Generazione NEET: giovani italiani che non studiano, non lavorano e non lo cercano

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Generazione NEET: giovani italiani che non studiano, non lavorano e non lo cercano
Giovani e comunità locali #02

Di Giuliano Vettorato1

Generazione NEET:
giovani italiani che non
studiano, non lavorano
e non lo cercano
Il termine NEET è l’acronimo dell’espressione inglese Not in employment, Educa-
tion or Training che viene tradotta come “non lavora, non studia, non si aggiorna”.
La generazione NEET indica dunque le persone che contemporaneamente sono fuori
dall’occupazione, dall’educazione e dalla formazione e che hanno smesso di cercare un
lavoro, o non hanno intenzione di farlo.

Originariamente il termine NEET era stato coniato in Gran Bretagna nel
1999 dalla Social Exclusion Unity (SEU) che costituisce l’equivalente della
Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale in Italia. Nel contesto
britannico il concetto di NEET si riferiva ai giovani, compresi tra i 16 e
i 18 anni, che nel periodo di almeno sei mesi non studiavano, non erano
impiegati e non seguivano nessun corso di qualifica. Secondo la relazione
della SEU, alla fine del 1998, il 9% dei giovani inglesi (17.3000 circa) non
studiava e non si trovava nelle condizioni di disoccupazione.
La rapida diffusione e la persistenza del fenomeno non riguarda soltanto la
Gran Bretagna l’inerzia giovanile, l’assenza di un’attività di apprendimento
e il ritardato ingresso dei giovani nel mercato del lavoro si è estesa d ha
continuato ad espandersi gradualmente anche in altri paesi sia all’interno
della Comunità Europea che in quelli di altri contesti culturali, specialmen-
te asiatici e americani (Szczersniak, 2010).
“Il termine NEET è oggi utilizzato da diverse istituzioni ed organizzazioni nazionali e
sovranazionali. La portata innovativa di tale categoria sta nel fatto di sintetizzare in un’u-
nica misura la dimensione della popolazione giovanile che nonpartecipa al circuito istru-
zione-formazione-lavoro, per la quale la relativa transizione potrebbe presentare criticità”
(Gaspani, 2017, 114).

  1
   Giuliano Vettorato è docente di sociologia dell’emarginazione e della devianza presso la
  Facolta di scienze dell’educazione della Pontificia università salesiana di Roma.

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L’accordo sul termine NEET ha permesso una miglior conoscenza del fe-
nomeno. L’adozione del termine all’interno dei paesi della UE e dei mem-
bri dell’OECD (OCSE) permette un continuo e sistematico monitoraggio
della situazione occupazionale dei giovani di oggi. Nel contesto europeo
lo stato in cui le condizioni dei giovani erano più preoccupanti nel 2008
in Turchia. Infatti era il paese con più alta in presenza di NEET ed in
crescita, perché nel 1996 esso era 35%, mentre nel 2008 era salito al 42%.
Ma in quasi tutti i paesi del mondo la crisi del 2007-2008 aveva colpito
duramente le categorie più deboli: giovani e donne. L’Italia è il paese del
vecchio continente che da anni detiene la maglia nera in questo campo.
Nel 2008, quando in Italia non si sentivano ancora molto gli effetti della
crisi, i giovani tra 15-29 anni che si trovavano in questa condizione erano
1.819.000 (18,8%) secondo l’ISTAT, suddivisi in disoccupati (562.000) e
inattivi (1.256.000): di questi 621.000 costituivano la forza lavoro poten-
ziale, 636.000 gli indisponibili. Nel 2014, all’apice del fenomeno, il loro
numero era salito a 2.413.000 (26,2%) dei giovani sempre della stessa fascia
d’età, di cui 1.073.000 disoccupati, 1.340.000 inattivi, suddivisi in forza la-
voro potenziale (746.000) e indisponibili (594.000).
Nel 2019 (rilevazione Istat di agosto) il numero di NEET (15-29 anni) è
diminuito a 2.037.000, così suddivisi: 810.000 disoccupati, 1.227.000 inatti-
vi, di cui 620.000 forza lavoro potenziale, 607.000 indisponibili (vedi Istat,
voce Neet, 2019)

1. Significato dei termini e dei criteri per definire i NEET
Secondo l’ISTAT il termine NEET indica quella «popolazione in età 15-29
anni né occupata e né inserita in un percorso di istruzione o formazione»
(Istat, 2004). Detto così, il termine NEET può risultare ambiguo: infatti
vengono considerati tali tutti coloro che non lavorano, né studiano ne stan-
no facendo un corso di perfezionamento o specializzazione. Però, come si
vede dalle cifre, ciò che ha fatto aumentato il numero di NEET dal 2008
in poi è stata la disoccupazione che è praticamente raddoppiata, con una
crescita da 562.000 nel 2008, a 1.073.000 nel 2014. Il numero di inatti-
vi è rimasto pressoché invariato: 1.256.000 nel 2008, 1.340.000 nel 2014,
1.227.000 nel 2019. Di questi poi più di metà erano “forza lavoro potenzia-
le”, cioè disponibili a lavorare se lo avessero trovato. Pertanto i veri NEET
(che non studiano, non lavorano e non lo cercano) sono rimasti un numero
costante: poco più di mezzo milione (600.000 ca.), che è una cifra di per
sè alta, ma che comunque rappresenta il 5% della popolazione giovanile.

