Estratto da R. Nesti, Frontiere attuali del gioco. Per una lettura pedagogica, Milano, Unicopli, 2012

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Estratto da R. Nesti, Frontiere attuali del gioco.
 Per una lettura pedagogica, Milano, Unicopli,
                      2012

                        1
Cap IV
                              Il gioco dei videogiochi

1. Storia di una creazione

Come abbiamo già detto, il Novecento ha visto la nascita e la creazione di molti
nuovi giochi e giocattoli, i quali divengono specchio, metafora e simbolo della
nuova cultura postmoderna, delle veloci e profonde trasformazioni sociali che
hanno caratterizzato e che tuttora caratterizzano il XX e XI secolo e che hanno
prodotto nuovi modi di giocare.
Al centro di queste innovazioni e trasformazioni troviamo senz’altro il
videogioco il quale si è affermato come lo strumento (giocattolo) e il gioco più
diffuso, più utilizzato e sicuramente più criticato degli ultimi quarant’anni. Il
videogioco ha reso esplicito il legame – sempre presente – tra gioco e nuove
tecnologie e tecniche producendo non solo l’apertura di un nuovo mercato ma
anche luoghi di specifica ricerca e realizzazione del videogioco stesso. Cosa
questa mai accaduta precedentemente dove la costruzione di strumenti ludici era
solo un semplice campo di sperimentazione e applicazione delle nuove
tecnologie, di nuovi materiali, etc.. ma non un campo di ricerca vero e proprio,
effetto e mai causa di vero e proprio sviluppo.
Il videogioco dunque affonda le sue radici proprio nell’evoluzione tecnologia,
nella ricerca di nuovi campi di applicazione della tecnologia, nella nascita dei
nuovi media. La sua nascita, come mette in evidenza Poole1 è figlia di un tempo
storico particolare (e di un luogo: gli Stati Uniti) che vede al centro la corsa nello
spazio (il lancio del primo Sputnik da parte della Russia e i conseguenti tentativi
americani di viaggiare nello spazio), la creazione, lo sviluppo e lo studio dei
primi sistemi informatici. La sua creazione sta – come amano ripetere gli esperti
del settore – tra leggenda e mito e, aggiungiamo noi, una piccola dose di

1
 Cfr. S. Poole,Trigger happy: Videogames and Entertainment Revolution, Arcade Publishing,
2004.

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casualità unita alla sempre presente pulsione ludica dell’uomo. Il videogioco
nasce, come ci ricorda Hertz2 negli ambienti scientifico-accademici americani
degli anni ’60, quando giovani ricercatori tentavano di sviluppare e rendere
utilizzabili le possibilità offerte dalla tecnologia informatica, allora ancora poco
“visibile” e utile, difficile da comprendere. La letteratura sul videogioco propone
varie timeline e varie “storie” del videogioco, articolate secondo i vari punti di
vista degli autori in un continuo intreccio tra nascita di nuove console e lancio sul
mercato di titoli di videogiochi. Proponiamo qui gli “eventi” che ci appaiono
come i punti più significativi rimandando per maggiori approfondimenti alla
bibliografia3. Due sembrano essere i luoghi di nascita dei videogiochi4: il primo è
il Brookhaven National Laboratory di New York (un centro di ricerca
governativo che si occupava di ricerca nucleare) dove l’ingegnere Willy
Higinbotham nel 1958, per intrattenere i visitatore del centro di ricerca e rendere
più chiaro il suo lavoro, collega uno oscilloscopio ad un monitor riuscendo così a
sviluppare una forma stilizzata di simulazione del gioco del tennis (tennis for
two5), idea che parecchi anni dopo verrà addirittura commercializzata (e
diventerà uno dei giochi più famosi e conosciuti) con il nome di Pong; l’altro
luogo di nascita è un laboratorio del MIT dove tre giovani ricercatori (Steve
Russel, Peter Samson, Dan Edwards) indagano e studiano le potenzialità di una
delle prime macchine informatiche il PDP-1 e vi installano sopra una demo
(ancora una volta per mostrare le potenzialità e le possibili applicazione della

