Il caso Whatsapp tra gratuità del contratto e clausole vessatorie

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Il caso Whatsapp tra gratuità del contratto e clausole
vessatorie
Autore: Zappatore Margherita
In: Diritto civile e commerciale

Introduzione

Si è concluso con una sanzione di tre milioni di dollari il procedimento che AGCM ha esperito nei confronti
di Whatsapp Inc. ad ottobre del 2016 per presunta violazione del Codice di Consumo.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha avviato un’istruttoria a seguito della modifica dei
“Termini di Utilizzo” del 25 agosto 2016 in merito al presunto inserimento di clausole vessatorie. Nel
corso del procedimento Whatsapp Inc. ha cercato di dimostrare l’insussistenza di violazioni del Codice di
Consumo e contesta ad AGCM di aver considerato le limitazioni afferenti a quelle clausole tacciate di
vessatorietà trascurando che Whatsapp Messanger è un’applicazione gratuita, un servizio globale
unificato offerto a più di un miliardo di utenti in più di 180 paesi. La parte ha affermato dunque che non si
potrebbe configurare un'ipotesi di squilibrio a danno del consumatore in quanto il professionista non
riceve un guadagno dall’utente.
L’AGCM ha giudicato diversamente. Non ha ritenuto di considerare la gratuità del contratto del
consumatore come fondamento giustificativo dell’utilizzo di clausole vessatorie ed ha precisato che, ai fini
della qualificazione come contrattuale del rapporto tra Whatsapp ed il consumatore, non rileva la gratuità
del servizio. La prestazione è erogata gratuitamente ma ha un vantaggio economicamente apprezzabile
che ottiene aliunde .
A questo proposito, l’elaborato si pone l’obiettivo di analizzare la disciplina concernente i contratti del
consumatore a titolo gratuito. In particolar modo, traendo spunto dalla difesa dei Whatsapp Inc. nel
suddetto procedimento, ci si propone di comprendere se la gratuità del contratto implichi che lo stesso sia
esente da interessi patrimoniali e fino a che punto la gratuità del servizio offerto possa legittimare l’uso da
parte del professionista di clausole vessatorie ai danni dei consumatori.
CAPITOLO I

LA DISCIPLINA DEI CONTRATTI DEL CONSUMATORE

1. Codice del consumo e tutela dei consumatori.
Il Codice del consumo è un corpus di norme creato con lo scopo di armonizzare e riordinare le normative
concernenti i processi di acquisto e consumo, al fine di assicurare un elevato livello di tutela dei
consumatori e degli utenti (art.1). Il legislatore infatti ha voluto rendere più agevole il reperimento della

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disciplina concernente il consumatore organizzando in un corpo unico le regole scritte fino all’anno della
sua emanazione . Un’emanazione recente, figlia di un percorso storico-politico che muove i primi passi
oltreoceano e che risente dell’esperienza della Comunità europea.
Le prime politiche in favore del consumatore sono dettate nel 1890 con l’emanazione della normativa
“Antitrust” – meglio nota come Sherman Act – la quale disciplina una serie di pratiche scorrete ai danni
tanto del piccolo commercio tanto del consumatore. È proprio in questi anni che si sviluppa il concetto di
consumerism quale movimento d’opinione e d’azione con lo scopo di accrescere l’interesse dei
consumatori rispetto al mercato e ai loro diritti – appunto, diritti dei consumatori. Questo fenomeno
sociale viene avvertito intorno agli anni ’60 anche in Europa ed in particolar modo in Paesi come la
Francia in cui si emanano le prime normative rivolte all’informazione del consumatore.
La tutela del consumatore così come disciplinata dal Codice nostrano risente in maniera massiccia
dell’influenza comunitaria. Un punto di svolta si è avuto in proposito con l'iniziativa del Consiglio di
indicare un «Programma preliminare della CEE per una politica di protezione e di informazione del
consumatore». Tale programma ha avuto come obiettivo anche quello di rafforzare e coordinare le azioni
volte alla protezione del consumatore. Consumatore non è più solo un consumatore di beni e servizi.
Consumatore ora è «individuo interessato ai vari aspetti della vita sociale che possono direttamente o
indirettamente danneggiarlo come consumatore» . Il consumatore è destinatario di cinque diritti
fondamentali: il diritto alla protezione della salute e della sicurezza; alla tutela degli interessi economici;
al risarcimento dei danni; all'informazione e all'educazione; alla rappresentanza.
L’esigenza di protezione del consumatore è avvertita più forte in Italia solo negli anni ’90. Il codice civile
era monco di una normativa adeguata in materia e non vi era ancora una definizione di consumatore, che
invece è offerta dal Codice del consumo. Originariamente fu inserito con l'art. 25 della legge 52 del 6
febbraio 1996 (in attuazione della direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993), il capo XIVbis dedicato ai
"Contratti del consumatore" (artt.1469 bis-sexises) nel libro IV del codice civile, al Titolo II (Dei contratti
in generale). L’art.1469bis offriva per la prima volta una definizione di consumatore, considerato come la
persona fisica che agisce "per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente
svolta"; mentre, per professionista, s’intendeva "la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che nel
quadro della sua attività imprenditoriale o professionale" conclude un contratto. Con l’entrata in vigore
del Codice del consumo si è ritenuto opportuno raggruppare all’interno di esso anche le disposizioni
concernenti i contratti dei consumatori in generale e le conseguenti norme di tutela degli stessi. Gli
articoli 1469bis e ss., sono stati ripresi dal Codice del consumo negli articoli 33-37 e sostituiti nel codice
civile dall’unico art.1469bis, norma di raccordo tra il nuovo codice di settore e il corpus civilistico rispetto
al quale soggiace la normativa dei contratti del consumatore.
Per rispondere alle esigenze di semplificazione e di riassetto normativo della disciplina del consumatore, il
Governo è stato delegato con l’art. 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229, a redigere un testo unico che
inglobasse le norme fino ad allora emanate, nel rispetto di quattro princìpi:
a) «Adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie e agli accordi internazionali e articolazione
della stessa allo scopo di armonizzarla e riordinarla, nonché di renderla strumento coordinato per il
raggiungimento degli obiettivi di tutela del consumatore previsti in sede internazionale.»
b) «Omogeneizzazione delle procedure relative al diritto di recesso del consumatore nelle diverse
tipologie di contratto».