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Ciò dipende dal fatto che l’Istat, così come l’Eurostat, considerano NEET
tutti quelli che non lavorano e non studiano. Senza tener conto della for-
mazione non formale o informale.

Perciò a questo punto è importante considerare quali sono i criteri usati
per definire i NEET.

Se si tiene conto delle definizioni che sono state adottate ci si accorge di
“differenze non marginali che riguardano quattro requisiti principali che
definiscono lo status del giovane Neet” (Italia Lavoro, 2011, 116). Maria
Stella Agnoli (2014, 15ss.) ha evidenziato molto bene le criticità che stanno
alla base della definizione e dei criteri classificatori adottati da Eurostat e
dall’Istat. Riportiamo fedelmente una parte delle sue riflessioni sui 4 criteri
adottati e le criticità che presentano:

•        Età: rispetto a questo parametro, la determinazione del fenomeno che
         inizialmente concerneva solo minorenni di età compresa tra i 16 e i 18
         anni, è stata progressivamente estesa fino a considerare i giovani delle
         classi 15-24 anni, ovvero 15-29 anni, ovvero 15-34 anni. La progressi-
         va, maggiore estensione del segmento anagrafico al quale viene riferito
         il fenomeno, anche in ambito internazionale, è stata adottata specie in
         considerazione della sempre maggiore lentezza che ha caratterizzato i
         percorsi di transizione dall’istruzione al lavoro (Agnoli, 2014,15)

•        Condizione del Mercato del Lavoro: anche relativamente a questo criterio, si
         apprezza l’eterogeneità dei criteri classificatori. All’interno della catego-
         ria sono stati infatti considerati sia i soggetti disoccupati che quelli inat-
         tivi, i quali per definizione non vengono computati nelle forze di lavoro,
         risultato della somma di occupati e disoccupati. Questa inclusione nei
         NEET dei giovani inattivi ha una ricaduta rilevante in merito alla deter-
         minazione e alla caratterizzazione del fenomeno in quanto espressione
         di una specifica condizione della popolazione delimitata in base al para-
         metro dell’età. Le fonti definitorie della disoccupazione legano questo
         stato di non presenza nel mercato del lavoro, sia alla fattispecie della
         disoccupazione in senso stretto (condizione seguita ad un precedente
         stato di occupazione), sia nella condizione di inoccupazione (caratteriz-
         zata dalla ricerca di una prima occupazione), alla disponibilità immediata
         a svolgere un’attività, nonché alla ricerca attiva di un lavoro2; sono per-
         tanto ricompresi nella classificazione tre criteri: lo stato oggettivo sulla

    2
        Decreto Legislativo n. 297 del 19 dicembre 2002.

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proprietà (sic!) condizione lavorativa; una modalità di atteggiamento e
         una modalità di comportamento. Quando ad una condizione oggetti-
         va di disoccupazione o inoccupazione (per come sopra specificate) si
         associano le modalità opposte relativamente alle caratteristiche di atteg-
         giamento e di comportamento, vale a dire la non disponibilità immediata
         di intraprendere un’attività lavorativa - quand’anche prospettatasi - e la
         non ricerca del lavoro si produce la categoria degli inattivi. Essa verrebbe
         così a designare quella quota di giovani e giovani-adulti che pur essendo
         in attività lavorativa non è occupata (perché disoccupata o inoccupata)
         e non cerca attivamente un lavoro. E non è tutto. Difatti anche questa
         sub specie presenta al proprio interno la possibilità di ulteriori determi-
         nazioni, derivanti dall’applicazione del criterio che abbiamo prima men-
         zionato dell’atteggiamento nei confronti del lavoro. Sicché possiamo di-
         stinguere tre inattivi che non sarebbero comunque disponibile a lavorare
         nemmeno se glie ne fosse offerta la possibilità e inattivi che invece, pur
         non cercando un lavoro, sarebbero tuttavia disponibili a lavorare se glie
         ne fosse offerta la possibilità. Sulla base di questo solo criterio, la cate-
         goria dei Neet, verrebbe ad articolarsi nella seguente tipologia teorica:
         a) disoccupati/inoccupati che cercano lavoro e sarebbero immediata-
         mente disposti a lavorare; b) disoccupati/inoccupati che cercano lavoro
         ma non sarebbero immediatamente disposti a lavorare; c) disoccupati/
         inoccupati che non cercano lavoro ma sarebbero disposti a lavorare =
         inattivi; d) disoccupati/inoccupati che non cercano lavoro non sarebbero
         disposti a lavorare = inattivi. 2. La categoria degli inattivi di cui al tipo c) è
         riconducibile a quella zona grigia3 che l’Istat ha individuato ai confini della
         disoccupazione. Di queste zone contigue, designate da categorie ibride,
         si potrebbero forzare la specificazione semantica distinguendo, all’inter-
         no della categoria dei disoccupati e degli inoccupati, i disoccupati puri
         (a) e gli inoccupati puri (a), da quelli ibridati in ragione dell’impegno nella
         ricerca attiva di un lavoro e della disponibilità immediata o no a lavorare
         (b); parimenti potremmo designare come inattivi pure quelli ricondu-
         cibili al tipo d) distinguendoli dagli inattivi ibridi (tipo c) (Ibid., 15-16).

