TikTok dall'app di successo al nuovo smartphone

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TikTok dall'app di successo al nuovo smartphone
TikTok dall’app di successo
al nuovo smartphone

Annunciato a gran voce come il TikTok Phone, in realtà il
“Jianguo
Pro 3” (questo il nome del dispositivo) è soltanto prodotto
dalla stessa
società dietro l’applicazione in testa a tutte le classifiche
di download del
momento, Bytedance. Ufficializzato per il mercato cinese, il
nuovo dispositivo
non dovrebbe avere molte possibilità di giungere fin da noi in
Europa ed è un
peccato dato che si tratta di uno smartphone dalle
caratteristiche davvero
niente male. Lo smartphone Targato TikTok arriva sul mercato
con un prezzo di
ingresso tutt’altro che economico (2.899 yuan, l’equivalente
di circa 410
dollari). Ovviamente fra i servizi preinstallati è presente
Douyin, la versione
di TikTok destinata agli utenti cinesi: basta passare il dito
TikTok dall'app di successo al nuovo smartphone
sulla schermata
di blocco e immediatamente si applicano gli effetti e i filtri
dell’app ai
video in memoria. Definirlo lo smartphone di TikTok è però
forse improprio,
visto che proprio i portavoce di ByteDance hanno confermato
come questo
dispositivo sia di fatto la continuazione dei progetti già in
essere prima
dell’avvio della partnership con Smartisan, ma è certo che si
tratti di un
apparecchio con caratteristiche tecniche non banali. A livello
tecnico il “TikTok
Phone” si presenta con una dotazione da dispositivo di fascia
alta, a
cominciare dal processore Snapdragon 855 Plus, cui fa pendant
una batteria da
4.000 mAh, per finire con un comparto fotografico forte di
quattro camere
posizionate sul retro (un sensore principale da 48 Megapixel,
un obiettivo
ultra wide da 13 MP, un teleobiettivo da 8 MP e una camera
macro da 5 MP) e un
sensore 20 megapixel per i selfie sulla parte anteriore del
display, dove trova
posto anche il sensore per il riconoscimento delle impronte
digitali. Il
telefonino di TikTok si troverà nei colori verde, bianco e
nero, più che
probabile la sua disponibilità tramite il mercato grigio
d’importazione.

F.P.L.
TikTok dall'app di successo al nuovo smartphone
Baldur’s Gate 1 e 2 arrivano
su console

Baldur’s Gate Enhanced Edition, pacchetto contenente
Baldur’s Gate 1 e Baldur’s Gate 2 più le relative espansioni è
finalmente
arrivato su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch. Questa
collezione, ci teniamo a
sottolineare, fa parte di una linea di uscite che ripropongono
i migliori gdr
ispirati a D&D, quindi: Planescape Torment, Icewind Dale e
Neverwinter.
Dopo questa doverosa premessa, torniamo a Baldur’s Gate.
L’importanza del brand
per il medium dei videogiochi è indiscussa. Il capolavoro
uscito nel lontano
1998 su Pc fu il primo esempio di come utilizzare le regole di
Dungeons &
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Dragons in maniera credibile per sviluppare la struttura
ludica di un
videogioco. Ambientato nel mondo dei Forgotten Realms, il
giocatore si trova a
dover affrontare una vera e propria epopea disseminata di
eventi epici e
personaggi memorabili. A prescindere dalla console scelta per
godere di questa
storica Enhanced Edition – che pur conserva l’eccellente
impronta pixellosa
dell’originale – il lavoro del team di Beamdog è piuttosto
evidente, e va ad
impattare soprattutto sui controlli di gioco su Baldur’s Gate
II, che poggia
sull’ultima versione dell’Infinity Engine. In particolare,
sebbene sia sempre
possibile indirizzare    il   party   verso   un   punto   preciso
attraverso la modalità
tattica, adesso è possibile guidare il gruppo autonomamente
utilizzando lo
stick sinistro per farlo camminare e lo stick destro per
direzionarlo, muovendo
al tempo stesso la telecamera. Il controllo “sui pollici” è un
chiaro requisito
da console, che si sposa perfettamente con ciascuna delle
piattaforme su cui
approda questa Enhanced Edition. Ciò detto, la modalità
tattica con il
puntamento preciso nell’area della location rimane la più
adatta quando non si
è in fase esplorativa; ad esempio, dovrete utilizzarla per
combattere o usare
magie puntuali. Ovviamente anche l’interfaccia grafica è stata
reinventata per
adeguarsi alla navigazione da pad, con menu radiali e non,
comandabili tramite
dorsali e grilletti. Ottima anche la telecamera intelligente
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che, in modo
autonomo, va a puntare sia gli oggetti di interesse che i
personaggi,
facilitando un po’ i controlli durante l’esplorazione dei
dungeon e
svecchiando, di fatto, un sistema di gioco estremamente rigido
e complesso. La
difficoltà di fondo legata al sistema Advanced Dungeon &
Dragons rimane
tutta, il che ne fa un titolo adatto soprattutto a chi già ne
sa, perché un
neofita andrebbe incontro ad una curva d’apprendimento
estremamente rigida e
non paragonabile agli action RPG attualmente in commercio
sotto diversi punti
di vista. Tuttavia, chi deciderà di non gettare la spugna dopo
alcune ore, da
un certo momento in poi riuscirà a sentire la difficoltà più
dolce, complice
sia un party più forte che l’ottenimento di una maggiore
esperienza di gioco.
C’è, poi, tutta la gestione delle arti magiche e delle
caratteristiche dei
personaggi, che richiedono davvero tanto tempo da investire
per padroneggiare a
dovere ogni aspetto di ciascuna avventura. In Baldur’s Gate è
fondamentale non
correre: il tempo speso a leggere le informazioni di corredo e
a pianificare
ogni attacco risulta essenziale, tanto per non morire dopo
poche azioni, quanto
per arrivare a un livello di coinvolgimento e appagamento
post-vittoria che
forse non ha ancora eguali. La cosa veramente ammirevole di
questa coppia di
giochi importantissima è il sistema di controlli. Adattare un
gioco nato e
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cresciuto con mouse e tastiera per essere giocato con un
controller non è
assolutamente un’operazione semplice. Skybound Games e Beamdog
hanno fatto un
lavoro decisamente pazzesco: la mappatura dei comandi è fatta
sulla falsariga
di Pillars of Eternity, ma in Baldur’s Gate sembra addirittura
funzionare
meglio. Certo, siamo ben lontani dalla precisione e
dall’accuratezza che mouse
e tastiera concedono, ma è incredibile pensare di poter
giocare in questo modo
un gioco per computer storico come Baldur’s Gate.