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c) «Conclusione, in materia di contratti a distanza, del regime di vigenza transitoria delle disposizioni più
favorevoli per i consumatori, previste dall'articolo 15 del decreto legislativo 22 maggio 1999, n. 185, di
attuazione della direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, e
rafforzamento della tutela del consumatore in materia di televendite».
d) «Coordinamento, nelle procedure di composizione extragiudiziale delle controversie, dell'intervento
delle associazioni dei consumatori, nel rispetto delle raccomandazioni della Commissione delle Comunità
europee».
Il corpus che ne è nato è l’attuale Codice del consumo che si presenta dalla struttura aperta, ossia
suscettibile di ulteriori modificazioni, e settoriale nel senso che disciplina le norme che prevedono la
tutela del consumatore.
Esso inoltre è diviso in sei parti:
- Parte I: disciplina i princìpi in generale, contiene norme di principio ed enuncia le finalità dello stesso;
- Parte II: tratta dell’educazione al consumatore, delle informazioni fornite al consumatore, delle
pubblicità e delle pratiche commerciali;
- Parte III: concerne il rapporto di consumo e tratta dei contratti del consumatore e della disciplina delle
clausole vessatorie;
- Parte IV: attiene la qualità e la sicurezza dei prodotti;
- Parte V: disciplina la tutela giurisdizionale del consumatore e l’associazionismo;
- Parte VI: contiene le disposizioni finali.
Il codice è sovente soggetto a modifiche indotte dagli adeguamenti alle numerose direttive di fonte
comunitaria.
1.2 Tutela del consumatore e normativa comunitaria.
Forte impulso alla disciplina concernente alla materia del consumo e alla tutela del consumatore è dato
dalla normativa comunitaria.
È solo con l’approvazione dell’Atto unico europeo che venne conferito un fondamento giuridico alla
politica dei consumatori. Esso dava mandato alla Commissione - organo preposto alla vigilanza
sull’attuazione del quadro generale che valuta i risultati delle azioni e dei progetti - di definire le proprie
proposte di legislazione per la realizzazione del mercato unico. Il Trattato di Maastricht introdusse un
apposito titolo dedicato alla tutela dei consumatori (l’ex Titolo XI, ora XIV), nel quale esplicitamente si
affermava l’obiettivo di garantire un “elevato livello di protezione dei consumatori”. Nello stesso titolo si
precisava che le iniziative dell’Unione europea, a protezione dei consumatori, dovevano tendere ad
integrare e a non sostituire le attività delle autorità nazionali regionali e locali, limitandosi a definire un
livello comune di tutela dei consumatori valevole per il mercato unico. L’articolo 129 A cita
espressamente:
«La Comunità contribuisce al conseguimento di un livello elevato di protezione dei consumatori mediante:
a) misure adottate in applicazione dell'articolo 100 A nel quadro della realizzazione del mercato interno;
b) azioni specifiche di sostegno e di integrazione della politica svolta dagli Stati membri al fine di tutelare
la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori e di garantire loro un'informazione
adeguata delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite, comprese le zone rurali.»
Fondamentale è l’art.153 del Trattato CE che, dopo aver sottolineato l’esigenza di garantire una più
adeguata promozione degli interessi economici dei consumatori, del loro diritto all’informazione,

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all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi, sottolinea che la Comunità
provvederà a garantire un alto livello di protezione dei consumatori nella definizione e nell’attuazione di
ogni sua politica. Inoltre stabilisce che la Comunità contribuisce al conseguimento degli obiettivi sopra
citati mediante:
- misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative;
- misure di sostegno, di integrazione e di controllo della politica svolta dagli Stati membri, adottate dal
Consiglio secondo la procedura di co-decisione.
Un’accelerazione nei tempi di produzione legislativa si ebbe nel 1992 con il varo del programma per
l’attuazione del mercato unico: tra il 1988 e il 1993 furono, infatti promulgate una serie di direttive di
portata settoriale che fissavano i requisiti di sicurezza per i giocattoli, i mezzi e le attrezzature di
protezione del personale e che disponevano nuovi controlli sanitari e sistemi di etichettatura per gli
alimenti e i prodotti agricoli.
Questa disciplina fu completata nel 1992 con una direttiva ad indirizzo generale; essa imponeva ai
fabbricanti e ai distributori l’obbligo d’immettere sul mercato prodotti sicuri e attribuiva la responsabilità
agli Stati membri in merito all’utilizzo delle strutture di controllo per verificarne l’applicazione.
I riferimenti normativi europei sono anche: l’art. 38 della Carta dei diritti fondamentali, l’art. 12 TFUE e il
Titolo XV del TFUE. Gli obiettivi cui il legislatore europeo si rivolge sono molteplici: proteggere i diritti dei
consumatori attraverso la legislazione, anche aiutando a risolvere le controversie con gli operatori
commerciali in modo rapido ed efficiente; assicurare che i diritti dei consumatori vengano adeguati ai
cambiamenti economici e sociali; garantire la sicurezza dei prodotti acquistati all’interno del mercato
unico; aiutare a effettuare scelte basate su informazioni chiare, accurate e coerenti.
In attuazione degli obiettivi europei, il legislatore italiano ha avvertito l’esigenza di introdurre dapprima
delle disposizioni all’interno del codice civile e poi di organizzare la normativa in un unico testo per una
più facile consultazione e ricezione, il Codice del consumo. Strutturato come un codice aperto, il Codice
del consumo è spesso sottoposto a modifiche necessarie tra le quali, una tra le più recenti ed importanti, è
stata accolta per effetto del recepimento della Dir. 2011/83/UE. La Direttiva mira a tutelare il
consumatore in fase di “ripensamento”; essa stabilisce il diritto di ripensamento che il consumatore può
esercitare entro un termine di 14 giorni. Nel caso in cui il consumatore non sia stato adeguatamente
informato in sede di contrattazione, ha il diritto di recedere entro 12 mesi dalla conclusione del contratto.
Per ultimo, non si può non far riferimento alla Corte di Giustizia Europea che più volte si è pronunciata in
materia di protezione del consumatore. Si può citare una delle più recenti pronunce, la sentenza C-75/16
del 14 giugno 2017 in merito al decreto legge n. 50/2017. La c.d. "manovra correttiva dei conti pubblici" si
poneva l’obiettivo di introdurre stabilmente nel nostro ordinamento processuale l'esperimento di un
preventivo tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità nel giudizio civile. A questo proposito,
i giudici europei hanno ritenuto che la previsione di assistenza legale del consumatore nella mediazione
per le controversie B2C (Business to Consumer) come condizione di procedibilità della domanda
giudiziale, non fosse compatibile con il diritto dell’UE. In particolare, ha ritenuto le norme di cui agli artt.
articoli 5 comma 1-bis, 8 comma 1 e 8 comma 4-bis del decreto legislativo n. 28/2010 contrastanti con
l’articolo 1 della direttiva 2013/11 nella parte in cui impongono al Consumatore che prende parte a una
procedura ADR di essere assistito necessariamente da un avvocato.

