I pericoli legati agli alimenti - Gruppo Maurizi

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I pericoli legati agli alimenti - Gruppo Maurizi
I pericoli
legati agli
 alimenti
I pericoli legati agli alimenti - Gruppo Maurizi
Indice dei contenuti

1.   10 falsi miti sugli alimenti

2.   I pericoli chimici alimentari

3.   Malattie trasmissibili con gli alimenti

4.   Pericolo fisico negli alimenti: misure preventive

5.   Materiali a contatto con alimenti (MOCA), approvate le
     nuove sanzioni

6.   Come vengono gestiti i pericoli alimentari nel Delivery
     Food?

7.   I pericoli del pesce crudo

8.   Energy Drink: i pericoli per bambini e adolescenti

9.   Vuoi essere sempre informato sulla Sicurezza Alimentare?
I pericoli legati agli alimenti - Gruppo Maurizi
10 falsi miti sugli alimenti

Tutto quello che credi di sapere sul cibo
Gli alimenti, soprattutto nel nostro Paese, sono spesso al centro di diversi
dibattiti riguardanti la loro origine, le loro qualità; soprattutto tutto quello che
ruota intorno all’agroalimentare è una fonte inesauribile di falsi miti e
bufale che altro non fanno che alimentare polemiche, la maggior parte delle
volte inutili, in qualche caso anche dannose.

Riteniamo che alla base di una corretta gestione in campo alimentare, ci
debba essere innanzi tutto un cittadino correttamente informato e in grado di
compiere scelte consapevoli.

Abbiamo quindi preparato un elenco (non esaustivo) delle migliori, a nostro
avviso, bufale sugli alimenti che periodicamente suscitano lo sdegno dei
consumatori.

1.È vero che i numeri colorati sul fondo delle confezioni di latte indicano
il numero di volte che è stato riutilizzato?

No, in realtà non hanno nulla a che fare con l’alimento contenuto nella
confezione

Questa bufala (e trattandosi di latte il termine ci sembra particolarmente
appropriato) compare in rete ad intervalli regolari e puntualmente ha un
seguito di costernazione e sdegno da parte dei consumatori ignari, alla quale
immediatamente si accodano le smentite di chi vuole informare
correttamente.
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Vediamo di fare chiarezza. Per la legge Italiana (L. 169/89) il latte può essere
sottoposto ad un singolo trattamento di pastorizzazione; il latte scaduto poi
non può mai essere usato per altre preparazioni alimentari e quando è ritirato
dai luoghi di vendita viene in realtà avviato allo smaltimento.

I numeri sul fondo delle confezioni non sono apposti dai produttori di latte,
ma in realtà dai produttori degli imballaggi, che li utilizzano come sistema di
rintracciabilità degli imballaggi stessi.

2.Gli alimenti senza glutine migliorano la salute di chi li mangia? Si, ma
solo di chi è intollerante!

Indubbiamente l’intolleranza al glutine sta diventando un fattore di forte
impatto sulla popolazione, vuoi per un e ettivo aumento dei casi di
intolleranza, vuoi per un miglioramento delle tecniche di diagnosi.
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Insieme a questo incremento dei casi, stiamo assistendo anche ad una
esplosione di diete che consigliano di eliminare il glutine dalla dieta in quanto
poco digeribile, per trarre da ciò alcuni bene ci.

Molto spesso si pensa che eliminando il glutine si possa addirittura dimagrire.

Tuttavia non si capisce perché il glutine dovrebbe essere poco digeribile, dato
che la specie umana ha legato la propria evoluzione allo sviluppo dei cereali
(anche quelli contenenti glutine) e quindi nel corso dei secoli siamo stati
“selezionati” per poter assimilare e digerire facilmente questi alimenti.

Per quanto riguarda le presunte proprietà dimagranti c’è da dire che il glutine

garantisce ad un prodotto a base di farina, tutta una serie di caratteristiche
quali consistenza, sapore, compattezza, che lo rendono più appetibile per il
consumatore.

Eliminando il glutine dagli ingredienti di un prodotto, questo andrà
necessariamente sostituito con qualcos’altro che garantisca piacevolezza al
palato.

Di solito la scelta ricade su ingredienti che alzano il tenore di zuccheri e/o
grassi nell’alimento, quindi di solito un alimento senza glutine è più calorico di
un alimento paragonabile, contenente glutine.
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3.Il kamut ® è davvero il grano dei faraoni? No, le mummie non
c’entrano.

Innanzi tutto occorre fare una precisazione. Il Kamut® non è un cereale
particolare e raro, ma è semplicemente una varietà di grano (quindi contiene
glutine, al pari di tuti gli altri grani presenti sul mercato!). Inoltre, come è

possibile notare sulle etichette degli alimenti che lo contengono (e anche in
questo stesso articolo), il kamut è sempre accompagnato dal simbolo del
marchio registrato.

 Questo ci da un indizio ulteriore: il kamut ® è un marchio vero e proprio di
proprietà della Kamut International che lo ha letteralmente inventato nel 1989
e che per pubblicizzarlo e renderlo più accattivante agli occhi dei consumatori,
lo ha spacciato come originario dell’Egitto ai tempi dei faraoni.

Purtroppo questa non è altro che una semplice operazione di marketing; la
realtà dei fatti vuole che una famiglia del Montana abbia ritrovato dei vecchi
semi in una polverosa so tta e che li abbia piantati ottenendo un grano
diverso dalle specie attualmente in commercio.

Tuttavia, la sua origine è molto probabilmente datata all’inizio del secolo
scorso, in Anatolia, anche perché pensare che alcuni semi possano
germogliare dopo 4000 anni è piuttosto azzardato; il merito di chi lo ha
riscoperto è stato semplicemente di mettere sotto i ri ettori un grano non
particolarmente famoso e di pubblicizzarlo bene.
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4.Naturale = più buono. L’equazione non sempre è dimostrabile

Si pensa che tutto quello che viene dalla natura sia automaticamente più
buono, più salutare, più saporito, in poche parole migliore.

Occorre però so ermarsi su che cosa voglia dire il termine naturale.

La “natura” è fatta di atomi che a loro volta formano molecole e questo è vero
per tutto quello che ci circonda. Un bicchiere di acqua preso da una fonte
spontanea e lo stesso bicchiere riempito a seguito della produzione di acqua
“per sintesi” (o in laboratorio se preferite) conterranno sempre la stessa
sostanza e cioè H2O.

 Ovviamente l’acqua prelevata alla fonte sarà più buona per e etto dei
numerosi ali minerali in essa disciolti, ma potrebbe benissimo contenere altre
sostanza dannose (pensiamo ai metalli pesanti come l’arsenico che rendono
molte falde acquifere inutilizzabili).

Nel campo alimentare, un alimento cosiddetto “naturale” (possiamo fare
l’esempio di un frutto selvatico colto direttamente dall’albero), sarà con molta
probabilità meno appetibile, meno nutriente e meno sicuro dello stesso
alimento coltivato in condizioni di controllo.

