La Copertina d'Artista - Ottobre 2018 - L'editoriale di ...

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La Copertina d'Artista - Ottobre 2018
Una grossa ruota in pietra di un frantoio, fotografata in un bianco e nero denso e stratificato, quasi
espressionista, fa bella mostra di sé sulla copertina d’artista di questo ottobre 2018.

Come mai l’artista di questo numero, al secolo Antonella Pucci (classe 1982), ha scelto
un’immagine così antica, arcaica quasi, per rappresentare la copertina di un numero che parla di
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innovazione?

Forse il riferimento allude alla ruota come invenzione, che permise al genere umano di affrancarsi
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dalla fatica e di dare avvio alla prima rivoluzione tecnologica?

Oppure più precisamente si riferisce alla ruota del frantoio, quindi, ad una macina, che permise di
dare avvio alla prima produzione di massa del cibo lavorato, raffinato e trasformato in prodotti
completamente nuovi, che affrancò gli antichi popoli dalla fame e dalle carestie?

O ancora, più sottilmente, l’artista si riferisce alla ruota come esempio paradigmatico di tecnologia
ante litteram, una scoperta o un’invenzione, così geniale che in millenni di storia non è cambiata e ci
dimostra che le vere scoperte e rivoluzioni scientifiche, le innovazioni insomma, sono perfette così
come sono e che durano per sempre? L’ultima ipotesi mi pare la più plausibile, forse perché è anche
mia opinione che il progresso odierno sia quasi sempre effimero, di scarsa portata, e di natura
pressoché consumistica.
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tonella Pucci.
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Quante tecnologie pensavamo dovessero durare per sempre, ed invece sono morte lungo la strada
del futuro?

Tante, troppe per stilare un qualsiasi elenco appena accettabile.

Mentre la ruota, come il libro o la forchetta, benché siano rimaste pressoché immutate, hanno
radicalmente trasformato la nostra società.

Quindi il passato secondo la nostra artista è il nostro futuro, il nostro avvenire, la vera innovazione?

Forse più che una fotografia, prima ancora che un’immagine, l’opera di Antonella Pucci è una
lezione di storia ed un esercizio spirituale di umiltà?

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Forse l’artista ci sta dicendo che, se davvero vogliamo progredire ed innovarci, dobbiamo
raccogliere l’eredità del nostro passato, ed in questo il titolo scelto per l’opera: “Moviment-
AZIONE: progresso umano”, ci fornisce un preciso e decisivo indizio.

Lo so ci sono troppe domande in questo articolo, ma è il destino dell’arte quello di porci domande e
non facili risposte. Sta a noi completare il processo creativo dell’artista, interiorizzando l’opera nella
nostra esperienza, allora, e solo allora, se mai dovesse emergere una qualche risposta, anche se
diversa da quella degli altri, anche se differente dalle intenzioni dell’artista, potremmo stare sicuri
che sarà una risposta vera, autentica e genuina. Quando dopo le innumerevoli domande posteci
dall’arte, finiremo per dare una risposta personale e meditata, passeremo dalla semplice
speculazione estetica alla vera cultura.
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Antonella Pucci frequenta il Liceo Artistico Lisippo di Taranto e successivamente studia
architettura all’UNIBAS – Università degli Studi della Basilicata, frequentando diversi ed importanti
workshop di studio dell’immagine e di fotografia.

Dal 2010 dedica la sua attenzione alla fotografia di architettura e di paesaggio, indagando luce,
ombra, dettagli e geometrie dei luoghi, delle città e del territorio.
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Ultime mostre:

2017

Mostra personale CON-FUSIONI – “I dettagli si fondono e confondono”, al Museo Narracentro di
Palagiano (TA).

2016

Mostra collettiva di fotografia “Storie” al Laboratorio Urbano di Mottola (TA).

2015

Mostra collettiva di fotografia di architettura al Festival dell’Architettura Archival, Università degli
Studi della Basilicata.

2012

Mostra collettiva_Ex.0 Cambiamenti di Stato con l’Università degli Studi della Basilicata, al Palazzo
Lanfranchi di Matera, Museo di arte medievale e moderna della Basilicata, nell’ambito di Matera
2019.

Per informazioni e per contattare l’artista Antonella Pucci:

antonella.pucci.mata@gmail.com
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Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi
alla selezione della quarta edizione di questa interessante iniziativa scrivendo ed
inviando un portfolio alla nostra redazione: redazione@smarknews.it

innovation.now - L'editoriale di Ivan Zorico
Non so se anche a voi capita, ma quando penso a dieci anni
fa non mi viene da pensare al 2008 (largo circa) bensì agli
anni ‘90 o, al massimo, agli inizi dei 2000.

  È una strana sensazione.

Sembra quasi che da un certo punto in avanti il mondo, il tempo, la vita, abbiano preso una velocità
doppia, se non tripla. Non ci siamo più trovati di fronte ad un percorso di crescita graduale (diciamo
naturale), ma di fronte ad un tipo di crescita esponenziale.
Tutto è cambiato: mondo del lavoro, modo di relazionarsi, trend, business, mode, media, ecc. È
come se di colpo avessimo fatto a piè pari un balzo in avanti. Un balzo nel futuro.

  In questo la tecnologia ha avuto il suo peso rilevante.

Ci sono innovazioni tecnologiche che segnano le epoche nelle quali vedono la luce. Solo per
rimanere nel campo dei media non possiamo non citare l’invenzione della stampa, della radio, della
televisione, di internet e, oggi, dello smartphone.

Sì, lo so. Lo smartphone non può essere annoverato come media.
Ma per la sua capacità di inglobare tutti i media precedenti non posso che considerarlo in qualche
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modo tale. Dieci anni fa non ci saremmo mai sognati di guardare la televisione su un
semplice telefonino, così come non avremmo mai potuto leggerci un quotidiano.

Lo smartphone, attraverso internet, è stato in grado di cambiare il nostro modo di approcciarci al
mondo e ha potenziato di gran lunga le nostre possibilità. Molte delle attività che prima facevamo
fisicamente adesso le facciamo via digitale, nei tempi e nei modi a noi più congeniali.
Si può dire quindi che l’innovazione tecnologica ci ha portati nel futuro.

  Ma, appunto, sono passati dieci anni. E a poco a poco ci stiamo abituando all’idea di un futuro
  coniugato al tempo presente.

Conviviamo con l’innovazione, con le scoperte e con la velocità dei cambiamenti. Ci sono voluti
dieci anni, ma forse ora stiamo davvero capendo cosa è accaduto in questo periodo.

Da qui l’argomento del mese: innovation.now.
Siamo nell’era dell’innovazione. E ci stiamo dentro con tutte le scarpe. Quindi abbiamo voluto
giocare con l’estensione/dominio .now accanto ad innovation, proprio per affermare che quando si
parla di innovazione non si deve farlo al futuro, ma al presente.

