenziale per agire più
rapidamente e impegnarsi a raggiungere zero emissioni nette entro il 2040, attraverso una
Strategia climatica di lungo termine in grado di accelerare una giusta transizione verso un’Europa
rinnovabile e libera da fonti fossili.

Primo passo in questa direzione è l’aumento dell’attuale target europeo del 40% al 2030. È
fondamentale che l’adozione del nuovo obiettivo al 2030 avvenga nel Consiglio Europeo del
maggio 2019 chiamato ad approvare la Strategia europea di lungo termine. L’Europa così sarebbe
in grado di giocare un ruolo da protagonista al Summit sul Clima, convocato dal Segretario
Generale dell’ONU Antonio Guterres nel settembre 2019 a New York, per valutare lo stato di
avanzamento del processo di revisione degli attuali impegni, da concludersi entro il 2020 secondo
quanto previsto dall’Accordo di Parigi.

Un impegno che offre all’Europa grandi opportunità di sviluppo economico e occupazionale.
Rivedere l’attuale impegno del 40% è possibile, senza grandi sforzi e con un impatto positivo
sull’economia europea. È ormai provato che l’azione climatica fa bene alla nostra economia. Nel
periodo In 1990-2017 si è registrato un forte disaccoppiamento tra riduzione delle emissioni ed
aumento del PIL. Mentre le emissioni sono diminuite del 22%, il PIL europeo è invece aumentato
del 58%. Non va dimenticato che l’obiettivo climatico del 40% è stato fissato sulla base della
proposta iniziale della Commissione che prevedeva l’obiettivo del 27% per le rinnovabili e del
30% per l’efficienza energetica. Grazie all’incremento di questi due obiettivi (rispettivamente al
32% e 32.5%), previsto dall’accordo tra Consiglio e Parlamento, la Commissione stima ora che
sarà già possibile raggiungere una riduzione del 45% delle emissioni di gas-serra.
In Europa ci sono tutte le condizioni per sfruttare appieno le nostre potenzialità economiche
imprenditoriali e tecnologiche andando ben oltre il 55% di riduzione delle emissioni entro il
2030, proposto già da diversi governi europei e dall’Europarlamento, in coerenza con una
traiettoria in grado di consentirci di raggiungere zero emissioni nette entro il 2040.

A Katowice si deve tradurre in azione l’Accordo di Parigi

Per il successo di Katowice è cruciale che l’Europa si impegni in modo chiaro e forte ad
aumentare entro il 2020 i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni in linea con la soglia critica di
1.5°C. Un segnale indispensabile per creare le condizioni politiche favorevoli all’adozione di un
pacchetto di decisioni ambizioso ed equilibrato, articolato su tre pilastri:

   •   adozione del cosiddetto “Rulebook” (PAWP – Paris Agreement Work Programme) ossia le
       linee guida per rendere operativo l’Accordo di Parigi, come previsto, entro il 2020;

   •   impegno dei governi ad aumentare entro il 2020 gli attuali impegni (NDCs), in linea con la
       soglia critica di 1.5°C;

   •   adeguato sostegno finanziario ai paesi più poveri e vulnerabili per far fronte ai loro
       impegni di riduzione delle emissioni e poter adattarsi ai mutamenti climatici in corso.

Solo così sarà possibile tradurre in azione l’Accordo di Parigi. Momento importante della COP24,
pertanto, sarà la conclusione del “Dialogo di Talanoa” ossia del dialogo tra governi, regioni, città,
imprese e società civile, avviato dalla presidenza fijiana lo scorso anno a Bonn, per valutare le
azioni intraprese e gli impegni necessari per realizzare gli obiettivi di lungo termine dell’Accordo di
Parigi, in modo da consentire una revisione condivisa degli attuali NDCs.

Le conclusioni del dialogo dovranno tradursi in una Decisione della COP24 che impegni i governi,
sulla base delle indicazioni del rapporto IPCC, a rivedere gli attuali NDCs entro il 2020
incrementando la loro ambizione in linea con la traiettoria di riduzione delle emissioni
compatibile con la soglia critica di 1.5°C.

Il sostegno finanziario ai paesi più poveri e vulnerabili è cruciale, non solo per ristabilire
l’indispensabile spirito di fiducia tra i governi, ma anche per rendere possibile un’ambiziosa azione
climatica a livello globale, garantendo loro un sostegno adeguato certo e duraturo nel tempo.

A Katowice va quindi concordato il processo per definire il nuovo obiettivo post-2025 che vada
oltre i 100 miliardi di dollari l’anno già previsti entro il 2020. Nello stesso tempo, dovranno
essere sottoscritti da parte dei paesi donatori impegni concreti per incrementare gli attuali aiuti
– che secondo l’UNFCCC ammontano a circa 70 miliardi di dollari inclusi i 15 miliardi di
provenienza privata - in modo da essere certi che si raggiunga l’obiettivo dei 100 miliardi entro il
2020 e che questo sostegno sia garantito negli anni successivi, in attesa di concordare il nuovo
obiettivo post-2025.