Il sistema di combattimento segue delle regole modificate
della seconda edizione di Dungeons & Dragons: per esempio, le
battaglie in
Baldur’s Gate sono molto più impegnative, e fanno molto più
affidamento sui “roll”,
esattamente come in una qualsiasi campagna di D&D. Non è raro
che,
soprattutto all’inizio, il party del giocatore cerchi di
sconfiggere un mostro
deboluccio impiegandoci una quantità di tempo forse pure un
po’ troppo
eccessiva: si vedono infatti i protagonisti mancare il nemico
più e più volte,
allungando la durata dello scontro. Infatti, nonostante la
bontà estrema di
questo sistema, è innegabile che sia Baldur’s Gate sia
Baldur’s Gate 2 mostrano
decisamente la loro provenienza da un’altra era videoludica.
Al giocatore è
infatti richiesto di calarsi completamente nel mondo di gioco,
e di viverlo pienamente
così da poter capire le pieghe più nascoste e vederne
l’immenso valore. Trattandosi
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di videogiochi degli anni ’90, non esistono indicatori sulla
mappa, o qualsiasi
elemento che faciliti la progressione: Baldur’s Gate 1 e 2 non
perdonano
nessuna disattenzione. Quindi, soprattutto per i neofiti
consigliamo caldamente
di salvare molto spesso. Questo elemento può forse
rappresentare quello più
difficile da digerire per chi si avvicina a questi capolavori
per la prima
volta, ed è assolutamente normale. Baldur’s Gate 1 e 2 sono
giochi molto
complessi, che richiedono dedizione, ma che sono in grado di
regalare
esperienze che ben pochi altri giochi sono in grado di
regalare. Come detto, la
storia in tutti e due i giochi rappresenta uno degli aspetti
più importanti, e
il giocatore deve navigarla influenzandola con le proprie
decisioni e azioni.
Il mondo di gioco è vivo, vibrante, con un fortissimo
carattere, popolato da
una grandissima varietà di personaggi e personalità, alcuni
dei quali si
uniranno a     noi   nella   nostra   avventura,   mentre   altri
cercheranno di metterci i
bastoni tra le ruote. Ed è esattamente questa una delle
qualità maggiori di
Baldur’s Gate: l’incredibile complessità della storia e del
mondo di gioco
permettono al giocatore di affrontare l’esperienza dalla
propria soggettività,
dal proprio punto di vista. Dal punto di vista estetico,
nonostante le
migliorie tecniche, l’Enanched Edition di titoli con alle
spalle 20 anni non
può proporre certo miracoli grafici, ed è anche per questo che
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gli sforzi del
team di sviluppo si sono concentrati sugli aspetti di gioco
anziché su texture,
ombre ed effetti di illuminazione. Se il lato tecnico non è
stato quindi troppo
ritoccato rispetto all’edizione speciale di qualche anno fa
per pc, la versione
console viene impreziosita anche dalla presenza di Siege of
Dragonspear e
Thrones of Bhaal, le due espansioni che chiudono l’arco
narrativo della saga
Baldur’s Gate. La prima è un’esperienza che va a collocarsi
tra i due capitoli
principali della serie, ed è molto importante perché non
rientra nella versione
base dell’Enanched Edition pubblicata per PC, anzi, ne è a sua
volta uno
spin-off. Thrones of Bhaal, invece, è più vecchiotto, e
racconta gli
accadimenti dopo l’epilogo di Baldur’s Gate II. In attesa
della modalità
multiplayer, per adesso solo presente nel menu ma senza alcuna
proposta, le due
espansioni vi regaleranno ancora tante altre ore di quest
interessanti e importanti
per approfondire la storia. Tirando le somme, possiamo dire
che la grandezza di
questa coppia di titoli è dimostrata dalla freschezza
dell’esperienza,
nonostante siano passati più di 20 anni dalla loro uscita
originale. Questa
collection presenta pure le varie espansione, rendendo il
totale di ore di
gioco per completare entrambi i titoli quasi incalcolabile.
Certo, il prezzo
della collection è un po’ altino considerando che questi
giochi vengono
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letteralmente dallo scorso millennio; però, il sistema di
controlli è stato
implementato in maniera molto convincente, e in aggiunta, la
possibilità di
poter giocare in modalità portatile (su Intendo Switch) queste
perle è
semplicemente meravigliosa. Unica pecca veramente grave,
riscontrata durante la
nostra analisi su Xbox One, è la totale assenza della
compatibilità con la
lingua italiana. Elemento davvero devastante se non si mastica
l’inglese in
quanto entrambi i giochi sono costellati di dialoghi e testi
che devono essere
compresi bene. In entrambi i Baldur’s Gate, infatti,
trascurare libri,
documenti o dialoghi, vuol dire non riuscire a completare come
si vuole le
quest o addirittura rimanere bloccati. Proprio per tale
ragione speriamo che
presto vengano adattati i dialoghi e i testi in italiano,
proprio come già
erano presenti più di 20 anni fa. Ovviamente se si è
appassionati di Dungeson’s
& Dragons, ma anche di Gdr in generale, questa collezione va
assolutamente
giocata. Se invece si è alla ricerca un titolo veloce, di
facile comprensione e
poco complesso, I capitoli 1 e 2 della saga di Baldur’s Gate
non vanno presi in
considerazione. Detto ciò è bene ricordare che questa
collezione rappresenta un
vero e proprio gioiello per chi, come chi scrive, ha amato e
giocato le
versioni originali dei titoli, ma è anche un punto d’inizio
per tutti quei
nuovi giocatori che vogliono approcciare al mondo dei gdr in
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maniera seria e
complessa.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8

Longevità: 9

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise

Facebook si rinnova e cambia
il logo aziendale
Facebook si rifà il look grazie a un nuovo logo aziendale “che
aiuta a fare miglior distinzione tra la società e l’app”. Si
tratta di una scritta tutta maiuscola “FACEBOOK” e sarà anche
in vari colori, non solo nel classico blu. Il marchio,
infatti, contraddistinguerà app come Instagram e WhatsApp, si
troverà nelle pagine iniziali o nelle impostazioni, o in
prodotti come i visori per la realtà virtuale “Oculus” e
l’altoparlante intelligente Portal. Tale mutamento non avverrà
invece nel social network, che manterrà l’attuale scritta in
minuscolo nel colore blu. L’azienda non possiede solo
Facebook, ma da tempo è proprietaria anche di Instagram e
WhatsApp e questo sarà evidente anche dal cambio di look del
logo dell’azienda annunciato in via ufficiale sul blog della
società. “FACEBOOK” a carattere tutto maiuscolo si colorerà
infatti anche delle tonalità calde di Instagram e WhatsApp,
“facebook” a caratteri minuscoli in bianco e blu rimarrà
invece al social network. Ma la lettura di questo cambiamento
va oltre quella comunicata ufficialmente. Ciò che ne emerge è
una sempre maggiore interconnessione tra le tre applicazioni,
già culminata con l’annuncio nello scorso aprile della volontà
di creare un unico ambiente di comunicazione condiviso tra
Instagram, WhatsApp e Messenger. Un disegno che si delinea
sempre più come un processo di accentramento. E guardando
ancora più indietro appariva già chiaro che l’addio dei due
fondatori di Instagram, Kevin Systrom e Mike Krieger, fosse
legato a una sempre minore indipendenza garantita al social
acquisito da Facebook nel 2012. Ma prima era stata già la
volta del passo indietro dei fondatori di WhatsApp, Brian
Acton e Jan Koum, in disaccordo con i progetti di Mark
Zuckerberg. In ogni caso, è probabile che l’azienda voglia
separare chiaramente tutte le altre app da Facebook (social
network), soprattutto per via delle numerose controversie che
ha dovuto affrontare. In questo modo Facebook sottintende che
compagnia e servizio sono due cose diverse, e le varie
applicazioni – sebbene strettamente legate all’azienda – non
hanno le stesse finalità del social network.