2
  J. C. Hertz, Il popolo del joystick, Milano, Feltrinelli, 1997.
3
  Oltre ai già citati Hertz e Poole si può consultare: S. L. Kent, The Ultimate History of Video
Game, New York, Three Rivers Press, 2001; B. Loguidice, M. Barton, Vintage games,
Piacenza, Edizioni Raganella, 2009; F. Carlà, Space invaders. La vera storia del videogioco,
Roma, Castelvecchi, 1996.
4
  Sembra che oltre ai due “luoghi” di cui parleremo ci siano stati due tentativi precedenti a
questi di costruzione di nuove forme tecnoludiche di gioco la prima addirittura nel 1947 quando
Thomas T. Goldsmith Jr. e Estle Ray Mann – grazie all’utilizzo del tubo catodico e ispirandosi
agli schermi radar simulano il lancio di un missile verso un bersaglio, missile che veniva
spostato attraverso l’utilizzo di manopole; altro tentativo risale al 1952 quando A.S. Douglas
(ricercatore all’Università di Cambridge) sviluppa una versione grafica del gioco del tris, nel
tentativo di dimostrare le possibili interazioni tra uomo e macchina.
5
  Tennis for Two mostrava un campo da tennis visto lateralmente, poteva essere giocato da due
persone grazie a due plance di gioco formate da una manopola per regolare la traiettoria, ed un
pulsante per lanciare la palla, veniva simulata anche la forza di gravità della palla.

                                               3
macchina) ad ambientazione spaziale che mostrava due astronavi capaci di
sparare missili che dovevano abbattersi a vicenda cercando di evitare ostacoli e
buchi neri. La demo interattiva si diffuse velocemente all’interno dell’ambiente
accademico informatico e spacewar diviene il primo videogioco ufficiale “a metà
degli anni sessanta, c’era una copia di spacewar su ogni computer americano
dedicato alla ricerca”6. Una diffusione che non vede presente ancora la
commercializzazione e il mondo del mercato ma che permette di far intuire le
possibilità commerciali e strumentali di tale gioco.
Il tempo dei videogiochi e la loro diffusione saranno gli anni Settanta quando
nascono le console (da applicare al televisore) e quando si sviluppano i cosiddetti
videogiochi a gettoni che daranno il via alle tanto contestate “sale giochi”. Nel
1971 nasce il primo videogioco a gettone (Computer space) messo a punto da
Bushnell, il quale nel 1972 fonderà una delle più importanti industrie del
videogioco l’Atari. Il 1972 sarà anche l’anno che vedrà il primo grande successo
di un gioco da sala, il già citato Pong, e l’uscita della prima console da casa:
Odissey della Magnavox. Da qui tra crolli del mercato e giochi che divengono
successi mondiali si dipana la convulsa storia del mondo videoludico. Nel 1980
esce Pac-Man per sala giochi, gioco-simbolo come ci ricorda la Hertz, “il
labirinto blu di Pac-Man è ciò che appare nella mente della generazione da sala
quando si pronuncia la parola ‘videogioco’”7. Nel 1981 iniziano ad essere
presenti sul mercato le altre due grandi case produttrici di giochi e di console la
Nintendo e la Sega.
Negli anni si succedono titoli e console, alcuni rimarranno nella memoria e le
versioni attuali rappresentano ancora grandissimi successi come per la serie di
Super Mario Bros, la cui prima uscita è del 1986, Tetris (1989), Sonic (1991).
Per quanto riguarda le console momenti importanti saranno il 1989 anno del
lancio sul mercato del Game Boy che modificherà totalmente il modo di giocare
ai videogiochi; il 1996 con l’uscita della prima Play Station e della Nintendo 64,