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innovation.now - L’Editoriale di Raffaello
Castellano
Sono le ore 20:00 del 30 ottobre del 1938, la notte che precede Halloween: la Radio CBS di New
York trasmette un programma live, il Mercury Theatre on Air, una serie di adattamenti dal vivo di
classici letterari. Il programma è di nicchia e non avendo sponsor, va in onda senza interruzioni
pubblicitarie. Ad ideare e condurre lo show c’è un attore talentuoso e giovanissimo di soli 23 anni:
Orson Welles.
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gista Orson Welles.

Quella sera si sta mettendo in scena l’adattamento di un romanzo “La Guerra dei Mondi” di H.G.
Wells, che parla di un’invasione aliena da parte dei marziani. Lo sceneggiatore che ha rimaneggiato
l’opera originale, Howard Koch, ha trasposto i fatti narrati dalla Londra vittoriana alla New York
degli anni ’40, inoltre, la narrazione fu modificata in modo da sembrare una cronaca in diretta
dell’attacco dei marziani, con tutto il corollario di interviste ad esperti, bollettini ufficiali, discorsi di
autorità, testimonianze, grida, esplosioni e via discorrendo.

L’effetto fu tremendamente realistico, tanto che getto nel panico 2 milioni di ascoltatori, un terzo dei
sei milioni di cittadini americani in ascolto; vi furono fughe in massa, atti vandalici, incidenti mortali
ed addirittura suicidi. Quando si scoprì che si trattava di uno show, anche lo scandalo fu nazionale,
nei mesi successivi furono dedicati alla faccenda oltre 12.000 articoli e le critiche contro la
“giovane” industria radiofonica furono aspre. La radio infatti era ancora considerata un mezzo di
comunicazione pericoloso ed incapace di gestirsi autonomamente e bisognoso di misure e restrizioni
legali per impedirne l’effetto pervasivo e persuasivo.

Senza troppi sforzi potremmo considerare lo scherzo radiofonico di Orson Welles (che grazie ad
esso divenne una star e diede avvio alla sua sfolgorante carriera), come un primo caso ante litteram
di fake news (noi abbiamo trattato l’argomento nel numero di febbraio 2018).

La radio all’epoca era come l’internet di oggi, più veloce ed immediato della stampa e raggiungeva le
persone nelle loro case, nei bar, nei locali, dove si riunivano piccole comunità. Eravamo nel periodo
fra le due guerre, i cittadini americani stentavano ancora a riprendersi dalla Grande Depressione del
1929 e, inoltre, le notizie provenienti dall’Europa, con la Germania e il Giappone sempre più
pericolosi e guerrafondai, avevano evidentemente scoperto il nervo emozionale della nazione che,
inquieta, insicura e impaurita era pronta a credere a tutto, forsanche all’invasione degli alieni.

Dopotutto i regimi totalitaristi dell’epoca, nazisti, fascisti o franchisti che fossero, stavano già
manipolando le folle attraverso la propaganda (trasmessa su tutti i media, ma soprattutto attraverso
la radio) contro un nemico immaginario, politico, religioso o etnico che fosse, al fine di guadagnare
consenso.
Ma perché per presentare questo numero di Smart Marketing dedicato all’innovazione, vi ho
raccontato una storia così “datata”?

Perché a distanza di 80 anni dai fatti della vigilia di Halloween del 1938, possiamo affermare che
nulla, o quasi, è cambiato, se non i mezzi, gli strumenti tecnologici e la natura dei manipolatori.
L’informazione manipolata e falsa viaggia oggi non più su onde medie, ma su frequenze digitali,
invece di ingombranti apparecchi a valvole abbiamo snelli e sinuosi smartphone e tablet, invece di
regimi totalitari abbiamo le grandi multinazionali dell’informatica. Noi siamo rimasti gli stessi,
fragili, impressionabili, sensibili e incapaci, il più delle volte, di riconoscere il vero dal falso.

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prove al Mercury Theater nel 1938.

Ed allora?

Allora forse dovremmo studiare di più le lezioni del passato, spogliandoci della nostra presunta
onniscienza, della nostra fittizia perspicacia, perché come ha detto Winston Churchill:

                   “Più si riesce a guardare indietro, più avanti si riuscirà a vedere.”

Quindi una vera e reale innovazione sarà possibile solo attraverso il recupero della nostra storia,
della memoria dei fatti accaduti, per evitare che il nostro futuro sia solo una reiterazione degli sbagli
e degli errori passati.

Buona lettura e innovazione a tutti.
Raffaello Castellano

La “nuova” frontiera del cinema italiano:
la commedia corale
Dalla seconda metà degli anni ’90, almeno fino a tutto il primo decennio del nuovo millennio, il
cinema italiano dal punto di vista qualitativo ha affrontato il punto più basso della sua centenaria e
gloriosa storia. Viceversa, è il caso di dirlo, nel secondo decennio degli anni ‘2000, le cose sono
cambiate radicalmente. E non parliamo soltanto per l’assidua opera dei nostri cineasti più illuminati:
Sorrentino, Garrone e pochi altri. Ma parliamo di tutto l’humus artistico e culturale che prende vita
nella pancia media del nostro cinema. In quella sorta di via di mezzo tra il film d’autore e quello più
semplice o ridanciano. E qui ci rifocalizziamo sul genere che ha fatto la fortuna del nostro cinema,
ovvero la commedia.

La commedia all’italiana infatti, era un genere che parlava degli italiani, di noi stessi, dei nostri tanti
vizi e delle nostre poche virtù. Lo si è fatto negli anni ’60 e lo si è riproposto con altri volti e altre
situazioni, negli anni ’80. Oggi, alla luce di tutte le trasformazioni che ha subito il cinema dal 2010
ad oggi, possiamo con certezza dire, che siamo di fronte ad una “terza” commedia all’italiana, basata
sul gioco di squadra, sulla coralità e su una qualità interpretativa davvero considerevole da parte
delle nostre giovani o meno giovani leve.

Negli ultimi anni infatti, una squadra di attori si sta facendo avanti in formazione compatta,
interpretando film dalla struttura corale ben orchestrata. No, non stiamo parlando della manciata di
interpreti, spesso provenienti dalla televisione o dal cabaret (o peggio, dal cabaret televisivo), che
popola da anni le commedie dei “telefoni bianchi”. Parliamo di quel gruppo legato da affinità
artistiche e da un’amicizia decennale che ha trovato la sua vetrina principale negli ultimi film di
Paolo Genovese, di Edoardo Leo, di Rocco Papaleo, di Massimiliano Bruno, di Sydney Sibilia, di
Francesca Archibugi, di Gabriele Muccino e potremmo ancora continuare. Ricordate la banda
Salvatores negli anni Ottanta e Novanta?

