La situazione dell'industria automobilistica nel mondo all'inizio del 2010.

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La situazione dell'industria automobilistica nel mondo all'inizio del 2010.
La situazione dell’industria
automobilistica nel mondo all’inizio
del 2010.
Un rapporto a cura di Francesco Garibaldo per la Provincia di Torino.
Bologna, 30 aprile 2010.

                           1. Tendenze convergenti e divergenti.

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Il punto di partenza di questo rapporto è la constatazione del formarsi e
consolidarsi di trend divergenti tra le diverse aree del mondo. Se, infatti, la
situazione globale è condensata in poche cifre:una capacità produttiva pari a 80-
90 milioni di auto/anno contro una domanda di 50 milioni di auto/anno, cioè una
situazione di eccesso di capacità produttiva, il quadro cambia quando si
guardano le differenti aree geo-economiche e le grandi imprese assemblatrici ( in
gergo OEM).

Il seguente grafico1 rende conto di tali differenze:

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
1Questo grafico e i seguenti sono presi dalla relazione del professor Juergens al seminario di Torino
del 14 e 15 Aprile 2010.

	
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Come si vede chiaramente la crisi ha creato una divergenza di andamenti nelle
immatricolazioni di auto tra Cina, India e Brasile, da un lato, e USA, Europa (Unione
Europea + EFTA) e Russia, dall’altra. L’andamento divergente inizia nel 2007 per
USA ed Europa, nel 2008 per gli altri. Le velocità di caduta delle vendite, così
come quella di crescita, sono chiaramente coerenti con l’andamento del PIL
delle varie aree.2 D’altronde l’industria dell’auto è parte dello scenario della crisi
ed anche delle sue vie di superamento.

Secondo il Boston Consulting Group le previsioni di vendita del settore
automobilistico, sino al 2014, sono buone, ma non per i paesi della cosiddetta
triade, cioè l’America del Nord (Stati Uniti e Canada), l'Europa Occidentale
(Unione Europea + Norvegia e Svizzera) e il Giappone e la Corea del Sud. Il trend
quindi innescatosi con la crisi si stabilizzerebbe, con valori differenti, anche a crisi
superata.

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
2        Vedi grafico 1 della relazione di Juergens.

	
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D’altronde in Cina nel 2009 si sono venduti 13milioni e 640mila veicoli (di cui
10milioni e 380mila sono auto), con un incremento delle vendite pari al 46,2%, che
in termini assoluti significa 4milioni e 260mila veicoli in più, pari alle vendite
giapponesi di sole auto del 2009.

Se prestiamo fede ai piani della Repubblica Popolare Cinese la situazione è
ancora più netta3.

Dato che i cinesi ritengono che la loro crescita economica generale sarà elevata,
stimano che il ritmo di crescita dell’industria automobilistica cinese sarà tra l’8 e
l’11% all’anno nel prossimo decennio; il che significa che la produzione annuale di
auto raggiungerà i 19 milioni/anno per il 2015 e più di 28 milioni nel 2020. Le auto in
proprietà in Cina passerebbero, secondo questa previsione, dai 63 milioni attuali,
cioè 5 auto ogni 100 abitanti, a 130 milioni nel 2015, cioè 9,7/100 abitanti, e a 200
milioni nel 2020, cioè 14,9/100 abitanti ( in Europa le auto circolanti nel 2007 erano
218 milioni). Sono cifre sbalorditive ma che hanno alle spalle il fatto incontestabile
che l’industria automotive cinese è cresciuta nel periodo 1999 -2008 mediamente
del 19,8% all’anno.

La loro capacità produttiva, che era nel 2009 di 17,05 milioni di auto finite,
crescerà di conseguenza; non esiste, in nessun momento, per l’industria cinese un
problema di eccesso di capacità produttiva.4 Inoltre il governo cinese ha messo
nel 12mo piano quinquennale l’industria che loro chiamano della “nuova
energia”, cioè l’energia verde, tra le sette industrie strategiche emergenti, cioè
quelle sostenute da misure fiscali e da riduzioni delle tasse. La produzione di
automobili completamente elettriche fa parte di questo piano e sarà sostenuta
da un investimento pubblico di 1,46 miliardi di dollari, tra il 2009 e il 2011, con
l’obiettivo di raggiungere tra il 5 e il 10% delle vendite totali di automobili.

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
3 Tutti i dati citati sulla Cina vengono dalla presentazione del professor Xjanjun Li al seminario di
Torino, già citato.
4 Il mercato cinese vede la presenza di un numero elevato di produttori ma i primi 4 coprono il

61,7% del mercato, i primi 8 l’82,11% e i primi 10 l’87,15%. Vi è quindi una significativa
concentrazione; è difficile dire oggi se un consolidamento del mercato cinese sia in vista oppure
no, dato che anche quote di mercato piccole di un mercato così grande vanno considerate nel
loro valore assoluto che può raggiungere le dimensioni di scala minima. Ciò potrebbe rivelarsi
particolarmente vero per le auto elettriche.

	
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L’investimento pubblico è destinato alla ricerca tecnologica e alla produzione di
componenti speciali per le vetture elettriche. Infine in Cina il 55,65% dei veicoli e il
44% della automobili sono prodotti da produttori cinesi, senza joint venture.

Come è avvenuto ciò? La chiave di tutto è il trasferimento tecnologico che le
aziende occidentali hanno dovuto garantire in cambio dell’apertura, tramite joint
venture, del mercato cinese. La Cina ha poi investito molto sulla formazione di
quadri e lavoratori per il settore automotive considerato una chiave verso
l’acquisizione di tecnologie e competenze, comprese quelle manageriali,
eccellenti in Occidente.5 Il processo di apprendimento e trasferimento è avvenuto
in tempi più rapidi di quanto avvenne in Giappone dopo la fine della seconda
guerra mondiale. Una delle conseguenze meno considerate è quella del grado di
autosufficienza del sistema industriale cinese. Nei paesi emergenti accade che
avendo il paese emergente una relativa arretratezza tecnologica deve importare
le parti a maggior valore aggiunto del processo produttivo che ospita. Tali parti
hanno un contenuto di valore che comprende i salari del paese che delocalizza;
quindi la parte più rilevante in termini di valore del processo è stata pagata al
valore dei salari del paese di origine che sono più elevati. In tali casi che il paese
ospitante abbia un forte differenziale salariale conta in modo modesto, tanto più il
processo produttivo riguarda prodotti ad alto valore aggiunto di competenze
professionali e tecnologia. La Cina è sempre di più un paese ad alta competenza
professionale e tecnologica, quindi in molti settori il processo produttivo
complessivo è sempre più radicato in Cina, come dimostra la progettazione
realizzata completamente in Cina della nuova “concept car” Peugeot chiamata
“Metropolis”.6 I differenziali salariali e normativi, quindi, hanno un peso eguale su
tutte le attività, aggiungendo un ulteriore elemento di competitività.