6
    J. C. Hertz, Il popolo del joystick, Milano, Feltrinelli, 1998, p. 17.
7
    Ivi, pag. 27.

                                                     4
sistemi sempre più complessi e sofisticati. Fino alle uscite più recenti la Play
Station III, il Game Cube, la Wii che apre a sistemi di giochi sempre più
interattivi. Altro momento fondamentale sarà legato alla diffusione di internet,
che permette lo sviluppo e la diffusione dei giochi online e la creazione di mondi
virtuali condivisi.
Al di là delle date e dei nomi ci sembra interessante, per andare poi ad affrontare
il grande successo dell’intrattenimento videoludico, fare riferimento alla
riflessione di Alinovi, il quale afferma: “è possibile ricondurre il processo
evolutivo che ha portato il videogioco da semplice esercitazione tecnologica a
mezzo d’intrattenimento di massa a quattro tappe fondamentali, che possiamo
riassumere sotto altrettanti termini ombrello: manipolazione, narrazione,
ambiente ed emozione”8. Tutto inizia, come abbiamo visto, dalla manipolazione
dei nuovi strumenti tecnologici, ingombranti, complessi, legati al mondo
accademico della ricerca e della sperimentazione. Gioco, dunque, inizialmente
legato alle risorse e alle capacità di pochi, gioco nascosto. Ma una volta scoperto
il potenziale del videogioco ecco il salto di livello, il suo legarsi a contesti,
ambientazioni e storie: “lentamente, proprio grazie ai contesti raffigurati,
cominciano a delinearsi generi di gioco sempre più definiti e distinti tra loro;
determinati stereotipi narrativi si legano ad altrettanto stereotipate strutture di
gioco”9. L’attenzione sempre più forte all’ambiente e all’ambientazione condurrà
infine il videogioco ad essere creatore di mondi. A tutto questo si aggiunge
l’elemento    emotivo,    il   suscitare   emozioni     nell’utente   nascondendo      il
meccanicismo e la manipolazione del medium.
Come abbiamo visto il videogioco entra nel giro di pochi anni nella vita
quotidiana familiare e giovanile. Lo sviluppo sarà velocissimo, il mercato scopre
questa nuova vena da sfruttare, gli investimenti nel mondo videoludico si faranno
sempre più consistenti. La diffusione si fa endemica e porta allo sviluppo delle

8
   F. Alinovi, Serio videoludere, in M. Bittanti, Per una cultura dei Videogames, Milano,
Unicopli, 2004, pag. 18.
9
  Ivi, pag. 19.

                                           5
console portatili, di giochi sempre più complessi sia a livello di “storia” sia a
livello di grafica, fino ad arrivare ai giorni nostri che hanno visto la nascita e lo
sviluppo di console interattive (la Wii ad esempio) volte al divertimento di tutta
la famiglia e al piacere di giocare in gruppo, e la tecnologia del 3D applicata ai
videogiochi (risale alla mostra del videogioco di Colonia 2010 la presentazione
della Nintendo DS con tecnologia 3D).
Ma cos’è il videogioco? Una nuova tipologia di gioco? Uno strumento, un
mezzo per giocare? Un semplice apparecchio?
Complesso dare una risposta chiara e definitiva a tale quesito, dietro la parola
videogioco si nasconde un mondo particolare, difficile da classificare, ricco di
molteplici significati e articolazioni, in costante movimento a causa della velocità
con la quale cambia, si amplia, progredisce includendo nel proprio mondo
fenomeni di ordine e origine diversa.
Sicuramente il videogioco non è solo un semplice apparecchio (ormai
considerato domestico quasi al pari della lavatrice o del frigorifero), è però sia un
vero e proprio gioco sia un mezzo di gioco. È senz’altro un media. Ed è
senz’altro un simbolo e una metafora del tempo postmoderno, come dimostra la
sua enorme diffusione e pervasività nella vita quotidiana di molti soggetti.
La difficoltà di definizione è resa ancora più complessa dagli atteggiamenti e
dalle idee contrastanti che suscitava e suscita, dall’essere stato a lungo
considerato come un fenomeno passeggero, pericoloso per le nuove generazioni e
futile, oppure esaltato (senza criticità) da alcuni appassionati. Situazione questa
dovuta anche al fatto che per molto tempo non vi sono state serie ricerche su di
esso e le opinioni che lo riguardavano erano in genere lasciate in mano a non
specialisti, ad adulti che mai avevano giocato e ai quali difficile riusciva
comprendere il mondo complesso che ruota intorno al videogioco (e il fascino
che esercita). La situazione è oggi leggermente migliorata, molte sono state le
ricerche e le analisi anche accademiche intorno al fenomeno videoludico
(soprattutto negli Stati Uniti con lo sviluppo dei games studies, ancora povera
rimane la bibliografia italiana) che hanno portato un po’ di luce su un fenomeno

