L'ozonoterapia in medicina veterinaria - Ruminantia

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L'ozonoterapia in medicina veterinaria - Ruminantia
L’ozonoterapia                     in      medicina
veterinaria
Le attuali applicazioni dell’ozono in medicina umana sono
avanzate e supportate da numerosi studi mentre in medicina
veterinaria sono ancora poco diffuse.

L’ozono (O 3 ) è una forma triatomica dell’ossigeno (O 2 ),
presente nell’atmosfera terrestre sotto forma di gas. La
struttura chimica dell’ozono conferisce alla molecola
un’attività ossidante potentissima (ha un potenziale redox
standard di +2,07 V) capace di alterare e danneggiare i
composti organici quali carboidrati, proteine e lipidi.

Oltre all’effetto pro-ossidante, l’ozono può esercitare,
paradossalmente, anche un effetto di tipo antiossidante. La
somministrazione medica di ozono all’interno di una miscela
gassosa O2/O3 con ozono a basse concentrazioni, prende il nome
di ozonoterapia. In queste condizioni, quando l’O3 incontra i
lipidi delle membrane cellulari, reagisce generando perossido
di idrogeno (H2O2) e aldeide 4-idrossinonenale (4-HNE); tali
molecole innescano una serie di reazioni a cascata che
culminano con la produzione di enzimi antiossidanti come
superossido dismutasi, glutatione perossidasi, catalasi e
glucosio-6-fosfato deidrogenasi. Inoltre, l’attivazione di
alcuni recettori sulle cellule immunitarie e la reazione con i
loro lipidi di membrana, innesca la produzione di TNF, INF-γ,
IL-8, IL-1β, IL6 e IL8, evidenziando, così, anche un
importante effetto immunostimolante.

Grazie al suo potenziale ossidante, l’ozono mostra
un’importante attività microbicida che si esplica attraverso
l’alterazione di pareti e membrane cellulari batteriche,
perossidazione di envelope e capsidi virali, e danno diretto
sul genoma. Gli stessi meccanismi ossidativi sono efficaci
anche sulle macrostrutture di lieviti, muffe e protozoi.
L'ozonoterapia in medicina veterinaria - Ruminantia
Grazie al suo ampio spettro di azione sui microorganismi la
Food and Drug Administration, nel 2001, ha approvato l’uso
dell’ozono come disinfettante per superfici a contatto con
alimenti, per l’applicazione diretta su prodotti alimentari,
nonché per la disinfezione delle acque.

L’O3 mostra anche un sinergismo di potenziamento con sostanze
antibiotiche e disinfettanti e sembra che possa giocare un
ruolo chiave nella prevenzione e nella lotta all’antibiotico-
resistenza.

L’ozonoterapia può essere effettuata per via sistemica o
locale. La prima prende il nome di autoemoterapia (O3-AHT) e
consiste nel somministrare una concentrazione precisa di una
miscela gassosa di O 2 -O 3 in una quantità predeterminata di
sangue autologo; il sangue, in tal modo ossigenato e
ozonizzato, viene poi trasfuso al paziente. L’applicazione
locale, invece, utilizza vari preparati farmaceutici (creme,
paillette, schiume, perle, oli ozonizzati) che si adattano
alla via di somministrazione (intramuscolare, intradiscale,
paravertebrale, ma anche rettale, nasale, tubale, orale,
vaginale, vescicale, pleurica e peritoneale).

Nella medicina umana, l’ozonoterapia viene largamente
utilizzata per trattare ascessi, ferite, acne, eczemi,
psoriasi, fibromialgia, artrite, asma, tumori, malattie
cardiache, disturbi epatici, uveite, cistite, dislipidemia,
osteomielite, malattia di Raynaud, sepsi, sinusite, carie
dentali, infezioni della cavità orale e del piede diabetico.

Gli attuali usi dell’ozonoterapia in medicina veterinaria sono
stati raccolti in una recentissima review pubblicata da
Sciorsci et al. (2020) che include tutte le principali
applicazioni, riportate dalla letteratura, dell’ozono sugli
animali da reddito e da compagnia.

Nella specie bovina l’O3 è stato utilizzato per il trattamento
di   mastiti   cliniche-subcliniche,   urovagina,   metriti   e
ritenzioni di placenta. Alcuni studi hanno anche riscontrato
un’efficacia comparabile, o addirittura superiore, ai
trattamenti antibiotici nei casi di ritenzione di placenta in
capre e pecore.

E’ opportuno, inoltre, segnalare che, attualmente, il nostro
gruppo di ricerca sta effettuando una sperimentazione,
mediante l’uso di ozono per il trattamento delle peritoniti
nelle bovine da latte. I dati finora ottenuti sono
assolutamente incoraggianti (dati non pubblicati).

Nel cavallo, l’autoemoterapia permette di migliorare la
capacità antiossidante prima dell’attività fisica. Inoltre,
l’ozono si è dimostrato più efficace rispetto al trattamento
con antibiotici nei casi di mastite. Anche nei soggetti
affetti da osteoartrite l’O 3 potrebbe essere un’alternativa
alle classiche terapie antiinfiammatorie.

Nel maiale e nel cane la somministrazione di ozono per il
trattamento dell’ernia del disco intervertebrale ha ottenuto
risultati promettenti. Le applicazioni sul cane si sono
dimostrate efficaci anche nel trattamento di patologie oculari
(riduzione della carica batterica superficiale        oculare,
endoftalmiti, estrazioni di cataratta).

In conclusione, l’uso dell’ozono in medicina veterinaria si
rivela un’ottima soluzione terapeutica in quanto non presenta
dei tempi di sospensione e permette di ridurre notevolmente
l’uso di antibiotici e chemioterapici, abbattendo, così, il
rischio di antibiotico-resistenza.

