IL NOSTRO FUTURO NON SARÀ A FISSIONE NUCLEARE - Il ruolo del nucleare nella truffa ecologica

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IL NOSTRO FUTURO NON SARÀ A FISSIONE NUCLEARE - Il ruolo del nucleare nella truffa ecologica
IL NOSTRO FUTURO
 NON SARÀ A FISSIONE
      NUCLEARE

Il ruolo del nucleare nella truffa ecologica
Il nostro futuro non sarà
   a fissione a nucleare
Il ruolo del nucleare nella truffa
            ecologica

 Cambiare Rotta - Organizzazione
     Giovanile Comunista
Indice

Premessa                                                                        2

L’equazione energetica si risolve cancellando il capitalismo - di Francesco
   Piccioni                                                                     4

I paraocchi del nuclearismo: cosa c’è oltre la centrale - di Angelo Baracca     8

Cingolani (non) sa quello che dice: reattori di IV generazione? - di Giorgio
   Ferrari                                                                     12

Il nucleare nell’Italia dei "prenditori" privati - di Massimo Zucchetti        18

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Premessa

Qualche mese fa il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha
rilasciato dichiarazioni in cui proponeva come possibile soluzione alla crisi ener-
getica, la fissione nucleare. Quella che poteva sembrare semplicemente un’o-
pinione personale, si è rivelata in realtà una voce tra tante. Non è stato un
caso che la stessa governance europea ha espresso posizioni di apertura verso
il nucleare, a cominciare da Ursula von der Leyen e Frans Timmermans, rispet-
tivamente presidente e vice-presidente della Commissione Europea, che du-
rante la Cop26 hanno espresso la necessità di guardare alla fissione nucleare
come alternativa (insieme al gas ed alle fonti di energia rinnovabile) all’energia
da fonti fossili. Di fronte alla pesante responsabilità di arrestare l’ulteriore riscal-
damento climatico e abbattere le emissioni di CO2 si risponde dunque con un
arretramento e con la falsa premessa che si tratti di una soluzione con minor
impatto ambientale, che sfrutta materie prime inesauribili. In un contesto ge-
nerale di crisi energetica le scelte sul nucleare, su cui la Commissione Europea
stessa si pronuncerà con un posizionamento definitivo a dicembre di quest’an-
no, non sono meramente scelte tecniche e di bilancio sui costi, come vogliono
far credere, ma riguardano il ruolo strategico di competizione del polo imperia-
listico europeo, in cui sono in gioco la sua indipendenza e resilienza energetica

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e gli equilibri che l’UE deve mantenere al suo interno e verso l’esterno. Un’e-
ventuale conferma e affermazione del nucleare sarebbe dunque una scelta
strategica dell’UE per non rimanere indietro nella competizione interimperialisti-
ca europea.
Come organizzazione giovanile comunista, quindi, ci siamo posti l’obiettivo di
smascherare la vera natura di truffa della transizione ecologica che il gover-
no italiano, all’interno e insieme alle istituzioni europee, sta portando avanti. In
questi ultimi mesi abbiamo cominciato a portare all’attenzione la questione,
lanciando momenti di piazza e di agitazione su questo tema. Abbiamo inoltre
avviato un lavoro di approfondimento raccogliendo diversi interventi da parte
di personalità di rilievo e del settore, presentandoli in questa raccolta.

                                                                  Cambiare Rotta
                                                                   Novembre 2021

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L’equazione energetica si risolve
cancellando il capitalismo
Francesco Piccioni

Per parlare di transizione ecologica dobbiamo tener presente che il problema
dell’energia è il problema dei problemi, per come è costruita l’umanità e spe-
cialmente i paesi sviluppati negli ultimi decenni. Per fare quello che si fa in una
società industriale avanzata (sia essa negli Stati Uniti, in Europa o in Cina) c’è
bisogno ormai di una quantità di energia e di forza meccanica spesa che non
è più possibile ricavare dagli esseri umani. Ad esempio, un singolo barile di
petrolio fornisce energia pari ad un anno di lavoro di 12 uomini: è quindi com-
prensibile come il salto di qualità che c’è stato nel capitalismo sia dipeso molto
dalla disponibilità di questo tipo di energia, molto più versatile del carbone che
veniva soprattutto usato in precedenza.
Uscire quindi dai meccanismi che portano alla distruzione dell’ambiente usan-
do determinate fonti di energia non è affatto semplice, seppure ci fosse l’inten-
   Il presente testo è elaborato a partire dall’intervento di Francesco Piccioni all’iniziativa
"Smascheriamo la fissione nucleare. Verso Milano PreCop26" tenutasi a Milano il 29 Settembre
2021.