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che non è più possibile ignorare “i videogame sono oggetto contemporaneo delle
attenzioni dei più seri studiosi, ricercatori, filosofi, coinvolgendo l’arte
contemporanea dalla pittura al cinema, alla televisione, alla narrazione letteraria,
divenendo      il   luogo    esemplare,      anche     se   virtuale,    della    complessità
postmoderna.”10
L’unica cosa certa nella nostra ricerca di una definizione del concetto di
videogioco è data dal suo suffisso che determina ciò che è necessario per giocare:
lo schermo. Supporto indispensabile, il quale rappresenta lo specchio da
attraversare (e dove rispecchiarsi) per entrare nell’in-lusio ludica. Videogioco
che, grazie dunque alla sua caratteristica principale, diviene rappresentante della
nostra società iconica e di quell’Homo videns che oggi si è venuto a declinare.
Se vogliamo andare oltre la definizione da dizionario che poco ci aiuta per
condurre l’analisi, possiamo guardare al fenomeno videoludico dividendolo in
due piani: un piano guarda a ciò che attira milioni di giocatori e alle sue
caratteristiche, l’altro alle varie tipologie di gioco presenti in esso.

2. Tra mondi virtuali, immaginario e nuovi spazi sociali.

Il videogioco rispetta le sei caratteristiche messe a punto da Huizinga e Caillois
per definire il gioco come fenomeno? Si nella sua struttura, no quando è ormai
diventato fenomeno di massa e luogo di mercificazione. Da punto di vista
strutturale come tutti i giochi anche il videogioco prevede la libera scelta del
giocatore senza nessun tipo di obbligo. Così come è presente un sistema
complesso e decodificato di regole (più rigide senza dubbio di un gioco
tradizionale in quanto imposte dal “costruttore” del gioco e non modificabili dal
giocatore). É sicuramente fittizio e separato (anzi come vedremo l’essere fittizio

10
  R. Nardone, I nuovi scenari educ@tivi del videogioco, Azzano San Paolo, Edizioni Junior,
2007, p. 24. Particolarmente interessanti sono le connessioni proprio tra arte contemporanea e
videogiochi e il rapporto stretto tra videogiochi e cinema. Per approfondire cfr. M. Bittanti (a
cura di), Per una cultura dei videogames, Milano, Unicopli, 2004;

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è una delle sue caratteristiche principali) richiede spazio e tempo e vive sul filo
del rapporto tra irreale e reale. É incerto: seppur strutturato la risoluzione del
gioco dipende tutta dalle capacità del giocatore e non si ha certezza di come il
gioco può andare a finire. È improduttivo per il giocatore dal momento che
videogiocando non si produce nessun bene materiale.
Nel suo uso e nella sua diffusione ha sicuramente fatto saltare alcune delle
caratteristiche del gioco. In particolare la sua pervasività ha reso difficile
rispettare la caratteristica della separatezza in quanto ormai, grazie alle console
portatili e alla diffusione dei giochi su cellulare, computer portatili e tablet, è
possibile giocare sempre e ovunque “ci troviamo di fronte a un nuovo tipo di
giochi: nuovi magari non per le meccaniche ma per la loro collocazione, per aver
colonizzato dei margini ancora inesplorati. Sono giochi ‘interinali’, che si
trovano cioè fra un gioco e l’altro, fra un tempo di vita e un altro.”11 Viceversa
possiamo affermare che la presenza pervasiva del videogioco non è altro che la
rappresentazione più significativa della tecnologizzazione della vita quotidiana (e
forse anche di un’ossessione per la tecnologia determinata in parte dal mercato
che ha prodotto così nuovi status symbol).
Andiamo dunque a guardare ciò che ha reso il videogioco un fenomeno di massa
(e il suo successo non è sicuramente reso possibile solo dal mercato)
Possiamo al suo interno trovare alcune caratteristiche che lo rendono un medium
unico nel suo genere. La prima caratteristica è sicuramente l’interattività “ovvero
la possibilità di gestire il flusso delle informazioni non solo su scala temporale,
ma anche a livello spaziale [...]. il videogioco permette un tipo di interazione [...]
che riguarda la manipolazione della dimensione spaziale, grazie alla possibilità di
modificare le relazioni tra gli oggetti e tra gli oggetti e l’ambiente all’interno di
uno stesso contesto narrativo.”12 La possibilità dell’interattività lo differenzia
dagli altri media, i quali seppur rivolti a conquistare l’attenzione e le emozioni