Questo per e etto del costante miglioramento che l’uomo ha da sempre
ricercato negli alimenti da lui prodotti.

Tutto quello che arriva sulle nostre tavole oggi ha in qualche modo subito
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quella che scienti camente viene detta “selezione arti ciale” (che a bene
vedere è il temine opposto a naturale), cioè una selezione apportata
dall’uomo, sia con metodi semplici come gli innesti, sia con metodi più
complessi (che chiameremo “di laboratorio”) per migliorare la qualità degli
alimenti.

5.Il tonno di Fukushima: la zona FAO indicata in etichetta segnala il
pericolo!

Peccato che non sia vero.

In occasione di un grave incidente, come quello alla centrale nucleare di
Fukushima (ma il caso potrebbe essere applicato ad altre catastro ) vi è
sempre qualcuno che ,facendo leva sulle paure insite in tutti noi, alimenta la

teoria del complotto. In particolare sul web girava la voce che il tonno in
scatola, etichettato con le zone FAO 61 e 71,

provenisse dal Mare del Giappone dove era avvenuto lo sversamento di
residui radioattivi.

Innanzi tutto la zona di pesca FAO che comprende il Mar del Giappone è
solamente la 61 (e già questo basterebbe a metterci in allarme per via
dell’informazione approssimativa); inoltre essendo l’indicazione della zona
FAO facoltativa sul tonno in scatola, viene da chiedersi con quale scopo le ditte
produttrici abbiano voluto darsi la zappa sui piedi, mettendo in evidenza un
dato tanto incriminante.
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Possiamo in ne citare i numerosi studi e ettuati sull’inquinamento delle
acque, dai quali è risultato che solamente la zona immediatamente limitrofa
alla costa di Fukushima abbia risentito dell’e etto dell’incidente e che invece le
zone di oceano al largo presentino livelli di radioattività comparabili con
quelli naturalmente presenti nelle acque.

6.La spesa a km zero è davvero migliore? Non è così semplice come
sembra

Il concetto di Km zero ha preso piede da alcuni anni a questa parte e si tende
a considerare meno impattante sull’ambiente, un alimento che abbia percorso
meno chilometri possibile, in quanto minori viaggi equivalgono a minori
consumi di combustibili fossili, minori emissioni di gas serra e di conseguenza
un minore impatto sull’ambiente.

La logica sembrerebbe quella di preferire il prodotto locale, venduto
direttamente “dal produttore al consumatore”

Bisogna tuttavia considerare altri fattori, oltre alla sola distanza percorsa dagli
alimenti.

In primo luogo è un fattore importante anche la distanza percorsa dai
compratori (spostarsi in un singolo punto vendita centralizzato è sicuramente
meno impattante che spostarsi presso tante piccole aziende sparse sul
territorio). Inoltre va considerato che l’e cienza energetica di una grande
azienda è spesso incredibilmente migliore di quella di un produttore locale.
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Naturalmente è palese che in alcuni casi il Km zero sia preferibile (nel caso di
alimenti praticamente identici, prodotti con lo stesso dispendio energetico, la
logica vorrebbe che questo venisse acquistato localmente).

In ne non possiamo non parlare della qualità del prodotto!

È quindi evidente come il discorso dell’impatto del cibo sull’ambiente sia
comunque più complicato di un semplice conteggio dei chilometri percorsi
dall’alimento e che questo non possa essere l’unico parametro da utilizzare
per valutare gli eventuali danni all’ambiente.

7.“Senza glutammato”. Davvero la sua assenza è un valore aggiunto? No,
basta chiedere in Cina

Il glutammato viene spesso accusato di causare disturbi di vario genere, dal
mal di testa al mal di stomaco, passando per la secchezza delle fauci; se
aggiungiamo che è considerato da molti solamente come l’ennesima
“schifezza chimica” utilizzata in campo alimentare, allora è
facilmente comprensibile come ne sia avvenuta la demonizzazione.

La verità è che la messa al bando di questo sale dell’acido glutammico è
derivata da una serie di malintesi storici e studi scienti ci non propriamente
esemplari che ne hanno decretato il destino.

Se avete colto il termine “sale” nella frase precedente allora siete a buon punto
per capire meglio di cosa stiamo parlando.
Infatti il glutammato viene utilizzato, esattamente al pari del nostro sale, per
insaporire i piatti in particolar modo nella cucina orientale.

Il problema è che culturalmente il suo utilizzo non si è sviluppato in occidente
e quindi noi non siamo abituati al suo sapore caratteristico che, occorre
ricordarlo, è stato classi cato con una nomenclatura a parte rispetto ai classici
“dolce, salato, amaro, aspro” e cioè de nendolo “sapido”.

Potrà essere di conforto sapere che il glutammato è normalmente prodotto e
metabolizzato dal nostro organismo e che è presente naturalmente in molti
alimenti, non ultimi i pregiatissimi e italianissimi Parmigiano Reggiano e Grana
Padano.

8.Il latte è veramente poco digeribile ed è innaturale berlo?
Apparentemente no…

Il latte e i suoi derivati rientrano nel novero di quelli che sono considerati
allergeni alimentari a tutti gli e etti.

Questo perché una parte della popolazione(circa il 65%, ma la percentuale
scende vertiginosamente nelle popolazioni del Nord Europa e sale in quelle

del Sud) non è in grado di assimilare il lattosio (per carenza o assenza
dell’enzima tilattasi) e quindi l’assunzione di latte provoca fastidi a livello
intestinale più o

meno gravi.
Come tutti i fenomeni in campo alimentare tuttavia, anche questo è stato
ingigantito più del dovuto, no a far passare il messaggio che bere latte è
innaturale e che l’essere umano non dovrebbe berne in età adulta. In realtà
chi è in grado di digerire il lattosio può tranquillamente continuare a bere latte
senza problemi.

Questo perché l’abitudine a consumare latte, sviluppatasi a partire da 10.000
anni fa con “l’invenzione” della pastorizia, he selezionato geneticamente una
parte di popolazione adulta che era in grado di assimilare il lattosio.

È un dei casi in cui l’evoluzione culturale ha in uenzato il patrimonio genetico

umano.

Quindi se è vero che il latte è indigeribile per la maggior parte della
popolazione, è altrettanto vero che molti altri possono consumarlo senza
problemi, non compiendo un atto innaturale. A chi sostiene poi che l’essere
umano è l’unico animale a consumare latte abitualmente anche dopo lo
svezzamento, si potrebbe tranquillamente rispondere che è anche l’unico che
fa molte altre cose (cuocere i cibi, vestirsi, ecc.) ma questi comportamenti non
sono certo accusati di essere innaturali!

9.L’additivo E 330 è cancerogeno? Ma se è succo di limone!

Questa bufala riguardante la pericolosità degli additivi alimentari circola ormai
da circa 40 anni, prima in formato cartaceo e poi, con la sviluppo dei nuovi
media, sul web.

La cosa curiosa è che, a fronte di una miriade di additivi, molti dei quali forse
non utilissimi e/o necessari, sia stato scelto come esempio di cancerogenicità,
proprio l’E330 che probabilmente è il più innocuo.