•        Sono considerati Neet anche “casi di popolazione che, per ragioni di
         salute o perché impegnati in compiti di cura e assistenza familiare,
         non svolgono un lavoro per oggettivi impedimenti, gli stessi impedi-
         menti per i quali non lo cercavano è causa dei quali comunque non
         sarebbero disposte ad assumere l’impegno; tale condizione rinviabile,
         di fatto, anteriore di identificazione bene, Quello della volontarietà del

    3
        Cfr. Istat, Rapporto annuale edito nel 2005, che fotografa la situazione del paese nel 2004.

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        comportamento, nonché dell’atteggiamento assunto nei confronti del
        lavoro” (Ibid., 17).

•       Volontarietà della scelta di non lavorare: in base a questo requisito si deter-
        mina l’esclusione o meno di coloro che si occupano di attività domesti-
        che o di accudimento, i disabili, gli inattivi che dichiarano di non voler
        lavorare. Si tratta di un criterio che, per come è formulato, è ambiguo.
        Difatti, ne implica un altro: lo stato di possibilità effettiva di intrapren-
        dere e svolgere un’attività lavorativa. Da cui l’articolazione logica della
        modalità di questo sarebbe: a) non vuole lavorare e non potrebbe; b)
        non vuole lavorare e potrebbe; c) vuole lavorare e potrebbe; d) vuole
        lavorare e non potrebbe (Ibid., 17).

•       Natura dei corsi d’istruzione e formazione: […] in alcuni casi, come criterio
        di inclusione nella categoria dei Neet, si considera solo l’assenza da
        percorsi formali di istruzione o formazione professionale, in altri casi
        invece il criterio il più estensivo e comprende anche i corsi e le attivi-
        tà informali, secondo una distinzione che secondo una distinzione che
        in linea di fatto rinvia alla possibilità che da tali corsi si possa o non
        conseguire un titolo, una qualifica, una certificazione, un’attestazione
        formale. Anche in questa circostanza, la materia è più complessa di
        quanto appaia. Difatti, la distinzione tra formale e informale rinvia
        non ad una classificazione semplice, bensì ad una tipologia multicrite-
        rio. Più analiticamente, sulla base di una rielaborazione effettuata per
        questa occasione delle linee guida elaborate a livello europeo per la
        validazione dell’apprendimento4, la distinzione può essere articolata
        nelle seguenti modalità:

        a) formal learning = apprendimento/ acquisizioni di saperi/abilità/com-
        petenze intenzionale dal punto di vista del discente, che matura a se-
        guito di un’attività concepita, erogata e strutturata per quelle finalità di
        apprendimento e che dà luogo all’acquisizione di un titolo di studio,
        di una qualifica professionale;b) non-formal learning = apprendimento/
        acquisizione di saperi/abilità/competenze intenzionale dal punto di
        vista del discente, che matura a seguito di un’attività non concepita

    4
     Si tratta di linee guida elaborate dal Centro europeo per lo sviluppo della formazione
    professionale (Cedefop -European Centre for the Development of Vocational Training)
    che gli Stati membri non sono obbligati ad applicare, se non su base volontaria e da
    parte delle agenzie formative che le ritengano utili. Cfr. European guidelines for
    validating non-formal and informal learning:
    http://www. cedefop.europa.eu/en/news/ 4041.aspx.

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né erogata per quelle finalità di apprendimento e che non dà luogo
all’acquisizione di un titolo di studio, di una qualifica professionale o
comunque di una certificazione;
c) informal learning = apprendimento/acquisizione di saperi/abilità/
competenze non intenzionale dal punto di vista del discente, maturato
a seguito della partecipazione a seminari, conferenze, corsi di auto-ap-
prendimento, non concepiti né erogati per quelle finalità di apprendi-
mento e che non danno luogo all’acquisizione di un titolo di studio,
di una qualifica professionale o comunque di una certificazione.È evi-
dente come l’adozione di questo criterio nella formulazione più restrit-
tiva di esso, ovvero in quella più estensiva, abbia potere di intervenire
significativamente nella costruzione di una tipologia dei Neet, che sia
anche finalizzata a stimare la consistenza del fenomeno (Ibid., 17-18).
La scelta dei requisiti e, segnatamente, delle modalità secondo le qua-
li si stabilisce di utilizzarli, danno evidentemente luogo a numerose
combinazioni possibili, e sono proprio queste combinazioni a costi-
tuire le categorie attraverso le quali si possono variamente identificare
segmenti di popolazione giovanile Neet, stimarne la consistenza e stu-
diarne le caratteristiche.
Le scelte effettivamente operate in ambito europeo ed extraeuropeo in
merito agli elementi identificativi nella condizione di Neet danno con-
to della diversa attenzione che all’interno di vari paesi viene prestata,
da parte di singoli enti, organismi, istituti di ricerca, alla varietà delle
forme che tale condizione sociale può assumere e a diagnosticare quali
di queste forme, appunto, siano da considerare “intollerabili”, perché
e da quali punti di vista. […] ciò rende problematico operare dei con-
fronti tra fonti diverse non solo in merito alla stima e alla caratterizza-
zione del fenomeno, ma anche in merito alle iniziative di intervento/
contrasto predisposte e adottate per prevenire il fenomeno, ovvero per
contrastare o “risolvere” il problema. A questo proposito segnaliamo
però come, nel quadro dei paesi dell’Unione Europea, si sia progressi-
vamente attuato un disegno di armonizzazione dei criteri di identifica-
zione e rilevazione dei Neet, necessario a studiare il fenomeno in una
prospettiva di analisi comparata. La definizione utilizzata da Eurostat
per determinare la popolazione Neet nell’Europa dell’Unione fa rife-
rimento agli individui che si trovano contemporaneamente nella con-
dizione di: a) non essere occupati (nel senso di disoccupati o inattivi,
secondo la definizione che di queste categorie viene data dall’Internatio-
nal Labour Organization –Ilo); b) non aver ricevuto alcuna istruzione o
formazione nelle quattro settimane precedenti la rilevazione effettuata