F.P.L.

Ghost   Recon   Breakpoint,
tornano  i   “fantasmi”  di
Ubisoft
Ghost Recon Breakpoint arriva su Pc, Xbox One e Ps4 a due anni
e mezzo di distanza dal lancio del suo predecessore. Questa
volta Ubisoft ha proposto un titolo che ha preso quanto di
meglio ci fosse dal capitolo precedente, Wildlands (qui la
nostra recensione), lo ha ampliato con meccaniche interessanti
e gli ha donato una grafica del tutto più curata e ancora più
bella da vedere.

Visto che squadra che vince non si cambia, la formula di gioco
di Ghost Recon Breakpoint rimane fedele all’originale,
offrendo un vasto open world liberamente esplorabile che
fungerà da ambientazione per la nuova missione di Nomad,
capitano della squadra Ghost che si trova ad affrontare in
questo capitolo una situazione del tutto inedita, almeno per
gli standard della serie.

Il palcoscenico è l’esotico arcipelago di Auroa nel sud
dell’Oceano Pacifico, centro nevralgico delle operazioni della
Skell Technology, azienda miliardaria e tentacolare che qui ha
stabilito la sua personale Silicon Valley, libera da qualsiasi
vincolo giuridico.

In questo paradiso in cui le migliori menti del pianeta si
sono riunite per studiare e progettare la tecnologia del
futuro che avrebbe dovuto migliorare la qualità di vita
dell’uomo però, non tutto è andato come ci si aspettava.

Jace Skell, capo della Skell Technology si ritrova prigioniero
delle sue stesse creazioni. L’isola di Auroa viene totalmente
isolata dal resto del mondo dopo un colpo di stato militare ad
opera di Cole D. Walker, ex Ghost interpretato da Jon Bernthal
(lo Shane di The Walking Dead).

La scoperta della situazione avviene però dopo che una nave
della marina americana affonda misteriosamente nelle acque
vicine ad Auroa, e la CIA invia una squadra di circa 30 Ghost
ad indagare.

Purtroppo anche questa spedizione non va per il meglio: gli
elicotteri che trasportavano gli agenti vengono abbattuti da
qualcosa di praticamente invisibile non appena entrano nello
spazio aereo dell’isola. Adesso sta a chi gioca vestire i
panni del Ghost Nomad, uno dei pochi sopravvissuti a questo
attacco, per scoprire la verità dietro al tradimento di Walker
e sventare una potenziale minaccia per il mondo intero.

Con queste premesse Ghost Recon Breakpoint è pronto a offrire
ore e ore di gioco fra sparatorie, agguati, inseguimenti e
molto altro ancora di cui a breve andremo a parlarvi.

Fin dalle primissime battute di gioco è possibile notare
alcune importanti differenze che rendono Breakpoint
sostanzialmente molto diverso dal precedente capitolo.

La prima cosa che inevitabilmente salta all’occhio è la
posizione della telecamera alle spalle del protagonista,
percettibilmente più vicina rispetto al passato. Questa scelta
rende l’avventura di Nomad più personale, intima, anche perché
Ghost Recon Breakpoint affida il sostentamento e la
sopravvivenza del Ghost come mai la serie aveva fatto in
passato. Gli elementi survival di cui parleremo in seguito
rappresentano una graditissima novità, così come il rinnovato
sistema delle armi che avvicina questo capitolo a un looter
shooter, per non parlare dell’assenza dei compagni di squadra
gestiti dal computer, che tra polemiche e ripensamenti non
sono in ogni caso presenti in questa nuova avventura.

Tutte queste novità sul fronte del gameplay non vanno a
intaccare la limpidezza dell’infrastruttura di gioco, molto
coerente con quanto già visto in Wildlands nel 2017.

La nuova fatica di Ubisoft Paris non è altro che uno
sparatutto in terza persona con elementi tattici, dotato di un
sistema di coperture fluido e non legato alla pressione di un
tasto, che può essere giocato dall’inizio alla fine da soli o
in compagnia di altri tre amici.

Come fu per il capitolo precedente, anche in Ghost Recon
Breakpoint l’elemento di gameplay principale è rappresentato
sempre dalla minuziosa pianificazione e dallo svolgimento
degli attacchi agli avamposti controllati dai Lupi e dai
contractor della Sentinel, che punteggiano le 21 provincie in
cui si divide Auroa.

La fase preparatoria che precede un assalto vede ancora come
protagonista indiscusso il drone da ricognizione, che può
identificare e marcare i nemici che sono segnalati sulla mappa
con un generico alone rosso. In queste fasi l’HUD diventa un
preziosissimo alleato, con cui tenere d’occhio la posizione
dei soldati ostili e le informazioni su armi e attrezzature.
Anche se l’uso della forza bruta è sempre un’opzione, la
prassi largamente riconosciuta nel franchise Ghost Recon
prevede che i giocatori operino in religioso silenzio, ed è
proprio in queste situazioni che il gioco dà il suo meglio.

Questo risultato viene raggiunto in larga parte grazie al
lavoro svolto sul gunplay, che si presenta all’appuntamento
con la recensione in gran forma e privo di sbavature.

Complici alcune animazioni che ricalcano i movimenti tipici
delle forze speciali, ripulire soldato dopo soldato un
accampamento nemico è l’attività più piacevole che Ghost Recon
Breakpoint possa offrire, specialmente se ci troviamo in
squadra con altri giocatori.

Se da un lato i nemici non sono adeguatamente caratterizzati,
una grossa variabile di gameplay è costituita dalla massiccia
presenza dei droni, chimere tecnologiche costruite dalla Skell
Technology e che popolano il gioco in tanti modelli diversi.

Oltre a droni di piccole e medie dimensioni, in alcune
località dell’arcipelago si nascondono i Behemoth, le macchine
più letali mai realizzate dalla compagnia, messe a difesa di
tesori inestimabili. Affrontarli sarà molto impegnativo,
esaltante, ma soprattutto anche molto appagante.

Parlando della componente survival in questo Ghost Recon
Breakpoint, la prima, nonché più importante delle novità
risiede nella rinnovata gestione della salute di Nomad.

Il protagonista infatti durante il combattimento può subire
degli infortuni di tre diverse entità, che limiteranno
progressivamente   la   capacità   operativa   sul   campo   del
protagonista.

Per riprendersi da questi ferimenti, che riducono in via
definitiva la barra della salute, saremo costretti a metterci
al riparo per bendarci e curarci, un’operazione che dura
momenti interminabili quando si è sotto il fuoco nemico.

Ad avere un impatto sull’esito dei combattimenti è anche la
stamina, che può velocemente esaurirsi correndo e saltando da
un riparo all’altro. Non è una buona idea trovarsi senza
resistenza nel bel mezzo di uno scontro a fuoco, soprattutto
quando si ha a che fare con terreni scoscesi, e questo
aspetto, in concomitanza con l’introduzione degli infortuni,
evolve secondo noi di tantissimo le fondamenta del gameplay
della serie.