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zione; ma come abbiamo visto a Napoli il 24 luglio durante il convegno "Contro
la crisi ecologica serve una exit strategy" questa intenzione non ci può essere in
ambito capitalistico. Nel momento stesso della produzione capitalistica nessu-
no dei soggetti protagonisti ha interesse nel tutelare l’ambiente.
Per comprendere ancora meglio basti pensare al petrolio che viene estratto dal
sottosuolo: questo implica la presenza di un "proprietario", ad esempio l’Arabia
Saudita o il Venezuela, ovvero i paesi che hanno questa disponibilità di risorsa
naturale e che mettono a disposizione in qualità di proprietari fondiari la loro
risorsa affinché venga estratta. Questi paesi non hanno quindi alcun interesse
ad interrompere l’estrazione prima che sia esaurito il giacimento. Il capitalista
che paga lo sfruttamento del giacimento per poter estrarre il petrolio e portarlo
dove serve ovviamente non ripone nessun interesse nella sospensione del pro-
cesso in quanto ne deriva il suo profitto. Persino i lavoratori addetti all’estrazione
non hanno alcun interesse immediato ad interrompere l’estrazione di petrolio
(se non come esseri umani che si troveranno a dover vivere in un mondo deva-
stato) perché ne andrebbe a risentire il loro stipendio.
Un esempio in questo senso è quello dei lavoratori portuali che, in teoria non
hanno interesse dal punto di vista puramente lavorativo a sapere cosa è conte-
nuto all’interno dei container: che si tratti di grano o di armi per l’Arabia Saudita,
Il loro lavoro consiste nello scaricare container e caricarli sui camion. Il fatto che
si oppongano al carico di armamenti è una scelta politica, non è dettata dal
loro lavoro, ma dalla loro coscienza.
In modo semplice e schematico questa è la ragione per cui in ambito capi-
talistico la transizione ecologica risulta decisamente difficile: risulta difficile che
qualcuno sia realmente interessato al suo compimento in quanto i soggetti con-

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trari sono infiniti.
Per quanto riguarda la transizione ecologica del governo Draghi prendiamo ora
ad esempio l’aumento delle bollette. Questo aumento delle bollette è dovuto
in parte al fatto che effettivamente gas e petrolio sono notevolmente aumen-
tati di prezzo negli ultimi mesi, in quanto a seguito della pandemia tutti i Paesi
occidentali hanno ripreso a produrre al massimo della capacità ed è quindi
esplosa la domanda di gas, petrolio e altre fonti energetiche (principalmente
idrocarburi). L’aumento del prezzo del petrolio e del gas sul mercato internazio-
nale è quindi dovuto al fatto che essendoci una domanda maggiore il prezzo
sale dal momento che la programmazione dell’estrazione del petrolio e del gas
avviene su periodi abbastanza lunghi: i contratti si fanno a tre/sei mesi e quindi
se oggi c’è maggiore necessità di petrolio non vi si potrà accedere prima del
tempo prestabilito da contratto in quanto vi è un processo di estrazione e distri-
buzione non immediato.
Un’altra componente importante sono gli oneri di sistema ovvero tutta quella
serie di voci che vanno dagli incentivi per le rinnovabili alle quote di inquina-
mento, che incidono sul prezzo della bolletta. Una grossa parte di questo au-
mento è dato proprio dalle quote di inquinamento. In cosa consistono? Non
potendo e non volendo fermare l’inquinamento, soprattutto industriale, è stato
introdotto un meccanismo punitivo per costringere le multinazionali produttrici
di energia a usare tecnologie meno inquinanti. Per convincerle si fa ricorso al si-
stema delle quote di inquinamento, che devono essere pagate se non si fanno
determinate cose e che tutti gli anni crescono di prezzo. Ciò che accade però
se il governo permette all’azienda di scaricare questa funzione sul consumatore
finale (ovvero noi tutti) è che l’azienda non ha più nessun interesse immediato

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nell’introdurre tecnologie meno inquinanti. Quando il governo Draghi è interve-
nuto in maniera infinitesimale, perché invece del 40 % ha introdotto un aumento
del 28 %, che cosa ha fatto? Ha preso soldi pubblici, cioè nostre tasse o nostro
debito, e li ha passati alle aziende produttrici di energia che, però, non hanno
fatto nulla per ridurre l’uso di tecnologie inquinanti, garantendo quindi lo stesso
profitto. La situazione va quindi perpetuandosi perché le aziende non faranno
niente in quanto non perderanno niente.
Questa è la transizione ecologica di Cingolani: pagare noi affinché le azien-
de possano continuare a fare come sempre hanno fatto. La cosa da tener
presente è che l’equazione energetica, qualsiasi sia il modo di produzione, è
vitale e che quindi va affrontata scientificamente. In un’equazione ci sono vo-
ci che devono calare di peso, altre che devono salire. Soluzioni che ancora
non ci sono vanno necessariamente trovate. Tutto questo non sta nella fanta-
sia, ma nella capacità che la scienza ha di trovare soluzioni che nessuno di noi
individualmente potrebbe immaginare.