Se lo stesso quadro viene visto dal punto di vista dei produttori la situazione
cambia ulteriormente.

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
5Per un’analisi del processo si veda:
GARIBALDO F. - MORVANNOU P. - THOLEN J. (2008). Is China a Risk or an opportunity for Europe: An
assessment of the Automobile, Steel and Shipbuilding Sectors. Frankfurt am Main, Peter Lang, 2008.

6	
  Le                       Monde, 19/04/2010.

	
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Se si guarda il periodo 2007-2009 e si considerano i maggiori assemblatori finali
(OEM) si osservano situazioni divergenti; mentre, infatti, tutti calano, la Volkswagen
e la Hyundai/Kia crescono. Il 2010 vede poi, nel gruppo Volkswagen, una forte
crescita dell’Audi, secondo loro il miglio risultato di sempre, e una generale ripresa
di tutta l’industria automobilistica tedesca, compresa la Mercedes, trainata dalle
vendite nei paesi emergenti e specialmente in Cina. Se guardiamo alla Cina nel
2009 Audi, Bmw e Mercedes hanno avuto consistenti aumenti delle vendite e i
produttori europei presenti hanno complessivamente aumentato le quote di
mercato.

Si determina così, sia pure parzialmente, la possibilità che i risultati operativi di un
OEM, tra quelli più rilevanti, siano disgiunti non solo dai risultati nella nazione
d’origine, cosa già vera da tempo, ma dai mercati tradizionalmente leader, come
quelli della triade. Si può ipotizzare, infatti, che gli OEM europei dipendano sempre
più, nel prossimo futuro dai risultati di mercato nei nuovi mercati emergenti; ad
esempio il mercato cinese è il più grande mercato di un unico paese per la
Volkswagen, che non a caso ha deciso di investire 6 miliardi di euro in Cina nei
prossimi 3 anni. Affermazione, quest’ultima, che va bilanciata con la propensione
all’export dell’industria cinese, cosa peraltro esplicitamente teorizzata dal governo
cinese come uno dei punti del piano 2009-2011 di riassestamento e rivitalizzazione
dell’industria    dell’automotive   (“Automotive      Industry   Readjustment      and
Revitalization Plan”).

I due processi potrebbero non confliggere, per un periodo significativo grazie alla
segmentazione dei mercati, lasciando cioè ai produttori europei, specialmente
per l’export, il segmento premium del mercato.

           1.2.     La segmentazione e la trasformazione dei mercati.
Come è cambiata la domanda di automobili in seguito alla crisi? Tra le varie
tendenze europee ne emergono due molto significative.

Germania e Francia.
La prima è la resistenza del modello tedesco di esportazione di automobili nell’alto
di gamma, quelle definite “premium”, con ottimi margini di guadagno; tolta la

	
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Mercedes e la Opel, per la nota crisi GM, le altre hanno nel 2009 tenuto e tutte
hanno ripreso nel 2010. In questi casi il ruolo delle vendite nei paesi BRIC è stato
rilevante. La Germania è inoltre particolarmente forte nella capacità, grazie
all’export, di miscelare volumi, cioè numero di auto vendute, e diversificazione di
prodotto con un’offerta che copre un’ampia gamma di possibilità. Il modello
quindi si basa sull’export come condizione di successo.

Il modello orientato all’export, o neomercantilista, tedesco di cui l’auto è una
parte ha delle condizioni e delle modalità precise di funzionamento, con evidenti
conseguenze macroeconomiche e sociali. Secondo alcuni autori (Danninger &
Joutz, 2007: 3-8)7, il boom delle esportazioni tedesche, si è basato, sin dagli anni
‘90, su grandi incrementi di produttività, senza nulla riservare al miglioramento
delle condizioni generali dei lavoratori (salari, benefit sociali e condizioni di lavoro);
viceversa vi è stata una moderazione salariale ed una riduzione delle misure
sociali con una riduzione del mercato interno. La situazione si era aggravata con
la delocalizzazione della produzione a paesi a bassi salari, anche all’interno
dell’area europea a 27, per realizzare una strategia di esportazione molto
aggressiva.La strategia imprenditoriale, quindi, su come superare i limiti dovuti alla
tradizionale situazione di alti salari nella Germania del dopo guerra si è
profondamente modificata negli anni ’90. Vi è stato un massiccio spostamento
dalla strategia dell’automazione degli anni ’70 e ’80 a quella basata sulla
delocalizzazione delle attività upstream8 principalmente nell’Est europeo e
parzialmente, con un forte ruolo del Nord Italia, a alcuni paesi della vecchia
Europa a 15. Vi è stato contemporaneamente un così alto trasferimento
d’investimenti nell’Est europeo da fare dire a Sinn (2006: 6): Le aziende tedesche

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
7  Essi analizzano l’importanza di 4 ipotesi esplicative: (i) un miglioramento della competitività sui
costi dovuta alla moderazione degli accordi collettivi dalla metà degli anni ‘90; (ii) legami con
partner commerciali con rapidi ritmi di crescita come risultato di un buon mix di prodotti, o relazioni
commerciali stabili e di lungo periodo;(iii) la crescita della domanda di esportazione di beni
capitali come risposta alla crescita globale delle attività di investimento, e (iv) modelli di
produzione localizzati attraverso la delocalizzazione della produzione a paesi a bassi salari, resa
possibile in parte grazie all’integrazione economica. Gli autori sottolineano l’importanza del
secondo e quarto fattore.
8 Cioè quelle attività che compongono i vari anelli della catena produttiva che alimenta la

produzione del prodotto finale.

	
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sono oggi impegnate in uno sciopero degli investimenti, per usare una definizione
Marxiana.9

In realtà i margini di profitto così ottenuti hanno consentito di investire in prodotti
ad alta tecnologia. La logica di questa strategia consiste nel fatto che investimenti
ad alta tecnologia possono garantire alla Germania un vantaggio competitivo
rispetto a India e Cina, rendendo il segmento medio alto di questi mercati di
massa aperti e disponibili per le loro esportazioni, in un infinito inseguimento
tecnologico da parte di India e Cina. La Germania segue lo stesso concetto
anche nel caso delle auto piccole; se i consumatori chiedono oggi auto piccole,
ad esempio per i grandi agglomerati urbani, si tratta di fornirgliele ma con
“contenuti” e “prestazioni” che ne facciano un auto “premium”, cioè con buoni
ritorni economici.