L’idea che Nomad abbia debolezze e vulnerabilità intensifica
la percezione d’immersione, convincendoci di avere tra le mani
la sopravvivenza di un vero soldato in un ambiente ostile e
pericoloso. Le dinamiche survival di Ghost Recon Breakpoint
orbitano poi attorno ai bivacchi, i piccoli accampanti
disseminati per Auroa che i giocatori possono utilizzare per
rifocillarsi, prepararsi e armarsi, ma anche e soprattutto per
servirsi del viaggio rapido attraverso le diverse località
dell’arcipelago.

Raggiungendo un bivacco si ha la possibilità di richiamare un
veicolo, di consultare il negozio delle armi e delle
attrezzature, ma anche di dedicare del tempo a una delle sei
diverse attività che offrono buff consistenti alle statistiche
di Nomad. Ad esempio, mangiare aumenta la resistenza agli
infortuni e idratarsi fornisce un bonus alla stamina, mentre
fare stretching garantisce più resistenza. Controllare armi e
droni migliora le performance di entrambi, oppure è sempre
possibile optare per un bonus all’ottenimento di punti
esperienza con il quale livellare più velocemente.

Altra grande novità proposta in questo Ghost Recon Breakpoint
è rappresentata dalle classi, ossia ruoli che ricalcano quelli
che ognuno finisce con l’interpretare sul campo di battaglia.
Le classi sono quattro, Medico da Campo, Assalto, Pantera e
Tiratore, e danno accesso ad una serie di abilità e perk
specifici che aiutano a rendere significativamente più
variegato il gameplay di squadra. Ciascuna classe mette a
disposizione un’abilità e un gadget unici, che nella classe
Medico sono naturalmente orientati al curare i compagni, in
quella Assalto a ridurre i danni subiti e a rendere più letale
il Soldato, in quella Pantera a essere più furtivi e in quella
Tiratore a visualizzare e a eliminare con più efficacia i
nemici distanti.

Completando una serie di compiti sarà inoltre possibile
livellare una classe per sbloccare perk aggiuntivi, aspetto
che favorisce l’immedesimazione del giocatore nel suo ruolo.
Naturalmente, tanto in PvE quanto in PvP si potrà passare in
ogni momento da una classe all’altra, senza subire
penalizzazioni di sorta. Insomma, scegliere quella adatta al
proprio stile di gioco sarà uno dei piaceri offerti da Ghost
Recon Breakpoint, che sotto questo aspetto riesce a offrire
una nuova meccanica dall’indiscusso fascino.

Oltre al leveling delle classi, il giocatore può scalare ben
30 livelli ottenendo di volta in volta punti abilità, che
possono essere investiti sui rami di un albero delle abilità
non dissimile da quello di Wildlands ma molto, molto più
folto, composto da oltre 50 perk attivi e passivi con cui
personalizzare ulteriormente le abilità di Nomad sul campo di
battaglia. Il titolo di Ubisoft può anche essere definito un
vero e proprio loot shooter, infatti, tra le infinite
influenze che hanno caratterizzato lo sviluppo di Ghost Recon
Breakpoint è evidente la volontà della casa francese nel
riprendere alcune caratteristiche dal suo The Division.

Infatti l’isola di Auroa è letteralmente disseminata di casse
tramite le quali ottenere equipaggiamenti di ogni tipo.

Il livello di combattimento di Nomad viene definito dalla
qualità del suo equipaggiamento, per cui è sempre una buona
idea cercare di aprire più casse possibile nella speranza di
trovare qualche arma, cappello, guanti e così via con
statistiche migliori e magari qualche bonus passivo per essere
sempre pronti ad affrontare nemici sempre più impegnativi… più
o meno.

Qui infatti Ubisoft non sembra aver bilanciato benissimo il
tutto, e la differenza tra armi che nella realtà hanno potenze
di fuoco anche molto diverse è abbastanza minima, quasi da non
giustificare l’impegno nell’esplorare e magari rischiare di
essere scoperti pur di raggiungere una cassa; ben presto la
voglia di cercare loot viene meno e ci si limita a raccogliere
solo le casse che si trovano sul proprio cammino, senza
impegnarsi più di tanto nella ricerca.
Interessante invece è il level system armi/equipaggimento.
Esso è calcolato sulla media aritmetica dei valori di armi e
vestiti inseriti negli 8 slot disponibili, e condiziona
l’efficacia del protagonista quando affronta i nemici, anche
loro dotati di livello. I modificatori ai danni inflitti e
ricevuti dipendono in larga parte dalla difficoltà selezionata
tra le quattro a disposizione (Arcade, Regolare, Avanzata ed
Estrema), c’è da dire però che anche ad Arcade non sarà
possibile caricare a testa bassa un gruppo di nemici, quindi,
livello e difficoltà selezionata non salveranno il giocatore
da azioni avventate o sciocche.

Per non nuocere al realismo, caratteristica centrale
dell’intera serie, Ubisoft Paris ha scelto di applicare questa
nuova filosofia del Livello Attrezzatura con alcune
limitazioni, per evitare quel fastidioso effetto “bullet
sponge” che spesso è una peculiarità di moltissimi looter
shooter. In tal senso ogni nemico, anche i membri dei Lupi che
sono di livello 150 o più, verranno abbattuti da un singolo
colpo alla testa, quindi esiste la concreta possibilità di
affrontare un loro accampamento senza i requisiti adeguati.

In Ghost Recon Breakpoint è stato rivoluzionato anche il
processo che porta all’ottenimento delle armi, che possono
essere acquistate dal negozio, trovate nelle casse nascoste
nei punti di interesse di Auroa o ricevute come drop casuale
dai nemici uccisi. Dal momento che è proprio attraverso i drop
che Nomad sale di Livello Attrezzatura, capiterà spesso di
dover aggiornare il proprio setup e utilizzare un vasto numero
di bocche di fuoco, che si dividono tra fucili d’assalto,
mitragliette, fucili a pompa, mitragliatrici leggere, fucili
di precisione, DMR e pistole. Nel corso dell’avventura, non
sarà tuttavia necessario affidarsi sempre al caso per giocare
con la propria arma preferita, poiché nascosti nel mondo di
gioco sono nascosti i progetti relativi a ognuna di esse, che
una volta ottenuti offrono la possibilità di “forgiare” il
fucile al Livello Attrezzatura corrente.
Questa funzione è utile inoltre per sorteggiare nuovamente le
statistiche di un’arma: ognuna ha caratteristiche
prestabilite, ma gode di due bonus casuali che sono
determinati dalla rarità con cui viene ottenuta. Come ogni
titolo di questo tipo, anche Ghost Recon Breakpoint offre i
fantomatici livelli di rarità di ogni oggetto. Esistono cinque
livelli di rarità, e proprio per questo può essere utile di
tanto in tanto cercare di riottenere un fucile con statistiche
migliorate, specialmente nella fase di endgame.