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I paraocchi del nuclearismo: cosa
c’è oltre la centrale
Angelo Baracca

Credo che sul tema del nucleare sia necessario fare un’introduzione, non es-
sendo inserito nei programmi scolastici e in quasi nessun percorso di studi uni-
versitario, eccezion fatta per ingegneria e fisica, seppur in ambiti differenti.
Potrebbe quindi essere opportuno mettere qualche puntino sulle i, soprattutto
data la diffusione in Internet di una pioggia continua notizie in cui è veramente
difficile orientarsi.
Mi sembra siano due le ragioni principali di chi sostiene il nucleare: la prima è il
fatto che sia carbon-free, cioè che non comporti emissioni di CO2; la seconda,
a mio avviso, è che ci sia soluzione al problema delle scorie. Sono due tesi che
non stanno in piedi e che cercherò qui di smontare, perché quando si parla di
nucleare non è da prendere in considerazione solo il reattore nucleare ma tutto
un ciclo (quello dell’uranio) estremamente complesso e che ha tutta una serie
   Il presente testo è elaborato a partire dall’intervento di Angelo Baracca all’iniziativa "Cin-
golani, ministro della truffa ecologica. Dibattito: perché la fissione nucleare non è l’alternativa"
tenutasi a Bologna il 22 Settembre 2021.

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di processi di testa prima di arrivare al reattore nucleare e una serie di processi
di coda successivamente. Che il processo del reattore non comporti emissione
di CO2 è comprensibile anche da un bambino dato che avviene dentro al nu-
cleo dell’atomo, senza mettere in gioco i suoi elettroni esterni.
Ma cosa avviene prima di arrivare al reattore nucleare e dopo? In primo luogo
bisogna scavare uranio nelle miniere: un lavoro che richiede macchinari, com-
portando quindi il rilascio di CO2.
In secondo luogo, facendo un discorso complessivo, è fondamentale tenere di
conto i lavoratori i quali respirano gli elementi radioattivi contenuti nell’uranio
che stanno estraendo e si lasciando alle spalle scie enormi di malati tumorali. È
importante sottolineare che, storicamente, questi lavoratori hanno sempre fat-
to parte di comunità subalterne agli estrattori: ne sono un esempio i Navajos in
America, come la popolazione di Niger e Chad in Africa.
Si arriva dunque all’estrazione: il minerale più ricco d’uranio (cosiddetto ura-
nifero) ne contiene una concentrazione di appena lo 0.2 %. A fronte di una
percentuale già così bassa, nei prossimi 50 anni si prevede che queste minie-
re si esauriranno, facendo crescere quindi risorse mobilitate ed inquinamento a
parità di uranio estratto.
Una volta estratto, il minerale va raffinato e quindi arricchito (l’isotopo 235, quel-
lo fissile, è appena lo 0.7 % di quello che si estrae in natura) attraverso processi
energivori ed anch’essi inquinanti.
Il “processo di testa” del ciclo dell’uranio dimostra quindi quanto sia errato ri-
tenerlo una fonte carbon-free. La stessa costruzione di una centrale richiede
enormi quantità di energia (non certo “pulita”) nonché di cemento, senza con-
tare il fatto che a seguito di ogni grave incidente i protocolli di sicurezza sono

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aumentati ed i tempi di realizzazione di una centrale lievitati al punto da non
renderla una tecnologia adatta a fronteggiare un cambiamento che va intra-
preso ora.
Passiamo quindi al “processo di coda”, che coinvolge le scorie. A seguito della
scissione, l’uranio 235 si “impoverisce”, ed il combustibile è quindi esausto. Si
tratta di uno dei materiali radioattivi più pericolosi che esistano in natura quindi,
una volta estratte, le barre vanno immerse in piscine di decontaminazione per
anni, fino a che il livello di attività non si abbassa. Questo stesso processo molti-
plica la quantità di residui radioattivi, dal momento che gli stessi macchinari di
smantellamento divengono radioattivi.
Chi sostiene che vi siano delle soluzioni non tiene in considerazione il problema
della realizzazione di un deposito “definitivo” – la radioattività di questo mine-
rale rimane attiva per più di centomila anni. Gli Stati Uniti avevano progettato
circa quaranta anni fa un deposito geologico (in un territorio sacro dei nativi
americani) che si iniziò a costruire una ventina di anni fa e che dopo una deci-
na d’anni venne interrotto a seguito di una dichiarazione della corte federale
in cui sostenevano di non poter garantire la stabilità del deposito per più di tre-
cento anni.
Questa è la dimensione del problema dei residui nucleari.
Li definisco “residui” e non “scorie” in quanto durante il processo di fissione nu-
cleare con una serie di trasmutazioni si può produrre il plutonio, un elemento
transuranico non esistente in natura e cardine degli armamenti nucleari.
Gli altri elementi che derivano dalla scissione sono artificiali e altamente radioat-
tivi. Uno dei problemi che vengono trascurati da chi parla di nucleare è che nel
mondo abbiamo avuto in funzione circa 430 centrali nucleari, senza contare le