11
   B. Sidoti, Gioco e ludicità nel postmoderno, in F. Cambi, G. Staccioli, Il gioco in Occidente,
op. cit., p. 110.
12
   F. Alinovi, Serio videoludere. Spunti per una riflessione sul videogioco, in M. Bittanti, Per
una cultura dei videogames, op. cit., p. 17.

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del pubblico non richiedono da parte di quest’ultimo una vera e propria
interazione.
Interattività più volte messa sotto accusa dai critici del videogioco in quanto la
risposta e l’azione del giocatore si svolge sempre all’interno di un sistema di
schemi prefissati dai creatori del gioco. Ma sistemi, codici, schemi danno vita – e
sorreggono – il circolo magico ludico e rappresentano il sistema di regole, il
tempo, lo spazio che il giocatore volontariamente accetta, cercando di dominarli
e muovendosi all’interno di essi. Il videogioco non può esistere senza
l’intervento del giocatore che opera non solo una scelta nel giocare e nel tipo di
gioco, ma attraverso una serie di comandi e oggetti (interfaccia di dialogo più
utilizzo di strumenti meccanici come il joystick) interagisce con la creazione
ludica di un altro soggetto creatore del gioco. L’interazione è garantita dalla
struttura dell’interfaccia che rappresenta il luogo dove si viene a sviluppare
pienamente anche la relazione e comunicazione con il medium videoludico e che
sorregge l’interattività. Interattività che si sviluppa e si sofistica sempre più
grazie all’evoluzione e alla complessità raggiunta dai videogames.
Un’altra caratteristica è rappresentata dalla sua virtualità. Il termine virtuale13 ha
radici antiche e complesse ma qui lo possiamo utilizzare (forse in maniera non
propriamente corretta) come la possibilità che il videogioco permette di entrare in
altri mondi attraverso la creazione di un personaggio (l’avatar) oppure guidando
un personaggio già preconfezionato all’interno del gioco fino ad avere con esso
una sorta di immedesimazione. La virtualità risponde alla necessità dell’uomo di
sperimentare nuove e diverse realtà, di viaggiare nello spazio e nel tempo, la
virtualità videoludica, inoltre, consente al giocatore di mettersi in gioco in campi
che gli sarebbero preclusi e impossibili nella vita quotidiana senza incorrere in
rischi incalcolabili. Permette al soggetto di sperimentare la vera e proprio cultura
della simulazione, già analizzata nel 2004 da Pecchinenda14. Simulazione quella

13
   Cfr. per approfondire il tema del virtulae: P. Lévy, Il virtuale, Milano, Raffaello Cortina,
1997; T. Maldonado, Reale e virtuale, Milano, feltrinelli, 1992; B. Wolley, Mondi virtuali,
Torino, Bollati Boringhieri, 1993.
14
   Cfr. G. Pecchinenda, Videogiochi e cultura della simulazione, Roma-Bari, Laterza, 2004