Ozone   therapy   in                        veterinary
medicine: A review
Sciorsci R.L., Lillo E., Occhiogrosso L. e Rizzo A.
Research in Veterinary Science 130 (2020) 240–246

doi.org/10.1016/j.rvsc.2020.03.026

La kisspeptina e le                                 cisti
follicolari bovine
Le kisspeptine (KP), molecole di recente scoperta, sono
coinvolte nel controllo dell’asse riproduttivo (Gottsch et
al., 2004). Si tratta di peptidi ipotalamici derivanti da un
precursore, la prepro-kisspeptina, proteina di 145 amminoacidi
codificata dal gene KISS 1 (Shahab et al., 2005). Dal suo
clivaggio si formano diversi peptidi, tra cui la KP10 che
sembra avere un ruolo essenziale nel differenziamento sessuale
e nell’attivazione puberale. La KP10 promuove inoltre il
rilascio di GnRH (Dhillo et al., 2005) e regola l‘ovulazione
(Castellano et al., 2006).

Brown et al. (2012) hanno dimostrato che, in un modello di
policistosi ovarica nel ratto, vi è una anormale espressione
della KP a livello cerebrale che potrebbe contribuire alle
molteplici alterazioni osservate in questa patologia.

Lo scopo del lavoro è stato quello di valutare le
concentrazioni di KP10 in bovine con diagnosi di cisti
follicolari (gruppo CF) e bovine normalmente cicliche (gruppo
E).

Le bovine con diagnosi di cisti follicolari sono state
reclutate dopo avere eseguito due esami clinici, a 10 giorni
di distanza l’uno dell’altro. Tali esami consistevano in
esplorazione ed ecografia trans rettale eseguita con sonda
lineare multifrequenza (5-10 MHz, settata a 7,5 MHz)
(SonoSite, MicroMaxx Bothell, WA, USA), e in un controllo
ematologico per valutare la progesteronemia (P4 < 1 ng/mL).

Il calore è stato desunto sulla scorta dell’osservazione dei
segni tipici (aumentata fonazione, locomozione, irrequietezza
e presenza di uno scolo sieroso, filante e trasparente che
pende dalla porzione ventrale della commessura vulvare e
giunge quasi a toccare il suolo senza rompersi) e a seguito di
un esame clinico con esplorazione rettale (presenza di un
utero tonico, follicolo con parete tesa e fluttuante di circa
2 cm).

Su tutte le bovine sono stati eseguiti dei prelievi ematici:
nel gruppo CF subito dopo la conferma di diagnosi di cisti
follicolari; nel gruppo E, il giorno del calore.

Il dosaggio della KP10 è stato effettuato con metodo
radioimmunologico (RIA) con un kit destinato alla rilevazione
della kisspeptina umana (Phoenix Pharmaceuticals, Inc.
Burlingame, CA, USA; range 10-1280 pg/mL; specificità: 100%),
poiché ad oggi non esistono test analoghi per la specie
bovina.

Si è preferito usare un kit specifico per l’uomo, in quanto la
KP umana e bovina differiscono solo per un aminoacido (Oakley
et al., 2009). Prima del dosaggio sui campioni di sangue, il
kit è stato validato per il dosaggio della KP bovina, come
descritto da Mondal et al. (2015).

Gli estrogeni e il progesterone sono stati dosati
rispettivamente con il 17-beta estradiolo ELISA kit
(sensibilità 10 pg/mL; specificità del 100%) e progesterone

ELISA kit (sensibilità 8.57 pg/mL; specificità 100%) (Enzo ®
Life Sciences, Postfach, Svizzera).

I dati ottenuti sono espressi come medie ± D.S. e sottoposti
ad analisi statistica usando il programma IBM SPSS Statistics
19 (IBM Software Group Corporation, Somers, NY, USA). Per il
confronto tra gruppi è stato utilizzato il Test T di Student
per variabili indipendenti e valori per p
Castellano JM, Gaytan M, Roa J, Vigo E, Navarro VM, Bellido C,
Dieguez C, Aguilar E, Sá
                        ncez-Criado JE, Pellicer E, Pinilla L,
Gaytan F, Tena-Sempere M. Expression of KiSS-1 in rat ovary:
putative local regulator of ovulation? Endocrinology 2006
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Dhillo WS, Chaudhri OB, Patterson M, Thompson EL, Murphy KG,
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2005Kisspeptin-54                 stimulates               the
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Gottsch ML, Cunningham MJ, Smith JT, Popa SM, Acohido BV,
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kisspeptins in the regulation of gonadotropin secretion in the
mouse. Endocrinology 2004 145:4073-4077.

Mondal M, Baruah KK, Prakash BS. Determination of plasma
kisspeptin concentrations during reproductive cycle and
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Kisspeptin and bovine follicular cysts
Rizzo A., Piccinno M., Ceci E., Pantaleo M., Mutinati M.,
Roncetti M., Sciorsci R.L. Veterinaria Italiana, 2018; 54(1):
29-31.

doi: 10.12834/VetIt.1014.5413.3

Kisspeptine      e     cisti
follicolari nelle bovine
Una nuova famiglia di molecole, le kisspeptine (KP),
interessate al controllo dell’asse riproduttivo, è stata
scoperta di recente (Gottsch et al., 2004). Si tratta di
peptidi ipotalamici derivanti da un precursore, prepro-
kisspeptina, proteina di 145 amminoacidi, codificata dal gene
Kiss1 (Shahab et al., 2005). Dal clivaggio di tale proteina,
si formano diversi peptidi, tra cui la KP10 che sembra avere
un ruolo essenziale nel differenziamento sessuale e
nell’attivazione puberale. Tale molecola è uno straordinario
promotore di rilascio di GnRH (Dhillo et al., 2005) e svolge
un ruolo chiave nella regolazione dell’ovulazione (Castellano
et al., 2006) e nel controllo metabolico della fertilità
(Castellano et al., 2005).