Ecco, oggi intorno ad alcuni autori, si è creata una squadra che non solo si interfaccia a livello di
recitazione, ma contribuisce al progetto in fase di sceneggiatura, talvolta partecipando anche alla
produzione, e formando una sorta di factory creativa di quelle che erano a lungo mancate al cinema
italiano. Valerio Mastandrea, Marco Giallini e Alba Rohrwacher appaiono sia in “The place”, che
in “Perfetti sconosciuti”; ma Marco Giallini è stato anche tra i protagonisti di “Tutta colpa di Freud”,
dove troviamo anche Alessandro Gassman. Lo stesso attore e figlio d’arte interpreta pure “Il nome
del figlio” al fianco di Valeria Golino e Rocco Papaleo, e proprio con quest’ultimo ha intrapreso un
profondo rapporto amicale e lavorativo, da “Basilicata coast to coast” a “Onda su onda”, diretti
entrambi da Papaleo. A cui Gassman ha restituito il favore dirigendolo nel film “Il premio”, in uscita
a fine 2017 e dove si registra anche la presenza del sommo Gigi Proietti.

Poi c’è Edoardo Leo, direttamente dalla saga in tre film di “Smetto quando voglio”, dove troviamo
anche il “grosso” Stefano Fresi, che già aveva lavorato con Edoardo Leo in “Noi e la Giulia”, e che a
novembre è in sala con “La casa di famiglia”, interpretato tra gli altri anche da Lino
Guanciale. In “Noi e la Giulia” oltre a Claudio Amendola c’è anche Anna Foglietta, strepitosa moglie
di Valerio Mastandrea nel film “Perfetti sconosciuti”. E in “Perfetti sconosciuti” c’è anche Giuseppe
Battiston, che già con “Bar sport” aveva sperimentato la commedia corale. E non possiamo non
citare o non ricordare “A casa tutti bene”, l’ultima fatica corale di Gabriele Muccino, in un cast
monstre che annovera attori di consumato talento come Gianmarco Tognazzi, Pierfrancesco Favino e
Stefano Accorsi.

Ma tutt’intorno ci sono anche altri attori, che in maniera più sporadica partecipano al
completamento del genere, sviluppatosi per intuizione o forse solo per mero successo commerciale
negli ultimi sei/sette anni. Ci sono in ordine sparso Barbara Bobulova e Riccardo Scamarcio
per “Una piccola impresa meridionale”; Claudio Amendola per “Noi e la Giulia”; Valeria Golino e
Micaela Ramazzotti per “Il nome del figlio”; Kasia Smutniak per “Perfetti sconosciuti”; Silvio
Muccino e Sabrina Ferilli per “The place”; Pietro Sermonti e Giampaolo Morelli per la saga
di “Smetto quando voglio”; Michele Placido per “Viva l’Italia”; Giovanna Mezzogiorno per “Basilicata
coast to coast”; Gigi Proietti per “Il premio”; Lino Guanciale per “La casa di famiglia”.

Insomma tutti questi attori e autori lavorano in sinergia dentro e fuori dal set e rappresentano ormai
una vera e propria squadra, che alternandosi, si presenta più o meno sempre compatta al giudizio
del pubblico. Che cosa comporta questa tendenza in fase di realizzazione? Comporta una
collaborazione artistica e uno scambio creativo che non si vedeva dai tempi della commedia classica
all’italiana. Certo, non necessariamente raggiungendo gli stessi risultati artistici, ma certamente
aspirando alla stessa sintonia. È un fatto noto che alla scrittura di “Perfetti sconosciuti”, ad esempio,
oltre al team di sceneggiatori, hanno partecipato attivamente gli interpreti, aggiungendo aneddoti e
dettagli per arricchire le loro caratterizzazioni e il flusso del racconto. Ma lo stesso discorso può
essere fatto per “Noi e la Giulia” o per “Smetto quando voglio” e altri film corali dell’attuale periodo.

Insomma ci troviamo di fronte ad un vero e proprio lavoro d’orchestra, che è ben evidente anche
quando le avventure degli interpreti non si svolgono perennemente insieme. Infatti, in “The place”,
nonostante gli interpreti recitino insieme regolarmente, uno alla volta, solo con Valerio Mastandrea,
è evidente che fra di loro si è formato un team e si è instaurata una familiarità che, per lo spettatore,
comincia ad avere il valore di un ritrovo fra amici. E di questo gioco di squadra, di questo lavoro
d’orchestra, come lo avevamo chiamato sopra, ne giova tutto il cinema italiano attuale nel suo
complesso. E il fatto che questa coralità, sia pienamente inserita nel discorso del genere della
commedia, non fa che aumentare i paragoni con il passato e il prestigio dell’attuale lavoro
d’orchestra. Perché se è vero che il passato dei Gassman padre, dei Tognazzi o dei Manfredi è
difficilmente raggiungibile; è pur vero che questo gruppo di attori conferma la propensione italica
alla commedia, dove probabilmente nessuno è stato bravo o è bravo quanto noi. E se l’età anagrafica
di questo gruppo d’attori, più o meno coincide e si attesta sull’età di mezzo, segno inequivocabile di
una certa esperienza lavorativa, nonché di una giovinezza d’animo che tarda a scomparire, quella
che vediamo sul grande schermo è una squadra compatta e coesa, riconoscibile come gruppo
creativo, e non solo come singole professionalità.

Ma è il ping pong fra questi attori abituati a confrontarsi anche fuori dal set a creare quell’onda
d’urto che, al di là della singola riuscita artistica dei film che interpretano, porta pubblico in sala e
crea appuntamento. E non è poco, per il cinema italiano. Ormai dunque, si è creato un nuovo genere,
quello della “commedia corale” e se giocassimo un po’ a cercare un prodromo o una paternità a
questa invenzione cinematografica del secondo decennio degli anni 2000, un capostipite può essere
rintracciabile in “Basilicata coast to coast”, picaresco film diretto da Rocco Papaleo, un po’ “Armata
Brancaleone” e un po’ commedia errante, che rispolverando la vecchia commedia corale ha fatto
capire ai nostri autori, come il gioco di squadra tra attori, può creare sinergia, competenza,
esperienza e quant’altro al servizio di un “nuova” commedia all’italiana, che letteralmente è la
descrizione di noi stessi vista attraverso gli eroi del cinema. E in tal senso, nel cinema italiano
attuale, nessun film descrive i vizi, i segreti e le piccole meschinità dell’italiano medio meglio
di “Perfetti sconosciuti”, de “Il nome del figlio” e di “A casa tutti bene” che nella commedia corale
attuale ne rappresentano i modelli da seguire, in vista di altri futuri capolavori.

Cosa rende Instagram così irresistibile?
L’evoluzione di una piattaforma dal visual
storytelling all’e-commerce.
Dalla sua nascita, nell’Ottobre 2010, Instagram è cambiato parecchio e ha saputo pian piano
conquistare ogni fascia d’età. Otto anni fa Instagram era solo un’app di condivisione di foto
con una particolarità: poter modificare facilmente ogni immagine con una serie di filtri preimpostati
che rendevano gli scatti decisamente più piacevoli e permettevano di “strappare” qualche like in più.
Il tutto arricchito dagli hashtag per rendere le immagini ricercabili dagli altri utenti.

  Clarendon, Juno, Perpetua, Amaro, Rise… sono presto diventati i nostri alleati per perfezionare gli
  scatti prima della condivisione, il tutto in formato rigorosamente quadrato. Quell’effetto Polaroid
  che da retrò è diventato subito moderno e trendy sui social.