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1.3 Strumenti di tutela del consumatore: AGCM
La tutela del consumatore trova attuazione grazie al lavoro di numerosi soggetti ed organismi ai quali
sono attribuiti compiti e funzioni diversi tali da non permettere una ricostruzione unitaria degli stessi. Tra
questi ci limiteremo ad elencare:
- Autorità per l’energia elettrica e il gas: ha il compito di fissare periodicamente i prezzi massimi per la
fornitura in regime di maggior
- tutela; promuovere interventi di efficienza nel settore energetico; dettare le regole minime al fine di
garantire alle utenze un servizio fornito di qualità; controllare che non vengano violate le regole della
concorrenza; accogliere reclami degli utenti e cerca soluzioni per le controversie tra utenti e fornitori.
- Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: di assicurare la corretta competizione degli operatori sul
mercato e di tutelare il pluralismo e le libertà fondamentali dei cittadini nel settore delle
telecomunicazioni, dell'editoria, dei mezzi di comunicazione di massa e delle poste.
- Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob): ha il compito di regolamentare la prestazione
dei servizi di investimento, gli obblighi informativi delle società quotate e le offerte al pubblico di prodotti
finanziari; autorizzare la pubblicazione dei prospetti informativi relativi ad offerte pubbliche di vendita e
dei documenti d'offerta concernenti offerte pubbliche di acquisto, l'esercizio dei mercati regolamentati, le
iscrizioni agli albi di settore; vigilare sulle società di gestione dei mercati e sulla trasparenza e l'ordinato
svolgimento delle negoziazioni, nonché sulla trasparenza e correttezza dei comportamenti degli
intermediari e dei promotori finanziari; sanzionare i soggetti vigilati, direttamente o formulando una
proposta al Ministero dell'Economia e delle Finanze; controllare le informazioni fornite al mercato dalle
società quotate e da chi promuove offerte al pubblico di strumenti finanziari, nonché le informazioni
contenute nei documenti contabili delle società quotate; accertare eventuali andamenti anomali delle
contrattazioni su titoli quotati e compie ogni altro atto di verifica di violazioni delle norme in materia di
manipolazione del mercato (fattispecie oggi applicabile in caso di società quotate), abuso di informazioni
privilegiate (insider trading) e di aggiotaggio.
- Garante per la protezione dei dati personali: ha il compito di controllare che i trattamenti siano effettuati
nel rispetto delle norme di legge; ricevere ed esaminare i reclami e le segnalazioni e provvedere sui
ricorsi presentati dagli interessati; vietare anche d'ufficio i trattamenti illeciti o non corretti ed
eventualmente disporne il blocco; promuovere la sottoscrizione di codici di deontologia e buona condotta
di determinati settori; segnalare al Governo e al Parlamento l'opportunità di provvedimenti normativi
richiesti dall'evoluzione del settore; esprimere pareri nei casi previsti; curare la conoscenza tra il pubblico
della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali e delle relative finalità e in materia di
misure di sicurezza dei dati; denunciare i fatti configurabili come reati perseguibili d'ufficio conosciuti
nell'esercizio delle sue funzioni; tenere il registro dei trattamenti; predisporre una relazione annuale
sull'attività svolta da presentare al Governo e al Parlamento; essere consultato da Governo o Ministri
quando questi predispongono norme che incidono sulla materia; cooperare con le altre autorità
amministrative indipendenti; organizzare il proprio ufficio ed il proprio organico ed il loro trattamento
giuridico, economico ed amministrativo.
- Banca d’Italia: che concorre alle decisioni della politica monetaria unica nell'area dell'euro e svolge gli
altri compiti che le sono attribuiti come banca centrale componente dell'Eurosistema. Può effettuare
operazioni in cambi conformemente alle norme fissate dall'Eurosistema.