Brown et al. (2012) hanno dimostrato, in un modello di
policistosi ovarica nel ratto, una normale espressione della
KP, a livello cerebrale, che può contribuire alle molteplici
alterazioni osservate in questa patologia.

Sulla scorta di tali premesse, scopo di questo studio è stato
quello di valutare le concentrazioni di KP10, in bovine con
diagnosi di cisti follicolari (gruppo CF) e bovine normalmente
cicliche (gruppo E).

Le bovine con diagnosi di cisti follicolari sono state
reclutate dopo avere eseguito due visite cliniche a 10 giorni
di distanza l’una dall’altra. Tali esami consistevano in
un’esplorazione trans rettale completata da ecografia,
eseguita con una sonda lineare multifrequenza (5-10MHz,
settata a 7,5 MHz) (SonoSite, MicroMaxx Bothell, WA, USA), ed
in un controllo ematologico per valutare la progesteronemia
(P4 < 1ng/mL).

Il calore è stato desunto sulla scorta dell’osservazione dei
segni tipici (aumentata fonazione, locomozione, irrequietezza
e presenza di scolo sieroso, filante e trasparente, che pende
dalla porzione ventrale della commessura vulvare e giunge
quasi a toccare il suolo senza rompersi) e con un esame
clinico con esplorazione rettale (presenza di un utero tonico,
follicolo con parete tesa e fluttuante, di circa 2 cm).

Su tutte le bovine sono stati eseguiti dei prelievi ematici,
nel gruppo CF subito dopo la conferma di diagnosi di cisti
follicolari, nel gruppo E il giorno del calore.

Il dosaggio della KP10 è stato effettuato con metodo
radioimmunologico (RIA) con kit destinato alla rilevazione
della kisspeptina umana (Phoenix Pharmaceuticals. Inc.
Burlingame, CA, USA; range 10-1280 pg/mL; specificità: 100%)
poiché ad oggi non esistono test analoghi per la specie
bovina. Si è preferito usare un kit specifico per l’uomo, in
quanto la KP umana e bovina differiscono solo per un
amminoacido (Oakley et al., 2009). Prima del dosaggio sui
campioni di sangue, il kit è stato validato per il dosaggio
del KP bovina, come descritto da Mondal et al. (2015).

Gli estrogeni e il progesterone sono stati dosati,
rispettivamente, utilizzando il 17-beta estradiolo ELISA kit
(sensibilità 10 pm/mL; specificità del 100%) e il progesterone
ELISA kit (sensibilità 8.57 pg/mL; specificità 100%)
(Enzo Life Sciences, Postfach, Svizzera).

I dati ottenuti sono stati espressi come medie ± D.S. e
sottoposti ad analisi statistica usando il programma IBM SPSS
Statistics 19 (IBM Software Group Corporation, Somers, NY,
USA). Per il confronto gruppi è stato utilizzato il Test T di
Student per variabili indipendenti e valori per p
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Castellano, J.M., Gaytan, M., Roa, J., Vigo, E., Navarro,
V.M., Bellido, C., Dieguez, C., Aguilar, E., Sánchez-Criado,
J.E., Pellicer, A., Pinilla, L., Gaytan, F., Tena-Sempere, M.,
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Steiner, R.A., (2004). A role for kisspeptins in the
regulation of gonadotropin secretion in the mouse.
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Mondal, M., Baruah, K.K. & Prakash, B.S., (2015) Determination
of plasma kisspeptin concentrations during reproductive cycle
and different phases of pregnancy in crossbred cows using
bovine specific enzyme immunoassay. General and Comparative
Endocrinology, 224, 168-175.
Mutinati, M., Rizzo, A., Sciorsci R.L., (2013). Cystic ovarian
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Shahab, M., Mastronardi, C., Seminara, S.B., Crowley, W.F.,
Ojeda, S.R., Plant, T.M., (2005). Increased hypothalamic GPR54
signaling: a potential mechanism for initiation of puberty in
primates. PNAS, 102: 2129–2134.

Autori:
Rizzo A., Piccinno M., Ceci E., Pantaleo M., Mutinati M.,
Roncetti M., Sciorsci R.L.

Veterinaria Italiana, 2018, 54(1): 29-31.

L’uso della scopolamina per
l’involuzione uterina nella
bovina da latte
Il postpartum, nella bovina da latte, è il periodo compreso
tra il parto e la completa involuzione dell’utero (Sheldon et
al., 2008). In questo particolare periodo della vita
riproduttiva della bovina si verificano alcuni eventi
importanti, quali l’involuzione uterina, l’eliminazione della
contaminazione batterica, la rigenerazione endometriale e il
ritorno del ciclo ovarico (Arthur, 2001). Diversi approcci
farmacologici sono utilizzati per condizionare l’evolversi del
postpartum, tutti incentrati sul modulare l’attività
contrattile dell’utero. Attualmente, negli allevamenti bovini,
sono ampiamente usati farmaci ecbolici quali ossitocina,
farmaci ossitocino-simili e analoghi naturali/sintetici delle
PGF2α (Giama et al., 1976; Lindell e Kindahl et al., 1983;
Vigo et al., 2001).

È stato dimostrato che il parasimpatico modula l’attività
contrattile dell’utero, favorendo la vascolarizzazione e
stimolando la secrezione dalle ghiandole cervicali
(Hammarstrom, 1989; Yuko et al., 1996). Tali attività sono
mediate dal neurotrasmettitore acetilcolina che si lega ai
recettori muscarinici, M2 e M3. Il legame con il recettore M2
impedisce il rilassamento dell’utero, il legame con il
recettore M3 ne promuove la contrazione (Kitazawa et al.,
2008). La distribuzione del recettore è influenzata
dall’ormone predominante: l’attività estrogenica stimola la
sintesi del recettore M2, riducendo quella del recettore M3.
Entro le 24 ore successive al parto, gli estrogeni sono ancora
presenti in alte concentrazioni e, pertanto, i recettori M2
sono i sottotipi del recettore muscarinico maggiormente
espressi (Katsuhiko et al., 2014).