Se fosse finito tutto qui ci saremmo stancati presto, e invece, come per tutti i social che
funzionano, Instagram ha saputo adattarsi alle esigenze, ai trend, alle richieste silenti dei suoi
utenti. La capacità d’evoluzione l’ha portato al successo. Non c’è bisogno di scomodare Darwin
forse, ma la verità è che il principio vale anche per i social network: o ti evolvi o ti estingui. Ne è
un esempio in negativo MySpace, per citarne uno, ma Instagram, invece, ha decisamente saputo
farci. Di questo dobbiamo anche ringraziare Zuckerberg, che dall’acquisizione di Instagram ha
proposto novità continue (dalle Stories alla IGTV, passando per gli stickers di musica e così via).
Non tutte le funzionalità hanno subito successo o si rivelano azzeccate. Su IGTV abbiamo ancora
  molti dubbi, ma le Stories, “riprese da Snapchat”, hanno davvero dato un boost ad Instagram.

Oggi chi entra in piattaforma spesso non si sofferma sul feed, ma si concentra subito sulle Stories. Il
senso di urgenza, l’evanescenza, il timore di perdere contenuti interessanti nell’arco di 24
ore solletica la nostra curiosità e ci spinge al ritorno, al “check” più volte al giorno. E’ così che
Instagram ci aggancia e ci tiene sempre vicini.
Pur proponendo la stessa funzionalità, non succede lo stesso su Facebook: le stories di Facebook non
hanno il medesimo appeal. Marc Zuckerberg si interrogherà probabilmente giorno e notte sulle
motivazioni, ma il nostro utilizzo di Facebook è molto cambiato rispetto a un tempo e questa
funzionalità, in quel contesto, non ha successo, anche se gli utenti sono spesso gli stessi.

La recente ricerca “Taking Stock With Teens”, focalizzata su un target di adolescenti, evidenzia che
l’utilizzo di Instagram ha superato recentemente quello di Snapchat, fino a poco tempo fa
sempre in testa su questa fascia d’età. Ma gli adolescenti non sono sicuramente gli unici ad amare
questo social network. Instagram conta un miliardo di utenti, di cui 500 milioni attivi
quotidianamente sulla piattaforma e 400 milioni di utilizzatori di Stories ogni giorno.
Numeri decisamente interessanti per il business, non a caso si contano già 25 milioni di aziende
sulla piattaforma e 2 milioni di advertiser.

  La comunicazione delle aziende su Instagram è, e deve essere, diversa rispetto agli altri mezzi.

Una buona comunicazione su questo social network, infatti, è sicuramente più informale, volta
al coinvolgimento, allo storytelling rispetto ad altre piattaforme. E’ una comunicazione visual e
decisamente più creativa, più immediata, che si presta particolarmente ad alcuni settori, come ad
esempio il luxury, il beauty o il food.

Non possiamo dimenticare poi che Istagram è il regno degli influencer, che altro non sono che
veri e propri brand, dei lovemark. Blogger, celebrità, cantanti, idoli sportivi… è di qualche giorno fa
la notizia che Cristiano Ronaldo è ufficialmente la persona più seguita al mondo su
Instagram. CR7, con i suoi 144.446.447milioni di follower, ha infatti da poco superato Selena
Gomez, regina indiscussa della piattaforma fino ad ora. Riusciamo a immaginare la potenza di un
placement di prodotto sui suoi post o sulle sue Stories?

L’engagement che permette di avere Instagram, grazie al suo visual storytelling, al
momento non ha eguali, ma la strategia migliore per un’azienda sarà frutto di creatività e della
giusta pianificazione di contenuti nei confronti del giusto target. Un mix che non può fare a meno
della sperimentazione e dell’utilizzo degli strumenti sempre nuovi messi a disposizione dal mezzo.
Strumenti che hanno sempre un occhio di riguardo per il business, infatti dal mese di Giugno
2018 Instagram ha addirittura introdotto lo shopping sulle stories, permettendo alle aziende con
account business di inserire all’interno delle stories gli stickers con il simbolo della shopping bag,
che danno la possibilità di avere informazioni aggiuntive sul prodotto e procedere all’acquisto
direttamente sull’e-commerce.
Tutto questo perché, come si sottolinea anche sul post ufficiale di presentazione della nuova
  feature, ”Instagram isn’t just a place of inspiration, it’s also a place of action” ovvero Instagram
  non è (più) soltanto un luogo di inspirazione, è anche un luogo di azione.

Al momento, e in Italia in particolare, questa funzionalità non è ancora molto utilizzata, ma in futuro,
probabilmente, vedremo sempre meno immagini di tramonti, di vacanze, meno selfie…e sempre più
stickers con shopping bag. E a quel punto avremo bisogno di una nuova evoluzione, o di un nuovo
algoritmo; ma Zuckerberg, come ci ha spesso dimostrato, sa come gestire al meglio queste situazioni
e come rendere i suoi social i luoghi virtuali in cui si ha sempre voglia di stare.

La blockchain spiegata in parole semplici.
Intervista a Gian Luca Comandini.
Quando ci si avvicina a temi come il digitale, la tecnologia e l’innovazione, presto o tardi non ci si
può che non imbattere nella blockchain. Come spesso (per non dire sempre) accade, quando
vogliamo sapere qualcosa googoleggiamo un po’ alla ricerca di informazioni che ci possano aiutare a
saperne di più.

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ca è sicuramente molto valida nel momento in cui abbiamo già qualche nozione in merito mentre,
ovviamente, la ricerca di informazioni risulta più ostica quando di quella data materia/tema non
sappiamo pressoché nulla.

A mio parere, la blockchain rientra a pieno titolo in
quest’ultimo caso.
Di blockchain se ne fa un gran parlare, soprattutto legata ai Bitcoin, ma in pochi ancora sono in
grado di spiegare in parole semplici di cosa si tratta.
Cerchiamo quindi di dare una breve definizione proprio come se la stessimo cercando sul dizionario.
Blockchain: per blockchain si intende una sorta di registro digitale – un database – basato sulla
tecnologia peer – to – peer (ossia da pari a pari) per il mezzo della quale si possono validare le
transazioni tra due soggetti in modo sicuro, immediato, trasparente e rintracciabile.

Per certi versi, quindi, la blockchain è assimilabile a quello che oggi è l’attività di un notaio, ma
senza le spese da sostenere per l’operato. Inoltre tutti i soggetti posseggono una copia della
transazione favorendo, appunto, la trasparenza.

Ma per aiutarci ulteriormente a capire cos’è la blockchain e quali possono essere i suoi tanti
possibili utilizzi abbiamo intervistato Gian Luca Comandini durante il Digital Innovation Day (al
quale abbiamo partecipato in qualità di media partner), esperto nel campo del marketing e delle
criptovalute (bitcoin), come dimostrano i numerosi interventi su questo tema (per ultima
un’audizione alla Camera dei Deputati) in cui è frequentemente chiamato come relatore.

A lui abbiamo riposto le seguenti domande:
■   Cos’è la blockchain?
■   Perché di blockchain si può parlare al presente e non al futuro?
■   Tre utilizzi pratici della blockchain?