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In questa sede si concentrerà l’attenzione sull’Autorità Garante per la concorrenza ed il Mercato. Meglio
nota come AGCM, è stata istituita in tempi recenti con legge n. 287/90 ed è un’autorità amministrativa
indipendente italiana che «opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione» .
Organo collegiale, è composto da un Presidente, scelto tra persone di notoria indipendenza e che abbiano
ricoperto incarichi istituzionali, e quattro membri, scelti tra magistrati del Consiglio di Stato, della Corte
dei Conti o della Corte di Cassazione, professori universitari ordinari di materie economiche o giuridiche,
o personalità con alta professionalità. Il consesso è nominato con determinazione adottata d’intesa dai
Presidenti della Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica per sette anni senza possibilità di
secondo incarico. Non possono esercitare alcuna attività professionale né di consulenza, né possono
ricoprire cariche in altri enti od organi pubblici.
L’Autorità, in collaborazione con le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, è tenuta all’espletamento
dei propri doveri, quali:
a) Assicurare le condizioni generali per la libertà di impresa, che consentano agli operatori economici di
poter accedere al mercato e di competere con pari opportunità;
b) Tutelare i consumatori, favorendo il contenimento dei prezzi e i miglioramenti della qualità dei prodotti
che derivano dal libero gioco della concorrenza.
In merito a quest’ultimo obiettivo, l’AGCM si è aperta negli ultimi anni a vagliare il settore del e-
commerce e dei contratti «di massa» ossia quei contratti predisposti nel loro contenuto normativo
dall’imprenditore, che può essere una persona fisica o giuridica, il quale offre beni o servizi ad una
pluralità di consumatori, appunto una massa generalizzata di individui che sono i consumatori. I contratti
di massa sono generalmente moduli o formulari predisposti unilateralmente dal professionista i quali
richiedono per il loro perfezionamento la semplice sottoscrizione da parte del consumatore. Quest’ultimo
è spesso ignaro del contenuto normativo del contratto -complesso e a tratti oscuro- che sottoscrive, non ne
conosce le clausole –scritte in modo minuscolo-, né tanto meno ha contezza dell’operazione che compie ma
semplicemente compila degli spazi bianchi inserendo i propri dati personali e accettando, con la spunta di
un quadratino, condizioni e termini di servizio non letti. Dal contratto discendono obblighi e diritti per
entrambe le parti come in un comune contratto di diritto privato: il professionista ha l’obbligo di erogare il
servizio o di vendere il bene, il consumatore ha l’obbligo di pagare quella prestazione o quel servizio.
Come un comune contratto, è un accordo tra due o più parti per costituire, modificare o estinguere un
rapporto giuridico. Ma diversamente da un contratto di diritto privato, il contenuto normativo non è il
frutto di un accordo libero e bilaterale tra le parti, ma vi è una parte, il professionista, più forte
contrattualmente rispetto all’altra, il consumatore, in quanto ha il potere di determinare il predisporre e
imporre le norme negoziali e quindi le condizioni del futuro rapporto giuridico ed economico. Questo
fenomeno ha attirato l’interesse e la preoccupazione del legislatore, nazionale ed europeo, che ha cercato
di colmare il gap tra le due parti contrattuali. Il professionista infatti, a fronte di una maggiore
competizione sul mercato, può abusare del potere contrattuale e somministrare al consumatore, ignaro,
clausole contrattuali vessatorie ossia che determinano ai danni di quest’ultimo uno squilibrio tra diritti ed
obblighi. Per arginare e prevenire situazioni pregiudizievoli per il consumatore, l’Autorità verifica le
modalità di erogazione dei servizi e la trasparenza nelle comunicazioni rivolte al pubblico. L’Autorità si
muove in due direzioni:
- Rispetto al consumatore: mira ad informare ed a sensibilizzare; diffondendo conoscenza delle condizioni

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d’uso dei servizi e offrendo massima trasparenza e concorrenzialità;
- Rispetto al professionista: ha il potere di irrogare sanzioni e accertare che questi agisca senza incorrere
in violazioni gravi ai danni dei consumatori.
L’Autorità può avviare un’istruttoria in materia di pratiche commerciali scorrette, d’ufficio o a seguito di
una segnalazione con una denuncia on-line. A seguito della denunci, se l’AGCM ritiene di avviare il
procedimento, il denunciante verrà informato con lettera o con pubblicazione di un avviso su internet
qualora ci fossero molteplici segnalazioni.
L’Autorità può disporre con provvedimento motivato, la sospensione provvisoria delle pratiche
commerciali scorrette laddove sussista particolare urgenza. In caso di accertamento positivo di pratica
commerciale scorretta, al termine dell’istruttoria, il Garante diffida i responsabili dal continuare a porla in
essere e può infliggere una sanzione pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro, a seconda della gravità e della
durata dell’azione commessa. In caso di pubblicità ingannevole e comparativa, la sanzione da irrogare va
da 5.000 a 500.000 euro.
Nel caso accerti un comportamento illecito può tentare una moral suasion, invitando l’impresa a
rimuovere i comportamenti oggetto di contestazione ovvero può imporre la pubblicazione della propria
delibera o di una dichiarazione rettificativa, a spese dell’impresa, sui mezzi ritenuti più idonei. Nei casi di
particolare urgenza, qualora si ritenga che nelle more del procedimento possano prodursi effetti gravi e
irreparabili, l’Autorità può sospendere provvisoriamente in via cautelativa la pratica scorretta o il
messaggio ingannevole (art. 27, comma 3, del Codice del consumo e art. 8, comma 3, del Dlgs. n.
145/2007). Al comma 7 del medesimo art.8, si prevede che nelle ipotesi di non manifesta gravità e
scorrettezza della pratica le imprese possano presentare impegni idonei a porre fine all’infrazione.
In materia di clausole vessatorie, l’Autorità, d’ufficio o su denuncia, può accertare la vessatorietà delle
clausole, sicché adotta un provvedimento che viene pubblicato, anche per estratto, sul suo sito e su quello
dell’operatore (il professionista) che ha adottato la clausola ritenuta vessatoria, e viene comunicato con
ogni altro mezzo ritenuto opportuno per informare i consumatori.
Per poter svolgere le proprie mansioni, l’Autorità può collaborare con la pubblica amministrazione o altri
enti ovvero può chiedere al professionista rispetto al quale avvia un’istruttoria, il recepimento di
informazioni. In caso di diniego, essa può comminare sanzioni pecuniarie nel caso in cui il professionista
non fornisca le informazioni richieste ovvero qualora le stesse non siano veritiere, nonché in caso di
inottemperanza del professionista all’obbligo di pubblicazione del provvedimento che ha accertato la
vessatorietà delle clausole.