Recentemente, inoltre, è stato dimostrato che anche l’utero
possiede un “attivatore” della contrattilità, simile a quelli
presenti a livello cardiaco o intestinale. A differenza del
cuore, l’utero presenta numerosi pacemakers distribuiti
attraverso tutto l’organo che si devono contrarre in maniera
coordinata (Young, 2018).

Partendo da tali premesse, l’obiettivo di questo studio è
stato quello di valutare l’effetto della somministrazione,
entro 24 ore dal parto, di un farmaco antimuscarinico, la

scopolamina (Spasmolax®-ATI Srl-Ozzano dell’Emilia, Bologna,
Italia), per indurre e regolarizzare l’involuzione uterina
nelle vacche da latte. La scopolamina è un antagonista
competitivo dei recettori muscarinici e svolge attività
parasimpaticolitica, in quanto blocca il sistema
parasimpatico. A differenza dell’atropina, altro farmaco
parasimpaticolitico, la scopolamina risulta in forma non-
ionizzata, presentando in tal modo una maggiore liposolubilità
e, conseguente, miglior capacità di attraversamento delle
membrane cellulari. La scopolamina è usata nel controllo degli
spasmi della muscolatura liscia; per esempio, è utilizzata
come spasmolitico contro ipermotilità gastroenterica, uterina,
urinaria, biliare e bronchiolare (Booth et al., 1988; Rossi e
Cuomo, 2005).

Sono state selezionate 40 vacche dopo il parto, tra la terza e
la quinta lattazione, tutte esenti da malattie infettive e
infestive, con parti eutocici e senza ritenzione placentare.

Le bovine sono state divise in due gruppi: gruppo T (trattato
con scopolamina butilbromuro 40 mg/100 kg PV, entro 24 h dal
                ®
parto Spasmolax , ATI, Srl- Ozzano dell’Emilia, Bologna,
Italia) e gruppo C (trattato con 2 ml/q di soluzione salina,
NaCl 0,9%).

Le vacche sono state monitorate a T0, entro 24 ore dalla
somministrazione, T7, T14, T28 e T40 rispettivamente al 7°,
14°, 28° e 40° giorno dopo il parto, misurando i livelli di
idrossiprolina (HYP), un importante marker dell’involuzione
uterina. Mediante esame ecodoppler sono state effettuate la
misurazione del diametro del corno uterino e la valutazione
dell’indice di pulsatilità e di resistenza, a livello di
arteria uterina media. Sono stati, inoltre, considerati gli
indici riproduttivi, monitorando l’intervallo parto-
concepimento e le percentuali di gravidanza.
Dall’analisi dei dati ottenuti è risultato che l’HYP ha
presentato concentrazioni più elevate nel gruppo T rispetto al
gruppo C, con una differenza statisticamente significativa a
T7 e T40. Ciò indica un maggiore riassorbimento della
componente “collagene” e, quindi, una migliore involuzione
uterina. Tale risultato è stato corroborato dai reperti
ecografici che mostrano una riduzione del diametro uterino da
T7 a T40, con valori più bassi nelle bovine trattate rispetto
a quelle controllo. Per quanto riguarda l’indice di
pulsatilità dell’arteria uterina media è stato riscontrato un
aumento nel gruppo trattato rispetto al controllo, con una
differenza statisticamente significativa a T7. È stato,
infine, osservato un migliore intervallo parto-concepimento e
una percentuale di gravidanza più alti nel gruppo T.

Da questi risultati è possibile ipotizzare che la scopolamina
abbia temporaneamente bloccato le contrazioni dell’utero, nel
post partum, per la durata della sua emivita (2-3 ore) e, che,
in seguito alla scomparsa dell’effetto farmacologico indotto
dalla scopolamina, l’utero abbia iniziato a contrarsi più
efficacemente e in    maniera   regolare   (effetto   rebound)
(Teixeira, 2013).

Pertanto, possiamo concludere che la scopolamina è una valida
alternativa all’approccio farmacologico con sostanze ecboliche
tradizionali, come prostaglandine e ossitocina, nella gestione
del post partum delle vacche da latte. È preferibile, infatti,
che si abbia una regolarizzazione della contrattilità uterina
piuttosto che ipocinesia (contrazioni poco frequenti, o di
breve durata o poco intense), o ipercinesia (contrazioni molto
frequenti, prolungate o intense) o addirittura discinesia
(contrazioni irregolari, propagazione anomala, o abnorme
elevazione del tono basale). Tali aberrazioni della
fisiologica contrattilità, non essendo funzionali, bloccano o
ritardano la restitutio ad integrum del tessuto.
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Antibiotici e contrattilità
uterina
E’ ormai noto che alcuni chemioterapici ad ampio spettro,
oltre alla nota attività antimicrobica, risultano
particolarmente efficaci anche in virtù della loro azione
anti-infiammatoria e di stimolo delle difese immunitarie
(Morikawa et al., 1996; Van Vlem et al., 1996; Dalhoff e
Shalit, 2003). Diversi studi hanno, inoltre, dimostrato che la
terapia antibiotica è in grado di influenzare la contrattilità
della muscolatura liscia (Paradelis et al., 1982; Paradelis et
al., 1982a; Tagaya et al., 1995; Di Nucci et al., 1998;
Granovsky-Grisaru et al., 1998; Celik et al., 2001; Celik et
al., 2002; Celik e Ayar, 2002; Ocal et al., 2004; Akar et al.,
2010).