Questi altro non è che acido citrico, contenuto in natura nei limoni ad
esempio.

È sempre utile poi ricordare che, l’utilizzo degli additivi negli alimenti e le
relative quantità utilizzabili, sono regolati a livello europeo dal Reg. CE 1331/08
e che gli additivi sono comunque sempre oggetto di studio da parte dell’EFSA
(European Food Safety Authority) per veri carne i possibili e etti dannosi per
l’uomo.

Naturalmente nessun documento in tal senso è stato mai prodotto in merito
all’E330.

10.Il monossido di diidrogeno è tossico?

No, in realtà è una sostanza piuttosto comune che entra ogni giorno
nella vita di tutti noi...

Questa sostanza, esattamente come il monossido di carbonio, uccide, per
eccessiva inalazione, migliaia di persone; è usato come solvente dalla maggior
parte delle industrie (non solo quelle alimentari), contribuisce all’e etto serra,
è un costituente delle piogge acide e tuttavia nessun governo ha mai pensato
di porre rimedio agli enormi danni che questo composto può provocare.

Preoccupati o indignati? Non dovreste!

La soluzione è non fermarsi all’apparenza di un altisonante nomenclatura
chimica, ma andare oltre e ragionare sui fatti.

Se si guarda più attentamente è possibile capire che monossido (O) di
diidrogeno (H2), altri non è che una formula chimica molto semplice che
anche i bambini conoscono: H2O… semplice acqua.

Tutti i fatti esposti poco sopra sono assolutamente veri e veri cabili, ma
assumono tutto un altro aspetto, una volta svelato il mistero.

Questo piccolo gioco viene utilizzato in realtà a più riprese da veri divulgatori
scienti ci per dimostrare che molto spesso, dietro notizie sensazionalistiche, si
nascondono realtà innocue.

Abbiamo voluto concludere questo decalogo con questo argomento proprio
per ricordare che tutte le notizie, soprattutto quelle che fanno più sensazione,
dovrebbero essere prese con le pinze.
I pericoli chimici
alimentari

Pericoli chimici negli alimenti: principali categorie e
gestione di un pericolo temuto e diffuso
Anche quest’anno le principali categorie di alimenti non conformi noti cati in
Europa sono quelle in cui le non conformità riguardano prevalentemente i
contaminanti chimici.

I dati (relativi al 2015) della relazione annuale del Ministero della Salute sul
Sistema di allerta rapido europeo (Ras ) indicano un totale 2967 noti che di
cui 496 per micotossine, 398 per residui di tofarmaci.

Anche i metalli pesanti risultano particolarmente di usi: 109 noti che per
i soli prodotti ittici.

I principali prodotti non conformi oggetto di noti ca ovvero frutta secca,

prodotti della pesca, frutta e vegetali, erbe e spezie, sono proprio quelli in cui
il pericolo chimico risulta prevalente.

Da tale tipologia di pericolo, è bene ricordarlo, non sono comunque esenti in
maniera più o meno rilevante anche le altre categorie di prodotti alimentari
quali cereali e derivati, carni, oli e grassi, bevande, latte e derivati, ecc.

Prima di approfondire gli aspetti legati alla gestione del pericolo chimico che
gli operatori del settore alimentare sono tenuti ad a rontare è indispensabile
ricordare le principali categorie di pericoli chimici trasmissibili con agli
alimenti.

Cos’è il pericolo chimico associato ai prodotti
alimentari?

Vedi anche le nostre slide riassuntive sui pericoli chimici alimentari.

In linea generale, il pericolo chimico associato ai prodotti alimentari è dovuto:

1. alla presenza di contaminanti ovvero di sostanze non aggiunte
   intenzionalmente ai prodotti alimentari ma in essi presenti o per
   contaminazione ambientale o derivanti dalla diverse fasi produttive, dalla
   coltivazione/allevamento alla trasformazione, confezionamento e
   distribuzione dei prodotti.
2. alla presenza di sostanze aggiunte intenzionalmenteai prodotti alimentari.

Appartengono ad esempio alla prima tipologia di pericoli
chimici:
   Residui di pesticidi utilizzati nei prodotti tosanitari al ne di proteggere le
   colture prima e dopo il raccolto. La materia è regolamentata a livello
   europeo dal Reg. CE 396/2005 e s.m. e i. costantemente aggiornato rispetto
   ai prodotti autorizzati e ai limiti massimi di residuo (LMR) rinvenibili nei
prodotti alimentari e nei mangimi.

Residui di farmaci veterinari negli animali destinati alla produzione di
alimenti e negli alimenti di origine animale. Tra essi ricordiamo ormoni e
beta-agonisti (spesso non utilizzabili negli animali da reddito se non per
scopi terapeutici e sotto controllo veterinario), antibatterici, farmaci

veterinari antiparassitari, antin ammatori, ecc. Come nel caso dei residui di
pesticidi anche per i residui di farmaci veterinari sono stabiliti limiti
massimi al superamento dei quali i prodotti sono considerati a rischio e
pertanto non commercializzali. La materia è regolamentata a livello
europeo dal Reg. UE 37/2010 e s.m. e i.

Micotossine, sostanze tossiche prodotte da alcune specie di funghi
appartenenti prevalentemente ai generi Aspergillus, Penicillium e
Fusarium. Le micotossine presenti nei prodotti alimentari derivano da
colture (principalmente cereali) contaminate da tali funghi che in condizioni
speci che di temperatura e umidità proliferano producendo i pericolosi
metaboliti. Tra essi ricordiamo le a atossine ed in particolare la B1 per la
sua di usione tra i prodotti alimentari e la sua elevata tossicità
(genotossica e cancerogena). I limiti di micotossine nei prodotti alimentari e
nei mangimi sono disciplinati dal Reg. CE 1881/06 e s.m. e i. (per
approfondimenti si rimanda all’articolo “Il rischio da mu e e micotossine
negli alimenti”)

Contaminanti ambientali, di usi sia in natura che in conseguenza di
attività antropica. Tra essi ritroviamo l’arsenico in forma inorganica che
contamina gli alimenti e l’acqua potabile attraverso il terreno e/o di acqua
di falda contaminati, i policlorobifenili diossina simili (PCB), gli idrocarburi
policiclici aromatici (IPA), le diossine ed i furani, ecc, composti che entrano
nella catena alimentare spesso accumulandosi nei tessuti adiposi, muscoli
e interiora (in particolare fegato e reni) degli animali da reddito.

Sostanze chimiche derivanti dal processo produttivo, in particolare
dalla tipologia e condizioni di trattamento termico. Si tratta in alcuni casi di
composti particolarmente pericolosi poiché cancerogeni come gli
idrocarburi policiclici aromatici (IPA), la cui presenza negli alimenti può
essere dovuta anche a contaminazione ambientale, composti mutageni
come le ammine eterocicliche, o probabili cancerogeni come l’acrilammide.