2. Clausole vessatorie nei contratti tra consumatore e professionista
La tutela del consumatore è strettamente legata al mondo delle clausole vessatorie. L’evoluzione delle
pratiche commerciali ha diffuso esponenzialmente l’utilizzo dei contratti standardizzati preferendoli ai
contratti classici che sembrano esser diventati quasi anacronistici in un’epoca in cui con pochi click si può
bypassare la dilatazione dei tempi necessari per la conclusione degli accordi contrattuali. La dottrina e la
giurisprudenza si sono interrogate riconduzione dei contratti standardizzati alla disciplina civilistica del

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contratto. L’aspetto rispetto al quale si è focalizzata la loro attenzione concerne l’obliterazione dei dettati
volontaristici secondo la teoria per cui “la volontà è determinante degli effetti: qui sta la caratteristica
propria del negozio giuridico” . Caratteristica, quella della volontà delle parti nel negozio giuridico, che
pare non essere pregnante nei contratti tra consumatore e professionista. I contratti conclusi tra il
consumatore ed il professionista, detti contratti di adesione, sono particolarmente meritevoli di attenzione
perché si tratta di moduli o formulari prestampati il cui contenuto è predisposto da una sola delle parti,
con cui vengono definite a priori le condizioni che regoleranno i rapporti tra un soggetto e l’altro. Sono
diffusi soprattutto nel commercio su larga scala, in particolare, nei servizi bancari, assicurativi, nelle
società di telecomunicazioni o di fornitura di servizi (gas, luce, acqua).
In questa prospettiva si inserisce il problema dell’utilizzo di clausole e termini sconvenienti per il
consumatore ma che lo stesso, spesso ignaro, si trova ad accettare. Sono vessatorie quelle clausole
contenute nei contratti che vengono formulate in modo da risultare particolarmente sfavorevoli per il
consumatore al carico del quale creano uno squilibrio. Sono disciplinate dall’art. 33 comma 1 del Codice
di Consumo il quale cita: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano
vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo
squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.”. Parimenti, anche il codice civile ex art.1341
comma 2, afferma che “in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto,
le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà
di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente
decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi
terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza
dell'autorità giudiziaria”.
La disciplina del Codice dei Consumatori (ex art.33) e la disciplina civilistica (ex art.1341) non si
sovrappongono ma si integrano l’un l’altra presentando tratti comuni e tratti differenziati. La prima
distinzione si rileva sul piano sanzionatorio: le clausole elencate ex art. 33 sono da considerarsi nulle,
mentre sono inefficaci invece quelle previste dal codice civile. Altra distinzione si rinviene sul piano della
rilevabilità ex officio, prevista dal Codice del consumo, preclusa nel codice civile. Il Codice del consumo
prevede anche il principio di trasparenza delle clausole contrattuali, differentemente dalla disciplina
civilistica. Aspetto comune è l’idoneità della trattativa individuale ad escludere la vessatorietà delle
clausole contrattuali.
Il carattere di vessatorietà delle clausole si desume da un’analisi che accerti l’esistenza di un significativo
squilibrio dei diritti e degli obblighi del consumatore, tenuto conto della natura del bene o del servizio
oggetto del contratto, delle circostanze esistenti al momento della sua conclusione e delle altre clausole
del contratto. “La valutazione della vessatorietà non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto
o all’adeguatezza del corrispettivo dei beni o servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro
e comprensibile” .
Affinché possa essere applicata la disciplina delle clausole vessatorie è necessaria la sussistenza di:
- Presupposti soggettivi: vi deve essere un professionista (ex art.3 C.d.C.) individuata in base a criteri
oggettivi consistenti nel fatto di agire non per fine di lucro ma per la propria attività imprenditoriale,
commerciale, artigianale o professionale. Pertanto anche un’associazione o un ente pubblico non avente
scopo di lucro ma attivo sul mercato per offrire beni e servizi dietro corrispettivo è ritenuta tale. Il

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professionista deve contrattare con un consumatore o utente ossia con colui che agisce per scopi estranei
all’attività imprenditoriale, artigianale, commerciale o professionale.
- Presupposti oggettivi: l’art.34 C.d.C. esclude che siano dichiarate vessatorie quelle clausole frutto di una
trattativa privata con la quale il singolo utente ha inciso o influenzato il contenuto del contratto. È
sottoposto alla disciplina delle clausole vessatorie il contratto standard ossia quello preformulato ovvero
quello che è predisposto unilateralmente dal professionista mentre è da escludere a priori quel contratto
in cui il consumatore ha inciso nella determinazione del contenuto contrattuale ovvero quello in cui il
consumatore scelga tra due o più regolamenti contrattuali predisposti unilateralmente dal professionista.
Non sono da considerarsi vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero siano
riproduttive di disposizioni o attuative di princìpi contenuti in convenzioni internazionali di cui siano parte
gli Stati membri o la UE.
I criteri di valutazione di vessatorietà sono disciplinati dall’art. 34 C.d.C. per i quali la vessatorietà va
valutata:
1) Tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto;
2) Facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione;
3) Facendo riferimento alle altre clausole del contratto stesso o di altro collegato o da cui dipende.
Al comma 2 si disciplinano i criteri che delimitano l’ambito del giudizio in base ai quali la vessatorietà non
attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto e all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei
servizi purché tali elementi siano stati individuati in modo chiaro e comprensibile.

2.1. Clausole vessatorie: lista grigia e lista nera.
La disciplina delle clausole vessatorie non si esaurisce in quelle contemplate dall’art. 33 del codice dei
consumatori ma si estende anche all’art. 36 C.d.C. Le fattispecie tipizzate dal legislatore sono sottoposte
ad una presunzione di vessatorietà a priori dal legislatore la quale è relativa per quanto concerne il
comma 2 dell’art. 33 ed assoluta per quanto concerne il comma 2 dell’art. 36. A questo proposito la
dottrina parla di lista grigia e lista nera di clausole vessatorie.
La lista grigia concerne quelle clausole per le quali è prevista una presunzione iuris tantum di
vessatorietà, presunta fino a prova contraria. Secondo l’elencazione prevista dall’art.33.2, si presumono
vessatorie quelle clausole che hanno per oggetto o per effetto di:
[…] b) escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra
parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;
[…] d) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l'esecuzione della prestazione del
professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà;
[…] g) riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto,
nonché consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a
titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal
contratto;
[…] m) consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le
caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto
stesso;
[…] u) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o