Per conoscere le risposte ti basterà guardare il video di seguito

Anche il Pharma utilizzerà i social per
promuovere i farmaci di automedicazione
Il fascino dei social network, amati e cannibalizzati allo stesso tempo, colpisce anche e soprattutto le
aziende che ne hanno scoperto il valore e l’opportunità di Business, come nuova soluzione per
raggiungere il vasto pubblico.

In ritardo rispetto agli altri mercati, anche il Pharma si sta aprendo sempre di più alla
comunicazione digitale attraverso i social, affrontando un importante percorso di
trasformazione ed una grande novità per il settore.

     Ovviamente dipende dalle aziende, ce ne sono diverse che già da qualche anno hanno cominciato
     a sperimentare soluzioni e possibilità, ma pian piano sono tutte pronte a comprendere
     maggiormente questo mondo tanto da avvalersi di professionisti del settore e figure professionali
     dedicate, da inserire all’interno dell’organico.

Dal momento che i Social Network sono diversi, va riconosciuto a ciascun canale il reale utilizzo
onde evitare di commettere il grave errore di utilizzare il social network sbagliato per
l’azione sbagliata, che non solo non permetterebbe di utilizzare il valore del servizio ma se ne
perderebbe anche in efficacia.

Nel Pharma il canale social maggiormente utilizzato è Twitter dal momento che le sue
caratteristiche consentono alle aziende una maggiore gestione a livello di governance interna e
policy di moderazione.

E’ il canale preferenziale per intrattenere relazioni con i giornalisti e non impone un piano
editoriale articolato e composto da contenuti originali, un utile strumento per dare visibilità alle
news, e non dover per forza interagire con gli utenti, andando incontro anche a possibili problemi
di compliance.

La funzione che se ne fa è prevalentemente corporate (innovazione e social responsability)
attivando campagne di informazione verso il paziente in occasione delle giornate mondiali contro
una delle malattie per la quale l’azienda ha un prodotto terapeutico in portfolio, rilanciando i
propri comunicati stampa e riprendendo news di settore utili ai propri obiettivi di business.

  Il motivo per il quale i social sono utilizzati per lo più per attività informative è semplice, limitarne
  i rischi.

Per divulgare messaggi pubblicitari in ambito sanitario ed aumentare la notorietà del brand i
social, infatti, devono essere utilizzati rispettando regole ben precise dal momento che c’è il
rischio che le informazioni veicolate attraverso i social network possano essere alterate e in mercato
regolamentato come quello del Pharma bisogna prestare maggiormente attenzione.

Regole ministeriali per la promozione degli OTC, in base alla
piattaforma social aggiornate al 6 febbraio 2017, parlano
chiaro:
“L’utilizzo di Facebook è consentito per la diffusione di messaggi pubblicitari esclusivamente a
condizione che l’Azienda farmaceutica disabiliti la funzionalità “commenta” e le reazioni (quali like,
emoticon…). Poiché la funzione di condivisione non può essere disabilitata, il messaggio dovrà
contenere un desclaimer con una dicitura precisa in cui l’azienda si dissocia dai commenti degli
utenti. Va inoltre pubblicata solo la pubblicità istituzionale e le pagine aziendali presenti su facebook
non possono pubblicare post relativi a prodotti.

L’utilizzo di Youtube è consentito per la diffusione di messaggi pubblicitari su OTC a condizione che
abbiano avuto autorizzazione da parte del Ministero della Salute e siano disabilitate alcune opzioni
(quali “consenti commenti”, “gli utenti vedono i voti di questo video”, “consenti incorporamento”).

L’utilizzo di Instagram è limitato, è infatti consentito l’uso della sola sezione “Storie” dove gli utenti
non hanno la possibilità di commentare o condividere”.

I social network, incastrati in queste regole che ne snaturano la realtà “sociale” e di interazione
ovviamente vedono limitate le opportunità di utilizzo anche se, piccoli passi avanti si stanno già
compiendo con la nuova implementazione delle Linee Guida aggiornate dal Ministero della
Salute in materia di pubblicità per le aziende farmaceutiche, il “via libera” alle pubblicità
(previa autorizzazione) sulle piattaforme online per prodotti Otc e dispositivi di libera vendita.
Si abbattono, così, le prime barriere dell’online in materia di farmaci da banco.

Ad annunciare la novità è stato lo stesso Facebook Italia, attraverso una campagna
multicanale firmata dall’agenzia creativa Armando Testa, indirizzata ai decision makers delle
aziende farmaceutiche attraverso messaggi mirati tramite Facebook, Instagram e LinkedIn.
Minivideo, grafiche ed hashtag tra i più famosi – comunemente utilizzati dagli utenti su Facebook e
Instagram associati a prodotti del settore pharma, con l’obiettivo di comunicare la grande novità in
materia pubblicitaria.

La sfida è aperta chi sale a bordo potrà da subito fare la
differenza… se la riterrà un’opportunità!

Come essere efficaci sui social media: lo
studio di BuzzSumo
Il recente report di BuzzSumo “Content Trend 2018” apre scenari inquietanti per quanto
riguarda l’efficacia dei contenuti sui social ed è per questo che le aziende devono saper trovare
professionisti di web marketing realmente competenti che sappiano valorizzare aziende, prodotti e
servizi online. Vediamo qualche dato in questo articolo.

Sicuramente oggi il passaparola rimane il mezzo più autorevole per le persone in quanto la
fiducia maggiore si ha nella comunicazione da pari a pari: ecco perché sempre più aziende si
affidano ai cosiddetti influencers e le condivisioni sui social media sono uno strumento fondamentale
per far conoscere l’azienda, i prodotti e i servizi a un pubblico sempre più ampio.

La condivisione dei post permette di creare brand awareness e generare fiducia, eppure,
come detto sopra, gli scenari sono veramente inquietanti. Dall’analisi di oltre 100 milioni di post
BuzzSumo ha notato come dal 2015 il numero di condivisioni sui social media si sia ridotto del 50% a
causa di diversi fattori a causa dell’aumento del volume dei contenuti pubblicati.

  Per approfondire:

  ■   Scopri la nostra rubrica dedicata ai Social Media

Ormai i social media vivono una condizione di saturazione, una sorta di “infobesità” che si unisce al
calo della reach organica delle pagine aziendali su Facebook. Aumentano però le azioni del
cosiddetto dark social, ovvero le condivisioni private, le email e la messaggistica istantanea
attraverso Messanger.
A questo si aggiunge la perdita di efficacia di clickbaiting e liste, peraltro penalizzati dallo
stesso Facebook e dei post virali a causa delle modifiche apportate da Facebook all’algoritmo.
Aumentano, invece, le condivisioni dei contenuti faziosi o contenuti tribali.

L’importanza di una buona reputazione online
In questo contesto di over informazione oggi chi vince sono quelle aziende e quei siti web che hanno
costruito nel tempo una solida reputazione, basata sulla capacità di offrire contenuti originali e
autorevoli come ricerche, guide, ebook e report.