Ovviamente non manca il Gunsmith, ossia la sezione del menù
dedicata alla personalizzazione delle armi. Le bocche di fuoco
possono infatti montare una moltitudine impressionante di
accessori ed essere colorante in ogni singola parte con
tantissime mimetiche. Tutte le armi, in ottica endgame,
possono essere inoltre potenziate attraverso tre livelli di
qualità, che vengono preservati quando si scarta e si riceve
nuovamente lo stesso fucile. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è
un titolo davvero molto complesso anche per quanto riguarda la
sezione “equipaggiamento e armi”.

Se vi state chiedendo, ma Quanto dura questo Ghost Recon
Breakpoint? La risposta è: solo la campagn principale, circa
una 25ina di ore.
Sempre in base poi a che difficoltà si gioca. A contorno delle
28 quest che
compongono la storia principale ci sono tantissime missioni
secondarie, la
maggior parte di esse collegate alle due fazioni dell’isola
(Coloni ed Esclusi)
che nel corso del supporto post-lancio si evolveranno con
nuovi spunti
narrativi. L’unico elemento che riesce a spezzare la monotonia
delle missioni è
il taglio investigativo che lo studio parigino ha voluto
applicare alla maggior
parte delle attività, che impone al giocatore di trovare
indizi, prove e
testimonianze che lo possano portare alla prossima fase della
missione. Nel
menù principale è addirittura presente una sezione dedicata
alla soluzione dei
grandi misteri di Auroa, che possono essere risolti scovando
collezionabili e
altri indizi nel vasto mondo di gioco di Ghost Recon
Breakpoint. Ma non finisce
qui, infatti il titolo di Ubisoft offre anche una modalità
Multigiocatore PvP chiamata
Ghost War. Questa al momento non include moltissimi contenuti
con due sole
modalità (deatmatch a squadre e cerca e distruggi) e sei
mappe, ma sarà espansa
nel corso delle settimane e senza dubbio sa offrire spunti
interessanti. La
nota positiva è che si può finalmente partecipare alle partite
online con il
proprio avatar del PvE, che riceverà oggetti e armi dal
multigiocatore in un
sistema di progressione condivisa che era fondamentale per
legare
indissolubilmente le due esperienze. Le partite coinvolgono
due squadre da
quattro Ghost ciascuna, che cominciano il match agli antipodi
di mappe molto
grandi che favoriscono almeno in questa prima fase i cecchini
e i tiratori
dalla distanza. Caricare a testa bassa potrà comunque essere
molto
remunerativo, poiché risorse come medikit e batterie per il
drone possono
essere trovate solo all’interno degli edifici che solitamente
sono al centro
dell’ambientazione. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è un gioco
davvero pieno di
cose da fare e che per venire alla noia ci metterà davvero
molto tempo. A livello grafico/estetico, il gioco naviga
fra alti e bassi. Il colpo d’occhio generale è tutto sommato
buono, ma spesso
ci sono momenti in cui si resta quasi a bocca aperta per lo
stupore e altri in
cui invece si storce il naso davanti a modelli fin troppo
legnosi e con pochi
dettagli, a volte anche nel corso delle stesse cut-scene.
Sembra quasi che ci
siano problemi di caricamento delle texture (fortunatamente su
Xbox One X
questo fenomeno è marginale e la situazione migliora
notevolmente rispetto a
una S). A questo poi si uniscono anche numerosi bug grafici
che, se possono
essere perdonati in un open world così vasto, in alcune
occasioni hanno
compromesso la mia esperienza di gioco come la selezione
rapida degli oggetti
che ogni tanto decide di non funzionare o personaggi chiave
con cui parlare che
spariscono misteriosamente, bloccando così la missione e
costringendo al
riavvio. Buono invece il frame-rate, che si è sempre mantenuto
stabile a 30
fps, mentre su Xbox One X è possibile anche scegliere tra due
modalità che si
concentrano di più sulla grafica o sulla fluidità. A livello
audio il videogame
offre un ottimo doppiaggio in lingua italiana e sia dal punto
di vista degli
effetti sonori che delle musiche il risultato è davvero
stupefacente. Insomma,
tirando le somme, nella speranza che con il passare dei giorni
Ubisoft rilasci
qualche patch correttiva per i sopracitati bug, Ghost Recon
Breakpoint risulta
essere uno dei titoli migliori del momento: lungo, avvincente
ed estremamente
divertente. A nostro avviso lasciarselo sfuggire potrebbe
essere un vero
errore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9

Longevità: 9

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise

Emoji, in arrivo 168 nuove
“faccine”
Sono ben 168 le nuove emoji che si preparano a popolare le
tastiere dei nostri smartphone.

L’Unicode Consortium ha annunciato la versione 12.1 del suo
standard per caratteri digitali che, come noto, include anche
le celebri faccine.

Le emoji sono diventate così importanti nella nostra vita da
rappresentare la lingua più parlata al mondo, nonché un mezzo
per descrivere il nostro stato d’animo utilizzando una
semplice segno grafico.

Attualmente nel mondo sono oltre due miliardi le persone che
utilizzano le faccine per comunicare.
Del resto, una emoji è molto più semplice da capire e permette
a coloro che non parlano la stessa lingua di intendersi a
vicenda. L’ultimo aggiornamento delle emoji risale allo scorso
luglio quando, in occasione del World Emoji Day, era stato
annunciato l’arrivo di nuove faccine dedicate all’inclusività
e alle diversità.

Tra queste sono comparsi cani guida, protesi per gli arti e
sedie a rotelle, nonché un maggior numero di emoticon dedicate
alle etnie e ai diversi generi sessuali. Per ora non è stata
annunciata una data ufficiale del rilascio delle nuove emoji
versione 12.1, ma è normale supporre che le nuove faccine
verranno introdotte durante le prossime settimane attraverso
un aggiornamento di sistema sia su smartphone Android sia su
iOS.

Come dichiarato dall’Unicode Consortium, i nuovi emoji non
sono poi così “nuovi”. Per lo più si tratta di variazioni
applicate alle emoji già presenti. In particolare, 138 sono
state ideate per rappresentare le persone senza però indicarne
il genere, mentre le restanti 30 raffigurano una combinazione
tra le faccine esistenti caratterizzate da una diversa
tonalità della pelle che si tengono per mano.

Sono solo 26 le emoji inedite che rappresentano diversi tipi
di persone con diversi stili di acconciatura. Sono state
inserite persone calve, ricce, insegnanti studenti cuochi,
meccanici, giudici, agricoltori, cantanti e altro ancora.
Tutte le versioni, naturalmente, comprendono entrambe i sessi.
Insomma, le emoji sono pronte a rinnovarsi per stare al passo
coi tempi e ad accompagnarci ogni giorno in tutte le nostre
conversazioni.

F.P.L.
GRID, si torna in pista con
la    serie    racing    di
Codemasters

Dopo 11 anni di assenza Codemasters torna a calcare le
competizioni automobilistiche a ruote coperte con il ritorno
dell’attesissimo GRID.

Sarà riuscita la software house Britannica a ricreare quel mix
di gare spettacolari e immediatezza che tanti giocatori aveva
conquistato nella scorsa generazione?