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del videogioco “a tre dimensioni: coinvolge l’occhio con le immagini, l’orecchio
con la musica e soprattutto con gli effetti acustici simulati, e coinvolge, per la
prima volta il tatto, prolungando i nostri piedi e le nostre mani nello spazio oltre
il video”15. Dimensioni che nei videogiochi si integrano a tal punto da consentire
al giocatore un alto grado di coinvolgimento, permettendogli di immergersi nel
mondo virtuale. Nel videogioco posso essere un pilota d’aerei, un mago, un
guerriero, ma anche un cuoco, un esploratore, un dio etc. senza però rischiare la
vita o la carriera. L’immersione nella realtà virtuale del videogioco permette al
soggetto di sperimentare la paura e il pericolo senza perdere il controllo in quanto
la morte dell’avatar o del personaggio si consuma sempre all’interno della realtà
fittizia. Inoltre permette di giocare con l’errore, infatti, gli errori che hanno
condotto alla fine del gioco possono essere compresi, risolti e corretti attraverso
la reiterazione del gioco, attraverso l’utilizzo di azioni e strategie diverse. Perchè
tutto ciò avvenga il coinvolgimento del soggetto che deve raggiungere alti livelli
di immersività e concentrazione. Nel circolo magico del videogioco, dunque, ciò
che è impossibile diviene possibile, un buon videogioco non ha bisogno della
coerenza delle azioni, dell’uso degli oggetti e della comunicazione dei
personaggi coinvolti per essere apprezzato e giocato.
La caratteristica della coerenza rappresenta, a nostro avviso, un ennesimo
paradosso ludico di cui il videogioco si fa rappresentante esemplare permettendo
al soggetto di considerare “normali” azioni, oggetti, etc. che nella vita “normale”
non avrebbe senso o peggio. Come giustificare, ad esempio, la mancata apertura
di una porta (apparentemente di legno) di un dungeon nonostante l’utilizzo di un
lanciafiamme oppure la costruzione di un gommone avendo a disposizione
cinque oggetti che niente lega tra di loro? E come tutti i videogiocatori ben
conoscono, a lungo potremmo continuare con gli esempi di incoerenza funzionali
però allo svolgimento (e al fine) del gioco stesso. Intenso è nel videogioco il
rapporto tra straordinario e ordinario, infatti, benché si sia sempre molto colpiti
da ciò che il videogioco ci mostra e ci permette di fare nel mondo
15
     F. Carlà, Space invaders. La vera storia dei videogiochi, Castelvecchi, Roma, 1996, p. 13.

                                                 10
dell’impossibile non possiamo dimenticare che molti dei più amati giochi da
console rappresentano ciò che è possibile (ordinario), qualcosa che tutti o quasi
tutti possiamo fare o abbiamo fatto nella vita (penso ai giochi legati al mondo
dello sport, a quelli che prevedono l’utilizzo della voce, a quelli con i quali si può
disegnare, etc). Possiamo affermare che, da questo punto di vista il videogioco è
uno dei rappresentanti più significativi ed evidenti del paradosso ludico esistente
tra reale e irreale, tra reale e fantastico dove “il videogiocatore vive sul proprio
corpo [...] continui scarti fra fantasia e realtà, se ne impadronisce, riesce ad
addomesticarli e se la spassa un mondo”16, una nuova città invisibile per dirla
con Calvino dove gli abitanti vanno e vengono in un continuo fluire e viaggiare.
Certo cambia l’idea di viaggio e di viaggiatore, “cybernauti e videogiocatori,
rispettivamente navigatori della rete e del virtuale, sono i nuovi viaggiatori
stanziali, contraddizione in termini prodotta dalla tecnologia, interpreti di una
nuova forma di viaggio che, diversamente dal passato, non si svolge più nella
realtà”17, o meglio il viaggiatore non si muove più solo nella realtà e costruisce
nuovi spazi di vita (non luoghi? Per dirla con la felice dizione di Augé, forse ma
il termine più adeguato potrebbe essere iperluoghi). Fuga dalla realtà? Si e no,
certo è che questa fuga nel virtuale permette al soggetto di trovare nel gioco e
nelle comunità virtuali che nascono intorno al gioco una società che lo accoglie.
Il fenomeno delle comunità virtuali trova il suo massimo sviluppo grazie alla
nascita e all’evolversi dei MUD prima e dei MMORPG e dei MUVE poi. Il
videogiocatore/viaggiatore incontra qui persone/personaggi e visita luoghi
inesplorati e inimmaginabili, costruendo e abitando un mondo nuovo. Per quanto
riguarda i MUD e MMORPG siamo in presenza di due tipologie di giochi on
line. I MUD (Multi User Dungeon o Multi User Dimension) nascono intorno agli
anni Ottanta, sono giochi di avventura di tipo narrativo/testuale. Il giocatore
attraverso una serie di comandi digitati sulla tastiera può controllare un