Si tratta di materiali che riescono ancora a ottenere link e condivisioni in quanto sono contenuti
“evergreen” e senza tempo. A questo si abbina una evoluzione dei social media, a partire dallo stesso
Facebook: questi strumenti sono sempre più endorsed e boosted media e una buona reputazione è
oggi molto più importante della capacità di creare un contenuto virale.

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ui social media e l’importanza del content                              marketing.       Fonte:
https://chrismooremedia.co.uk/the-cycle-of-sharing/

Le conseguenze per chi si occupa di content marketing sui
social media
Dati questi risultati ecco che non mancano importanti implicazioni per chi fa content marketing sui
social media, ecco alcuni spunti di riflessione:

■   I social hanno ancora un ruolo fondamentale, ma più per creare brand awareness e
    coinvolgimento che per generare traffico
■   L’obiettivo del contenuto efficace non è più ottenere conversioni con titoli virali ma pensare se le
persone possono sentirsi partecipi del contenuto e quindi condividerlo con gli amici
■   La nuova priorità per le aziende è costruire autorevolezza e una solida reputazione
■   Il bravo content marketer lavora sulle nicchie di contenuti prima che lo facciano alti e i
    newsbrand generalisti sono destinati a valere e funzionare sempre meno. Lo stesso avviene a
    livello aziendale
■   E’ importante valorizzare il concetto di distribuzione diretta, a partire dalla newsletter che
    sta vivendo una nuova crescita
■   Vanno incoraggiati gli user generated content ed è ormai necessario promuovere i contenuti più
    efficaci con apposite campagne di Facebook Ads, focalizzando l’attenzione sulla qualità e non
    sulla quantità dei post
■   Non si può più rinunciare a conoscere le tecniche di scrittura SEO per i social media, elemento
    essenziale per essere trovati online.

Conclusioni

     Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato” – Stanley Kubrick

Sappiamo come i video online siano oggi uno dei principali driver del traffico, ma il vero boom dei
video avverrà nel 2019 e si prevede questo strumento genererà la metà di tutto il traffico online
dato un rapporto di interazione del 60% superiore alle foto.

Concludiamo questo articolo con una risorsa utile a chi fa content marketing in azienda: il Content
Marketing Template, da scaricare subito.

L'innovazione passa attraverso la cyber
sicurezza
Il problema della sicurezza, ora che sempre più dati sono messi in rete, diventa
fondamentale e, a tendere, contribuirà all’innovazione e alla digitalizzazione. Quando si
parla di aziende 4.0 non si può prescindere dall’utilizzo del PC e dell’informatica non solo per le
macchine, ma anche nei processi, nella gestione documentale e nelle opportunità di sviluppo
rendendo focale il profilo della sicurezza.

     Addio spionaggio industriale con incontri segreti per passarsi scartoffie. Oggi sono i bug e i
     maleware a fare paura alle società.

L’ascesa dell’IoT sta costruendo un mondo in cui siamo tutti collegati con numerosi
dispositivi e questo, anche a livello di impresa, porta ad ampliare l’impatto dei rischi ai quali ogni
apparecchio è interconnesso. Non si tratta solo di un problema di protezione dei software ma anche
di garanzia degli hardware che rispettino requisiti minimi.
C’è poi il “fattore umano” che amplifica il potenziale danno.
Infatti non tutti sono esperti di sicurezza informatica e divengono facilmente amplificatori di attacchi
verso altri oppure a loro insaputa dannosi verso se stessi e l’azienda per la quale lavorano.

Cosa possono fare le aziende per attivarsi?
Il punto di partenza è comprendere quali siano i rischi legati alla propria attività. Diverse sono
infatti le fonti e la natura dei possibili attacchi per un’impresa manifatturiera o un’ufficio di servizi.
Solo allora sarà possibile agire di conseguenza. Il passo successivo è l’analisi di self assessment
volta a comprendere quali misure di sicurezza siano state intraprese e quali potrebbero essere gli
asset aziendali vulnerabili. Questa autovalutazione permette di stimare le perdite annue per ogni
minaccia.

I punti deboli, oltre alla gestione dei dati, possono essere bassi strumenti di controllo delle
mail e dei maleware o antivirus, la gestione dei cloud e dei dati condivisi in rete o con più
dispositivi. Anche la scelta dei provider che offrono servizi cloud garantiscono differenti
livelli di protezione, con relativi costi, che vanno inevitabilmente valutati. Una gestione
perimetrale della sicurezza non è più sufficiente in quanto gli attacchi si sono esponenzialmente
evoluti negli ultimi anni. L’apporccio dovrà coordinare la rete, il cloud e i nodi della
comunicazione (endpoint).

Cosa prevede l’Italia per favorire la protezione in rete?
Dal punto di vista normativo il primo passo è stato l’entrata in vigore del regolamento europeo sulla
privacy. Il GDPR ha ristretto le maglie per il trattamento dei dati personali affiancando alle
funzioni di titolare e responsabile del trattamento dei dati anche quella di DPO (Data
Protection Officer) per le aziende di maggiori dimensioni o con archivi più estesi. Ha normato i
cosiddetti “data breach”, cioè le fughe di dati spesso opera di pirati digitali, che comportano una
diffusione incontrollata di dati personali.

Sotto il profilo delle infrastrutture anche in Italia stiamo estendendo la fibra ottica in sempre
maggiori città. Non sono pochi i disagi nella viabilità e l’ammodernamento ma sicuramente i
vantaggi possono essere evidenti già nel breve periodo. Dal punto di vista delle ricerche e del
dialogo tra pubblico e privato un altro passo in avanti sono gli Open Data che permettono di
ottenere set di informazioni aggregate utili per attività di ricerca. Nell’ambito del piano
nazionale ICT 2017-2019 si stanno sviluppando delle linee guida per la valorizzazione del patrimonio
informativo pubblico da implementare entro il 2020 in ciascuna Regione.

Infine l’Osservatorio sulla Cyber Sicurity del CNR mette a disposizione periodiche analisi sui
tweet che parlano di sicurezza nella rete, servizi di rilevazione maleware, report sulla vulnerabilità
di software e hardware, mappatura degli attacchi 3D, e-mail di spam, rilevamento di ransmoware
per individuare comportamenti tipici di blocco PC a scopo di estorsione oltre all’aggiornamento di
Thesaurus, un dizionario specifico sui termini della sicurezza.

The Rearview Mirror. November 2018:
Italy is battling with EU
Moody’s on Friday the 19th cut Italy’s sovereign debt rating to one notch above junk
status. The rationale behind this downgrade stays in some concerns over government budget plans.
However, the final decision came out by maintaining the outlook stable, providing the Country some
more time to adjust its trajectory. In fact, a negative outlook would have been a clear signal of a
possible further downgrade to the Sub-Investment space.

Just a week later, on Friday the 26th, Standard & Poor’s left Italy’s sovereign debt rating
unchanged. In this case, the rating agency gave itself more time to downgrade the Italian debt by
“simply” lowering its outlook to negative from stable. Also in this case some concerns about the
debt sustainability have arisen. “The Italian government’s economic and fiscal policy settings are
weighing on the country’s economic growth prospects, a critical driver of government debt-to-GDP
trajectory”, S&P said.