Secondo noi sembra proprio di si, quindi sia che giochiate su
Pc, che su Xbox One che su PS4, ma soprattutto se cercate un
racing game che vi faccia provare le stesse emozioni del
pasato, GRID è quello che state cercando. Ma andiamo subito a
scoprire il perché.

Una volta avviato il gioco, il menu principale offre subito
tre modalità: la Carriera, la Gara Veloce e il comparto
Multigiocatore.
Naturalmente il fulcro del gioco è rappresentato dalla
Carriera, che abbandona completamente l’impostazione
cinematografica del primo episodio o quella manageriale del
successivo, mettendo sul piatto la classica serie di gare e
campionati senza alcuno spazio per divagazioni di qualsiasi
altro genere.

Abbiamo quindi a disposizione sei Categorie caratterizzate
principalmente dal tipo di vetture coinvolte, ognuna composta
da più campionati che si possono affrontare a piacimento.

Per accedere ai campionati successivi, naturalmente, è
necessario ottenere buoni piazzamenti e, una volta vinti
almeno 10 campionati di una singola categoria, si potrà
accedere agli Showdown finali che, a loro volta, dopo averne
vinti quattro dei sei disponibili, daranno accesso alle GRID
World Series. All’inizio di ogni gara si ha la possibilità di
effettuare le Qualifiche Rapide, evento opzionale che
decreterà la nostra posizione in griglia e che, se non
affrontato, relegherà la vettura del giocatore in ultima
posizione.

Aspetto non di poco conto, vista la brevità che coinvolge
tutte le gare che il gioco propone e che difficilmente si
spingeranno oltre i 5 minuti di durata. Nella carriera si
hanno a disposizione tre tipi diversi di gare: la corsa
tradizionale dove conta il piazzamento finale, quella da punto
a punto su uno dei pochi circuiti lineari presenti e i Time
Attack, che sono identici alle gare tradizionali ma che
decreteranno il vincitore solo ed unicamente in base al tempo
sul giro, ignorando il piazzamento nonostante la contemporanea
presenza degli altri piloti in circuito.

Naturalmente vincendo gare si possono ottenere crediti
necessari all’acquisto di nuove vetture che bisognerà
utilizzare nei campionati successivi, ma oltre a questi si
ricevono anche punti esperienza che serviranno per salire di
livello dando accesso a nuove livree, oppure a nuovi stemmi e
sfondi che ci permettono di personalizzare il profilo pilota e
anche a nuovi compagni di team che si possono ingaggiare nella
propria squadra. Uno degli aspetti peculiari di questo GRID è
inoltre la possibilità di impartire ordini di squadra al
compagno di scuderia tramite l’utilizzo della croce
direzionale. Ad esempio si può chiedere all’ingegnere di pista
di dire al compagno di team di attaccare chi gli sta davanti o
di mantenere la propria posizione.

In GRID la Carriera inizia con un breve prologo/tutorial che
mette il giocatore alla guida di tre diverse auto in
altrettanti eventi nel tentativo di raggiungere il miglior
piazzamento entro pochi giri e qui la guidabilità, le scarse
differenze tra le tre tipologie di auto coinvolte, le “combo”
delle manovre in gara piazzate in sovraimpressione in mezzo
allo schermo ed il commento molto marcato denotano come la
serie sia passata con questo episodio ad abbracciare
completamente la filosofia arcade, abbandonando ogni velleità
simulativa senza troppi pensieri.

Lo stile di guida è molto uniforme anche con vetture
completamente diverse, ignorando parametri fondamentali come
la trazione o anche banalmente il peso delle auto, che si
rivelano tutte agilissime e con una rapportatura cortissima
tanto da portare ad affrontare curve, che normalmente si
dovrebbero affrontare in seconda, anche in quarta.

Discorso analogo anche per il sound dei motori che si rivela
molto simile tra i diversi veicoli, anche quando invece
dovrebbe avere differenze sostanziali a seconda del tipo di
motore utilizzato. Insomma, GRID non è un simulatore di guida,
sia ben chiaro, ma un divertentissimo quanto scatenato arcade
automobilistico puro.

Passiamo ora però all’aspetto cardine del gameplay, ovvero
la guida e il concept delle gare. Innanzitutto si corre sempre
e solo su
tracciati. Niente strade aperte e lunghe traversate. I
circuiti sono misti tra
reali come Brands Hatch, Indianapolis, Sepang o Laguna Seca, e
cittadini come
Barcellona e San Francisco, per un totale di 13 tracciati che
danno vita a 80
diverse variazioni, un numero davvero buono. Su pista corrono
fino a un massimo
di 16 vetture contemporaneamente, con tante auto che si
sfidano
contemporaneamente in circuiti stretti, è facilissimo che si
verifichino spettacolari
incidenti, specialmente alle prime curve. GRID, proprio come
il titolo di cui è
il reboot, implementa un sistema di danni avanzato che
coinvolge non solo
l’estetica ma anche la fisica, con danni alla meccanica che
possono comportare
anche il ritiro dalla gara. GRID però, come abbiamo detto, fa
dell’accessibilità uno dei suoi cavalli di battaglia, e perciò
ci sono diversi
livelli di difficoltà che modificano profondamente lo stile di
guida. Il
livello medio preimpostato è tarato per i novizi, con
traiettorie dinamiche,
freno e accelerazione assistita, cambio automatico, assenza di
danni fatali e
possibilità di rewind in caso di errori grossolani. Tarato
così, il risultato è
molto abbordabile. In parole povere, è facile vincere le gare
di un paio di
giri anche partendo dall’ultima posizione e senza eseguire le
qualifiche. Diverso
è il discorso se si imposta il massimo livello di difficoltà,
con tutti gli
aiuti disattivati, assenza di rewind, e danni meccanici e
fatali attivi. In
questo caso è necessario lottare a ogni curva, facendo
attenzione a non
impattare su avversari e muretti. Anche un minimo contatto in
curva può provocare
un testacoda, compromettendo quasi sicuramente la gara. In
più, senza le traiettorie
dinamiche che indicano anche la velocità consigliata, diventa
tassativo
conoscere a menadito i tracciati se si vuole sperare di
arrivare sul podio.