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      in vista della loro identificazione (corsivo aggiunto).
           Il tasso/indicatore Neet viene conseguentemente calcolato assu-
      mendo al numeratore l’insieme delle persone che si trovano nelle con-
      dizioni suddette e, al denominatore, il totale della popolazione della
      medesima fascia di età e sesso, esclusi i casi che non hanno risposto alla
      domanda concernente «la partecipazione a corsi regolari di istruzione
      formazione» (cfr. Eurostat, 2014 g). […]
           Proprio in questo quadro di armonizzazione dei criteri europei, lo
      stesso Istituto nazionale di statistica, nella principale fonte di rilevazione
      utile alla stima dei Neet per tutti paesi dell’Unione, la Rilevazione sulle
      forze di lavoro, individua con questo acronimo la quota di popolazio-
      ne in età compresa tra estremi di classe variabili: 15-24, 15-29, 15-34
      anni, né occupata né inserita in un percorso di istruzione formazione.
      «Il riferimento è a qualsiasi tipo di istruzione scolastica/universitaria e a
      qualsiasi tipo di attività formativa (corsi di formazione regionale, altri tipi
      di corsi di formazione professionale, altre attività formative quali semi-
      nari, conferenze, lezioni private, corsi di lingua, informatica, ecc); on la
      sola esclusione delle attività formative quali l’autoapprendimento. Dalla
      condizione di Neet sono dunque esclusi non solo i giovani impegnati
      in attività formative e regolari (detti anche “formali”), ma anche quelli
      che svolgono attività formative cosiddette «non formali» (Istat, 2013b,
      p. 78). Lo stesso Istituto, tuttavia in Noi Italia e nel Rapporto annuale sulla
      situazione del paese pubblica il dato per il 15-29enni (Ibid., 18-19).

2. Il confronto negativo con i dati europei
Tenendo conto di questa armonizzazione dei criteri a livello europeo, ri-
sulta che l’Italia occupa l’ultimo posto della graduatoria Europea, come
appare dai dati Eurostat del 2017:

La stessa posizione viene confermata dagli ultimi dati pubblicati, come
appare dai dati qui sotto riportati, che tengono conto dei giovani dai 20
ai 34 anni, e dove l’Italia spicca ancora, superando pure la Grecia, nostra
diretta concorrente! I dati EUROSTAT infatti, mettendo a confronto i dati
di ogni nazione evidenziano che l’Italia presentava livelli più elevati della

Differenza di Tasso di Neet tra Italia e Media Europea (Eu-28) dal 2004 al 2017
           '04   '05    '06    '07    '08    '09    '10    '11    '12    '13     '14   '15    '16    '17
 Eu-28
          15,3   15,0   14,0   13,2   13,1   14,7   15,2   15,4   15,8   15,9   15,4   14,8   14,2   13,4
 Italia
          19,6   20,0   19,2   18,8   19,3   20,5   22,0   22,5   23,8   26,0   26,2   25,7   24,3   24,1

Fonte: Eurostat (cit. da G. Terzo, 2018, p.3)
108
media europea prima della recessione (18,8% nel 2007 contro 13,2% Ue-
       28); il fenomeno è aumentato maggiormente da noi durante la crisi (salito
       a 26,2% nel 2014 contro 15,4% Ue-28).

       Le tabelle qui sotto riportate danno conto in termini percentuali della si-
       tuazione, suddividendo i dati per età e sesso. Come si vede le categorie più
       colpite sono quelle delle età più alte, soprattutto se donne.