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centrali sperimentali e i piccoli reattori di ricerca: tutte da smantellare. In Italia
ne abbiamo quattro che non sono attive dal 1987 ed il processo di decommis-
sioning è al 30-40% circa. Ancora una volta, il processo di smantellamento si fa
attraverso apparecchiature che producono anidride carbonica.
Questi sono i risultati di sessant’anni in cui si è pensato solamente a costruire
centrali, perché lì c’era il business, facendo ereditare i problemi alle generazio-
ni future. Valga l’esempio della Germania: nella miniera di sale di Asse (giu-
dicata impermeabile alle infiltrazioni d’acqua) qualche anno fa si è iniziata la
costruzione di un deposito e poi lo si è riempito, per rendersi infine conto che
infiltrazioni impreviste avevano provocato il deterioramento dei fusti stoccati, la
cui rimozione sarà ora un’operazione estremamente complessa e costosa.
L’eredità nucleare è ingestibile: non c’è una soluzione ma è necessario trovare
ciò che per tutta la collettività sia il meno-peggio. In conclusione, se si vuole
affrontare l’energia nucleare, è necessario porsi questo complesso di problemi,
tutti legati uno all’altro. Non si può pensare di risolverne uno se non si affrontano
anche tutti gli altri.

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Cingolani (non) sa quello che dice:
reattori di IV generazione?
Giorgio Ferrari

Il discorso della transizione ecologica rimette in discussione o perlomeno do-
vrebbe rimettere in discussione un modello di sviluppo che riguarda il modo di
produrre: sia merci che energia, che a sua volta serve per la produzione di mer-
ci.
Quindi tengo sempre a precisare che quando si parla di transizione bisogne-
rebbe non limitarsi a dire abbandoniamo i combustibili fossili, che è importan-
tissimo perché sono i principali generatori di anidride carbonica, ma se si vuole
effettivamente dare corpo al termine transizione bisognerebbe rivedere anche
il modo di produzione: abbattere, insieme alle emissioni, il volume complessivo
delle merci prodotte e consumate, riqualificandole in termini di utilità sociale,
durata e “compatibilità socio-ambientale”. Questo discorso non lo affrontano
i responsabili, ma nemmeno gli scienziati: l’organizzazione internazionale che
   Il presente testo è elaborato a partire dall’intervento di Giorgio Ferrari all’iniziativa "Cingolani,
ministro della truffa ecologica. Dibattito: perché la fissione nucleare non è l’alternativa" tenutasi
a Bologna il 22 Settembre 2021.

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si occupa del clima da ormai circa vent’anni produce rapporti che ogni anno
creano allarme, ma anche loro (trincerandosi dietro al fatto che la scienza è
neutra e che certe decisioni e interpretazioni non spettano alla scienza) si limi-
tano quando ci riescono a fotografare la situazione del pianeta.
Cingolani si è inserito in questo dibattito con un atteggiamento preciso, coglien-
do ogni occasione per ribadire che nella transizione ecologica, considerata tut-
ta una serie di grandezze anche quantitative, il nucleare ha il suo ruolo perché
altrimenti non andrebbe in porto. Ovviamente, tenuto conto che Cingolani è
un ministro italiano e che in Italia ci sono stati due referendum che hanno boc-
ciato il nucleare, in modo attento non ha riproposto il vecchio nucleare, ma ha
fatto cenno a nuove prospettive di questa fonte, che risiedono in questi reattori
cosiddetti di quarta generazione. Il termine quarta generazione, così come la
terza, la seconda e la prima, sono classificazioni di comodo: per esempio la
prima generazione sono i primi reattori creati negli anni Cinquanta e Sessanta
(le prime centrali Italiane di Garigliano, Latina e Trino Vercellese appartengono
alla seconda generazione, seppur non ci sia una cesura netta tra le classifica-
zioni). Sono definizioni che servono a dare un’immagine di attualizzazione di
questa tecnologia, che ogni volta nella presentazione fatta al grande pubblico
hanno aggiunto qualcosa in più rispetto alle generazioni precedenti. Da que-
sto punto di vista potremmo dire che è scontato che sotto certi aspetti questi
nuovi reattori siano migliori degli altri; il problema è capire che migliorie sono e
in quale direzione vanno.
Gli aspetti principali sono sicuramente la sicurezza ed i rendimenti di questi im-
pianti, poiché (se abbiamo più di una fonte energetica a disposizione) la scelta
di un tipo di energia piuttosto che un altro dipende da quale è più efficace e