   Sostanze chimiche derivanti da condizioni di lavorazione e/o di
   stoccaggio non idonee quali ad esempio le ammine biogene. Tra di esse
   ricordiamo l’istamina nei prodotti ittici, responsabile di una di usa
   intossicazione alimentare. La formazione di istamina dipende fortemente

   dalle condizioni di temperatura. I tenori di istamina sono regolamentati dal
   Reg. CE 2073/05 e s.m. e i.).

   Sostanze chimiche derivanti dai materiali a contatto (materiali da
   confezionamento, attrezzature e impianti). La migrazione/cessione nei
   prodotti alimentari riguarda non solo metalli pesanti (principalmente
   cromo, nichel, cadmio e piombo), ma anche sostanze come ammine
   aromatiche, formaldeide, ftalati, bisfenolo A, ecc. La materia è
   regolamentata a livello europeo sia da norme orizzontali che disciplinano in
   modo trasversale i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con
   gli alimenti (Reg. 1935/04 e s.m. e i.), sia da disposizioni che regolano in
   modo speci co alcuni materiali, quali ad esempio le materie plastiche (Reg.
   UE 10/11), le ceramiche (Dir. 84/500/CEE recepita con DM 4.4.85 e s.m. e i.).

   Residui di prodotti disinfettanti utilizzati per la disinfezione degli alimenti
   e di prodotti sani canti utilizzati per le operazioni di pulizia e disinfezione
   degli ambienti e delle attrezzature da lavoro. Nel primo caso i residui
   possono derivare o da sovradosaggio o da operazioni di risciacquo non
   eseguite correttamente. Nel secondo caso la contaminazione può essere
   diretta (sversamento nel o sul prodotto) o indiretta attraverso le
   attrezzature/impianti/super ci per inadeguate modalità operative di
   sani cazione (errate diluizioni, inadeguato risciacquo, ecc).

Appartengono alla seconda tipologia di pericoli chimici le sostanze aggiunte
intenzionalmente quali:

   Additivi alimentari ovvero sostanze aggiunte per uno scopo tecnologico
   nella fabbricazione, nella trasformazione, nella preparazione, nel
   trattamento, nell'imballaggio, nel trasporto o nel magazzinaggio dei
   prodotti alimentari, in quantità superiori ai limiti di legge o in alimenti in cui
   non ne è consentito l’impiego. La materia è disciplinata a livello europeo
dal Reg. 1333/08 e s.m. e i.

   Tutte le sostanze chimiche vietate aggiunte dolosamente per
   so sticazioni e frodi.

In che modo l’operatore del settore alimentare
(OSA) può e deve gestire il pericolo chimico?

Al ne di produrre prodotti alimentari sicuri, il pericolo chimico deve essere
attentamente considerato nell’analisi dei pericoli e valutazione dei rischi
associati.

L’analisi dei pericoli chimici mira infatti ad identi cazione tutti i pericoli chimici
che possono interessare il prodotto al ne di prevenirli, eliminarli o ridurli a
livelli accettabili.

In tale fase quindi, l’OSA deve identi care tutte le fonti di pericolo chimico a
partire dalle materie prime utilizzate per poi estendere l’analisi al processo
produttivo, alle condizioni di lavorazione e di stoccaggio dei prodotti intermedi
e niti, valutando altresì le interazioni di essi con i materiali di
confezionamento per tutta la durata del prodotto.

La tabella n.1 che segue riporta i limiti di concentrazione di alcuni
contaminanti chimici per alcune tipologie di prodotto e costituisce un esempio
di schematizzazione prodotto alimentare - contaminante - limite normativo
cogente che può essere utilizzata nella fase di identi cazione dei pericoli
chimici.
Una volta identi cati i pericoli chimici associabili ai propri prodotti alimentari,
l’OSA deve mettere in atto speci che misure di prevenzione e di controllo dei
pericoli identi cati.

Si riportano di seguito alcuni esempi di misure di prevenzione e di controllo
applicabili a tutti i pericoli chimici.

Esempi di misure di prevenzione:

   scelta e quali cazione dei fornitori di materie prime con acquisizione della
   documentazione (certi cati di analisi) attestante la conformità delle stesse;
scelta e quali cazione dei fornitori di materiale destinato al contatto con i
  prodotti alimentari (imballi primari) con acquisizione della documentazione

  attestante l’idoneità e la conformità degli stessi e delle relative analisi
  (prove di cessione per la determinazione della migrazione globale e
  speci ca);

  manutenzione degli impianti e attrezzature relativamente ai materiali di
  rivestimento che potrebbero cedere elementi e composti chimici
  indesiderati;

  formazione del personale, con particolare attenzione agli aspetti relativi
  all’utilizzo di prodotti sani canti e degli eventuali additivi utilizzati nel
  processo produttivo;

Esempi di misure di controllo:

  rispetto delle procedure operative di lavorazione (es. dosi di impiego
  additivi, gestione e utilizzo dei prodotti sani canti, ecc) e di stoccaggio,
  laddove modalità di stoccaggio inadeguate possano comportare
  l’insorgenza di un pericolo chimico (es. temperatura di refrigerazione dei
  prodotti ittici associati ad un elevato contenuto di istidina);

  rispetto delle speci che produttive (es. temperatura del trattamento
  termico) preventivamente validate anche in considerazione del pericolo
  chimico;

  analitico, in ottemperanza alla normativa cogente e secondo quanto
  emerso dalla propria analisi dei pericoli e valutazione dei rischi associati.

In conclusione, diversi sono gli elementi che dimostrano quanto oggi la
sicurezza alimentare sia strettamente legata anche al pericolo chimico.

Il numero di alimenti non conformi oggetto di noti ca a livello europeo,
l’aggiornamento particolarmente attivo della normativa del settore, così come
lo sviluppo di metodiche analitiche sempre più sensibili, rappresentano un
campanello d’allarme per le imprese del settore alimentare tenute ad
a rontare, oggi più che in passato, un pericolo sotto la lente d’ingrandimento
del legislatore, dell’autorità competente e del consumatore!
Malattie trasmissibili con
gli alimenti

Quello delle malattie trasmesse con gli alimenti (MTA) rappresenta un
problema rilevante con il quale la sanità pubblica deve confrontarsi
costantemente.

I pericoli microbiologici sono infatti la principale causa di malattia correlata
al consumo di alimenti in Europa.

Si stima che nell’Unione europea si veri chino ogni anno più di 320000 casi
nell’uomo, ma il numero e ettivo è probabilmente molto più elevato.
Stabilire se una malattia è di origine alimentare è complesso, esistono infatti
una serie di problematiche che portano a sottostimare la frequenza di
insorgenza di tali patologie.

Tra le cause c’è sicuramente il fatto che spesso le infezioni sono subcliniche e
questo complica la rilevazione dei casi. Inoltre in uisce anche il fatto che si
tende a dare scarsa importanza a queste patologie per cui l’ammalato evita di
consultare il medico, aspettando la guarigione.