Young people (aged 20-34) neither in employment nor in education and training,
by sex and activity status, 2018 %

                                                                                 109
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3. I fattori del fenomeno NEET
A volte viene indicata come causa della indisponibilità a cercare lavoro o a
studiare il “mammismo” italiano, che genera “bamboccioni”. Certamente
influisce sul fenomeno anche la protratta permanenza di giovani-adulti in
famiglia (aspetto culturale) e il fatto che l’Italia abbia una serie di garanzie
sociali per assicurare la sopravvivenza dei suoi cittadini. Soprattutto il la-
voro dei padri e la pensione dei nonni sono le principali risorse familiari,
che garantiscono la sopravvivenza delle famiglie. Perciò molti figli vivono
sulle spalle dei loro genitori e nonni5. Ma l’aumento della disoccupazione
ha fatto perdere lo stipendio a molti adulti: perciò ci sono famiglie che
vanno avanti ormai solo con la pensione dei nonni6. Tuttavia il tasso di
povertà è aumentato in questi anni e nemmeno la debole ripresa del 2017-
2018 ha fatto cambiare l’andamento. Infatti “Nel 2018, si stimano oltre 1,8
milioni di famiglie in povertà assoluta (con un’incidenza pari al 7,0%), per
un totale di 5 milioni di individui (incidenza pari all’8,4%). Non si rilevano
variazioni significative rispetto al 2017” (Istat, 2019). Le regioni più colpite
sono quelle del Mezzogiorno (9,6% nel Sud e 10,8% nelle Isole) (Ibid.). Le
stesse regioni che registrano il maggior numero di NEET (ISTAT, 2019).
Pertanto si evidenzia una correlazione positiva tra disoccupazione, povertà
e disaffezione dalla scuola e dal lavoro. È la mancanza di prospettive che
alimenta la sfiducia dei giovani nello studio e per cercare lavoro. Tanto
sanno che non se ne trova.

Poi tra i fattori che incidono sul fenomeno NEET, va anche considerata la
notevole capacità degli italiani nell’arte dell’arrangiarsi. Per cui si può pen-
sare che molti siano “imbucati” nell’economia sommersa (lavoro in nero).
Infatti una quota non indifferente di giovani se trova un lavoretto, anche
insicuro e mal pagato, pensa che sia meglio che frequentare una scuola che
non garantisce un posto di lavoro sicuro. Però, con lo stesso ragionamen-
to, molti giovani possono pensare che la delinquenza paghi meglio che la
scuola e un lavoro onesto.

  5
    Non abbiamo ancora elementi certi per valutare l’impatto sociale del “Reddito di citta-
  dinanza” o del REI: i primi provvedimenti che cercano di offrire ai giovani delle garanzie
  sociali, che non siano quelle familiari.
  6
    “In Italia non solo si sta allargando la condizione di Neet – osserva il prof. Alessandro
  Rosina tra i curatori dell’indagine – ma, come conseguenza delle difficoltà del ceto medio,
  anche le famiglie si trovano sempre più in difficoltà a svolgere il ruolo di ammortizzatore
  sociale nei confronti dei giovani” (Istituto Toniolo, 2014).

110
Young people (aged 20-34) neither in employment nor in education and training,
by sex, 2018

                           % 0     10   20   30   40   50   60

     Male

     Female

                                                                             111
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Per cui «Essere NEET, ovvero non studiare, non lavorare né seguire percorsi
di formazione è una condizione di disagio ed esclusione sociale, che priva i
ragazzi e le ragazze di una possibilità di futuro, lasciandoli indietro: […] “il
NEET è un indicatore di una qualità della vita insufficiente”», dice Virginia
Meo7, nel presentare i primi risultati della ricerca per il Progetto “NEET
Equity” (Sacco - Unicef, 2019,p. 3).

Pertanto, a generare il fenomeno NEET è soprattutto la mancanza di
lavoro e di prospettive di lavoro. Ovviamente va considerato tra i fattori
che collocano l’Italia al primo posto in Europa il fatto che si viene da
una situazione di prosperità, per cui manca anche la voglia di lottare, a
differenza di popolazioni più povere, che comunque sono abituate a
guadagnarsi il pane con le unghie. Ecco allora il fioccare di termini come:
“Bamboccioni”, “Fannulloni”, “Fancazzisti”, ecc. che non aiutano certo
questi giovani a venir fuori dalla loro apatia quotidiana e ad alimentare la
loro autostima che li aiuterebbe a superare il momento difficile che stanno
affrontando come generazione.

  7
   Coordinatrice del progetto “NEET Equity” - Comitato Italiano per l’UNICEF
  ONLUS.

112
4. Effetti correlati al fenomeno NEET
Alessandro Rosina (2015, 2018), un ricercatore che ha seguito in maniera
particolare l’evoluzione del fenomeno NEET in Italia, grazie all’Osserva-
torio della Gioventù dell’Istituto Toniolo che dal 2014 monitora annual-
mente l’evoluzione dei giovani italiani, da buon demografo fa notare che il
fenomeno dei Neet è concomitante con il fenomeno del “degiovanimento’
demografico e con la riduzione del peso e ruolo dei giovani nella società.
Infatti il 2014, ha segnato l’apice del fenomeno dei NEET e nello stesso
tempo il più basso livello di natalità. Questo è una realtà paradossale, per-
ché alla diminuzione di popolazione dovrebbe far seguito la maggior oc-
cupabilità dei giovani. Ma ciò non si realizza perché gli anziani non fanno
posto ai giovani e i giovani non lottano per occuparlo. E la politica non
fornisce i mezzi per invertire la rotta, infatti finora ha inseguito più gli
anziani che i giovani (che non votano e sono di meno). Siamo una nazione
che invecchia sempre più, tra le più longeve del pianeta, ma anche tra le
più statiche, e il peso demografico si sta spostando verso l’età avanzata
piuttosto che quella giovanile. Perciò, mentre si diventa più saggi, si diventa
anche più statici e stanchi. E i giovani non trovano posto in questa società:
ecco perché i migliori se ne vanno (fuga dei cervelli) e, di quelli che restano,
non tutti si danno da fare per inventarsi un nuovo lavoro (imprenditoria
giovanile, start-up, ecc.). Chi è più demotivato, si arrende e smette di lottare
e cercare. Così l’Italia rischia di diventare un paese di vecchi e per vecchi.
 Ciò ha delle gravi ricadute sul paese-nazione: sta sprecando il capitale so-
ciale accumulato e non riesce più a generare qualcosa di nuovo. Ed inoltre
questi soggetti rischiano di aggravare i costi economici del paese. Scrive un
giornale economico:
In un Paese come l’Italia afflitto da un alto tasso di disoccupazione, pesa il costo econo-
mico dei cosiddetti Neet, cioè quei giovani che non partecipano a percorsi di istruzione o
formazione e nemmeno stanno svolgendo un’attività lavorativa. Numeri alla mano, si parla
di qualcosa come 36 miliardi di euro, cifra che corrisponde al 2% del PIL.