Verso le auto piccole?
La seconda tendenza è la crescita delle vendite nei segmenti più bassi, ad
esempio la Logan.
Questa tendenza ha radici lontane in Europa, infatti, dall’inizio degli anni ’90 vi è
una chiara tendenza all’aumento delle vendite delle auto piccole, tendenza che
ha subito una prima accelerazione nel 2006, e una seconda più forte nel 2009 sino
a coprire il 44,7% delle auto registrate. Nello stesso periodo in Europa erano calanti
le vendite delle “medio basse”, sino al 29,7%, e delle “medio alte”, sino al 15,1%, e
si registrava una modesta oscillazione delle auto “executive”, cioè dei modelli
premium, tra il 10 e il 15% delle auto registrate.
Nel 2009 tale tendenza si è manifestata anche in Germania, terra tradizionalmente
orientata a segmenti più elevati; infatti, a parte le 4x4, gli unici segmenti che sono
cresciuti sono stati, in ordine d’importanza, quello delle compact, delle piccole e
delle mini. In Germania questa situazione si è esattamente invertita nel 2010
quando, gli investitori istituzionali che si erano astenuti dagli acquisti nel 2009, sono
ritornati sul mercato. Vi sarebbe quindi, in Germania, una diversità di orientamenti

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
9Lo spostamento è stato così rilevante da produrre, secondo Sinn, una riduzione dal 36 al 33% della
quota di valore aggiunto, realizzata in casa, nella produzione manifatturiera.	
  

	
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all’acquisto secondo il peso che assumono gli acquirenti singoli.
In Francia la situazione è ancora più marcata e fa intravvedere un nuovo
segmento di mercato. Contrariamente ad ogni previsione, infatti, la Logan,
pensata per i mercati dell’Est e prodotta in Romania, è quarta per volumi di
vendite nel 2009 e all’inizio del 2010. Tale è il successo che, tenendo conto dei
volumi e dei bassi costi di produzione, grazie alla rilevanza del cross over, si ritiene
che essa possa essere prodotta in Francia, mantenendo dei buoni margini di
ritorno. Sembra quindi che quando si raggiunge un determinato livello di prezzo
per un’automobile, che comunque rispetta gli standard europei, i consumatori
che tradizionalmente si rivolgevano costantemente all’usato decidono di passare
all’acquisto di un automobile nuova.

I consumatori europei.
Le due tendenze tedesche e francesi, fotografano la realtà europea e portano in
primo piano alcuni problemi che riguardano sia le politiche delle case
automobilistiche che le politiche dei governi nazionali e dell’Unione Europea.

Il primo problema riguarda i nuovi orientamenti dei consumatori in Europa.
Abbiamo visto, da un lato, che vi è una tendenza di lungo periodo verso le auto
piccole. Il mercato europeo, secondo questi dati ventennali si comporrebbe di
una fascia che oscilla tra il 40 e il 50% di auto piccole, un quasi 30% di medio-
piccole ed una quota che oscilla tra il 20 ed il 25% tra medio-alte ed executive, la
fascia a maggior ritorno economico per i produttori. Il mercato USA viene spinto
dalla crisi, dal crescente costo dei carburanti e da specifiche iniziative del
governo verso le medio-basse e le piccole. Il mercato indiano è decisamente
orientato verso le piccole anche povere di “contenuto”. Il mercato sud
americano appare più orientato sulle medie e comunque chiede auto con un
“contenuto”, e quello Cinese sembra dividersi tra una domanda “ricca” che vuole
le auto premium europee, anche come segno di status, e un mercato di massa
aperto a tutte le altre gamme e rifornito anche dai produttori cinesi-cinesi.
Se torniamo quindi alla divisione iniziale tra la “Triade” e i paesi “BRIC” vediamo
che nella Triade, vi è un progressivo spostamento a favore di vetture medio-

	
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piccole; nei paesi BRIC, cioè le aree che rappresentano ampi mercati per l’auto
nel prossimo futuro, la domanda copre tutta la gamma, ma le dimensioni minime
del mercato sono tali che, specialmente in Cina ed India, una domanda
proporzionalmente non rilevante di un qualsiasi segmento si traduce in numeri
assoluti perfettamente in grado di rappresentare una significativa economia di
scala per i produttori di quel segmento. Per fare un esempio se il settore executive
valesse, in Cina, il 10% del mercato, come è oggi in Europa, e se le previsioni cinesi
fossero esatte, si avrebbero, solo in Cina, nei prossimi 10 anni, in valore assoluto, da
1,9 a 2,8 milioni/anno di auto executive vendute ogni anno, reddito permettendo.
Per avere qualche termine di paragone, tutta la produzione tedesca tra il 2007 e il
2009 è stata tra i 5 e i 6 milioni di vetture; nel 2009 l’Audi ha immatricolato in
Europa 614.299 vetture, la Porsche 33.000, la Mercedes (senza la Smart) 772.891,
infine la BMW ( senza la Mini) 573.437.
Queste cifre e queste considerazioni sui mercati sono importanti perché come già
sottolineato precedentemente si sta determinando una situazione che vede
sommarsi varie tendenze:
       a)   Nell’ambito dell’Europa a 27 la delocalizzazione delle attività
       upstream dei principali produttori europei, compreso il montaggio finale,
       nei paesi a costi più bassi. Tale delocalizzazione di norma serve a coprire il
       mercato UE;
       b)   Un’ulteriore delocalizzazione ad Est, verso i paesi vicini ma extra UE,
       con lo scopo sia di coprire il mercato UE sia i mercati locali;
       c)   La corsa alla presenza nei paesi BRIC per soddisfare i mercati locali,
       con un forte trasferimento tecnologico, molto marcato in Brasile e Cina,
       che porta progressivamente quei paesi a una significativa autonomia
       tecnologica.
Le scelte a) e b) hanno comportato una riduzione più o meno significativa della
forza lavoro impiegata nella UE a 15 con effetti sociali dirompenti nel momento
della crisi; crisi per altro non superata visto che le previsioni, anche della Fiat,
dicono che l’esaurirsi delle politiche di rottamazione produrranno una seconda
caduta del mercato europeo quanto meno nella seconda parte del 2010 ( quello
che nella letteratura economica è definito come “double dip”, doppio tuffo).