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domicilio elettivo del consumatore.
Il consumatore può chiedere al giudice che venga dichiarata vessatoria anche la clausola che ha
sottoscritto. La prova contraria con cui si accerta la non vessatorietà delle clausole deve essere fornita dal
professionista sul quale incombe l'onere di dimostrare che la clausola sospetta non determina un
significativo squilibrio ai danni del consumatore e non contrasta con il dovere di buona fede oggettiva. Il
significativo squilibrio di diritti e obblighi contrattuali ai danni dei consumatori si deve intendere secondo
un’accezione normativa piuttosto che economica attinente alla convenienza economica dell’affare o delle
prestazioni. Lo squilibrio contrattuale che danneggia il consumatore incide sulla sua posizione giuridica in
quanto ne comporta una incisiva diminuzione di diritti o garanzie contrattuali. La presunzione di
vessatorietà non si esclude qualora vi sia approvazione per iscritto della clausola.
L’elencazione delle clausole non è da considerarsi tassativa ma esemplificativa, potendosi ritenere
vessatorie anche quelle clausole non espressamente previste dal legislatore purché dirette a realizzare un
significativo squilibrio tra professionista e consumatore.
La lista nera contiene invece la disciplina delle clausole che si ritengono sempre vessatorie ex art.36.2
C.d.C. «Sono nulle le clausole che, quantunque oggetto di trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di:
a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del
consumatore, risultante da un fatto o da un'omissione del professionista;
b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso
di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;
c) prevedere l'adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di
conoscere prima della conclusione del contratto.»

CAPITOLO II

CONTRATTI GRATUITI E INTERESSI PATRIMONIALI

1. Contratti gratuiti
La riflessione oggetto di questo elaborato concerne l’inserimento delle clausole vessatorie nei contratti
gratuiti. In particolar modo, ci si domanda se e fino a che punto sia legittimo l’utilizzo di clausole
vessatorie nei contratti che offrono un servizio gratuito. A tal fine, si rende necessario analizzare la
categoria dei contratti gratuiti.
Il genus degli atti di autonomia negoziale comprende una serie di classificazioni specificati da nomina
iuris particolari e diretti a finalità diverse. Rispetto a questo mare magnum, si rinvengono quegli atti
negoziali che differiscono, a seconda dell’assenza o meno del corrispettivo che si è tenuti a dare in cambio
del vantaggio da ottenere, in contratti gratuiti e contratti a titolo oneroso. I contratti a titolo oneroso
fanno corrispondere una diminuzione patrimoniale all’assunzione di un corrispondente vantaggio. I
contratti a titolo gratuito invece comportano un vantaggio a favore di una delle parti contrattuali, parte
che non dovrà corrispondere alcuna prestazione o altro sacrificio patrimoniale. Nei contratti gratuiti
manca quindi il cd. sinallagma ossia “quel nesso funzionale tra le attribuzioni poste l’una in funzione
dell’altra” , il quale si può rinvenire invece in quelli a titolo oneroso in cui le parti si assoggettano
vicendevolmente a corrispondere delle prestazioni. “La semplice gratuità implica soltanto l'assenza di un

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corrispettivo a fronte di un'attribuzione che non comporta un depauperamento in senso tecnico nell'altra
parte del contratto”. Il codice civile prevede che fattispecie contrattuali, come il mandato (art.1703 c.c.), il
deposito (art.1766 c.c.), il mutuo (art.1813 c.c.), la fideiussione (art.1936 c.c.), possano concludersi tanto
in forma onerosa tanto in forma corrispettiva,. Qualora non si specificasse il titolo del contratto si potrà
ricorrere alla disciplina del codice civile specificamente al caso concreto. Ad esempio, in assenza di
specificazione del titolo, il mandato e il mutuo si presumono onerosi.

1.2 (Segue) Contratti gratuiti e interesse economico
I contratti gratuiti sono finalizzati alla realizzazione di interessi economici apprezzabili, nei quali il
sacrificio economico del disponente non è compensato da una controprestazione o da un corrispettivo
immediato e diretto, bensì da un vantaggio economicamente apprezzabile ottenuto aliunde . L’utilità che
l’autore persegue in corrispondenza della prestazione non è strettamente patrimoniale ma rientra in
un’operazione giuridico-economica unitaria.
Rispetto ai contratti gratuiti tipici e reali, quali ad esempio il deposito ed il mutuo, i conflitti sulla natura
patrimoniale dell’atto sono risolti con l’istituto proprio del ius Romanorum consistente nella traditio,
idonea a soddisfare gli interessi economici dell’operazione. Il contratto coinvolge interessi che possono
palesarsi anche in un momento successivo la sua conclusione e che si possono rinvenire da un’attenta
lettura delle clausole contrattuali. Ad esempio, rispetto al contratto gratuito di deposito, il depositario
avrà l’interessa a ricevere in custodia il bene qualora vi sia un ritorno economico di tipo pubblicitario. Nel
comodato invece l’unico interesse del comodatario sarà quello di ottenere la disponibilità del bene o
quello del comodante di liberarsi di un bene per avere un vantaggio futuro.
Contratti gratuiti atipici sono invece quelli in cui vi è la controprestazione di dare non valutabile
patrimonialmente o la cui controprestazione risponde al soddisfacimento di interessi non economici .
Rispetto a questa particolare tipologia di contratti gratuiti, anche se la prestazione gratuita è effettuata in
mancanza di un corrispettivo, la prestazione mira a realizzare un interesse patrimoniale o ad ottenere un
vantaggio patrimoniale, tale da escludere lo spirito donandi dell’azione. Manca dunque un corrispettivo
economico immediato in termini di sinallagmaticità ma ne consegue ugualmente il soddisfacimento di un
interesse economico in rapporto di causalità mediata o indiretta. L’ottenimento di un certo vantaggio
economico è ciò che spinge il contraente ad effettuare gratuitamente la prestazione. Nonostante vi sia un
vantaggio per il disponente è da escludere che il contratto sia di scambio in quanto, se così fosse, il
sacrificio dovrebbe essere sopportato da entrambe le parti contrattuali mentre nel contratto gratuito
tipico una parte, il beneficiario, non sopporta alcun svantaggio poiché non esegue alcuna prestazione a
vantaggio del disponente. Il rapporto tra prestazione e vantaggio fa presumere l’esistenza di un interesse
economico nei confronti del soggetto che esegue la prestazione.