Meanwhile the Italian financial spread seems to have incorporated the bad news coming
from the rating agency, even if the crucial point remains the long run. The market is discounting
the current situation but investors will remain aware about the progress of anti-European
establishment debate. Even for an Italian elector is difficult to understand where this government
would like to go. It seems they are all in a never-ending electoral campaign. For instance, Prime
Minister Giuseppe Conte tried to send reassuring signals by telling Bloomberg TV that his
government has no “Plan B. Almost at the same time Luigi Di Maio looks at Draghi as the person
who had been “poisoning the atmosphere” with his call on Italy to tone down its fight with Brussels.
Mr Matteo Salvini, on the other hand showed off his muscles by saying ‘We are not changing a
comma of the budget’.

All in all, no-one is coping with two main problem of the Italian situation: high debt and low
competitiveness. Surely the government’s plan to lower the retirement age, if fully implemented, will
erase the benefit from previous Fornero Reform. To use some words from Standard and Poors, it will
“threaten the long-term sustainability of public finances.” The fiscal budget is setting aside
negligible resources to the productive investments and lagging for the strengthening of the scholar
system or modernisation of the productive system.

S&P also highlighted that Italy “continues to be supported by its wealthy and diversified economy
and its strong external position, with the economy close to becoming a net creditor in the context
of its net international investment position.” Having said that, may be Italy should not consider the
European system as the enemy, but a strategy to adopt in order to implement responsible and
forward looking objectives. The legitimate choice (because the government parties have been
democratically elected) of increasing the Italian Debt to sustain some non-productive expenses or
financing for an earlier retirement is deteriorating the sustainability of the entire financial
mechanism. An apparently populist choice, would reveal its bill in the future, a certain expense that
the poorest part of the population will pay for it.

                                                                  Christian Zorico: LinkedIn Profile

Lo Specchietto Retrovisore. La manovra di
governo, le agenzie di rating e il "credito"
Italia.
  “Non siamo cio’ che diciamo, siamo il credito che ci danno”
  José Saramago.

E cosi, dopo una settimana nella quale gli interventi di Di Maio e Salvini facevano salire la tensione
sulla tenuta del governo in seguito ad una presunta “manina” dai super poteri che aveva inserito lo
scudo per il denaro riciclato nel testo del decreto fiscale, è giunto l’atteso downgrade da parte
dell’agenzia Moody’s.

Nella giornata di sabato, nuova riunione dei ministri e una conferenza stampa in cui il Presidente del
Consiglio Conte prova a mettere una toppa sull’incidente, adducendo ragioni tecniche.
Si fa chiaramente riferimento alla lettera di risposta alla Commissione Europea auspicando dialogo
pur senza retrocedere di un passo, insomma confortevoli in Europa ma ribadendo la sovranità di
alcune scelte economiche.

A parole è scongiurato il ricorso ad una patrimoniale come ultimo strumento a tutela del debito
pubblico. La domanda in conferenza stampa era d’obbligo dopo che anche nel testo pubblicato da
Moody’s si faceva riferimento alla bontà dei risparmi degli italiani come elemento che garantisce
stabilità economica al Bel Paese.

  Le agenzie di rating possono sbagliare, lo hanno fatto in passato. Molto spesso arrivano in ritardo
  rispetto ad un giudizio già emesso dal mercato, dove gli operatori sono più rapidi ad adeguare le
  proprie aspettative.

Eppure da un lato abbiamo dichiarazioni, si susseguono proclami, ci si avventura in avveniristiche
stime di crescita e dall’altro si antepone il muro dei fatti. Per carità, Moody’s ci ha posizionati
solo ad un livello dai titoli “spazzatura” ma ci ha offerto del tempo assegnando un outlook
stabile. Le agenzie di rating possono sbagliare, lo hanno fatto in passato. Molto spesso arrivano in
ritardo rispetto ad un giudizio già emesso dal mercato, dove gli operatori sono più rapidi ad
adeguare le proprie aspettative. Nei fatti lo spread potrebbe anche ridursi nei prossimi giorni ma è
l’orizzonte di medio/lungo termine che è mutato.

Quando il governo decide di annullare i benefici di una riforma come quella della Fornero,
pur comprendendo l’intenzione più nobile di aiutare quanti si ritrovassero nella posizione scomoda
di esodati, si effettua una scelta politica e si sposta il problema sulle generazioni future. Lo
si fa attraverso maggior debito che appunto i nuovi contribuenti saranno tenuti a ripagare e lo si fa
minando le basi del sistema previdenziale. Salvo il mirabolante sogno di creare stabilmente
nuovi posti di lavoro, in numero considerevole tale da bilanciare gli effetti di un pensionamento
precoce previsto dalla quota 100.

E allora torniamo a Saramago.
Al di la’ delle parole, è il credito che riceviamo ad offrirci una reale misura se la strada
intrapresa sia meritevole di essere perseguita. L’assenza di riforme che guardano alla
sostenibilità dei conti, la mancanza di investimenti strutturali e produttivi e la volontà di continuare
sulla stessa linea che ha contraddistinto gli ultimi 40 anni di politica italiana volta
all’assistenzialismo rappresentano tutt’altro che il decantato “cambiamento”. Le parole hanno un
peso, attraggono masse e fungono da collante soprattutto quando un numero elevato di
persone stenta a sopravvivere. Ma il peso specifico del credito che riceviamo è maggiore. Non
fosse altro perché guarda al contingente senza scordare il futuro.

                                                                   Christian Zorico: LinkedIn Profile
Trent’anni di “Compagni di scuola”: il
capolavoro generazionale di Carlo Verdone
Strepitoso spaccato veritiero e agghiacciante dell’Italia degli anni ’80, che si affaccia ai ’90; ma
anche malinconico ritratto, che fa parte dell’esperienza comune di tutti, sulle rimpatriate di ex
liceali. Verdone immagina, quello che in fondo sono le rimpatriate: malinconiche, tristi e amare, in
cui si riaccendono antiche antipatie, si suscitano commiserazioni, si riacutizzano invidie sopite e
anche vecchi amori, si esumano scherzi vetusti, si contano i morti, si constata quanto la vita ci
trasforma e non in meglio. Ma poi ognuno torna alla propria vita, come una parentesi fuori tempo
massimo, come il ricordo di una magia cercata, forse ritrovata per qualche attimo, ma che non torna
più. Ebbene questo è “Compagni di scuola”, il film al quale lo stesso Carlo Verdone è più affezionato;
e in definitiva è il suo capolavoro.