	
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La scelta c) determina delle nuove economie di scala che spostano il baricentro
produttivo e commerciale verso le aree BRIC; il che implica che è perfettamente
possibile raggiungere economie di scala significative anche in una ipotesi di forte
segmentazione della domanda nel mercato globale e che è possibile per un
produttore separare sempre di più quote rilevanti della produzione dal suo
radicamento originario. Discorso più complesso è quello che riguarda le funzioni
strategiche. In poche parole possono coesistere una domanda interna europea
poco performante e performance produttive e di profitto brillanti per i produttori
europei; come già illustrato nel caso tedesco ciò ha delle forti implicazioni sociali
sia per i lavoratori che, più in generale, dato il peso occupazionale ed economico
del settore allargato, che per la società europea.
Occorre, d’altronde, registrare nuovi orientamenti di consumo in Europa che
considerano la possibilità di fare a meno dell’auto. Secondo una ricerca Ipsos,
commissionata da Europcar nel 2009, in Germania il 10% dei rispondenti ha preso
in considerazione l’idea di rinunciare all’auto o a una delle auto famigliari; il 19%
non ha deciso ma potrebbe farlo nei successivi 6-12 mesi, un totale del 29%. La
ragione dominante riguarda le spese connesse alla proprietà di un automobile. La
stessa ricerca registra il 39% in Europa, contro il 29% tedesco, il 55% degli italiani, il
47% degli spagnoli e il 40% dei Francesi. Tra i giovani, anche in Giappone, queste
tendenze sono molto presenti anche per la minore disponibilità di reddito e di un
reddito fisso, a causa delle deregolamentazione del mercato del lavoro.

La demografia.
Infine vi sono le tendenze demografiche. In primo luogo l’emergere di Megacity,
cioè di grandi conurbazioni urbane. Esse determinano un ulteriore segmentazione
dei mercati. In questo caso la segmentazione può avere diverse determinazioni.
La prima è quella della divisione tra un mercato urbano e uno extraurbano, con
domande di mobilità differenti, almeno in Europa e Nord America; ormai infatti la
maggior parte della popolazione mondiale vive in ambienti urbani. In questi
ambienti urbani, infatti, un insieme di fatti (l’inquinamento, la congestione del
traffico, nuove e sempre più stringenti norme di regolazione degli accessi, il
problema dei parcheggi) rendono l’auto tradizionale sempre meno efficiente nel

	
                                                                                     10	
  
garantire la mobilità, tanto più quanto questi ambienti siano infrastrutturali con
altre forme di mobilità ( dagli autobus per passare dalla metropolitana). Si
sottolinea l’aggettivo “tradizionale” per connotare l’auto, introducendo così la
seconda possibile determinazione, va,infatti, prendendo piede l’idea che si
possano progettare dei mezzi di mobilità che non pretendono di dare risposte
universali alla mobilità delle persone ( da casa – lavoro urbano su brevi e
brevissime distanze a percorsi lunghi con velocità sostenute)ma risposte molto
specifiche. Secondo McKinsey si possono identificare dei segmenti in base
all’obiettivo di chi guida il mezzo, ad esempio tra chi gira in città e chi fa il
pendolare. Si possono quindi progettare nuovi strumenti di mobilità, con tre o
quattro ruote, con una gamma di funzioni molto specifiche; essi sarebbero anche
più economici sia come veicoli che come spese di gestione. Non a caso l’Audi
sviluppa un nuovo concept per le Megacittà.
Viceversa in molte parti del mondo, compresi alcuni ambienti urbani nei paesi
emergenti, non vi sono soluzioni disponibili all’auto tradizionale.

        2.   Strategie d’impresa, stati e regioni in Europa.	
  

                Motori a combustione ed elettrici.
Tutte le maggiori case automobilistiche hanno in cantiere, a stadi più o meno
avanzati di ingegnerizzazione e di lancio sul mercato, di automobili elettriche. Esse
possono essere distinte in varie categorie:

       1.    Hybrid Electric Vehicle, cioè un veicolo elettrico ibrido (HEV) che utilizza un
       motore endotermico per le tratte extraurbane e quelle urbane non sottoposte a
       limitazioni e il motore elettrico per i necessariamente brevi tratti in cui è
       necessario non avere emissioni; inoltre il motore elettrico aiuta a ridurre i consumi
       di carburante assistendo il motore endotermico. L’autonomia con il solo motore
       elettrico e di pochi chilometri. La ricarica avviene con varie tecniche quali la
       produzione di energia a ogni frenata, o mantenendo in movimento un
       generatore elettrico che ricarica una batteria o fornisce direttamente l’energia

	
                                                                                       11	
  
al motore,ecc. Vi è già dal 1997 la Toyota Prius seguita dall’Honda Insight nel
       1999 e poi Honda Civic, Toyota Camry, Ford Fusion e Escape,ecc.
       2.   Plug in Hybrid Electric Vehicle, cioè un veicolo elettrico ibrido che si carica
       con una normale presa elettrica (PHEV). Ad esempio il modello F3DM della
       cinese BYD.
       3.   Range Extended Vehicle, veicoli con una estensione del raggio d’azione,
       cioè veicoli puramente elettrici che si caricano con una normale presa elettrica,
       ci vogliono da 4 a 8 ore, ma che hanno un autonomia aggiuntiva data dal
       supplemento di carica che viene fornito da un generatore elettrico a bordo. Il
       generatore può funzionare con un normale motore endotermico o con una
       cella combustibile, oppure con il sistema frenante. La GM, annuncia una rapida
       messa in vendita della Chevy Volt e delle versioni europee con marchio
       Opel/Vauxall , l’Ampera e la Flextreme.
       4.   Battery Electric vehicle, cioè veicoli elettrici a batteria (BEV). In questo caso il
       motore è solo elettrico e l’autonomia si basa sulla capacità delle batterie. La
       Nissan, negli USA, ha annunciato che apre le prenotazioni per la Leaf che, grazie
       agli incentivi federali, credito d’imposta, costerà 25.280 dollari ( rispetto al prezzo
       di listino di 32.780 dollari), rateizzabili in 36 rate da 349 $ con un anticipo di 1.999
       $, e sarà disponibile da Dicembre in California,con una autonomia di 100 miglia;
       La Renault metterà in commercio nel 2001 una gamma completa di veicoli
       elettrici che verranno prodotti in Francia, Spagna e Turchia.
       5.   A queste quattro vanno aggiunti i veicoli completamente elettrici ma basati
       sulle celle combustibili a idrogeno.

La Commissione Europea nella sua ultima comunicazione, C(2010) 186 final,
classifica le auto elettriche in tre macrogruppi PHEV e BEV, da un lato, e quelli a
celle combustibili a idrogeno dall’altro.