L’eritromicina, per esempio, è in grado di stimolare
l’attività contrattile delle fibrocellule muscolari lisce di
stomaco e duodeno, probabilmente agendo sui recettori della
motilina (Peeters et al., 1989; Collard et al., 1999) e
sembra, inoltre, determinare un aumento dell’ampiezza e della
frequenza di contrazione anche nel miometrio di ratto;
probabilmente, l’effetto è mediato dai recettori istaminergici
H1 e dai canali del calcio (Liu et al., 2003). Secondo altri
studi questo antibiotico, così come la claritromicina, la
neomicina, la gentamicina e la clindamicina, determinerebbe,
al contrario, un rilassamento della contrattilità miometriale
(Phillipe 1994; Kadanali et al. 1996; Celik e Ayar, 2002).
L’utilizzo nella pratica buiatrica di antibiotici dotati di un
effetto miorilassante sulla muscolatura uterina potrebbe,
pertanto, compromettere i fisiologici fenomeni di self-
cleaning e ritardare la restitutio ad integrum dei soggetti
trattati (Slama et al., 1991; Hirsbrunner et al., 2002; Ocal
et al., 2004).

D’altro canto, la possibilità di utilizzare farmaci
antimicrobici in grado di stimolare la contrattilità
miometriale potrebbe, in virtù dell’azione antibatterica e per
l’azione meccanica di drenaggio dei fluidi, facilitare la
sterilizzazione dell’utero durante il post-partum (Ocal et
al., 2004).

Sulla base di tali premesse, si è voluto testare, in vitro,
l’attività di alcuni antibiotici di uso comune nella pratica
buiatrica sulla contrattilità dell’utero bovino nelle diverse
fasi del ciclo estrale. In particolare, è stata valutata
l’attività di amoxicillina, rifaximina ed enrofloxacin,
antibiotici appartenenti rispettivamente alle β-lattamine,
alle rifamicine e ai fluorochinoloni e, notoriamente,
impiegati nel trattamento delle metriti (Drillich et al.,
2001; Minoia et al., 2004; Markandeya et al., 2010).

Dai risultati è emerso che tutti e tre gli antibiotici hanno
manifestato un’attività modulatoria sulla contrattilità
uterina, differente per effetto e durata d’azione.

L’amoxicillina ha indotto una riduzione della contrattilità
basale in entrambe le fasi del ciclo. In virtù di tali
risultati, l’uso dell’amoxicillina in gravidanza, potrebbe
coadiuvare e intensificare la quiescenza indotta dal
progesterone (Leonhardt e Edwards, 2002). Al contrario,
l’utilizzo della stessa nel post-partum potrebbe inficiare il
self-cleaning uterino.

Per quanto riguarda la rifaximina, la sua azione modulatoria
sulla contrattilità dell’utero bovino ha manifestato un
duplice effetto: in fase follicolare essa modula positivamente
(incremento dell’attività tonica del tessuto) la contrattilità
miometriale, mentre, in fase luteale, induce un rilassamento
della muscolatura uterina. E’ ipotizzabile che l’effetto
indotto dalla rifaximina sia sotto il controllo degli ormoni
steroidei predominanti nelle diverse fasi del ciclo,
rispettivamente estrogeni (fase follicolare) e progesterone
(fase luteale).

Alla luce di quanto esposto, la rifaximina potrebbe, quindi,
trovare una duplice indicazione: favorire il self-cleaning
uterino in corso di metrite subacuta e risultare utile nel
trattamento della gravidanza. Ciò, è possibile in quanto la
rifaximina, oltre ad agire selettivamente sull’RNA polimerasi
della cellula procariote, è in grado di intensificare la
quiescenza indotta dal progesterone sulla contrattilità
uterina. Ulteriori studi sono, invece, necessari per chiarire
l’utilizzo di questo antibiotico nel trattamento della metrite
acuta, dove non è presente un quadro ormonale preponderante,
in quanto la patologia si realizza prima della riattivazione
funzionale dell’asse riproduttivo.

L’enrofloxacin è, invece, responsabile di un’azione
eccitatoria sulla contrattilità e, pertanto, potrebbe
rappresentare un’ottima scelta per il trattamento della
ritenzione placentare e di tutte le forme di metrite, compresa
la metrite cronica in associazione alle ProstaglandineF 2α .
L’effetto   contratturante   dell’enrofloxacin      non   risente,
infatti, di alcun condizionamento dettato dagli ormoni
steroidei. E’, inoltre, ipotizzabile che, come dimostrato
sull’intestino (Serio e Daniel, 1989; Mulholland e Simeone,
1993), tale fluorochinolone possa determinare, anche a livello
uterino, il rilascio di ProstaglandineF2α, utili a stimolare la
contrattilità   miometriale    e   innescare   il   processo    di
luteolisi.

Da un punto di vista clinico, il nostro studio fornisce, per i
tre antibiotici testati, un punto di partenza per nuove
indicazioni in ambito buiatrico.

Ulteriori studi sono, tuttavia, necessari per valutare il
meccanismo d’azione degli antibiotici testati e valutarne
l’effetto in associazione con sostanze ecboliche, normalmente
utilizzate nel post-partum della bovina da latte.

Estratto da Piccinno M., Rizzo A., Maselli M.A.,           Derosa
M., Sciorsci R.L. (2014). Modulatory effect of              three
antibiotics on uterus bovine contractility in vitro and    likely
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Autori: Piccinno M.,      Rizzo    A.,   Maselli   M.A.,   Derosa
M., Sciorsci R.L.

Corpora non agunt nisi fixata
Corpora non agunt nisi fixata è la frase che sintetizza il
pensiero e l’intuizione di Paul Ehrlich che definisce, in modo
chiaro e preciso, il concetto di “Recettore”, pietra miliare
della farmacologia molecolare.

Il termine recettore si riferisce a macromolecole (proteine)
in grado di “captare” un segnale chimico, trasdurlo e indurre
una variazione cellulare, tissutale o di organo. In pratica,
indica il bersaglio molecolare degli ormoni e dei farmaci,
 con riferimento ad azioni “specifiche” degli stessi.