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da’ un rendimento maggiore.
Quello dell’efficienza, in un contesto tecnologico decisamente orientato al ri-
sparmio energetico, dovrebbe essere un criterio sufficiente, già di per sé, a boc-
ciare l’energia nucleare. Fra tutte le tecnologie affermatesi nel secolo scorso
infatti, quella nucleare mostra di non aver progredito affatto in termini di rendi-
mento: dopo 70 anni dall’avvio dell’atomo di pace i rendimenti di una centrale
elettro-nucleare sono passati dal 31% al 33%, mentre la generazione elettrica da
fonti convenzionali è passata dal 33% a oltre il 55%. Capita poi (purtroppo non
di rado) di imbattersi in affermazioni del tipo “il nucleare è una fonte inesauri-
bile”, dato che è largamente diffuso nella crosta terrestre o addirittura nell’ac-
qua di mare e comunque (sostengono molti opinion maker) quello che è già
disponibile si trova in aree geopolitiche stabili e affini al punto di vista europeo-
occidentale, come il Canada e l’Australia. Ai ritmi attuali di consumo però, e
immaginando che le riserve di questi due paesi (42% del totale mondiale) siano
destinate a rifornire esclusivamente l’Occidente, l’uranio canadese e australia-
no basterebbe a far funzionare le centrali nucleari europee e del nord America
per appena trenta anni.
Per quanto riguarda invece la sicurezza, consideriamo innanzitutto che questi
reattori sono figli (soprattutto la cosiddetta quarta generazione) dei più grandi
incidenti che ci sono stati nella storia: il primo grande incidente negli Stati Uni-
ti nel 1979; quello del 1986 di Chernobyl e quello del 2011 di Fukushima. Ogni
incidente ha segnato la storia della tecnologia nucleare perché a valle di que-
sti avvenimenti non solo gli organismi di sicurezza come l’International Atomic
Energy Agency, ma soprattutto gli enti come Nuclear regulatory Commission
degli Stati Uniti oppure il corrispettivo inglese, francese o italiano, hanno sem-

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pre riesaminato la filosofia complessiva di questi reattori per studiare cosa aves-
se provocato un incidente e fare in modo che non si verificasse un’altra volta.
Questo ha significato ogni volta una rilettura e una riproposizione della tecno-
logia nucleare. Non è che quindi all’interno del circuito non si sia riflettuto su
questi aspetti, è solo che ogni avanzamento ha comportato dei disastri (la ge-
nerazione 3+ viene dopo Chernobyl, ad esempio).
Dopo Fukushima, il contraccolpo è stato ancora più grande rispetto a Cherno-
byl, perché nel caso dell’Unione Sovietica è stato affermato (anche con una
certa intenzionalità politica) che i sovietici non sapessero fare rettori e che in
Occidente non sarebbe successo; invece l’incidente di Fukushima è stato an-
cora più disastroso perché ha riguardato non uno, ma quattro impianti. Questo
è importantissimo perché nella casistica dei guasti ogni reattore conta per sé:
se ci sono quattro reattori in un unico sito il fatto che ci sia stato un incidente in
contemporanea in tutti e quattro è semmai un’aggravante, soprattutto consi-
derando che tre di questi già risultavano compromessi 45 minuti prima dell’arrivo
dello tsunami.
Le industrie occidentali non aspettavano assolutamente un evento di questo
tipo: tutti (meno i francesi) hanno rivisto questa tecnologia.
Negli Stati Uniti dopo il 2011 è partita quindi la rincorsa al “nuovo nucleare”: ma
in cosa consiste? Intanto la quarta generazione ha poco a che fare con i reat-
tori a cui si è riferito Cingolani, i quali in realtà sono delle specificazioni ulteriori
all’interno della grande categoria dei reattori cosiddetti “piccoli” che vanno
da 1,2,3 MW fino a 300 MW (definirli piccoli è riduttivo, considerando che quello
di Trino Vercellese, seconda generazione, sviluppava 260MW).
Quelli di cui parla Cingolani sono gli Small Modular Reactors: modulari perché

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se ne possono fare diversi moduli uno accanto all’altro proprio perché sono
molto compatti e non hanno grosse dimensioni e grandi contenitori. Quindi a
fronte di una potenza inferiore in assoluto possiedono invece un’alta potenza
specifica. Ciò comporta che anche essendo più piccoli non è detto che siano
più sicuri: un’alta potenza specifica è un fattore di insicurezza perché comporta
degli arricchimenti in uranio 235 più elevati, quindi più fissioni e prodotti radioat-
tivi di fissione. Quantitativamente si passa dal 4-5% in un reattore grande fino al
20% di uno “piccolo”, considerando che oltre il 20% si parla di arricchimento di
grado militare.
I reattori possono avere vari meccanismi di raffreddamento: acqua, gas (elio),
o ancora metalli liquidi come ad esempio il piombo (il sodio è stato abbando-
nato a causa del rischio che esploda a contatto con aria o acqua, fatto che ha
determinato la chiusura dei reattori veloci di tutto il mondo -salvo uno in Russia-)
oppure sali minerali di litio o di fluoro a cui si mischia l’uranio (il tipo più sicuro al
livello di velocità di spegnimento). Al livello di combustibile, invece, Cingolani
ha fatto non a caso riferimento al torio, su cui hanno lavorato gli americani e
che poi hanno abbandonato per il seguente motivo: il torio non è un elemento
fissile, quindi si utilizza partendo da un reattore normale (a uranio 235) rivestito
di una certa quantità di torio per cui i neutroni prodotti dalla fissione bombar-
dano il torio che con l’assorbimento di un neutrone diventa uranio 233, che è
fissile ma non esiste in natura. Questo rende il ciclo complicatissimo, quindi è
una strada che in seguito non ha percorso nessuno (tranne l’India che però è
per ora ferma).
Come ultima categoria di questi small reactors ci sono i cosiddetti microreattori.
Questi sono realmente piccoli (andando da 1 a 2 MW, ma sempre con un alto