Mentre per ora le celle combustibili sono considerate fuori da un orizzonte
commerciale a breve e medio termine per tutte le altre tipologie esistono già delle
previsioni; eccone una tedesca:

	
                                                                                           12	
  
Figura	
  1previsioni	
  di	
  vendita	
  dei	
  differenti	
  sistemi	
  di	
  motorizzazione	
  al	
  2020(	
  dalla	
  relazione	
  di	
  Jurgens	
  al	
  
seminario	
  di	
  Aprile)	
  

La previsione ci offre sia il paragone tra i motori endotermici e quelli elettrici, sia
una comparazione tra le quattro tipologie di elettrico prima indicate.

Il motore endotermico rimane nei prossimi dieci anni dominante ma la somma di
tutte le tipologie elettriche viene stimata, in questa valutazione molto prudente,
pari al 28,5% negli USA, al 26,2% in Europa e al 25% in Asia. Si nota inoltre il fatto
che quelli a batteria hanno un massimo relativo in Asia, mentre il massimo relativo
degli ibridi è negli USA e quello degli ibridi con presa elettrica in Europa.

Vi sono previsioni più scettiche di questa e altre, come quelle della McKinsey,
molto più ottimiste; il punto oggi non sembra quello di confrontare previsioni che,
nel settore automobilistico, si sono spesso rivelate inadeguate quando non
completamente sbagliate. Il punto è che si stanno determinando, in Europa,
alleanze politiche ed industriali significative che hanno al centro la questione
dell’elettrico nella versione più radicale, cioè del motore solo elettrico. Tali
alleanze si nutrono di investimenti e progetti che, per avere un certo grado di
realismo, devono inevitabilmente occuparsi delle infrastruttura di assistenza e
ricarica inducendo quindi investimenti infrastrutturali che coinvolgono sia i governi
nazionali che quelli regionali e che hanno prodotto una forte discussione nella
Commissione                     Europea.                Prima           di       descrivere                sommariamente                          quanto         sta

	
                                                                                                                                                               13	
  
accadendo è bene sottolineare che tali “movimenti” hanno un carattere anche
di pressione verso l’opinione pubblica ed i soggetti politici, istituzionali e sociali i cui
effetti non sono facilmente prevedibili; è bene ricordare che quasi nessuna delle
grandi novità tecnologiche del secolo passato hanno avuto l’utilizzo e i tassi di
crescita        previsti   originariamente   dagli   esperti,   su   base   deduttiva   dalle
caratteristiche tecniche dell’innovazione.

Le conseguenze dell’adozione dell’elettrico sulle imprese della filiera produttiva
automobilistica.
       Secondo lo stesso studio tedesco sulla diffusione al 2020 dei veicoli misti ed
elettrici ecco che cosa ne consegue per la filiera:

	
                                                                                        14	
  
Figura	
  2	
  vincitori	
  e	
  perdenti	
  a	
  causa	
  del	
  cambio	
  di	
  motorizzazione	
  al	
  2020	
  

Infatti le auto elettriche richiedono una diversa configurazione meccanica, in
particolar modo in quelle non ibride; ad esempio non è più necessario il cambio.

Dalla precedente tabella ne consegue, ad esempio per la Germania, un diverso
bilancio occupazionale, al 2020, rappresentato dalle colonne di color rosso:

	
                                                                                                                   15	
  
I paesi Europei
In     Francia   vi   è   un’iniziativa   convergente   del   Governo,   delle   imprese
automobilistiche e dei sindacati per un forte sostegno alla produzione, da
realizzarsi in Francia, di auto elettriche REEV e BEV. Vi sono due forti ragioni di tale
convergenza. La prima riguarda la disponibilità di energia elettrica in quantità
abbondante e non utilizzata, dovuta alla politica nucleare; appare quindi
possibile e desiderabile un’infrastrutturazione del territorio per la ricarica di veicoli
elettrici. Il problema è quello del modello di business per la ricarica; il prototipo di
riferimento è Better Place (http://www.betterplace.com/) che è anche quella più
attiva negli USA, in Israele, in Danimarca ed oggi anche in Cina con l’accordo
sottoscritto con la Chery, azienda cinese non marginale dato che nel 2009 ha
venduto mezzo milione di auto. La seconda è la preoccupazione per

	
                                                                                    16	
  
l’occupazione nel settore automobilistico francese; infatti, le aziende hanno in
questi anni sviluppato una politica di delocalizzazione che non intendono
rovesciare;sono invece disponibili ad una produzione radicata in Francia dei
veicoli elettrici con effetti occupazionali ed anche di ricadute tecnologico-
produttive interessanti per il Governo e i sindacati francesi.Essi, infatti, ritengono
che la Cina vada presa sul serio rispetto alle sue ambizioni nel settore e che
occorra essere preparati. La scelta di privilegiare inizialmente il mercato francese
non esclude la ricerca di mercati di sbocco fuori dalla Francia; si ritiene infatti che
in 6 anni si possano avere significative vendite al di fuori del territorio
metropolitano.

Come si è già detto il punto di partenza delle scelte francesi è stata la
constatazione che l’80% del mercato è coperto dai segmenti A e B, con una
decisa prevalenza del segmento A. In questi segmenti i margini di guadagno sono
molto piccoli e questo spiega il perché sia la PSA che la Renault hanno spostato la
produzione nell’Est europeo non con lo scopo di servire quei mercati ma
reimportando le auto in Francia, a tal punto che la bilancia commerciale
dell’auto è stata negativa per 5 miliardi di euro. La crisi ha fatto ulteriormente
precipitare la situazione con il determinarsi di un vero e proprio dilemma per i
produttori francesi; essi hanno bisogno dello stato sia per avere un credito
agevolato per sostenere la loro attività di ricerca e sviluppo (R&S) sia per la
rottamazione come sostegno alle vendite; ma come chiedere aiuto nel mentre si
distruggono posti di lavoro? Di qui il profilarsi di un compromesso tra Stato, imprese
e sindacati. Il compromesso si basa sulla produzione di auto elettriche negli
stabilimenti francesi attraverso la costruzione di un mercato captive che si fonda
sulla disponibilità di energia a basso costo.

La Renault sviluppa quindi una strategia basata su due pilastri: l’auto low cost, la
Logan di nuova concezione che è in preparazione, e le auto elettriche per il
periodo 2012-2015.