L’idea nacque da uno spunto
autobiografico dello stesso Carlo
Verdone e del suo compagno di
scuola, e futuro cognato, Christian
De Sica, i quali si trovarono invitati
a una rimpatriata dai tristi esiti. La
fenomenologia della rimpatriata
scolastica, chiaro spunto
verdoniano, è immutabile da
sempre e consente a chiunque di
identificarvisi. “Compagni di
scuola”, parla di noi, parla di tutta
una generazione, parla di emozioni
che sono nei nostri cuori, sopiti
magari dagli impegni e dalle
frenesie quotidiane; parla di ricordi
malinconici, parla di nostalgie, di
quello che desideravamo di essere
e forse non lo siamo; parla delle
nostre ansie, delle nostre paure. Si
ride, ma si ride amaro, in pieno
stile da commedia all’italiana, cui
sono chiare le radici, con le sue
virtù (la capacità di osservazione,
la cattiveria) e i suoi vizi (il cinismo
spicciolo, l’adesione alle volgarità
di alcuni personaggi). Maturato
come regista, Verdone è in grado di
tenere sotto tiro per due ore una ventina di personaggi senza dispersione né cadute di ritmo, né
momenti opachi: la mano è sempre leggera, farsa e dramma sono tenuti ugualmente a distanza e le
residue tentazioni pecorecce sono poche.
Per approfondire:

    ■   68 anni di Carlo Verdone: la grande anima d’Italia dei tempi moderni

Ma quando la compagnia degli ex alunni è finalmente al completo, nella sontuosa villa di Nancy Brilli
mantenuta di lusso, una piccola folla di personaggi comincia a prendere vita. C’è Massimo Ghini
sinistro onorevole, c’è Athina Cenci psicoanalista nevrotica, c’è Christian De Sica showman fallito,
c’è Fabio Traversa zimbello della compagnia, c’è Angelo Bernabucci romanesco greve, c’è Maurizio
Ferrini inguaribile goliardo, c’è Eleonora Giorgi separata inquieta, c’è Isa Gallinelli amica petulante,
c’è Caterina Vincenti la goliarda del gruppo con un peso sul groppone. Su tutti domina,
naturalmente, Verdone detto il Patata, che sarà la vittima principale della crudeltà del gruppo: nel
corso della festa sarà esposto al ludibrio il suo amore segreto di professorino mal maritato per
l’allieva Natasha Hovey. E dopo l’inevitabile bagno notturno e una ritirata felliniana all’alba,
ciascuno riprenderà la sua strada con qualche speranza o qualche amarezza in più.

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“Compagni di scuola” non assomiglia affatto al film americano “Il grande freddo” al quale Verdone
confessa di essersi ispirato: non ha, infatti, la minima ambizione di offrirsi come il bilancio di una
generazione, anche se involontariamente lo è, non strizza l’ occhio ai sociologi né pretende di
lanciare messaggi. E’ una serie di divagazioni sorridenti su temi di esperienza comune, intessuti con
modestia pari all’ abilità: gli interpreti sono scelti benissimo anche nelle apparizioni fugaci e si
destreggiano con ammirevole naturalezza. E al di là degli interpreti c’è tanto del suo autore
nell’opera, c’è tanto della sua capacità di descrivere un’epoca, perché vuoi o no, “Compagni di
scuola” è la riflessione su un’epoca, gli anni ’80, forse perché siamo alla fine del decennio (fine
1988) e quindi è anche giusto fare un bilancio; forse perché gli anni ’80, pur tra tante contraddizioni,
sono il più periodo più nostalgico del nostro Paese. Tutto è giusto, ma è anche certo che Verdone si
dimostra ancora una volta ottimo osservatore di un vissuto reale sul viale del decadentismo, la sua
“Lente” d’osservazione entra a 365 gradi sull’involgarimento e l’A-culturazione di un periodo amaro
a livello sociale. C’è di tutto in “Compagni di scuola”, riso, riflessioni ed empatie, ma anche tutte
quelle tipologie di personaggi che noi tutti abbiamo avuto al nostro fianco a scuola: il tipo odioso e
viscido (Massimo Ghini), il fanfarone (Christian De Sica), il cafone arricchito (Angelo Bernabucci), il
candido nevrotico e pieno di ansie (Carlo Verdone), non manca proprio nessuno, anche “lo sfigato” di
turno ovvero Fabris (Fabio Traversa): un bruttino vittima del cinismo dei “compagni”. Insomma, tutti
gli attori sono intagliati sul proprio personaggio alla perfezione, anche chi, come il povero Fabris,
scompare dopo 25 minuti di film, perché vessato all’inverosimile dal gruppo. Su tutti però svettano
Athina Cenci, nei panni della saggia psicologa del gruppo, quella sempre con la testa sulle spalle;
Christian De Sica, splendido cialtrone esattamente sulla stessa lunghezza d’onda di Walter Chiari in
“La rimpatriata” (1963) di Damiano Damiani.

  PER APPROFONDIRE:

  ■   Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema

A proposito, che sia il vero modello al quale si è ispirato Verdone? E per finire su tutti, svetta
ovviamente il Verdone attore, che alla fine pur cornuto e mazziato, è forse l’unico del gruppo ad
essere rimasto se stesso; e nel primo piano finale quando riprende a fumare, si dà e ci dà un bagliore
di speranza e forse capisce che l’ esistenza non è quell’oscura selva di veleni da lui fino a quel
momento tanto temuta, ma piuttosto un’opportunità da sfruttare, sia pure nella giungla della società
d’oggi avara di emozioni e di sentimenti.

Eppure per questo capolavoro generazionale ed immortale, Verdone dovette lottare per fargli vedere
la luce, lo stesso attore romano in un’intervista raccontò le fasi iniziali del progetto. Si era
pressocchè all’inizio dell’estate del 1988, quando la sceneggiatura venne presentata a Mario Cecchi
Gori che la apostrofò cosi: “Ma che cazzo scrivi!!!!! 17 personaggi so troppi!!!! un si fa nulla a
Natale!!!! prenderete schiaffi da tutti!”. Nonostante la sfiducia del produttore s’inizia a girare, tra
non poche difficoltà che mandano in crisi Verdone che per darsi forza invocò il padrino artistico
Sergio Leone. Una volta finito il film, alla prima proiezione privata Cecchi Gori abbracciò Verdone
rimangiandosi la sua diffidenza. Il film funzionava alla grande,nonostante il cinismo, la malinconia
imperante, e il riso amaro, lungi dal Verdone virtuoso e da commedia, e fu uno strepitoso successo
commerciale e di critica, che lo issò tra i film italiani più apprezzati e amati di tutti i tempi. Il 16
ottobre 1988, dopo due mesi di lavoro, terminarono le riprese. Ora sono passati esattamente
trent’anni e il ricordo del film è limpido e indelebile, lo stesso Verdone qualche giorno fa ha voluto
ricordare sulla sua pagina ufficiale di facebook il trentesimo anniversario della sua splendida opera:

  “Il 16 ottobre del 1988 terminavo le riprese di Compagni di Scuola. Trenta anni fa! Prima della
  fine 2018 farò qualcosa per ricordare questo bel film al quale sarò sempre legato per la magnifica
  atmosfera, l’ispirazione, il ricordo di qualcuno che ci ha lasciato e la bravura di tutto il cast. I
  produttori pensavano che avrei fatto un film noioso e logorroico. E invece …”

                                                                                       (Carlo Verdone)
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