Il nostro Paese, infatti, nonostante le iniziative avviate negli ultimi anni, come il piano ‘Ga-
ranzia Giovani’, conta ancora un numero molto elevato di persone in queste condizioni […]

Una delle difficoltà principali di Garanzia Giovani è quella di intercettare i
Neet più scoraggiati, con bassa scolarizzazione e da più lungo tempo inat-
tivi, che rischiano di diventare un costo sociale permanente. Nella compo-
sizione dei Neet in Italia è più bassa rispetto alla media Ue la quota di chi
ha problemi fisici, mentre è maggiore quella di chi è disoccupato di lunga
durata e di chi è scoraggiato (https://quifinanza.it/ - 4.11.2016)

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Giovani e comunità locali #02

D’altra parte lo stesso Rosina faceva notare che la politica non aveva fatto
ancora molto per questi giovani e la stimolava ad agire con rapidità:
“Nel perdurare della crisi economica, in combinazione con la cronica carenza di politiche attive
(siamo al quartultimo posto in Europa come investimenti su tale voce), questo segmento della
popolazione rischia non solo di allargarsi sempre di più ma anche di scivolare sempre più in pro-
fondità in una condizione che mescola frustrazione personale e risentimento sociale. La politica,
soprattutto su questa fascia di giovani, deve agire in tempi brevi e in modo incisivo” (Istituto
Toniolo, 2014).

Rosina ha inserito il tema della “frustrazione personale e risentimento socia-
le” che sono temi molto importanti sia dal punto di vista personale che socia-
le e il loro aumento può portare a conseguenze molto gravi. Infatti la ricerca
Toniolo del 2014 registrava che il grado di fiducia nelle istituzioni e di felicità
personale era più basso tra i NEET che tra gli altri giovani della stessa età.
Grado di fiducia verso le istituzioni (Voto da 1 a 10. Valori medi)
I risultati mostrano come la fiducia nelle istituzioni sia molto bassa in tutti i
giovani. In particolare, si conferma la bocciatura delle istituzioni politiche.

Fonte: Istituto Toniolo, 2014.

Nonostante le promesse dei politici, la condizione dei giovani non è mai
stata problematica come oggi e questo evidentemente pesa sul loro giudi-
zio e sulla loro fiducia.

La scuola e l’università sono poco sotto, ma chi non studia e non lavora
tende ad avere un’opinione meno favorevole del sistema formativo. C’è più
fiducia nei confronti dell’Europa e delle amministrazioni locali, e questo
perché la responsabilità maggiore di quanto non funziona forse viene attri-
buita più alle inadempienze nazionali che a quelle europee o locali. Anche
la fiducia nelle persone che, è generalmente bassa un po’ in tutti giovani,
ma meno tra i “non Neet” (uno su tre afferma che gran parte delle persone
è degna di fiducia), che tra i Neet (si scende a uno su quattro). Nelle donne
il senso di isolamento è particolarmente avvertito. Meglio la situazione tra
i maschi, ma non di molto (I. Toniolo, 2014).

114
Percentuale di giovani 19-29 anni che si ritiene abbastanza o
molto felice.

100.0%

 80.0%                                                      75.5%
                             76.8%
                                             62.6%
 60.0%
              56.3%
 40.0%

 20.0%

  0.0%
               Neet        Non Neet           Neet       Non Neet
                      Maschi                       Femmine

Il tema “felicità” è anch’esso uno dei più significativi.

Mentre i “non Neet” si dichiarano abbastanza o molto felici in misura di tre
su quattro, tra i Neet il valore precipita: oltre uno su tre tra le donne e quasi
uno su due tra gli uomini si dichiara per nulla o poco felice (I. Toniolo, 2014).