Le attività ormonali e/o farmacologiche “specifiche”
presuppongono   alcuni requisiti fondamentali, che possono
essere riassunti come segue:

     Elevata specificità tra ormone e/o farmaco e recettore;
     Selettività di legame;
     Amplificazione del segnale ormonale;
     Capacità di trasduzione del segnale biochimico;
     Reversibilità del legame.

L’ormone riconosce un sito allosterico specifico del
recettore, si stabilisce un legame chimico e si innesca la
catena di eventi che porterà all’amplificazione del segnale,
alla trasduzione dello stesso e, infine, alla risposta
biologica.

La selettività del legame è determinata dalle caratteristiche
del recettore e del farmaco, cioè dalla loro “geometria”
molecolare, dalla particolare posizione dei rispettivi gruppi
reattivi e dalla flessibilità configurazionale. Attualmente,
esiste l’evidenza che alcune piccole molecole possono, a loro
volta, attivare o inibire i recettori per gli ormoni
glicoproteici (FSH, LH, TSH…), attraverso il legame su siti
allosterici del recettore stesso (Nataraja et al., 2015).

L’interazione degli ormoni e/o dei farmaci con i recettori
specifici presuppone un’azione di tipo reversibile. Infatti, i
legami chimici che si possono formare in una frazione acquosa
extra e intracellulare, tra sostanze che giungono a contatto,
possono essere ad alta o bassa energia. Questi ultimi sono i
più comuni e sono rappresentati da legami ionici con carica
opposta, ponti idrogeno, forze di Van Der Waals e interazioni
idrofobiche. Questi legami sono relativamente poco stabili e
hanno in comune la caratteristica di richiedere un’energia di
20-200 volte inferiore rispetto a quella necessaria per
rompere i legami covalenti (legami ad alta energia che tengono
insieme gli atomi di una stessa molecola). Affinché il
contatto tra un farmaco o un ormone e il suo recettore
persista per il tempo necessario e sufficiente a generare
l’effetto biologico, occorre che il numero dei legami a bassa
energia sia relativamente elevato (Paoletti et al., 1996).
Inoltre, il fatto che l’ormone e il recettore siano collegati
tra loro da forze chimiche deboli, risulta determinante in
quanto l’attività, nella maggior parte dei casi, ovvero in
condizioni fisiologiche, è limitata nel tempo. L’interazione
ormone-recettore è in questo caso reversibile e provoca
scissione del legame. Quando, invece, il numero dei legami
chimici deboli è estremamente elevato o si verificano
variazioni strutturali a livello di recettori, l’energia
presente nel sistema biologico può non essere sufficiente a
provocare la reazione desiderata. In tal caso, il legame è più
stabile e, spesso, si tratta di legami covalenti tra ormone e
recettore. L’incapacità di scissione del complesso ligando-
recettore provoca un’attivazione prolungata del sistema stesso
che determina uno stato di patologia più o meno conclamata.

Per quanto concerne la trasduzione del segnale ci si
riferisce, invece, alla capacità del recettore di “leggere” il
messaggio ormonale e trasformarlo in effetto biologico.

Questa complessa e coordinata attività recettoriale riconosce
e definisce a livello clinico una specifica situazione,
responsabile dello stato fisiologico e/o patologico del
soggetto. E’ noto infatti come numerose patologie endocrine
siano determinate da alterazioni della funzione recettoriale,
per cui gli elementi riceventi (recettori) diventano incapaci
di “sintonizzarsi” correttamente sul segnale. Tali patologie
sono caratterizzate da una resistenza periferica all’ormone e
possono dipendere da alterazioni genetiche (selezione),
dall’incapacità delle cellule di regolare la quantità e la
sensibilità dei recettori (down, up-regulation e
desensitizzazione), da anomalie dei meccanismi di trasduzione
(presenza di proteine allosteriche in grado di alterare i
meccanismi di trasduzione) o dalla presenza di anticorpi anti-
recettori (Cella, 2004). E’, ad esempio, il caso
dell’eccessivo e sconsiderato uso di GnRH che, quando
somministrato in dosi massive e inappropriate, non induce
alcun effetto, o addirittura provoca un effetto opposto e
controproducente.

In tale ottica, risulta fondamentale eseguire, prima di
qualsiasi trattamento ormonale, una visita clinica completa e
accurata perché, come già osservato, a un determinato quadro
clinico, corrisponde una particolare situazione recettoriale.
Ad esempio, nella bovina, un follicolo preovulatorio
“normale”, di dimensioni da 1.7 a 2.0 cm, con parete tesa e
fluttuante, riconosce sulla parete follicolare un adeguato
numero di recettori per l’LH, a livello di teca interna e di
FSH, sulla granulosa. Su quest’ultima, al momento
dell’ovulazione, vi sarà la comparsa di recettori per l’LH,
che innesca il vero e proprio processo ovulatorio. E’ questo,
peraltro, il momento opportuno per un trattamento terapeutico
con GnRH o hCG teso a indurre o favorire l’ovulazione. In
questa fase, i recettori sono in numero sufficiente e
assolutamente “responsivi” allo stimolo ormonale. Al di fuori
di questo particolare momento, il trattamento ormonale inteso
ad indurre l’ovulazione potrebbe, nella migliore delle
ipotesi, non funzionare o, se ripetuto nel tempo, determinare
una vera e propria “patologia recettoriale”. In altri termini,
i trattamenti di sincronizzazione e/o induzione dell’estro,
con fecondazione artificiale a tempi prestabiliti, senza
un’idonea visita clinica, sono, nella maggior parte dei casi,
destinati a non funzionare, rappresentando solo un aggravio
economico per l’allevatore. Le terapie ormonali e la
fecondazione artificiale alla cieca, effettuate, come già
osservato in precedenza, senza un esame clinico adeguato,
comportano un’asincronia tra ovulazione e presenza di
spermatozoi nella tuba, con conseguente ipofertilità della
mandria.