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arricchimento) e sono carrellabili: fatti cioè con la prospettiva di poter alimen-
tare un piccolo paese, una piccola comunità, delle piccole fabbriche oppure
dei cantieri molto grandi. Possono essere usati (sempre ipoteticamente) anche
12 anni senza manutenzione per poi essere restituiti al fornitore che rifornisce il
combustibile. Sono quasi commerciabili, e le loro caratteristiche ci aiutano a
capire qual è l’approccio alle nuove tecnologie nucleari, che si pongono co-
me estremamente feasibles: “alla portata di tutti”.
A che punto siamo con queste nuove tecnologie?
Le problematiche di alcuni di questi modelli risultano da decenni ancora irrisol-
vibili.
Citando l’ultimo yearbook dell’IAEA (2020) gli small reactors sono 72, di cui 39
Sono allo stato concettuale, 28 sono allo stato di sviluppo del progetto, 4 sono
in fase di realizzazione e uno è in commercio: un reattore galleggiante fatto dai
russi che viene ancorato in zone dove il mare è estremamente calmo e che è
stato licenziato proprio a marzo di quest’anno.
Quindi quando Cingolani ha fatto riferimento a queste “nuove” tecnologie (co-
me dicevo non tanto nuove, dal momento che alcune le abbiamo esaminate
in ENEL già 40 anni fa) di cui però, dato lo stato di cose che abbiamo descritto,
potremmo sentir parlare se va bene fra 20-30 anni.
Quindi a prescindere dalle polemiche, dalla propaganda e dalla visione po-
litica che possiamo dare sugli interessi che stanno dietro a queste tecnologie
teniamo presente che sono ancora futuribili: spenderle oggi all’interno del di-
scorso della transizione ecologica è (questa certamente sì) una speculazione
politica perché significa strumentalmente tentare di deviare l’attenzione rispetto
a quello che, viceversa, è un problema all’ordine del giorno.

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Il nucleare nell’Italia dei "prenditori"
privati
Massimo Zucchetti

Sono un ingegnere nucleare, mi sono laureato nel 1986: un mese dopo l’inci-
dente di Chernobyl. Sono professore ordinario di impianti nucleari. Non penso
che mi si possa accusare di essere un “boomer” contrario alla tecnologia. In
questo momento i miei corsi si chiamano: Impianti di produzione di potenza e
sostenibilità; Radiation Protection and Nuclear Safety e Fuel cycle, waste and
decommissioning.
Quando Grillo si è infatuato di Cingolani e rilasciava dichiarazioni quali: “que-
sto è l’unico ministro su cui puntiamo nel governo Draghi” o “è il nostro ministro
verde” pensavo venissero fuori altri nomi, tanto da farmi credere in un errore o
in un omonimo quando uscì il nome di Cingolani come ministro della transizione
ecologica. Il dottor Cingolani era infatti amministratore delegato della Leonar-
do: una multinazionale delle armi. Il suo CV è pubblico e si sa benissimo quali
      Il presente testo è tratto dall’intervento di Massimo Zucchetti all’iniziativa "Smascheriamo la
fissione nucleare. Verso Milano PreCop26" tenutasi a Milano il 29 Settembre 2021.