5. Quali interventi preventivi-promozionali?
Questi sono alcuni dei problemi correlati al fatto di essere NEET. Ciò ri-
chiede interventi pronti e profondi, perché si rischia che il paese sprofondi
in una situazione irreversibile.
È compito del sociologo quello non solo di analizzare i problemi, le loro
cause, ma anche quello di indicare le vie di soluzione. Ma non è certo con
un articolo di rivista che si può pretendere di risolvere una questione così
complessa, né è mia intenzione addentrarmi troppo su tale argomento che
ha già visto versare fiumi d’inchiostro. Colgo solo alcune sollecitazioni che
ho avuto l’avventura di leggere.
Innanzitutto l’Istituto Toniolo ha continuato a monitorare la situazione, ed anche
se non sono più comparsi dati completi come nel 2014, tuttavia alcune pubblica-
zioni hanno dato conto delle iniziative che si stavano muovendo in Italia.

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Giovani e comunità locali #02

Hanno, per esempio, valutato quanto il programma “Garanzia Giovani”,
di iniziativa europea, ma fatto proprio anche dalla politica italiana, stesse
riuscendo a costituire una opportunità di empowerment per i più svantag-
giati. Dalla ricerca qualitativa è emerso che in alcune regioni ha funzionato
meglio che in altre. Per esempio in Piemonte e a Torino ha dato risultati
soddisfacenti. Nel Lazio è stato apprezzato il ‘Progetto di valorizzazione e
rilancio dell’immagine del Servizio Civile Nazionale’. In generale la ricerca
ha valutato i modelli regionali di attuazione del programma Garanzia Gio-
vani e la capacità di attivazione dei giovani in

situazione di NEET’, analizzato i differenti modelli adottati osservando
le priorità assegnate nei piani regionali (consulenza e riorientamento, for-
mazione professionale, sostegno al lavoro, autoimpresa), le forme di go-
vernance implementate ed i relativi esiti in termini di capacità di risposta e
coinvolgimento dei giovani in condizione di NEET.

Altri ricercatori hanno notato l’apprezzamento ricevuto da progetti non
statali, come il Progetto Policoro: “un’esperienza di attivazione individuale
e comunitaria dei giovani in cerca di lavoro’ basato appunto sull’esperienza
del Progetto Policoro, centrato sulla figura dell’Animatore di Comunità
e sulla rete delle filiere”. A Novara è stato monitorato il progetto pilota
“CivicNEET-Sviluppo di comunità,” promosso da un’associazione di vo-
lontariato di Novara in collaborazione con un gruppo di studiosi di diverse
discipline e finanziato dalla Fondazione Cariplo. Il progetto, si proponeva
di sperimentare una formula di tirocinio potenziato, che andasse nella di-
rezione di integrare maggiormente gli incentivi all’inserimento lavorativo
con misure di rafforzamento dell’inclusione sociale e di allargamento della
rete di relazioni e dei legami dei NEET.

Un altro ha monitorato l’esperienza sui NEET in età 16-21 anni del pro-
getto promosso da Cometa, un ente no profit di Como nato da una realtà
di famiglie impegnate nell’accoglienza, nell’educazione dei ragazzi e nel so-
stegno alle loro famiglie.

Un altro ancora ha valutato gli effetti del progetto ‘Giovani per i giovani:
sperimentazioni nella periferia est di Napoli’: un progetto biennale realiz-
zato nella periferia di Napoli e finanziato dalla Direzione generale per la
Gioventù. L’obiettivo era quello di riattivare il desiderio di apprendere e di
crescere in adolescenti convinti di non avere risorse e di essere predestinati
a un percorso di insuccesso nella vita professionale.

116
Il testo presenta altre tre iniziative che ritiene interessanti e promettenti di
attivazione dei NEET.

    1) La prima è il programma NeetWork promosso da Fondazione
       Cariplo (www.fondazionecariplo.it/it/progetti/servizi/neetwork.
       html) che attraverso un’alleanza tra pubblico e privato sociale ri-
       unisce molteplici elementi di miglioramento rispetto a Garanzia
       Giovani: si rivolge direttamente agli under 25 con titolo di studio
       basso; non aspetta che siano loro a iscriversi ma va a cercarli attra-
       verso molteplici canali; dedica attenzione non solo alle competen-
       ze tecniche ma anche alle life skills; prevede un rigoroso piano di
       valutazione dell’impatto degli esiti sull’effettiva attivazione e occu-
       pazione alla fine del programma.

    2) Il secondo è l’iniziativa Lavoro di squadra di ActionAid (www.
       actionaid.it/come-puoi-aiutarci/sostienici/progetti-prioritari/
       lavoro-di-squadra): un approccio innovativo che coniuga pratica
       sportiva, allenamento motivazionale e orientamento al lavoro, con
       una attenzione particolare ai giovani più scoraggiati e difficili da
       intercettare per le politiche pubbliche.

Il terzo esempio, rivolto invece ai giovani più intraprendenti e con mag-
giori potenzialità, è il programma Crescere digitale promosso da Google
in collaborazione con Unioncamere (www.crescereindigitale.it), che mira a
spostare verso l’alto l’incontro tra offerta di competenze digitali dei giovani
e domanda delle aziende. Viene offerto a tutti i NEET un corso online che
prevede un test finale. Chi lo supera può accedere a laboratori e tirocini
dove i giovani mettono in pratica le abilità acquisite e le aziende sperimen-
tano l’utilità e l’importanza di giovani con competenze avanzate.