 Ai livelli più alti
di difficoltà, anche gli avversari diventano più aggressivi e
hanno la propria
personalità grazie a un’IA avanzata; in più reagiscono allo
stile di guida di
chi sta dinanzi lo schermo fino a decidere di innescare dei
veri e propri
duelli, diventando così la nemesi del pilota. Giocando senza
gli aiuti GRID
diventa dunque più realistico, ma il suo DNA rimane sempre
arcade. Tecnicamente
parlando GRID utilizza il celebre Ego Engine di Codemasters
che, sebbene riesca
ancora ad offrire un discreto colpo d’occhio ed una buona
fluidità specialmente
su Xbox One X, comincia a mostrare il peso degli anni. I
modelli delle vetture
sono buoni, forti anche di un discreto sistema di danni che ne
influenza le
prestazioni e che potrà portare ad una fine prematura della
gara dopo aver
subito dei danni irreversibili, ma sono assenti tocchi di
classe o cura
certosina nei dettagli degli interni come invece possiedono i
titoli più famosi
del genere automobilistico. Discorso analogo anche per quel
che riguarda la
realizzazione dei circuiti, infatti, il motore grafico fa il
suo dovere senza
però mai spingersi al massimo sebbene l’orizzonte visivo e gli
effetti meteo
come i riflessi delle fonti di luce o la pioggia riescano ad
offrire un quadro
globale più che discreto. Parlando del comparto
multigiocatore, esso non offre
particolari spunti, offrendo solo la possibilità di effettuare
una gara veloce
o quello di creare una partita privata. Carina l’idea di
creare una sala
d’attesa ambientata in un circuito ad 8 in cui sfidarsi in un
rapido
Destruction Derby prima dell’inizio della gara vera e propria.
Peccato che la
scarsa popolazione dei server fa si che spesso e volentieri le
gare siano miste
fra piloti controllati dalla I.A. e persone vere. Tirando le
somme, questo GRID,
nonostante i suoi limiti, è un prodotto per chi cerca un
prodotto meno
simulativo e più arcade, con una grafica buona, che mostri i
danni ad ogni
collisione e    che   possa   far   passare   qualche   ora   di
divertimento. Se tutto quel
che si vuole è quanto detto allora il titolo di Codemasters è
quello che fa per
voi. Se invece si cerca qualcosa di più simulativo è meglio
navigare verso
altri lidi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8
Gameplay: 8,5

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise

Surface Laptop 3 e Pro 7
arrivano negli store italiani

Dopo il lancio dello scorso 2 ottobre, Microsoft annuncia la
disponibilità in tutt’Italia di Surface Laptop 3, acquistabile
nei formati da 13,5 pollici, da 15 pollici, e di Surface Pro
7.

I nuovi device, nati dall’evoluzione dei due modelli
precedenti per offrire all’utente una maggiore potenza e
un’esperienza d’uso senza precedenti, vanno ad ampliare la
famiglia dei dispositivi targati Surface, la linea di
Microsoft sinonimo di eccellenza, qualità e design. Perfetta
combinazione tra potenza ed eleganza, Surface Laptop 3,
disponibile in entrambe le sue varianti, si propone come il
laptop perfetto per ogni giorno, è due volte più veloce e
garantisce un’autonomia che consente di utilizzare il
dispositivo per l’intera giornata lavorativa. Entrambi i
formati sono dotati sia della porta USB-A sia di quella USB-C
e supportano un processore Intel Core di decima generazione.
In più, per chi desidera prestazioni grafiche senza
precedenti, Surface Laptop 3 da 15’’, garantisce performance
grafiche migliorate grazie al nuovo processore AMD Ryzen
Surface Edition presente nella versione Consumer.

Surface Laptop 3 è disponibile anche nell’elegante colorazione
Black, arriva sul mercato a partire da 1.169€ per il 13
pollici e 1.399€ per il 15 pollici. E’ disponibile per
l’acquisto anche il nuovo Surface Pro 7, device perfetto per
chi non vuole rinunciare al comfort e alla versatilità di un
2-in-1. Pro 7, che include il processore Intel Core di decima
generazione e integra sia la porta USB-A sia quella USB-C,
garantisce una velocità due volte maggiore rispetto al modello
precedente.

Surface Pro 7 è disponibile a partire dal prezzo consigliato
di 919€. Al fianco delle configurazioni Consumer, la linea
Surface propone Laptop 3 e Pro 7 anche nella versione
commerciale, sfoggiando feature studiate appositamente per le
esigenze aziendali, come ad esempio l’inclusione di Windows 10
Pro, Advanced Exchange Service 10 senza costi aggiuntivi e il
supporto per Windows Autopilot. Le aziende che desiderano
ampliare il proprio parco macchine e scegliere il meglio della
tecnologia per incrementare la produttività, possono
acquistare Surface Laptop 3 da 13,5 pollici e da 15 pollici
sul Microsoft Store e presso i rivenditori autorizzati
rispettivamente a partire da 1.269€ e 1.499€, e Surface Pro 7
a partire da 1.019€.

Francesco Pellegrino Lise

Ombre dal Profondo, il lato
oscuro della Luna apre l’anno
3 di Destiny 2

Con Ombre dal Profondo, uscito il primo ottobre su Pc, Xbox
One e Ps4, prende il via l’anno 3 di Destiny 2. Con questa
nuova espansione finalmente lo sparatutto Sci-Fi targato
Bungie sembra aver preso la giusta direzione e di seguito vi
spiegheremo per filo e per segno tutto quello che c’è da
sapere. Prima di esaminare le novità introdotte per questo
terzo anno, però, è bene ricordare che il 2019 è stato un anno
turbolento in casa Bungie, tra la scissione con Activision e
l’acquisizione della totale indipendenza, si sono spalancate
le porte a molteplici possibili scenari. Scenari che hanno
portato a grosse novità. Destiny 2, infatti, è diventato
ufficialmente free to play e per i giocatori pc è approdato su
Steam. Ovviamente la versione gratuita è quella base (qui la
nostra recensione) che comprende il primo anno di contenuti, e
sebbene questa scelta potrebbe sembrare soltanto la naturale
adozione di un modello di business differente, rappresenta in
realtà una vera e propria presa di posizione sul prodotto
attualmente in commercio. Tale decisione fa presumere
l’intenzione da parte della software house statunitense di
continuare a supportare il brand senza saltare subito, come
molti temevano, a un terzo capitolo. Con Ombre dal Profondo,
Bungie non offre solo nuovi contenuti e mappe ma un nuovo modo
di giocare a Destiny 2 modificando le dinamiche che hanno
caratterizzato The Forsaken (qui la nostra recensione) e
migliorando il tutto. Questo nuovo dlc riporta i giocatori
sulla Luna, quindi per chi è un fan di vecchia data sarà un
vero e proprio ritorno alle origini, mentre per i nuovi
giocatori ci sarà davvero tanto da esplorare e fare.

La Luna in versione Destiny 2 è una Luna molto simile ma
nello stesso tempo differente rispetto a quella esplorata nel
titolo originale.
Un’intensa attività    sismica   ha   attirato   l’attenzione
dell’Avanguardia e
ovviamente il protagonista viene chiamato ad indagare sulla
presenza
dell’Alveare e delle inquietanti presenze dell’Oscurità che
hanno invaso nuovamente
il satellite della Terra. L’Alveare ha iniziato a diffondersi
su tutta la
superficie e oltre, costruendo l’imponente e inquietante
Fortezza Scarlatta. In
Ombre dal Profondo fa il suo ritorno anche Eris Morn, la
misteriosa cacciatrice
che ha osservato i movimenti dell’Alveare sin dalla morte di
Oryx, il re dei
corrotti. Eris, che ha la funzione di Npc della nuova area di
gioco, mostrerà
una piramide nera sepolta sotto la superficie della Luna che
sembra generare
una forte Oscurità per contrastare la Luce del Viaggiatore. Lo
scopo dei guardiani
in Ombre dal Profondo sarà quindi quello di scoprire i misteri
della piramide e
penetrare al suo interno per svelare cosa si celi dietro alle
inquietanti
presenze generate dall’Oscurità. La lore introdotta con il
nuovo DLC ci è
sembrata interessante e ben realizzata. Bungie ha chiaramente
puntato
sull’effetto nostalgia dei giocatori di vecchia data,
riuscendo chiaramente
nell’intento. Il ritorno di vecchie ambientazioni e personaggi
si incastra
perfettamente con le novità introdotte, accontentando sia i
veterani che i neo
giocatori. La “nuova” area è ricca di dettagli e ambientazioni
fantastiche che
arricchiscono il già ampio universo di Destiny 2. Le missioni
della storia sono
ben equilibrate e si amalgamano davvero bene con le attività
sia vecchie che
nuove. Assalti, Cala La Notte, Azzardo, Serraglio, Crogiolo e
Stendardo di
Ferro vengono affiancati dalle cacce agli incubi, le Invasioni
Vex e il raid
introdotto da una decina di giorni. Insomma il tutto sembra
funzionare bene. Se
a questo si affianca un nuovo livello di luce da raggiungere,
nuove
caratteristiche e statistiche per le armature e l’introduzione
di un artefatto
stagionale che offre vari bonus, il tutto si traduce in
moltissime ore di gioco
extra. Se proprio si vuole trovare un difetto in Ombre dal
profondo, esso è la
miriade di cose che settimanalmente si devono fare per
progredire in maniera
seria con uno o più personaggi.