2. Gratuità, liberalità e cortesia
La categoria di atti a titolo gratuito ricomprende non solo gli atti gratuiti tipici ed atipici ma anche
un’altra sottocategoria costituita dagli atti di liberalità, rispetto ai quali è bene fare le dovute precisazioni.
Gli atti di liberalità sono caratterizzati dalla causa di liberalità consistente nell’arricchimento di una parte
contrattuale di qualunque entità attraverso un impoverimento dell’altra parte. Il soggetto rispetto al cui
patrimonio si opera un depauperamento opera motu proprio senza che ci sia un dovere giuridico, morale o

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sociale che lo induca ad arricchire l’altra parte contrattuale. Nel negozio di liberalità rientrano numerose
figure negoziali tra le quali emblematica risulta quella che incarna legislativamente lo spirito della
liberalità : la donazione. L’art.769 c.c. definisce la donazione come quel contratto a titolo gratuito con cui
una parte (il donante), per spirito di liberalità, arricchisce l’altra (il donatario) disponendo a suo favore un
diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione. Gli essentialia negotii desunti dalla disposizione
codicistica della donazione, ma che vigono per tutti i sottotipi degli atti di liberalità, sono due: spirito di
liberalità (animus donandi) del donante e l’arricchimento del donatario. L’animus donandi ha carattere
soggettivo in quanto si sostanzia nell’elemento volitivo ossia nella volontà del donante di attribuire al
donatario un arricchimento “indebito” poiché non dovuto da alcun vincolo giuridico, morale o sociale, al
quale consegue un impoverimento del donante. La causa della liberalità consiste dunque in un
arricchimento-impoverimento volontario mentre non assumono rilievo i motivi interni psicologici che
inducono a compiere la donazione. Qualora mancasse il requisito soggettivo della volontà, la sola causa
della liberalità non integrerebbe tale requisito. Il donante non solo deve voler attribuire un quid pluris al
donatario ma non deve neppure esservi tenuto e deve essere cosciente del mancato stato di coercizione.
Distinta dalla volontarietà risulta la spontaneità cui il legislatore fa menzione nell’art.2034 c.c. in tema di
obbligazioni naturali. In qual caso infatti la spontaneità consiste nella mancanza di costrizione ad
adempiere subita dal solvens (chi paga) ma non rileva il fatto che il solvens abbia creduto di dover
adempiere ad un’obbligazione civile. È sufficiente che si adempia senza essere sottoposti a costrizioni
esterne concrete. Nel caso degli atti di liberalità invece non solo vi deve essere l’assenza di una
costrizione esogena ma deve mancare altresì la credenza del donante di essere tenuto a corrispondere al
donatario una certa attribuzione. Per quanto attiene al secondo parametro, consistente nell’arricchimento-
impoverimento, si denota un carattere oggettivo rilevabile nel mutamento del patrimonio dei due
contraenti. L’atto di liberalità imprime un depauperamento al patrimonio del donante ed un arricchimento
diretto ed equivalente del donatario. Dunque il donatario deve essere arricchito di quei beni patrimoniali
di cui si è volontariamente spogliato il donante tramite trasferimento di un diritto reale o di credito ovvero
con la costituzione di un diritto di credito a carico del donante e a favore del donatario. Rispetto alla
rappresentazione dell’elemento oggettivo vi sono numerosi orientamenti dottrinari. L’uno afferma che la
liberalità si può desumere solo qualora l’arricchimento consista in un plusvalore patrimoniale nella sfera
del donatario . Questo orientamento, sostenitore della tesi dell’arricchimento in senso economico, porta a
considerare negozio a titolo gratuito quello in cui non c’è vantaggio patrimoniale o che comporti una
riduzione del patrimonio del donatario mentre considera di liberalità quell’atto con cui la sfera giuridica
del donatario si arricchisce con l’addizione di un nuovo diritto (diritto disposto o obbligazione assunta dal
donante) anche qualora non comporti incrementi economici .
È bene però far le dovute distinzioni in merito a negozi gratuiti e liberali. I negozi gratuiti costituiscono un
ampio genus nel quale vi rientrano anche gli atti di liberalità, pur non esaurendosi in questa categoria. In
merito ai metodi con cui si distinguono atti gratuiti e di liberalità, la dottrina si divide in due orientamenti.
“Una parte della dottrina ritiene che tra gratuità e liberalità intercorra un rapporto genus ad speciem” .
Non ogni atto gratuito è liberale ma ogni atto liberale (donativo e non donativo) è gratuito . Il negozio a
titolo gratuito si caratterizza per la presenza di un’attribuzione senza corrispettivo mentre il negozio di
liberalità presenta un quid pluris consistente nel depauperamento del donante in favore di un
arricchimento per il donatario . Nei negozi a titolo gratuito il vantaggio consiste nella non richiesta di una

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contropartita per il beneficio procurato (per esempio nel comodato gratuito vi è il godimento di un bene) .
I negozi gratuiti danno luogo ad uno svantaggio e vantaggio patrimoniale qualitativamente diversi da
quelli della donazione perché consisterebbe in una omissio adquirendi ossia in una mancata spesa, ben
diverso dall’impoverimento che si determina nell’atto di liberalità . Altra dottrina ritiene invece che la
distinzione tra le due categorie debba operare, secondo la teoria dell’alterità, sulla base dell’eterogenesi: i
negozi gratuiti mirano a realizzare un interesse patrimoniale, quelli liberali un interesse non patrimoniale
causa giuridica dell’atto donativo .
Parimenti gratuiti e privi di interesse patrimoniale sono i rapporti di cortesia ossia quelle situazioni che
operano al di fuori del diritto, legate dal carattere di gratuità dei comportamenti intersoggettivi i cui limiti
sono rappresentati dalla solidarietà sociale . La categoria del rapporto cortese comprende in sé un
indefinito numero di relazioni rispetto alle quali prassi giurisprudenziale e teoria, cercano di risolvere di
comprendere in presenza di quali condizioni la cortesia assuma rilevanza giuridico-negoziale. Le relazioni
di cortesia fanno parte della quotidianità (l’invito a cena di un amico, la promessa di rassettare la casa, la
gentilezza di aiutare un’amica a salire i bagagli su un autobus, ecc.). Sono azioni che si compiono in favore
di parenti, amici o persino nei confronti di sconosciuti in virtù del cd. “ampio galateo sociale” che impone
regole di costume sociale. Parte della dottrina pone a fondamento di queste prestazioni solidaristiche
l’art.2 Cost. che sancisce il principio di solidarietà sociale ; altro orientamento le ritiene essere specchio di
un comportamento sociale “avente una causa urbanitatis” dal momento che fondarle su un principio
costituzionale come l’art.2 richiamerebbe il concetto di doverosità dell’adempimento che in realtà non può
convivere con la sostanza delle relazioni cortesi. L’annosa questione in merito alla “forza di attrazione
diritto rispetto al non-diritto si manifesta pienamente nei casi in cui la relazione cortese si sovrappone a
una precisa tipologia contrattuale” come il mutuo, il comodato o il deposito. Talvolta la sovrapposizione
tra il rapporto cortese e quello contrattuale (rispetto a contratti tipizzati) si evolve con la nascita di un
contratto con causa gratuita e motivo di cortesia . Rispetto ai contratti non tipizzati e aventi irrilevanza
patrimoniale, il diritto non ha alcun interesse a regolare tali situazioni che rimangono nel mondo del non-
diritto . La prestazione cortese non è solo gratuita, ma manca anche di un interesse patrimoniale, essendo
disinteressata e animata da cortesia. La prestazione ha come motore un intento altruistico che si dimostra
anche nel disinteresse dell’agente verso l’arricchimento del beneficiario della relazione cortese. Sotto
questo profilo si coglie il discrimen tra cortesia e liberalità in quanto, in quest’ultimo caso, l’agente è teso
a che il destinatario si arricchisca mentre nel caso della cortesia la finalità ultima non consiste nella
volontà di provocare un arricchimento al beneficiario ma è nell’intento stesso di solidarietà sociale.