Questi tre esempi, come altri, “evidenziano come per lo ‘zoccolo duro’ dei
NEET non bastino politiche standard di attivazione, sulle quali si è con-
centrata Garanzia Giovani, ma servano altre tre ‘i’, due precedenti l’attiva-
zione e una successiva”. La prima ‘i’ è quella dell’intercettazione; la seconda
‘i’ è quella dell’ingaggio; La terza ‘i’ è quella di impatto: cioè “acquisire con-
sapevolezza dell’impatto che tale esperienza ha avuto su se stessi, ovvero
del percorso fatto, delle competenze acquisite, della loro spendibilità sul
mercato del lavoro, ma anche di come continuare a rafforzarsi per raggiun-
gere i propri obiettivi professionali e di vita” (Alfieri, Sironi, 2018, 13-15).

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Giovani e comunità locali #02

Anche la ricerca dell’UNICEF per il progetto “NEET Equity” offre delle
interessanti osservazioni finali per procedere oltre i dati raccolti e sostenere
il progetto. Afferma infatti:
"Il punto di partenza sembra il bisogno di rafforzare i percorsi avviati da realtà sociali
di terzo settore e di incentivarne nuovi (la complessità del fenomeno NEET richiede
sicuramente molte azioni differenti in grado di coinvolgere persone con esigenze
diverse), da far maturare però dopo un lavoro di rete e di progettazione condivisa tra
organizzazioni, gruppi informali e istituzioni. Si tratta, in particolare, di promuovere
veri e propri laboratori urbani di partecipazione nei territori (LUP), quali spazi di
ascolto e coinvolgimento in cui possono essere organizzate, con continuità e creati-
vità, numerose attività di formazione e di progettazione partecipata.

In questo scenario resta preziosa, e dunque da proteggere e potenziare, la capacità
di ascolto delle scuole pubbliche, per individuare quanto prima disagi e difficoltà
di bambini e ragazzi e proporre loro occasioni di emancipazione. Al tempo stesso
emerge il bisogno di ripensare l’apprendimento. Da un lato, risulta necessario fa-
vorire la sperimentazione di forme di inclusione e didattiche nuove attente ai più
fragili e in grado di far crescere passioni e talenti; dall’altro, promuovere processi
di scuola aperta e partecipata e di educazione diffusa (per rafforzare la capacità di
mutuo-sostegno di associazioni e di genitori, per utilizzare cortili, aule, teatri, pa-
lestre negli orari extrascolastici e per inventare forme di apprendimento in luoghi
non abituali)".

Un passaggio conseguente ed inevitabile è la messa in comune di spazi
adatti ad interventi di ascolto, orientamento, sostegno di medio e lungo ter-
mine - per valorizzare in particolare i talenti di ragazzi e giovani - ma anche
per condividere nuove analisi del fenomeno e progetti e, più in generale,
per ricomporre le relazioni sociali sempre più schiacciate da individuali-
smo, consumismo e competizione.

Se è vero che il volontariato sociale può giocare un ruolo cruciale nel con-
trasto al fenomeno dei NEET, è importante anche incoraggiare la crea-
zione di associazioni e cooperative sociali a partecipazione giovanile. Nel
caso delle associazioni, la natura di questa forma aggregativa consente
di coinvolgere contemporaneamente i giovani NEET e le loro famiglie,
perseguendo uno scopo comune e adottando una prospettiva che non si
concentra solo sul singolo individuo, ma su tutta la rete sociale in cui è
inserito. L’istituzione di cooperative invece, garantisce la gestione comune
di un’impresa che si prefigge lo scopo di fornire innanzitutto agli stessi soci
quei beni o servizi per il conseguimento dei quali la cooperativa è sorta.
Aprendosi a qualsiasi soggetto pubblico che voglia perorare la causa, la coo-
perativa include diversi tipi di soci: prestatori, volontari, beneficiari, fruitori,

118
sovventori e persone giuridiche. In questo modo, la cooperativa offrirebbe ai
giovani NEET possibilità di impiego all’interno della stessa, rappresentando
così un duplice incentivo.È importante anche prendere spunto da progetti
simili già realizzati in settori diversi, come quello dell’inserimento nel mon-
do lavorativo di detenuti ed ex detenuti. Un altro esempio utile è quello del
progetto “Nuova Stagione” realizzato dal CONI in collaborazione con il
Ministero del Lavoro, che si occupa di orientare e sostenere gli atleti nella
loro scelta professionale al termine della carriera agonistica.Il tentativo prin-
cipale è quello di rendere i giovani protagonisti delle proprie scelte e della
propria crescita, facendo emergere le loro potenzialità e dando spazio alle
loro voci (Sacco, 2019, pp. 47-48).Su queste misure concordo anch’io, so-
prattutto sull’obiettivo di rendere i giovani protagonisti delle proprie scelte,
maggiormente fiduciosi in se stessi e nelle proprie possibilità e intraprendenti
nel mercato del lavoro, attraverso anche l’aiuto di realtà già affermate, come
quelle del terzo settore, ma anche dell’economia reale, che voglia prendersi a
cuore la crescita delle nuove generazioni. Se avverrà questo e se si ricostruirà
il tessuto sociale italiano, dialogando tra giovani e adulti-anziani e facendo
rete tra i vari attori sociali, allora forse non tutto sarà perduto. Altrimenti il
futuro si prospetterà meno roseo di quello che sogniamo.

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