Cosa si intende per Malattie Trasmissibili con gli
Alimenti (MTA)?
Si tratta di patologie causate dal consumo di alimenti o acqua contaminati da
agenti di varia natura, come batteri, virus, tossine, parassiti ecc. La via di
introduzione nell'organismo è quella gastrointestinale ed è a questo livello che
si manifestano generalmente i sintomi.

La contaminazione degli alimenti può avvenire in tutte le fasi della liera
produttiva, dalla produzione primaria no alla tavola.

Nell’uomo il quadro clinico può variare signi cativamente e presentare livelli
diversi di gravità, da una lieve sintomatologia no a patologie
potenzialmente letali.

Le MTA possono essere distinte in:

1. intossicazioni alimentari,
2. infezioni alimentari e
3. tossinfezioni alimentari,

a seconda delle modalità con cui i microrganismi riescono a causare la
patologia.
1. Le infezioni alimentari derivano dall’ingestione di alimenti contaminati da
patogeni vivi che sono in grado di superare la barriera gastrica del
consumatore e di arrivare all’intestino. I microrganismi possono provocare
in ammazioni localizzate oppure infezioni sistemiche generalizzate,
caratterizzate da di usione per via ematica, febbre e formazione di anticorpi.

Sono esempi di infezione alimentare le malattie provocate dall’ingestione di
alimenti contaminati da:

- Listeria monocytogenes

- Escherichia coli verocitotossici (STEC)

- Salmonella spp.

- Campylobacter spp.

- Shigella spp.

2. L’intossicazione alimentare è una malattia prodotta dall’ingestione di un
alimento contenente una tossina preformata, prodotta da microrganismi che
si sono moltiplicati nell’alimento precedentemente al consumo. A nché i
microrganismi elaborino la tossina, è necessario che nell’alimento si
raggiungano elevate cariche batteriche.

Per tale motivo, al ne di ridurre la possibilità di insorgenza di
un’intossicazione alimentare, è essenziale che si riducano al minimo le
possibilità di replicazione batterica, ponendo, ad esempio, particolare
attenzione alle temperature di conservazione degli alimenti.

Sono esempi di intossicazione alimentare le malattie provocate dall’ingestione
di alimenti contaminati dalle tossine di:

- Clostridium botulinum

- Bacillus cereus

- Staphylococcus aureus.
3. La tossinfezione alimentare è una malattia determinata dal consumo di
alimenti contenenti sia tossine che batteri. La malattia si manifesta in seguito
alle tossine prodotte all’interno del tratto gastroenterico da microrganismi
patogeni ingeriti con gli alimenti.

In genere le tossine prodotte manifestano la loro azione a livello
gastroenterico determinando la comparsa di fenomeni diarroici; in alcuni casi,
invece, le tossine possono andare a colpire altri distretti, così come avviene nel
botulismo.

- Yersinia enterocolitica

- Clostridium botulinum

- Bacillus cereus

- Clostridium perfringens.

Appare chiaro quindi che le malattie trasmissibili con gli alimenti
rappresentano un gruppo eterogeno di patologie causate da diversi agenti
patogeni, che includono batteri, virus, protozoi, lieviti e mu e, e possono
manifestarsi con di erenti sintomi.

Con il passare degli anni si è assistito ad un profondo cambiamento dello
scenario epidemiologico delle malattie trasmesse da alimenti. Accanto ai
patogeni “tradizionali” (Salmonella, Vibrio Cholerae), sono stati identi cati
nuovi patogeni (i cosiddetti patogeni emergenti) come Campilobacter jejuni,
Escherichia coli O157:H7, Listeria monocytogenes, Yersinia enterocolitica, ecc.

Vengono de nite patologie emergenti le infezioni che compaiono per la
prima volta in una popolazione perché causate da un microrganismo nuovo, o
quelle patologie già esistenti che, per svariati fattori, subiscono un improvviso
incremento dell’incidenza o della di usione geogra ca in aree dove prima non
erano presenti.

Riemergenti sono, invece, quelle infezioni che ricompaiono con una
frequenza rilevante, dopo un periodo variabile di scomparsa, in una certa area
territoriale.

A cosa è dovuta la comparsa di nuove patologie
alimentari?
Il cambiamento può essere imputato a numerosi fattori tra cui:

   il cambiamento delle abitudini alimentari e dello stile di vita con aumento
   dei pasti consumati fuori casa

   l’incremento di consumo dei cibi a lunga conservazione

   la globalizzazione dei mercati con distribuzione dei prodotti su aree sempre
   più vaste partendo da grandi impianti di produzione centralizzati

   l’aumento del consumo internazionale di cibi esotici e quindi introduzione
   di patogeni “nuovi” in una certa area geogra ca

   l’incremento degli scambi commerciali e demogra ci (turismo, ussi
   migratori) che portano anche alla di usione dei patogeni

   la produzione intensiva e quindi l’ammasso di animali da macello, con
   un’alta percentuale di portatori sani infetti, che genera elevata pressione
   infettante sui luoghi di lavorazione

   il notevole aumento delle aspettative di vita e quindi della popolazione a
   rischio di MTA.

Le condizioni ideali per la crescita dei microrganismi, e la capacità di resistere
ai metodi di inattivazione, di eriscono da microrganismo a microrganismo.

Proprio per questo è importante conoscere i patogeni di interesse per uno
speci co alimento e le condizioni che ne favoriscono la crescita, in modo da
poter attuare le misure di controllo più idonee per controllarli.
Ad esempio è fondamentale sapere che alcuni patogeni sono “sporigeni”,
ossia sono in grado in condizioni ambientali sfavorevoli di formare spore,
forme di resistenza non in grado di riprodursi, ma molto resistenti al calore,
alla luce e ai disinfettanti. Le spore possono germinare e tornare a
moltiplicarsi quando le condizioni ambientali diventano favorevoli ed è a
questo punto che diventano pericolose.

Tra i microrganismi sporigeni vanno menzionati Bacillus Cereus, Clostridium
Botulinum, Clostridium Perfringens.

Proprio per le caratteristiche delle spore, i trattamenti necessari alla loro
inattivazione sono spesso molto più severi rispetto a quelli necessari a
distruggere le cellule vegetative (ad esempio Campylobacter spp, E.Coli,
Listeria monocytogenes, Salmonella spp Sta lococco aureo).

I patogeni principali
Di seguito riportiamo le caratteristiche di alcuni patogeni che sono tra le più
comuni cause di patologie correlate al consumo di alimenti.
La Salmonella è uno dei più comuni patogeni alimentari. I sintomi compaiono
generalmente dopo 12-72 ore dal consumo di cibo contaminato e
comprendono diarrea, febbre, crampi addominali, vomito

La principale fonte di contaminazione sono i prodotti crudi di origine animale
(quale carne, pollame, uova, prodotti derivati dal latte).

La Salmonella è in grado di crescere sia in presenza che in assenza di
ossigeno, e trova le condizioni ideali per la crescita alla temperatura del corpo
umano, mentre cresce molto poco alla temperatura di refrigerazione e non
prolifera sopra i 46°C. Viene facilmente distrutta dalle usuali temperature di
cottura.