In conclusione, la capacità delle cellule, dei tessuti e degli
organi di rispondere a stimoli esterni, ormonali e/o
farmacologici, non può e non deve prescindere da un’accurata e
completa visita clinica, previa l’inefficacia e/o il danno
indotto dai trattamenti farmacologici.

Bibliografia:

Cella SG. Il segnale endocrino nella comunicazione cellulare.
In: Paoletti R., Nicosia S., Clement F., Fumagalli G.
“Biologia, farmacologia clinica del sistema endocrino”. Ed.
UTET Torino, 2004.

Nataraja SG, Yu HN, Palmer SS Discovery and development of
small molecule allosteric modulators of glycoprotein hormone
receptors. Front. Endocrinol. 6: 142, 2015.

Testi consultati:

Paoletti R., Nicosia S., Clement F., Fumagalli G. Farmacologia
generale e molecolare. Ed. UTET Torino, 2004.

Segre G. “Principi biologici e matematici” In: Genazzani E.,
Giotti A., Mantegazza P., Pepeu G., Periti P. Trattato di
farmacologia e chemioterapia. Ed USES, Firenze, 1986.

Autori:

Sciorsci R.L., Rizzo A. Dipartimento dell’Emergenza e dei
Trapianti d’Organo – Università degli Studi Degli Studi di
Bari “Aldo Moro”

DOI: 10.17432/RMT.2015-2020
Clinica Mobile Veterinaria:
Struttura medico veterinaria
di pronto intervento per il
miglioramento della didattica
e   la   conservazione    del
patrimonio        zootecnico
pugliese
La zootecnia costituisce un aspetto produttivo cardine
dell’economia Pugliese. Dati ISTAT 2010 riportano una media di
bovini censiti pari a 170000, 7500 bufalini, e ben 270000 ovi-
caprini.

Negli ultimi decenni, tuttavia, l’aumento tout court della
pressione produttiva è esitato, per quel che attiene al
comparto zootecnico, in un aumento dell’incidenza di patologie
stress correlate che minano la fisiologia funzionale del
sistema immunitario e alterano la sfera metabolica inducendo,
di conseguenza, turbe ostetrico-ginecologiche.

A fronte del dilagare di questa situazione, il pur congruo
numero e la pur adeguata preparazione e validità professionale
dei Veterinari Liberi Professionisti, non sempre riescono a
farsi garanti della completa risoluzione delle complesse
patologie degli animali d’allevamento.

In tale ottica si inquadra l’Unità di Clinica Mobile
Veterinaria, coordinata dal Prof. Raffaele Luigi Sciorsci e
afferente alle strutture universitarie dell’ex Facoltà di
Medicina Veterinaria di Bari. Tale presidio, nato nel Giugno
del 2013, si avvale di un pulmino a 9 posti, corredato di
complete attrezzature veterinarie mediche, ostetriche e
chirurgiche (tra cui un eco-colordoppler) necessarie
all’espletamento delle attività di campo. Essa punta ad
offrire, negli allevamenti zootecnici presenti sul territorio
pugliese, un servizio di pronto intervento, con la referenza
del Veterinario Aziendale.

Sin dagli esordi ad oggi, l’Unità di Clinica Mobile
Veterinaria ha affrontato ben 351 casi su bovini, bufali, ovi-
caprini e suini, con approcci terapeutici clinici e chirurgici
d’elezione. In dettaglio, gli interventi più frequenti e
rappresentativi dell’attività svolta riguardano l’apparato
riproduttivo (taglio cesareo, anche in presenza di macrosomia
fetale, macerazione fetale o torsione completa dell’utero,
ovariectomie, orchiectomie in soggetti criptorchidi, rimozione
chirurgica di fibro-papillomi penieni, colpo-vulvo-retto-
plastica per la risoluzione di fistole retto-vaginali),
tegumentario (ricostruzioni del capezzolo, rimozione
chirurgica    di   fibro-papillomi    mammari),    digerente
(glossectomie, esofagotomie, ruminotomie contestuali o meno a
risoluzione della dislocazione abomasale), risoluzione
chirurgica di ernie inguinali e ombelicali, ecc.

L’esigenza di soddisfare le direttive dell’European
Association of Establishments for Veterinary Education (EAEVE)
in termini di educazione e formazione degli studenti, ha funto
da sprone per l’istituzione dell’Unità di Clinica Mobile
Veterinaria che rappresenta, per i futuri veterinari,
un’occasione rara ed imperdibile di apprendimento,
caratterizzata dall’affiancamento sistematico dei docenti e
dalla possibilità di partecipare direttamente alle attività
clinico-chirurgiche, ostetrico-ginecologiche e mediche svolte,
in un continuum tra le nozioni teoriche apprese e la loro
messa in atto. Peraltro, la Clinica Mobile, fornisce agli
studenti l’occasione di interfacciarsi con l’industria agro-
zootecnica, rappresentando, quindi, un trait d’union tra mondo
accademico e lavorativo, nell’ottica di apprendere conoscenze
e tecniche veterinarie all’avanguardia e di integrarsi, nel
modo meno traumatico possibile, nel mondo del lavoro.

A quanto detto finora, bisogna aggiungere che tale attività,
oltre alle esigenze accademiche a cui ottempera, risponde
anche alle richieste sanitarie territoriali, favorisce
l’economia dell’allevatore, in termini di riduzione del numero
di capi destinati al macello, e agevola il Veterinario Libero
Professionista che mantiene la gestione di un caso clinico
“difficile”, al quale avrebbe dovuto, in alternativa,
rinunciare.