Durante il passaggio tra il primo al secondo capito di
Destiny, la sensazione era che il target a cui volesse
rivolgersi fosse cambiato,
con l’intenzione di aprirsi a un bacino di utenza più
occasionale, a discapito
dei player più hardcore che in realtà spendevano tempi di
gioco maggiore tra i
mondi del sistema solare. Inutile dire, i risultati di questa
scelta si sono
visti e I Rinnegati è stato soltanto il primo passo nel
tentativo di cambiare
rotta. Con Ombre dal Profondo, questa inversione di tendenza
si potrebbe dire
completata e Bungie sembra avere come primo obbiettivo, quello
di dare maggiore
profondità alle dinamiche che regolano la giocabilità. La
prima grande novità
di Ombre dal Profondo riguarda le armature, aggiornate ora
alla loro versione
2.0. Queste adesso hanno ben sei statistiche, ovvero mobilità,
resilienza,
recupero, intelletto, disciplina e forza, e ogni singolo pezzo
fornisce
casualmente ognuna di queste sei caratteristiche. Inoltre,
ogni pezzo potrà
essere potenziato fino al livello di energia 10, che
rappresenta
sostanzialmente il numero di punti spendibili nelle modifiche
equipaggiabili.
Perché sì, i pezzi di armatura non hanno più perk casuali, ma
solo spazi per le
mod. Queste sono ottenibili dai giocatori semplicemente
giocando, tra drop
casuali e ricompense e sbloccabili in maniera permanente. Vien
da sé come la
personalizzazione del proprio equipaggiamento e delle proprie
build acquisisca
quindi una profondità notevolmente superiore che non in
passato, dando piena
libertà ai giocatori di sperimentare a proprio piacimento, a
patto naturalmente
di aver ottenuto o acquistato le mod necessarie. La novità più
interessante di
Ombre dal Profondo però è senza dubbio il manufatto, da non
confondersi con gli
artefatti visti in precedenza nel terzo anno del primo Destiny
con i Signori
del Ferro. Questo, piano piano che si potenzierà, consentirà
di spendere i suoi
punti per sbloccare modifiche uniche, da utilizzarsi poi nelle
proprie armi e
armature. Queste mod varieranno da quelle più semplici, che
costano un semplice
punto energia delle armature, a quelle più efficaci, dal costo
che raggiunge
persino le 7 unità, ma dagli effetti considerevoli o dedicati
solo al raid. Una
volta potenziato al massimo, l’esperienza che viene guadagnata
lo farà livellare
ulteriormente, dando ai guardiani livelli di potere bonus, che
andranno a
sommarsi al livello luce del personaggio. Sebbene questi
valori aggiuntivi non
si rifletteranno nel potere delle ricompense, virtualmente il
livello totale
del guardiano potrà ora aumentare all’infinito. C’è da
sottolineare una cosa
importante però: questi manufatti sono definiti stagionali,
perché dureranno
soltanto il tempo della stagione in corso. Quindi una volta
che si darà il via
alla nuova stagione, cambiando l’artefatto, si perderanno
tutti i bonus e i
punti luce extra ottenuti e si dovrà livellare di nuovo per
guadagnare i
benefici che saranno disponibili. Tale
escamotage rende Ombre dal Profondo un gioco vivo e che per
essere goduto
pienamente avrà bisogno di essere giocato per moltissime ore.

Per quanto riguarda la nuova area di gioco offerta da Ombre
dal Profondo, la Luna, essa è stata integrata perfettamente,
ricostruendo
fedelmente tutte le aree esterne e gran parte di quelle
sotterranee, con le dovute
modifiche causate dall’attività      dell’alveare    e   con   il
dettaglio naturalmente
aumentato. Ma non è tutto qui, sono state aggiunte anche un
buon quantitativo
di nuove aree, come il Porto del Tormento, o tutti i
claustrofobici tunnel
sotto la Fortezza Scarlatta,      molto   ben   caratterizzati,
costruiti in puro stile
alveare, amalgamati perfettamente alle vecchie aree e senza
dare quella
spiacevole sensazione di distacco tra vecchio e nuovo, e
soprattutto sono
sufficienti a giustificare la re-introduzione della Luna. Se
la location però
viene promossa a pieni voti, un discorso analogo non si può
certamente fare per
la campagna principale, che ha come quasi unico risultato
quello di lasciare
una strana sensazione. Ovviamente ogni stagione,
differentemente da quanto
visto in The Forsaken, offrirà un pezzo di storia in più, però
la storia
raccontata è veramente troppo breve. Era chiaro fin dai primi
trailer
rilasciati in estate che gli eventi narrati in Destiny 2 fino
al lancio di
Ombre dal Profondo avrebbero portato i guardiani ad
affrontare, alcune delle
peggiori minacce che si sono dovute fronteggiare negli ultimi
cinque anni, da
Crota fino a Ghaul, e a onor del vero Bungie non ha nemmeno
voluto far passare
gli Incubi come una novità: sono quel che sono, degli incubi
che ci tormentano,
e gran parte della narrazione ruota attorno a questo concetto.
Il problema di
fondo è che nelle circa 6 ore necessarie a completare la
storia principale,
composta da missioni principali, secondarie e assalti, si va
davvero poco oltre
questo concetto, con un finale che lascia si la curiosità, ma
a cui si arriva
con un climax crescente       che   chiaramente   non   genera
l’esaltazione sperata,
sfociando in una conclusione momentanea che porta
inevitabilmente il giocatore
a chiedersi “e adesso?”. La sensazione è chiaramente che la
narrazione non si concluda lì, e a dirla tutta, Bungie ha
fatto esattamente
quello che aveva detto che avrebbe fatto, ossia sviluppare la
narrazione lungo
tutto l’anno, non limitandosi alle sole missioni principali e
non soltanto alla
stagione attualmente in corso. Fortunatamente però il bello di
Destiny è che una
volta finita la campagna ha inizio il vero gioco: taglie
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