Il Clostridium botulinum è un microrganismo sporigeno che produce
di erenti tipi di tossine.

I tipi A, B, E, F sono causa di una grave patologia potenzialmente letale
chiamata botulismo. I sintomi della patologia insorgono dopo 18-36 ore
dall’ingestione di alimenti contaminati e comprendono vista appannata o
sdoppiamento della vista, secchezza della bocca, di coltà di deglutizione,
paralisi dei muscoli respiratori, vomito e diarrea.

Le spore del C. Botulinum sono resistenti al calore e in assenza di ossigeno
possono germinare e produrre la tossina. Per distruggere la tossina è
necessario raggiungere la temperatura di ebollizione per almeno 5 minuti.

Tra i fattori che inibiscono la produzione di tossina ci sono un pH inferiore a
4.6 e l’utilizzo di nitriti di sodio (ad esempio negli alimenti stagionati).

Il C. perfringens è microrganismo anaerobio e sporigeno. I sintomi
compaiono 6-24 ore dopo l’ingestione di alimenti contaminati e comprendono
diarrea e dolori addominali.

Lo sviluppo della malattia richiede la crescita del patogeno nell’alimento. Tale
patogeno ha uno dei più rapidi tassi di crescita tra i patogeni alimentari: può
raddoppiare in meno di 10 minuti alla temperatura ideale.

Il C. perfringens è presente nel suolo e nel tratto intestinale di persone e
animali. Le spore sopravvivono alle normali condizioni di cottura, inclusa
l’ebollizione. Le principali cause di intossicazione da C. perfringens sono
l’inadeguata conservazione a caldo o l’inadeguato ra reddamento di alimenti
cotti, in particolar modo carne, stufati, pasticci di carne, condimenti, pratiche
che consentono la moltiplicazione dei batteri in quanto le spore possono
sopravvivere al processo di cottura.

E.coli è un batterio che è normalmente presente nell’intestino di esseri umani
e altri animali e la maggior parte dei ceppi di E.coli non sono associati a
malattie.

Alcuni ceppi però, come E.coli O157:H7, risultano pericolosi per l’uomo. E.Coli
0157:H7 produce una tossina chiamata tossina Shiga nell’intestino umano in
grado di causare una grave patologia.

I sintomi compaiono 2-3 giorni dopo l’ingestione e comprendono diarrea
emorragica, occasionalmente febbre, insu cienza renale e morte, soprattutto
nei soggetti immunocompromessi.

La condizioni ottimali per la crescita sono una temperatura vicina alla
temperatura del corpo umano, e un pH di 4.4. Alimenti particolarmente a
rischio sono gli hamburger crudi o non ben cotti.

Listeria monocytogenes è un microrganismo in grado di causare la
meningite, una grave infezione con sintomi che includono febbre improvvisa,
mal di testa intenso, nausea, vomito, delirio e coma in soggetti con sistema
immunitario depresso.

Questo microrganismo rappresenta un problema principalmente per le donne
in gravidanza, in quanto causa di aborto spontaneo, e per gli anziani, mentre
nelle persone in buono stato di salute i sintomi sono lievi o simili all’in uenza.
Particolarmente a rischio sono i prodotti a base di carne ready to eat, prodotti
lattiero caseari non pastorizzati e altri prodotti a bassa acidità pronti al
consumo sono stati associati al manifestarsi di listeriosi.

Questo batterio non sporigeno è distrutto dalle temperature di
pastorizzazione, cresce sia in presenza che in assenza di ossigeno, e può
crescere a temperature di refrigerazione. L. monocytogenes è molto
resistente se confrontata con tanti altri batteri, resiste a congelamento e
scongelamento, e sopravvive per periodi prolungati in ambienti secchi.

Bacillus cereus è un batterio comunemente presente nel suolo e nella
polvere. Può contaminare frequentemente alimenti a base di riso, pasta, carne
e vegetali, prodotti lattiero-caseari e, in generale, prodotti precucinati che
dopo la cottura vengono ra reddati rapidamente ed e cacemente.

Il batterio è in grado di produrre una tossina termostabile che ha un e etto
emetico, e viene sintetizzata e liberata nell’alimento; la patologia è
caratterizzata da nausea, vomito e crampi addominali e ha un periodo di
incubazione di 1-6 ore.

Staphilococcus aureus si tratta di un microrganismo che è in grado di
produrre diverse tossine molte delle quali associate a speci che malattie.

Le più importanti sono le Enterotossine Sta lococciche, che causano una
forma di intossicazione alimentare. Queste tossine sono termostabili e
possono resistere ai trattamenti di cottura ai quali sono sottoposti gli alimenti.

Gli Sta lococchi si riscontrano frequentemente come componente della ora
batterica di uomo e animali e possono trovarsi come commensali sulla cute.

Quali sono le strategie per controllare i pericoli
microbiologici?
Ogni azienda alimentare deve porre l’attenzione agli alimenti che
rappresentano un terreno favorevole per lo sviluppo di microrganismi ed
identi care i pericoli che sono così rilevanti da richiedere delle misure di
controllo perché possono in uire sulla sicurezza del prodotto.

Il controllo dei pericoli microbiologici può essere attuato a più livelli.

Sicuramente lo strumento principale è la prevenzione della
contaminazione, e ettuata attraverso il controllo delle materie prime,
l’attuazione delle buone pratiche igieniche da parte degli addetti alle
lavorazioni, la prevenzione delle contaminazioni crociate attraverso procedure
di sani cazione e caci e l’attuazione di una procedura per la quali cazione
dei fornitori per minimizzare l’introduzione di patogeni nell’azienda.

Un ulteriore strumento per il controllo del pericolo microbiologico è
l’eliminazione o la riduzione dei patogeni a livelli accettabili attraverso
l’attuazione di trattamenti antimicrobici quali trattamenti termici,
irradiazione, trattamenti ad alta pressione, acidi cazione ecc.

In ne, uno strumento fondamentale per ridurre l’insorgenza di patologie
alimentari consiste nell’evitare la crescita dei microrganismi attraverso il
controllo della temperatura di conservazione degli alimenti.

Conservare gli alimenti a temperature di refrigerazione consente il
rallentamento della crescita dei microrganismi e quindi riduce la probabilità di
insorgenza di patologie.

In conclusione quindi i pericoli microbiologici rappresentano un rischio per la
sicurezza alimentare se non opportunamente controllati.

L’attuazione di procedure di autocontrollo messe in atto dalle aziende
alimentari rappresentano un mezzo per controllare tale pericolo e tutelare la
salute della popolazione.

Per essere realmente e caci ed adeguate alla realtà aziendale è
fondamentale che le procedure da attuare siano il frutto di un’attenta analisi
dei pericoli che tenga conto della speci cità dei prodotti e dei processi
produttivi.
Pericolo fisico negli
alimenti: misure
preventive

Nel 2015 circa 60 delle 2967 noti che trasmesse attraverso il Sistema di allerta
rapido europeo (Ras ) hanno riguardato la presenza di corpi estranei negli
alimenti.