La Logan rappresenta un modello di business basato sulla produzione di auto che
rispetto al modello del competitore diretto devono costare il 40% in meno e
rispetto al secondo competitore diretto il 20% in meno. Ad esempio la Duster – una

	
                                                                                  17	
  
4x4 – si confronta con la Nissan Quasquais ma costa il 40% in meno e si pensa al
mercato russo come un mercato rilevante; nella prossima generazione di Logan si
punta a un ulteriore riduzione del 15%.

Per quanto riguarda l’elettrico la Renault punta all’autosufficienza nella
produzione delle batterie con un modello di forte integrazione industriale. Le auto
elettriche vedranno uno sviluppo in Francia con la Zoe, una 3 volumi, che uscirà
nel 2012, preceduta dalla Fluence che verrà prodotta in Turchia. L’accordo con la
Daimler ha al proprio centro lo sviluppo e la produzione della Smart in versione
elettrica e dei motori elettrici. La valutazione dei protagonisti sulle economie che
pensano di realizzare è stimata in 2 miliardi di euro in breve tempo.

Il gruppo Psa, inizialmente molto scettico sull’elettrico, si è convertito a tale scelta
in una situazione per loro molto difficile poiché il loro unico punto di forza è oggi il
design, senza alcuna eccellenza tecnologica.

La strategia concordata tra Stato, imprese e sindacati dovrebbe portare la
vendita di auto elettriche a coprire, in poco tempo, il 10% del mercato francese,
anche grazie a uno sconto, finanziato dallo Stato, pari a 5000 euro per auto e a
massicci acquisti da parte dello Stato per le flotte pubbliche.

La Germania, al contrario, ha un elevato livello di consenso sull’esclusione del
ricorso al nucleare come fonte di produzione elettrica; di qui una relativa
freddezza sulla scelta dell’elettrico, pur presente nelle opzioni delle principali case
costruttrici. Mentre le previsioni per l’elettrico sono modeste, il 3% del mercato
tedesco nel 2020, si ritiene che vi siano ancora rilevanti margini di miglioramento
del motore endotermico; margini che, per di più, richiedono livelli molto sofisticati
di tecnologia e che quindi hanno il pregio di alimentare un mercato di vetture
“premium”, con alti margini di ritorno, e di mantenere un vantaggio tecnologico
sui nuovi produttori da parte di quelli tedeschi. La novità è la scelta di puntare alla
ottimizzazione di vetture piccole, cosa che richiede, da parte tedesca, una
qualche forma di trasferimento tecnologico a rovescio. Queste chiare scelte
nazionali non escludono affatto la costruzione di mercati captive locali, in genere
di Land, basati sulla produzione di energia elettrica da fonti alternative quali ad

	
                                                                                   18	
  
esempio il vento, soluzione esistente anche in Danimarca. In tali mercati la
soluzione di vetture elettriche che sfruttano l’esistenza di queste forme di
produzione sembra essere una soluzione vincente per tutti gli attori, una soluzione
win-win o a somma positiva. Seguendo il caso tedesco sembra emergere un ruolo
attivo delle Regioni europee sul piano di politiche industriali integrate, piuttosto
che quello dello stato nazionale che, in Germania a differenza dalla Francia,
secondo l’ideologia ufficiale non ha alcuna politica industriale dichiarata. Questo
caso sembra oggi in Europa il più probabile.

La Volkswagen ha una strategia basata sul miglioramento dei motori endotermici,
sull’utilizzo di nuove miscele di carburante ed infine anche, a partire dal 2013, di
una nuova generazione, la E-up, di auto elettriche con molti modelli. La strategia
elettrica della VW è di sviluppare la nuova generazione dall’interno, una strategia
di integrazione industriale. La VW per comprendere come produrre le batterie ha
utilizzato anche il suo rapporto con la BYD cinese.

La BMW sta sviluppando una strategia di innovazione basata su una alleanza con i
propri fornitori strategici. La sua strategia non riguarda privilegiatamente il motore
ma l’auto nel suo insieme; ad esempio i materiali, come la fibra di carbonio, per
alleggerire il peso della vettura.

L’Audi oltre a proseguire sulla linea dell’innovazione nei materiali, con l’alluminio,
sta sviluppando, come già detto, il concept per le auto di Megacity (l’Audi MCV
A1-etron, dove MCV sta per Megacities vehicle), avendo lì identificato una nuova
tendenza di mercato. Si tratta di auto piccole ma non low cost.

La Daimler è l’azienda tedesca che sta effettivamente investendo su tutte le
propulsioni alternative sia l’elettrico a batteria sia le celle combustibili (fuel cell).
Per loro l’elettrico è un sistema integrato che va sviluppato sia nei componenti
che per le batterie. Per le batterie, anche usando le conoscenze sviluppate come
partner di Tesla, puntano alla produzione interna.

Per tutte le imprese tedesche il modello di business dipende massicciamente da
forti investimenti continui sia nella ricerca che nella Ricerca e Sviluppo; la Daimler
ad esempio investiva, prima della crisi, sino all’8% del fatturato, si trattava di un

	
                                                                                    19	
  
caso eccezionale, ma non era difficile trovare quote del 5 o 6 %. La crisi ha molto
ridotto i margini di autofinanziamento, in special modo per la Daimler.

USA e Brasile.

Della Cina si è già detto; cosa accade negli USA e in America Latina?

Negli USA, a differenza dall’Europa, l’accento è posto sul risparmio di carburante
piuttosto che sulle emissioni. Le ragioni sono note e spiegano anche la ragione
dell’accordo Chrysler – Fiat. Il problema immenso da risolvere è quello del
cambiamento della composizione della flotta di auto circolanti. Il governo sta
investendo significativamente non solo su macchine più sobrie nel consumo di
carburanti ma anche sulle nuove tecnologie “verdi”, anche se le previsioni
parlano di piccole quote di mercato. Le previsioni sono modeste ma quando vi
sono tanti investimenti pubblici in ballo e tante iniziative private che scommettono
su queste nuove tecnologie allora non è più solo materia di previsioni. L’esistenza
stessa di tante iniziative porta a modificare il quadro di riferimento e quindi
bisogna     considerare   la   situazione   aperta   a   sviluppi   più   promettenti.
Contemporaneamente negli USA vi è un abbandono del settore dell’automobile
da parte di precedenti protagonisti, lo Stato del Michigan, ad esempio, sta infatti
tentando di ricostruire l’economia dello Stato non più attorno all’automobile ma
puntando ai settori high tech, come il biomedicale, e investendo in ricerca. Va
notato che la “dichiarazione di morte” dell’industria dell’auto americana era
prematura; infatti, i vecchi protagonisti sono ancora tutti presenti e due dei tre,
FORD e GM, hanno aumentato, a differenza di Chrysler, le vendite in modo
significativo.