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sono le sue opinioni e ad oggi ne abbiamo avuto un chiaro esempio, anche
grazie all’incarico assunto.
Il problema è che adesso ci sono moltissimi soldi che fanno gola a tutti: l’Unione
Europea ha messo sul piatto una serie di fondi basati su un concetto di transi-
zione green tale per cui Draghi, anche a seguito dell’appoggio del Movimento
Cinque Stelle, ha incaricato il Ministro della Transizione Ecologica di dipingere
di verde una serie di cose in modo da riuscire ad accedere ai fondi europei.
Cingolani ha iniziato dipingendo di verde gli inceneritori, detti anche centrali a
biomasse, termo-valorizzatori (o più correttamente termo-cancro-valorizzatori).
A Torino, ad esempio, è presente un termo-valorizzatore che funzionerebbe mol-
to bene se bruciasse ciò che dovrebbe, ma nella pratica brucia tutt’altro e ciò
risulta in ingenti emissioni di diossine. Tanto è vero che i prezzi degli alloggi son
diminuiti del 60 % perché la gente non vuole vivere vicino alla centrale. Inol-
tre, questo termo-valorizzatore, che era pubblico, sta passando nelle mani dei
privati. Come è noto il passaggio ai privati (in Italia in particolare) comporta
l’andare in malora: non sono dei datori di lavoro, ma tuffatori di fondi che pri-
vatizzano i guadagni e rendono pubbliche le perdite. Questa è la classe indu-
striale italiana, quella di cui ci dovremmo fidare oggi, la stessa che ha ridotto
Torino a com’è oggi, la stessa che si trasferisce in Olanda per non pagare le
tasse e poi viene a dare a noi delle lezioni di correttezza e di ecologismo. Scris-
si un articolo anni fa intitolato “Agnelli finalmente ve ne andate da Torino”: e
se ne andarono, ma dall’Italia, decidendo di pagare le tasse in Olanda, conti-
nuando a prendere però incentivi e finanziamenti dallo Stato italiano. Non sono
imprenditori, ma prenditori.
Successivamente ai termo-valorizzatori Cingolani ha dovuto dipingere di verde

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le trivelle, dando nuovamente il via al funzionamento delle trivelle off-shore. Il
PD si era avvalso di un referendum per confermare le trivelle; va ricordato che
gli stessi che adesso fanno gli ecologisti pochi anni fa hanno votato a favore e
fatto fallire il referendum sulle trivelle. Per cosa è usato il petrolio estratto dalle
trivelle? Beh, per i motori a scoppio puliti. Cingolani ad oggi sta rimuovendo gli
incentivi sulle auto elettriche perché è possibile avere il cosiddetto diesel pulito,
che resta tale forse per i primi 50km percorsi fuori dalla fabbrica. Basta stare in
coda vicino ad un’automobile a diesel per capirne l’incongruenza, soprattutto
in città quali Milano o Torino. Quest’ultima non è neanche dotata di metropoli-
tana in quanto non voluta dagli Agnelli, al fine di vendere le automobili; la stessa
famiglia che ha fatto sì che si creasse una fittissima rete di quartieri-dormitorio
sprovvista di servizi, ma dove tutti avessero la propria auto. Questa parentesi
trovo sia necessaria per capire quanto la classe imprenditoriale italiana sia eti-
camente repellente.
In questa parabola, Cingolani ha finito per dipingere di verde anche il nucleare.
In Italia il primo referendum al riguardo è stato nel 1987 e il secondo è stato nel
2011. Andando a prendere in considerazione il secondo, è stata fatta una forte
campagna a favore dei quattro sì per evitare che l’Italia entrasse a contatto
con questo incubo. Negli anni ‘80 in Italia c’erano 4 impianti nucleari, uno di-
verso dall’altro, uno per ogni cattedra di impianti nucleari. L’accademia era
infatti suddivisa in quattro baronie: Milano, Torino, Roma e Palermo e ogni ba-
rone aveva il proprio impianto nucleare. Questa è stata la serietà dei nostri padri
e dei nostri nonni sulla questione nucleare. Dal 1999 poi si è giunti all’accordo
sulla necessità di smantellare gli impianti e trovare un singolo sito dove mettere
le scorie.

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Sono soddisfatto se si parla di ricerca, ma non abbiamo bisogno di Cingolani
che ci venga a dire dopo venticinque anni che qualcuno debba procedere
in questo campo, visto che i generatori di terza generazione funzionano molto
bene. Soprattutto se se ne discute come se il Generation Four fosse una novità,
seppur si sia iniziato a lavorarvi nel 1998.
Per capire quale è il ragionamento dietro ai reattori di nuova generazione è
necessario comprendere che in alcune nazioni, sprovviste di tecnologia, legi-
slazioni e personale qualificato non si potrà mai raggiungere un’infrastruttura
nucleare. In altri paesi, invece, ci sono reattori di terza generazione che fun-
zionano, ma si incentiva la ricerca su questi sei modelli di quarta generazione,
consapevoli della possibilità che la ricerca in questo ambito abbia delle rica-
dute e trovi nuove tecnologie e soluzioni grazie alle migliaia di persone che le
studiano. Tuttavia, sarebbe prematuro ed errato sostenere che il nucleare di
quarta generazione sia pronto e che sia conveniente dal punto di vista econo-
mico. Ad oggi quindi la ricerca sulla quarta generazione non è funzionale ad
una transizione ecologica immediata, ma verrà comunque continuato a stu-
diare a fini scientifici da interi enti e settori accademici.
A detta di Cingolani il mondo è pieno di ambientalisti radical chic e pieno di
ambientalisti oltranzisti ed ideologici, ma è anche pieno di venditori di fumo co-
me lui che vorrebbero venirci a raccontare che data la situazione attuale, in cui
l’81 % della produzione di energia viene ricavata dai combustibili fossili e una
parte dal rinnovabile tradizionale come l’idroelettrico o il geotermico, quella sia
la scusa per voler investire sui piccoli reattori nucleari modulari.
Quali sono le questioni legate ai reattori nucleari modulari? Essendo l’Italia un
paese molto popolato, è assai difficile localizzarvi un impianto nucleare dalla