Un prodotto alimentare può infatti essere oggetto di ritiro non solo per non
conformità microbiologiche, chimiche, da allergeni ma anche per presenza di
corpi estranei.

Solo pochi mesi fa abbiamo assistito, ad esempio, al ritiro dal mercato di
barrette Mars (46 lotti di prodotto solo in Italia!) per il rinvenimento da parte
di un consumatore di un pezzo di plastica rossa all’interno di una barretta.

E’ di invece pochi giorni fa la noti ca di allerta sanitaria riguardante la
presenza di pietre in nocciole tritate prodotte in Austria e distribuite in
Italia.

Prima di descrivere le principali misure preventive che le imprese alimentari
possono adottare per prevenire la contaminazione sica dei prodotti, previste
anche dagli standard di certi cazione volontaria quali IFS, BRC, ISO 22000,
riepiloghiamo brevemente i più comuni copri estranei e la loro origine.

Quali sono i contaminanti fisici più comuni?
Le noti che del 2015 relative alla presenza di corpi estranei hanno riguardato

prevalentemente vetro e metalli; tuttavia, negli ultimi anni, non sono stati rari i
casi di frammenti di plastica, metalli, tappi, gomme, ossa, lische, sassi, noccioli,
gusci, schegge di legno, carta, capelli, che hanno allarmato imprese e
consumatori.

Da dove hanno origine i corpi estranei nei prodotti alimentari?

I contaminanti sici sono numerosi, diversi sia per tipologia che per origine.

Nella tabella n.1 riportiamo, in linea generale, le principali tipologie di
contaminanti sici e le rispettive fonti/origini:

La contaminazione sica può quindi avere origine dall’ambiente di lavoro per
carenti condizioni strutturali o per ine cace o scarsa attività di manutenzione
degli impianti, ma anche dal mancato rispetto delle norme di igiene e
comportamento del personale, dalle materie prime e da ine caci trattamenti
di separazione di contaminanti sici “naturali” (pietre, ossa, lische, ecc).

In che modo l’operatore del settore alimentare (OSA) può e
deve gestire il pericolo fisico?
L’insieme delle procedure preventive e di controllo deve basarsi su un’attenta
analisi del pericolo sico che vede anzitutto una puntuale identi cazione dei
seguenti elementi:

   corpi estranei che possono interessare i propri prodotti (metalli, sassi, ossa,
   plastiche, ecc);

   origine dei corpi estranei (materie prime impiegate, processo produttivo,
attrezzature, struttura, personale, ecc).

Identi cati i pericoli sici e le loro fonti all’interno dello stabilimento, l’azienda
deve de nire e attuare programmi di prevenzione e di controllo che
prevedano:

   la gestione di tutte le fonti di contaminazione qualora sia inevitabile la loro
   presenza in aree o fasi produttive in cui il prodotto può essere
   contaminato;

   la formazione e sensibilizzazione del personale rispetto ai pericoli sici
   identi cati, con particolare attenzione agli aspetti operativi di prevenzione
   e di controllo.

   la valutazione del potenziale utilizzo di sistemi di identi cazione o
   rimozione dei contaminanti ( ltri, setacci, magneti, metal detector, raggi X,
   ecc).

Le norme volontarie quali ad esempio BRC e IFS dedicano diversi requisiti alla
prevenzione e controllo della contaminazione sica sottolineando la necessità
di disporre di procedure e istruzioni documentate che de niscano l’utilizzo e la
gestione delle diverse fonti di contaminanti sici quali i metalli, il vetro, le
plastiche dure, il legno.

Pezzi di spugna e plastica trovati nelle verdure
Vediamo pertanto alcuni esempi delle misure preventive (generali e speci che

per i diversi contaminanti sici) richieste tanto dalla norme di buona pratica
di lavorazione quanto dagli standard di certi cazione volontaria.

Misure preventive per la contaminazione sica da oggetti riconducibili al
personale

Disporre di ambienti di lavoro e attrezzature in ottimo stato manutentivo, di
sistemi di prevenzione e di controllo all’avanguardia può risultare del tutto
insu ciente se il personale non opera nel rispetto delle norme igieniche di
buona pratica di lavorazione.

La formazione del personale rispetto alle regole di igiene e alla prevenzione
della contaminazione sica è cruciale per ridurre al minimo la possibilità che
un corpo estraneo nisca nel prodotto.

La gestione degli imballi primari, la veri ca preoperativa e operativa delle
attrezzature e dell’utensileria, il rispetto delle regole di igiene sono solo alcuni
esempi di misure preventive la cui e cacia dipende dal livello di formazione e
attenzione delle maestranze.

Rispetto alle regole di igiene, l’azienda deve prevedere, ad esempio, il
divieto di:

   indossare monili (orologi, collane, piercing, braccialetti);

   utilizzare unghie nte o decorazione per le unghie;

   utilizzare divise con tasche esterne sopra la vite e bottoni;

   indossare guanti o cerotti di colore simile al prodotto (il BRC 7 richiede che i
   cerotti siano detectabili, ovvero dotati di striscia metallica rilevabile e
   preferibilmente di colore blu);

   accedere alle aree in cui è possibile la contaminazione dei prodotti non
   idoneamente abbigliati (copricapo che raccoglie l’intera capigliatura,
   mascherine per ba e barba);
introdurre oggetti estranei nelle aree in cui è possibile la contaminazione
   dei prodotti (cellulari, chiavi, accendini, sigarette, ecc).

Misure preventive per la contaminazione sica da vetro o altri materiali
fragili

La premessa comune è di evitare l’introduzione di vetro e materiali fragili nelle
aree di trattamento dei prodotti aperti o in aree in cui esista il rischio di
contaminazione.

Qualora la presenza del vetro o di materiali fragili di plastica non possa essere
evitata, l’azienda deve applicare opportune misure per proteggere tali
elementi contro la rottura (ad esempio coperture in materiale infrangibile che
non dà luogo a frammenti), nonché procedure per la loro manipolazione e
gestione nei casi in cui siano impiegati nel processo produttivo, ad esempio
come materiali di confezionamento.

L’azienda deve censire tali materiali, spesso incorporati nelle attrezzature (es.
pannelli di copertura, display, guarnizioni, strumenti di misura, ecc)
indicandone la tipologia, il numero e l’ubicazione, procedendo a sistematici
controlli sulle loro condizioni.

La frequenza delle ispezioni deve basarsi sulla valutazione del rischio e in ogni
caso le ispezioni devono essere condotte da personale adeguatamente
formato in grado di riconoscere eventuali danneggiamenti o distacchi dei
materiali.

Uno strumento di supporto per tale veri ca ampiamente utilizzato è una
check list in cui sono indicati, per ogni reparto, i diversi elementi oggetto del
controllo. In alcuni casi può risultare utile disporre di dettagli fotogra ci che
aiutino il confronto tra le condizioni di riferimento e quelle riscontrate.