In America Latina, i due mercati rilevanti sono Argentina e Brasile, quest’ultimo è il
paese produttore importante, con 3,22 milioni di auto nel 2008. Il Brasile ha, infatti,
sperimentato negli ultimi anni due la combinazione ottimale di un reddito pro
capite in crescita costante e un basso tasso di motorizzazione (un auto ogni 6,4
abitanti). In Brasile, secondo la valutazione locale, vi è ancora uno spazio
importante per l’auto tradizionale con motore endotermico; non appaiono molto
credibili in Sud America le ipotesi di strumenti di mobilità innovativi per le

	
                                                                                  20	
  
Megacittà e vi sono enormi aree a bassa densità abitativa, con servizi pubblici
inadeguati. La produzione Argentina viene massicciamente esportata in Brasile,
per accordi interni al Mercosur, ma le quote sono, per il mercato Brasiliano
modeste e non suscitano obiezioni.

In Brasile vi sono fornitori locali di primo livello mentre il forte apprezzamento del
Real Brasiliano ha spinto alla delocalizzazione dei fornitori secondo e terzo livello.
Vi è inoltre una crescita significativa delle attività di ingegnerizzazione situate in
Brasile, a differenza di quanto accade in Argentina e Messico. La GM è quella che
guida questa tendenza che è comunque ben presente sia nella Volkswagen che
nella Fiat e, di recente, alla Ford. Anche la Toyota e il gruppo PSA stanno
investendo.

Il Brasile è ormai il 5° produttore mondiale per ordine di grandezza. Non vi sono
sussidi diretti dello Stato per l’auto ma la crescita che si è avuta, malgrado la crisi,
è stata resa possibile grazie al nuovo sistema di credito al consumo che punta a
rendere accessibile non tanto il prezzo finale ma la rata mensile; la possibilità di
vendita con 80 rate ha permesso a persone con poca liquidità ma un reddito
regolare di accedere alla proprietà dell’auto.

Il Brasile è al centro di una forte innovazione del motore endotermico. Quasi tutte
le auto brasiliane usano un tipo di motore chiamato “flex” che garantisce la
possibilità di usare qualsivoglia tipo di carburante e/o di miscela di essi. In Brasile si
è sviluppato l’uso dell’alcool, ricavato dalla canna da zucchero, per alimentare i
motori; in genere l’alcool viene miscelato con altri carburanti. La ricerca sui motori
è oggi una ricerca tesa all’ottimizzazione del sistema d’iniezione e della
configurazione geometrica della camera di scoppio del motore in modo da
ricavare rendimenti più elevati e rispettare gli standard di emissione che sono, in
genere, quelli europei ma “ritardati di un giro”. I leader di mercato sono Fiat,
Volkswagen e GM con una quota complessiva del 70%, seguiti da Ford. Vi sono in
Brasile quasi tutte le case mondiali che quindi, a parte le quattro appena citate,
hanno piccoli volumi di vendita e quindi tendono a importare più che a produrre
localmente le loro auto.

	
                                                                                     21	
  
La scelta dell’elettrico sembra del tutto marginale in Brasile anche se ITAIPU
Binacional, l’azienda energetica brasiliana, è per legge impegnata a investimenti
“verdi” e sta investendo nella produzione di vetture elettriche assieme alla FIAT
(http://www2.itaipu.gov.br/ve/ ). Il mercato Brasiliano non mostra alcun interesse
per le auto di lusso o di gamma alta ma non accetta auto economiche povere di
“contenuto”.

Considerazioni sull’Europa.

Che dire, quindi dell’Europa a 27? Che politica svolge su questo piano? Dal
confronto con gli USA, l’America Latina e la Cina, l’Europa appare priva di
un’equivalente opzione forte sul futuro del settore automobilistico. Di fronte alla
crisi poi sembra di scarso aiuto non riuscendo a sviluppare come politiche
integrate europee quelle scelte di alcuni governi/ regioni europee che emergono
come pratiche di eccellenza sia nella salvaguardia dell’occupazione che nella
riconversione degli impianti che vengono chiusi. In realtà quello che continua a
operare è lo schema degli ultimi trent’anni: l’accompagnamento più o meno
attivo di tendenze che devono essere guidate e definite nel loro svolgimento
temporale dai grandi attori economici privati e, per alcune cose, dagli accordi
diretti tra i cosiddetti partner sociali. Si stanno infatti determinando accordi
strategici nel settore che se per un verso, la FIAT ad esempio, privilegiano il
rapporto con gli USA per altri delineano una convergenza intra - europea a guida
franco-tedesca. Gli accordi Daimler – Renault (si ricordi che la Daimler ha un
accordo con la BYD cinese per lanciare in Cina un veicolo elettrico nel 2013) da
un lato, e BMW e PSA Peugeot Citroën, dall’altro, vanno in questa direzione. Questi
accordi tendono a ridefinire sia il rapporto prodotto/mercato in Europa che il ruolo
dell’industria automobilistica Europea nella futura divisione internazionale del
lavoro. La Commissione Europea sembra aver sciolto le sue cautele sul sostegno
alla diffusione dell’elettrico e dei relativi investimenti infrastrutturali con la
comunicazione C(2010) 186 final, del 28 Aprile, su “una strategia europea su
veicoli puliti ed efficienti dal punto di vista energetico”; comunicazione che verrà
discussa dal parlamento puntando ad una risoluzione in Maggio.

	
                                                                               22	
  
Il tentativo franco-tedesco di istituire una governance europea di fatto, in assenza
di meccanismi europei di coordinamento, corre il rischio di dividere l’Europa in
due parti, da un lato coloro che in un inedito mix di esportazioni e costruzione di
mercati di nicchia non subiscono gli effetti della evidente situazione europea di
eccesso di capacità produttiva e coloro che pagheranno il conto in termini di
posti di lavoro e condizioni lavorative.

Le politiche pubbliche per l’auto in Europa10.

Sulle politiche industriali a livello Europeo si è già detto; viceversa l’Europa è stata
molto attiva sui problemi di regolazione dei veicoli e del mercato e ha varato nel
corso degli ultimi anni alcuni, anche se modesti, interventi, a favore delle imprese,
sulla mobilità sostenibile, attraverso la Banca di Investimento Europea. Sulle
assenze o presenze di politiche industriali a livello degli Stati e delle Regioni sono
già state fornite alcune essenziali informazioni.

Le politiche di contrasto alla crisi.
Mercato e imprese.