Inoltre, essendo la Clinica Mobile una gemmazione accademica,
rappresenta la chiave di volta di una sinergia tra ricerca e
attività in campo, in cui entrambe le parti si potenziano, si
stimolano e si accrescono mutuamente. In tale sinergia
rientra, senza ombra di dubbio, l’adozione puntuale di sistemi
di dosaggio, in campo e in tempo reale, di diverse sostanze
quali antiossidanti, radicali liberi, ormoni, al fine di
ridurre le tempistiche diagnostiche e, di conseguenza,
l’approccio terapeutico alle disfunzioni metabolico-endocrine
eventualmente in atto.

Oltre a quanto fin qui esposto, l’adozione, laddove richiesto
e in presenza di compatibili condizioni cliniche, di farmaci
fito- e omo-terapici da soli o in associazione ai farmaci
tradizionali, consente all’allevatore la contemporaneità della
terapia e del recupero del latte dell’animale trattato, con
una riduzione dell’impatto ambientale dell’allevamento stesso.

Da quanto su descritto, si evince che la Clinica Mobile
Veterinaria diviene ingranaggio strategico nel processo di
ottimizzazione della didattica, facendosi requisito
fondamentale per una reale e raffinata formazione veterinaria,
e implica ricadute positive in termini di tutela del
patrimonio zootecnico, dell’economia degli allevatori,
riduzione dell’impatto ambientale degli allevamenti e ausilio
imprescindibile per i Veterinari Liberi Professionisti.

Autori: Raffaele Luigi Sciorsci, Annalisa Rizzo

Effetti                                dell’acido
mefepronico
      Effetti dell’acido mefepronico sulla stimolazione
   perossisomiale epatica ed il miglioramento dell’attività
             riproduttiva, nella bovina da latte.

Il periodo di transizione, nella bovina da latte, è il periodo
compreso tra le ultime tre settimane di gravidanza e le tre
settimane successive al parto.

In tale periodo la bovina, per soddisfare l’aumentata
richiesta energetica, mobilita dal tessuto adiposo gli acidi
grassi a lunga catena che vanno in circolo come acidi grassi
non esterificati (NEFA) . L’eccessiva lipomobilizzazione può
comportare l’accumulo di trigliceridi in sede epatica con
sviluppo di steatosi e di patologie correlate, quali chetosi e
dislocazione abomasale .

Nel metabolismo lipidico e nella differenziazione degli
adipociti sono coinvolti numerosi geni la cui azione è
modulata     dai   peroxisome     proliferators-activated
receptors (PPARs), appartenenti alla superfamiglia dei
recettori nucleari e presenti in tre isoforme (α, β/δ e γ). I
PPAR α, abbondantemente espressi nei tessuti ad elevato
catabolismo lipidico, sono attivati da numerosi agonisti tra i
quali l’acido mefepronico (MA) che promuove la ß-ossidazione
perossisomiale e la gluconeogenesi epatica.

Inoltre, nella bovina da latte, vi è una stretta relazione tra
le disfunzioni epatiche e i disordini riproduttivi. D’altra
parte, in questa specie, i PPARα e la β-ossidazione
perossisomiale sono importanti per il catabolismo dei NEFA nel
periparto.

L’MA, commercializzato come Hepagen® (Fatro, Bologna, Italia),
è utilizzato nella pratica clinica veterinaria per il
trattamento della chetosi, delle malattie epatiche e nei casi
di sindrome della vacca grassa.

Uno studio recente, condotto da Rizzo et al. , ha voluto
indagare l’efficacia dell’MA (Hepagen®) nel supportare la
funzionalità epatica e metabolica e, di conseguenza,
le performancesriproduttive nella bovina da latte.

Il protocollo prevedeva la somministrazione di 50 mL di
Hepagen® (corrispondenti a 5 g di MA) entro 24 ore e a
distanza di 3 e 5 giorni dal parto.

Il trattamento con MA stimolerebbe la secrezione di insulina
da parte delle cellule β-pancreatiche, la sua attività a
livello di recettori specifici e, più in generale, le funzioni
metaboliche dell’organismo. Inoltre, nello stesso gruppo, a
livello di epatociti, si evidenziava la progressiva
diminuzione del contenuto lipidico, l’incremento del
glicogeno, nonché una maggiore espressione dei recettori PPAR
α (Figg. 1-3). Circa i parametri riproduttivi, il loro
miglioramento, dopo somministrazione di MA (Tab. 1), sembrava
dipendere dalla migliore funzionalità epatica, con incremento
del colesterolo (noto precursore del P4), della funzionalità
ovarica e del microambiente tubarico/uterino e con riduzione
di patologie nel post partum.

Gli Autori concludevano che l’MA si potrebbe considerare un
valido presidio veterinario nel migliorare la funzionalità
epatica, in quanto in grado di ottimizzare il metabolismo ed i
parametri riproduttivi nella bovina in postpartum.

Fig. 1: Sezioni di fegato bovino colorate con blu di toluidina
a D15 (15 giorni postpartum) e D30 (30 giorni postpartum) che
evidenziano il contenuto di lipidi. B,C: Group CTL (bovine
controllo); E,F: Group MA (bovine trattate con MA). CV: vena
centrolobulare, frecce: vacuoli lipidici.
Fig. 2: Sezioni di fegato colorate con Ematossilina-PAS in cui
si evidenzia il contenuto di glicogeno (rosso magenta), a D15
(15 giorni postpartum) e D30 (30 giorni postpartum). B, C:
Gruppo CTL; E, F: Gruppo MA. CV: vena centrolobulare; frecce:
vacuoli lipidici.
Fig. 3: Epatociti PPARα immuno-positivi a D15 (15
giorni postpartum) e D30 (30 giornipostpartum) nel Gruppo
trattato (MA) e controllo (CTL). Gruppo MA vs Gruppo CTL:
A, P
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