3. Affidamento come fonte dei vincoli contrattuali nei contratti gratuiti.
La questione maggiormente meritevole di studio ai fini del presente elaborato consiste nel ragionevole
affidamento che le parti contrattuali nutrono vicendevolmente nei contratti gratuiti.
Il legittimo affidamento, definito come “parte dell’ordinamento giuridico comunitario” , può essere inteso
come un particolare aspetto del principio di buona fede contrattuale (ex artt.1175 e 1375 c.c.). Si discorre
di tutela del legittimo affidamento quando “un soggetto ha confidato nel contegno della controparte e tale
stato di fiducia si fonda su circostanze oggettive e ragionevoli” . Secondo la teoria dell’affidamento
legittimo “ogniqualvolta sia riscontrabile una divergenza tra volizione interna ed esteriorità della
dichiarazione, ciò che conta è verificare se la manifestazione fosse idonea a suscitare un affidamento nel

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destinatario” . A fondamento di questo principio è l’esigenza di sicurezza e di certezza delle contrattazioni
tale per cui è necessario adottare una soluzione che si ancori allo stato soggettivo e al grado di
consapevolezza di chi riceve la dichiarazione che deve sempre operare con la diligenza del buon padre di
famiglia . “Molteplici sono le ragioni di politica legislativa che la dottrina ha individuato per giustificare il
fondamento delle varie norme che proteggono l’affidamento. Per i più, ciò risiederebbe nell’esigenza di
garantire sicurezza e stabilità nel commercio giuridico, esigenza che verrebbe realizzata accordando
prevalenza, ai fini dell’interpretazione e dell’esistenza stessa dell’atto negoziale, a quanto è stato
dichiarato dal disponente o che si può oggettivamente desumere dal suo contegno. Tale tutela assume
rilevanza nell’ambito dei contratti e degli atti unilaterali recettizi a contenuto patrimoniale. Una
indiscriminata applicazione dei princìpi e dei valori, come quello dell’affidamento, peculiari dei rapporti
economici, non appare, infatti, consentita nella disciplina dei rapporto non patrimoniali per la sostanziale
diversità dei fenomeni” .
Alla luce di quanto detto nei paragrafi precedenti, il principio di affidamento non si può escludere per i
negozi a titolo gratuito. Tali atti negoziali rientrano nella categoria dei contratti patrimoniali in quanto
realizzano interessi e vantaggi economicamente apprezzabili. “La patrimonialità non è un limite
all’autonomia; (…) serve a verificare l’idoneità di un determinato bene ad essere comunque oggetto di atti
di autonomia” .

CAPITOLO III

CONTRATTI GRATUITI E CLAUSOLE VESSATORIE: IL CASO WHATSAPP

1. Caso Whatsapp Inc.
Si è concluso nel maggio 2017 il procedimento esperito da AGCM nei confronti di Whatsapp Inc. in merito
all’inserzione di clausole vessatorie in occasione del rinnovo dei termini di utilizzo avvenuto nell’agosto
precedente. L’Autorità aveva avviato una doppia istruttoria: l’una volta ad indagare la vessatorietà di
alcune nuove clausole contrattuali; l’altra invece finalizzata ad accertare che si siano condivisi dati
personali degli utenti Whatsapp a Facebook. Non è questo però l’unico ostacolo che intralcia la
multinazionale; “è Margrethe Vestager, commissaria Ue alla concorrenza, a rivelare in un’intervista a
Bloomberg che l’Unione europea aveva chiesto chiarimenti all’azienda” in merito ai termini introdotti ad
agosto che avrebbero violato l’obbligo di non condivisione dei dati a Facebook. La non condivisione,
infatti, era stato uno dei punti dirimenti che avevano garantito a Facebook il nulla osta europeo
all’acquisizione -di quasi 19 miliardi di dollari- dell’app. L’uso di clausole vessatorie e la condivisione dei
dati a Facebook sono costate più di 100 milioni di euro: da un lato l’AGCM ha inflitto a Whatsapp una
multa da 3 milioni di euro, dall’altro l’Antitrust UE ne ha chiesti 100 milioni a Facebook (proprietaria di
Whatsapp) per aver fornito informazioni fuorvianti al momento dell’acquisto di Whatsapp.
Oggetto di giudizio dell’AGCM sono le clausole ritenute vessatorie ai sensi di quanto stabilito
recentemente dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea secondo il sistema di tutela del consumatore
istituito dalla direttiva 93/13/CEE e recepito in Italia dal codice dei consumatori, in particolar modo
dall’art.33. Il sistema di tutela del consumatore stabilisce che si accerta vessatorietà qualora “il
consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda, sia il

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