Impegni finanziari che dovranno essere accompagnati dall’adozione di solide e trasparenti norme
contabili in grado di consentire una chiara rendicontazione del sostegno fornito ai paesi in via di
sviluppo sia per la mitigazione e l’adattamento che per le perdite e i danni subiti dai
cambiamenti climatici in corso.

A Katowice si dovranno, inoltre, adottare le linee guida (Rulebook) per rendere operativo
l’Accordo di Parigi, garantendo la necessaria flessibilità ai paesi in via di sviluppo sulla base delle
loro capacità.

Un quadro normativo di facile applicazione, ma nello stesso tempo solido e trasparente, in
grado così di assicurare la massima fiducia e consentire un’ambiziosa azione climatica a livello
globale. A tal fine, è fondamentale che ogni paese fornisca informazioni accurate, sulla base di una
metodologia condivisa, in merito agli impegni assunti (NDC) per la riduzione delle emissioni
attraverso un inventario dei gas-serra, l’adattamento e il sostegno finanziario.

Gli NDCs andranno rivisti – sulla base delle strategie nazionali di lungo termine da adottare entro
il 2020 insieme alla prima revisione degli impegni - ogni cinque anni, in modo da consentire una
verifica periodica e un loro adeguamento in linea con la soglia critica di 1.5°C.

Il Rulebook, pertanto, dovrà definire anche le modalità e i criteri della verifica periodica degli
impegni assunti (Global Stocktake – GST). La prima verifica è prevista per il 2023 e di seguito ogni
cinque anni. La sua durata dovrà quindi essere di 18-24 mesi e articolarsi in tre filoni di lavoro:
aumento della temperatura, resilienza e flussi finanziari.

In questo modo sarà possibile giungere a una revisione periodica degli impegni nel pieno rispetto
del principio di equità tra paesi industrializzati, emergenti e in via di sviluppo, tenendo anche
conto delle loro capacità economiche e responsabilità storiche per l’attuale livello di emissioni
climalteranti.

Una Coalizione di Ambiziosi per ricreare lo Spirito di Parigi

In Polonia si gioca molto del futuro dell’Accordo di Parigi. Non è ammesso un fallimento. E molto
dipenderà dalla leadership che l’Europa saprà mettere in campo. Serve un forte protagonismo
europeo in grado di superare il minimalismo della presidenza polacca, che ha portato
all’ambiguità dell’attuale posizione europea, espressa nelle Conclusioni del Consiglio Ambiente
dello scorso 9 ottobre in cui l’Europa si impegna solo a “comunicare o aggiornare il suo NDC entro
il 2020”.

Ambiguità dovuta, in particolare, al ruolo defilato tenuto sino ad ora dalla Germania a causa
dell’instabilità politica della coalizione di governo per le sconfitte elettorali in Baviera e Assia. La
forte ascesa dei verdi, tuttavia, dovrebbe spingere il governo tedesco a riprendere il suo
tradizionale ruolo di leadership indispensabile per consentire ad un’Europa coesa di essere il
perno di una “Coalizione di Ambiziosi” in grado di ricreare lo spirito di Parigi. Quell’ampia alleanza
trasversale tra paesi industrializzati emergenti e in via di sviluppo che consentì l’adozione
dell’Accordo di Parigi.

Un primo importante segnale in questa direzione è l’adesione della Germania – insieme ad altri
paesi europei tra cui Francia, Italia, Olanda, Spagna e Svezia - all’appello dell’High Ambition
Coalition (HAC) che chiede una revisione entro il 2020 degli attuali impegni compatibile con la
soglia critica di 1.5°C. Richiesta sostenuta anche dai presidenti della Conferenza Episcopale dei
cinque continenti e che potrebbe avere un impatto positivo sul governo polacco, visto il peso
politico della chiesa cattolica in Polonia.

Incoraggia che questa posizione stia trovando un numero crescente di sostenitori tra i governi.
Nelle ultime settimane si sono aggiunti il gruppo dei paesi più poveri (LDC), dei Caraibi (CARICOM),
l’alleanza dei paesi delle piccole isole (AOSIS), il Messico, la Corea del Sud, la Svizzera. E infine si è
aggiunta anche l’alleanza dei paesi dell’America Latina (AILAC) che ha emarginato il nuovo
presidente brasiliano Bolsonaro, spingendolo a ritirare la candidatura del Brasile ad ospitare la
prossima COP25 a Rio de Janeiro.

Sembrano quindi esserci le condizioni affinché a Katowice l’Europa, se riesce a trovare coesione e
determinazione politica, possa ricostituire una Coalizione di Ambiziosi in grado di tradurre in
azione l’Accordo di Parigi con il pieno coinvolgimento e supporto della Cina, sulla base del patto
di cooperazione climatica tra Cina e Unione europea sottoscritto lo scorso luglio nel vertice di
Pechino.

Una sfida che l’Europa può e deve vincere. Non solo per il successo di Katowice. Ma soprattutto
per accelerare la decarbonizzazione dell’economia europea. Solo così sarà possibile vincere la
triplice sfida climatica, economica e sociale, creando nuove opportunità per l’occupazione e la
competitività delle nostre imprese.
Puoi anche leggere