Le politiche di rottamazione hanno permesso nel 2009 di passare da previsto calo
di mercato europeo del 10% al – 1,3%; questa media è il risultato di risultati difformi,
ad esempio forti aumenti in Germania (+23,2%) e Francia(+10,7%) e di un calo in
Italia (-1%). Il giudizio su queste misure fortemente volute dai costruttori sono
negative poiché esse non hanno carattere strutturale si limitano ad anticipare
delle decisioni di spesa con il rischio del doppio tuffo negativo di mercato. Diverso
è il giudizio sugli eco-bonus poiché tendono a modificare delle scelte di acquisto,
ma non appaiono comunque risolutive perché operano solo dal lato della
domanda mentre occorrerebbe lavorare anche sul lato dell’offerta sostenendo gli
sforzi di R&S delle imprese e affrontando il problema delle infrastrutture. Gli eco
bonus hanno avuto obiettivi diversi da paese a paese; ad esempio in Germania si
è puntato alla sostituzione di auto usate con auto nuove, in Italia si è rafforzata la

	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
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  Si sono utilizzate le informazioni della relazione di Giuseppe Calabrese, cui si rimanda, del

seminario del 14 e 15 Aprile e al libro da lui curato: La filiera dello stile e le politiche industriali per
l’automotive in Piemonte ed in Europa.Franco Angeli, 2010.	
  

	
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tendenza, iniziata nel 2007 a favore delle auto verdi ( molte a gas naturali) con
una vera e propria esplosione nel 2009 (+22,1%).

Lavoro, riconversione, formazione.
Di fronte alla crisi i problemi sociali più rilevanti sono stati quelli legati alla difesa
dell’occupazione. Le iniziative sono state prevalentemente statali e/o regionali.

Le possiamo dividere in politiche del lavoro, risposte alle chiusure di impianti e
provvedimenti per la formazione dei lavoratori.

Le politiche del lavoro e i fallimenti aziendali.

Sono state organizzate come misure di prevenzione, quali la cassa integrazione o
la riduzione delle ore con un sostegno alle imprese attraverso lo slittamento o la
riduzione dei costi non salariali del lavoro per quelli già occupati. Misure di
accompagnamento per sostenere i lavorati in cassa integrazione o con orari
ridotti sono stati adottati ampiamente. Vi sono poi state le misure di sostegno alle
imprese con sussidi diretti alle misure prese.

Sul piano delle politiche attive del lavoro le misure adottate sono quelle classiche
dal accompagnamento di chi cerca un lavoro o una riconversione professionale
al vero e proprio ri - addestramento professionale. Infine gli strumenti tradizionali di
incentivi al pensionamento anticipato, bonus,ecc.

Occorre notare che tali misure hanno riguardato principalmente i lavoratori a
tempo indeterminato della aziende “chiave”, cioè gli OEM e i principali fornitori.

I lavoratori “precari” sono stati licenziati in modo massiccio e vi sono stati rilevanti
fallimenti di fornitori. Dal 2008 alla fine del 2009 vi sono stati, nel mondo, 340
fallimenti di fornitori ( in Europa circa 150), che hanno coinvolto 65.000 lavoratori.
Oltre ai fallimenti vi sono stati processi di riorganizzazione del settore, per quanto
riguarda le aziende medio grandi con processi di acquisizione, in taluni casi da
parte delle precedenti aziende – madri; ad esempio il caso Delphi – GM. I casi di
fallimento sono stati distribuiti in modo diverso, se si considerano le dimensioni
aziendali, infatti riguardano le imprese di grandi dimensioni (in USA/Canada), di
medie dimensioni (In Europa), di piccole dimensioni (in Giappone, Germania). Nei

	
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cambiamenti della fornitura a livello globale, non si ha più la conoscenza ed il
controllo sulle imprese localizzate al 2°-3° livello, non si sa cosa succede a questi
livelli di fornitura. E’ ipotizzabile un effetto a cascata della crisi dal 1° livello di giù.
Se si guardano poi le cifre paese per paese, in Europa, appare evidente che le
OEM, con impianti delocalizzati a Est, hanno in primo luogo tagliato lì sulla
subfornitura. La crisi, in Europa, è stata scaricata sui precari, sulla parte bassa della
catena di subfornitura e a Est.

La risposta alle chiusure d’impianti.

Qui si sono avute da parte degli stati e, molto spesso, dei governi regionali, misure
significative. Esse hanno riguardato i piani sociali            per garantire chi viene
licenziato. A differenza del passato si sono avuti progetti che non si sono limitati
alle classiche indennità di disoccupazione ma a vere e proprie iniziative di lungo
periodo di ricollocazione guidata del personale (caso Karmann in Germania) o
viceversa iniziative di politica industriale, come nel caso Francese, che cercano di
costruire nuove opportunità di lavoro con l’identificazione di nuovi segmenti di
mercato, anche attraverso riconversioni guidate.

	
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Partecipanti al seminario.

       1.      Ulrich Juergens - Head of Research Group Knowledge, Production
       Systems, and Work        at the Wissenschaftszentrum Berlin für Sozialforschung
       (WZB) –Germany –

       2.      Bruce M. Belzowski - Associate Director and Assistant Research Scientist
       - Automotive Analysis Division -University of Michigan -Transportation Research
       Institute. – USA

       3.      Mario Sergio Salerno - Full Professor Head - Production Engineering
       Department-LGI / Innovation Management Lab -Polytechnic School, University
       of São Paulo -Executive Director, Observatory of Innovation, The Institute of
       Advanced Studies at the Univ. of São Paulo.

       4.      Giulio Calabrese - Ceris-CNR, Moncalieri (Turin) Italy - co-editor IJ of
       Automotive Technology and Management

       5.      Rainer Greca - Chair for Sociology of Economics and Organisation -
       Katholische Universität Eichstätt-Ingolstadt, Germany

       6.      Tommaso Pardi, Gerpisa - Permanent Group for the Study of the
       Automobile Industry and its Employe, Paris.

       7.      Xianjun Li - Visiting scholar at Hass School of Business, University of
       California Berkeley - Ph.D Candidate Supervisor, Department of Automotive
       Engineering        - Director,Center for Automotive Industry and Technology
       Innovation TsinghuaUniversity,Beijing, China .

       8.      Andrea Bardi – Responsabile di Sede della Fondazione Istituto Trasporti
       e Logistica

       9.      Daniele Doria, Provincia di Torino

	
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"Daniele Doria" danieledoria@libero.it

       10.    Anna Tavella – coop. Antilia, Torino, presidente

       11.    Francesco Garibaldo, coordinatore.

	
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