La prevenzione della contaminazione da vetro o altri materiali fragili si basa
in ne su un’accurata gestione delle rotture di tali elementi, a partire dalla
registrazione delle stesse no ai trattamenti applicati che, in linea generale,
possono essere riepilogati nelle seguenti fasi:

   identi cazione e quarantena dei prodotti e dell’area di lavorazione
interessata;

   pulizia dell’ambiente con strumenti di pulizia speci ci e chiaramente

   identi cati;

   ispezione dell’area e delle attrezzature interessate volta a veri care che le
   operazioni di pulizia abbiano eliminato qualsiasi rischio di contaminazione;

   cambio degli indumenti di lavoro e ispezione delle calzature;

   autorizzazione alla ripresa della lavorazione.

Misure preventive per la contaminazione sica da metalli

Che siano utilizzati o meno strumenti di ispezione e di controllo quali i metal
detector, l’uso di utensili metallici taglienti, coltelli, lame da taglio installate su
attrezzature, aghi e li metallici deve essere sottoposto a controllo che ne
evidenzi lo stato manutentivo nonché il loro eventuale smarrimento.

La frequenza delle ispezioni delle attrezzature e dell’utensileria deve essere
prede nita e scelta in base alla valutazione del rischio; ciò può comportare
una frequenza di ispezione speci ca ovvero diversa per le diverse fonti di
contaminazione. Un macchinario più soggetto a danneggiamenti o con viti e
bulloni non saldati, ad esempio, deve essere ispezionato più frequentemente
di un’attrezzatura che non presenti elementi distaccabili.

Particolare attenzione deve essere inoltre rivolta alle operazioni di
manutenzione ordinaria e straordinaria, sia durante l’esecuzione che al
termine delle stesse.

I materiali utilizzati per le manutenzioni devono essere:

   chiaramente identi cati;

   disponibili solo al personale speci camente autorizzato all’utilizzo;

   conservati separati dalle aree in cui esiste il rischio di contaminazione dei
   prodotti.
Requisiti speci ci sono inoltre disposti dalle norme volontarie quali il BRC 7
che vieta l’utilizzo di taglierini e di punti metallici, gra ette e puntine in tutte le
aree di trattamento di prodotti aperti; nei casi di strumenti di chiusura come

punti metallici, la norma dispone che siano comunque adottate “precauzioni
appropriate” al ne di ridurre il rischio di contaminazione dei prodotti.

Misure preventive per la contaminazione sica da legno

Come per gli elementi in vetro e per le plastiche anche per il legno la misura
preventiva migliore è il divieto all’utilizzo nelle aree in cui esiste il rischio di
contaminazione dei prodotti.

Deve essere pertanto impedito l’accesso delle pedane in legno, tuttora
ampiamente utilizzate dalla logistica e dalla distribuzione, nelle aree di
produzione provvedendo alla movimentazione delle materie prime e dei
prodotti niti con sistemi alternativi.

L’azienda deve inoltre prevedere l’utilizzo di utensileria e di attrezzature per le
pulizie con manici non in legno.

Solo laddove l’uso del legno non possa essere evitato poiché richiesto da
processo produttivo (es. maturazione dei prodotti), il legno può essere
consentito, purché mantenuto in buone condizioni di manutenzione, privo di
danni o schegge sulla super cie.

Conclusioni

Quello della contaminazione sica è un problema particolarmente sentito
dalle imprese alimentari sia per la diretta attribuzione di responsabilità
(pensiamo ad un tappo di penna all’interno di un prodotto preimballato) sia
per le prevedibili conseguenze che può comportare, tanto per il consumatore
quanto per l’azienda.

Qualunque ne sia l’origine, il pericolo sico deve essere ridotto al minimo con
la de nizione ed implementazione di e caci procedure di prevenzione e di
controllo basate su:

   un’analisi dei pericoli attenta e speci ca per la singola realtà produttiva;
l’applicazione delle norme di buona pratica di lavorazione, capisaldi della
sicurezza alimentare sia in ambito cogente (HACCP) che volontario
(standard di certi cazione IFS, BRC, ISO 22000, ecc).

l’utilizzo e cace di sistemi di identi cazione e rimozione dei corpi estranei.
Materiali a contatto con
alimenti (MOCA),
approvate le nuove
sanzioni

Sanzioni no a 800000 euro per chi produce, distribuisce o utilizza materiali
non idonei destinati al contatto con alimenti.

Arresto no a 3 mesi per chi esporta sostanze chimiche soggette a divieto.

Tempi duri per chi non garantisce la qualità degli imballaggi per alimenti, non
tutelando la salute dei consumatori e l’ambiente.

Il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato, il 10 febbraio 2017, due decreti
sanzionatori che si applicano in caso di violazione dei regolamenti comunitari
in materia di materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti e di
commercio di sostanze chimiche pericolose.
Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni riguardanti i
materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con alimenti.

L’obiettivo è quello di limitare i rischi di contaminazione degli alimenti dovuti
alla cessione di sostanze pericolose per la salute, e di garantire il blocco o il
ritiro dal commercio dell’imballaggio difettoso in caso di necessità attraverso
valide procedure di rintracciabilità.

Chi è soggetto alle sanzioni?
Chiunque produce o immette sul mercato o utilizza materiali o oggetti che
possono costituire un pericolo per la salute umana.

E’ quindi fondamentale il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione,
l’attuazione di controlli di qualità e ettuati sui materiali e la produzione di
documenti che li attestino.

L’ambito di applicazione riguarda anche imballaggi attivi e intelligenti, oggetti
in materiale plastico ed in plastica riciclata.
Per quest’ultima tipologia di materiali la normativa prevede una sanzione
accessoria: sospensione dell’attività no a sei mesi, in caso di processo di
riciclo non autorizzato.

In caso di violazioni ritenute lievi (in relazione all’esiguità del pericolo) l’organo
di controllo procede ad una di da a regolarizzare la violazione entro i termini
previsti, che può concludersi con l’estinzione del procedimento senza sanzioni.

Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni
sull’esportazione ed importazione di sostanze chimiche pericolose.

Sanzioni pecuniarie sono previste anche in caso di illecito in materia di
esportazione e importazione di sostanze chimiche pericolose.

La violazione delle disposizioni del Reg UE 649/12 prevede infatti multe salate
per chiunque sporti sostanze chimiche previste dall’allegato I del regolamento
senza prima procedere alla noti ca; in caso di sostanze soggette a divieto di
esportazione le sanzioni possono raggiungere i 150000 euro o l’arresto no a
tre mesi.

Il regolamento applica la Convenzione di Rotterdam, che prevede la procedura
di consenso preventivo informato per taluni prodotti chimici e pesticidi
pericolosi nel commercio internazionale. Sono previste sanzioni in caso di
violazione degli obblighi di informazione sui movimenti di tali prodotti in fase
di transito.

Le norme hanno la funzione di garantire la salute umana e la protezione
dell’ambiente dai pericoli potenziali derivanti dal commercio incontrollato di
sostanze chimiche. A garanzia dell’e cacia del sistema sanzionatorio, gli oneri
derivanti dal sequestro delle sostanze non idonee sono a carico del
trasgressore.
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