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taglia corretta e normale (1200-1300/1600 MegaWatt). Basti pensare che non
si riesce neanche a trovare il sito per un deposito a bassa e media attività. Si è
pensato quindi di dividere i 1000 MW in cinque impianti da 200 MW, semplifican-
done quindi la locazione. A parità di energia prodotta e di potenza installata è
sicuramente più sicuro un solo reattore da 1600MW che una decina di reattori
da 200MW. Se la volontà è quella di produrre energia è chiaro che mettere otto
impianti invece di uno, sebbene più piccoli, non fa che aumentare il rischio.
Quindi, quando ai primi di settembre si è aperta la discussione al riguardo a me
ha fatto piacere perché sapevo sarebbe successo il caos. La nuova dichia-
razione di Cingolani, quella del 24 settembre, in cui auspicava il “nucleare in
Italia” è impossibile da veder realizzata: il nucleare oggi in Italia non potremmo
farlo. Bisognerà sentire di nuovo che cosa ne pensa l’opinione pubblica.
Il nucleare, a mio parere, è una tecnologia molto importante e seria, ma va
gestita correttamente e non da politici e industriali innominabili. A chi vogliamo
affidare l’eventuale costruzione di impianti nucleari in Italia? A ditte come l’An-
saldo? Ricordiamo inoltre che le due centrali nucleari in costruzione da dieci
anni, una in Francia e una in Finlandia, non sono ancora ultimate. Nel frat-
tempo, in Cina ne fanno circa cinquanta al decennio. È evidente quindi che
nell’Unione Europea qualcosa non funziona più, in particolar modo su questa
questione.
Il dibattito in Italia viene distorto in vari modi: da un lato abbiamo Cingolani
che sostiene che con l’ultimo referendum si sia votato un no solo alle vecchie
tecnologie (considerazione errata visto che il referendum del 2011 prendeva
in considerazione tutte le tecnologie presenti fino ad allora). Inoltre la stessa
maggioranza si trova divisa e contrapposta da interessi diversi, se pensiamo ad

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esempio alle parole del leader della Lega Matteo Salvini che ha dichiarato che
vedrebbe di buon occhio una centrale in Lombardia.
Sarebbe utile e costruttivo se si riuscisse a trovare davvero un modo per mettersi
d’accordo, non ponendoci la risoluzione del problema da subito, ma iniziando
ad individuare gli opportuni paletti da mettere.
Una settimana fa ha dichiarato invece Cingolani di non aver cambiato idea -
che è la classica cosa che si dice quando l’idea la si cambia- sostenendo che
“ci sono 4 paesi che stanno studiando il nucleare di quarta generazione -in real-
tà sono ben più di 4 e- per quanto invece riguarda il futuro immediato occorre
spingere sulle energie rinnovabili, così da sganciarci più rapidamente possibile
dal costo del gas”. Cingolani ha appunto lanciato una sorta di appello in cui
confida che “il decreto semplificazioni porti da 1200 a circa 300 i giorni neces-
sari per autorizzare un impianto per energia rinnovabile.”
L’attuale ministro dovrebbe capire che il suo mestiere non è quello di dipingere
di verde delle cose che sono eticamente non mascherabili, ma di pensare a
quali siano nell’ambito attuale le possibili transizioni ecologiche reali.
Concludendo, resta il fatto che, occupandomi anche di cambiamenti climatici
sono convinto che l’ambiente possa essere forse salvato solo attraverso l’abbat-
timento del capitalismo, smantellando con la forza l’insieme di regole che fanno
sì che ci sia qualcuno che possa ad esempio possedere una barca da milioni
di euro per portare Greta attraverso l’Atlantico. Non è colpa di cattivi politici
se stiamo distruggendo il pianeta, sono gli interessi che loro rappresentano che
lo stanno facendo. Non c’è nessun capitalismo sostenibile e non c’è nessuna
energia sostenibile se continuiamo ad aumentare i nostri consumi energetici.
Qualsiasi energia, persino un nucleare miracoloso senza problemi o un rinnova-

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bile solare, non è sostenibile se continua ad aumentare la domanda e se non ci
dotiamo di pacchetti di provvedimenti semplici ed efficaci che possano mette-
re tutto a posto. Questi provvedimenti non esistono, perché comporterebbero il
ribaltamento dello stato attuale delle cose e la caduta di chi sta attualmente al
potere. Tutto ciò è riassumibile della frase di Chico Mendez, il quale sosteneva
che “l’ambientalismo senza lotta di classe non è altro che giardinaggio”.

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