16
  Ascione C., Videogames. Elogio del tempo sprecato, Roma, Minimum fax, 1999, p. 51.
17
  Fulco I. (a cura di), Virtual Geographic. Viaggio nei mondi dei videogiochi, Milano, Costlan,
2006, p. 9.

                                              11
personaggio che deve esplorare un ambiente formato da “stanze” dove incontra
vari ostacoli e dove può interagire con i personaggi di altri utenti. I MUD si
ispirano ai giochi di ruolo, l’ambientazione spesso è fantasy e il personaggio può
sia migliorare il proprio livello sia morire. L’evoluzione del gioco di ruolo on
line, l’evoluzione della tecnologia e soprattutto quella della computer grafica
conducono ai MMORPG (Massively Multiplyer Online Role Playing Game),
veri e propri mondi virtuali dove, grazie alla costruzione del proprio personaggio
(avatar), è possibile condurre fantastiche avventure sempre interagendo con gli
altri utenti/avatar. Questi giochi hanno coinvolto migliaia di persone fin
dall’arrivo del suo capostipite Ultima online.
Il discorso relativo ai MUVE (Multi User Virtual Environment) è un po’ più
complesso in quanto non nascono come giochi ma centrano la loro funzione sulla
socializzazione e sulle possibilità di incontro virtuale, i MUVE rappresentano i
veri e propri mondi virtuali, l’esempio più famoso è senz’altro Second Life.
La virtualità si pone attraverso queste varie tipologie più o meno ludiche ad un
altro livello in quanto la costruzione di personaggi, avatar, e la possibilità di
interazione hanno condotto verso la formazione di comunità virtuali, le quali
vengono a creare nuove forme di socialità, diverse certo da quelle fino ad adesso
conosciute ma non meno reali per chi le vive. Forme di socialità ancora tutte da
studiare e analizzare.
Tutto questo conduce ad uno stravolgimento del concetto di identità. Identità che
oggi si costruisce anche attraverso il canale informatico e videoludico, grazie
proprio alla virtualità che non è certo solo fatta di “meccanica” ma di emozioni e
sensazioni.
Ciò che più colpisce leggendo la storia e le caratteristiche del videogioco è
sicuramente la sua capacità in pochi anni (almeno in termini storici) di essere
diventato uno dei media dominanti, “intrufolandosi” non solo nella società e
nella cultura ma anche modificando l’immaginario e non solo giovanile.
Personaggi di celebri saghe videoludiche che divengono più famosi di attori e
cantanti e personaggi in carne ed ossa. Videogiochi che divengono film (Lara

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Croft o Final Fantasy per citarne due) e film che utilizzano l’escamotage del
videogioco per narrare vite (e penso ad esempio a Tron e a Nirvana).
A comprendere tale fenomeno che vede uno stretto rapporto tra gioco e
immaginario ci può aiutare McLuhan, il quale sostiene che il gioco è un medium,
un medium di comunicazione interpersonale e informazione, “i giochi [...] sono
situazioni artificiose e controllate, estensioni della consapevolezza collettiva, che
permettono una tregua dagli schemi consueti. Sono un modo attraverso il quale
l’intera società parla a se stessa” e ancora “i giochi sono situazioni escogitate per
permettere la partecipazione simultanea di molte persone a qualche schema
significante delle loro vite collettive”18. Queste affermazioni ci sembrano
particolarmente interessanti da rileggere e applicare al mondo videoludico
soprattutto nella sua capacità di “influenzare” l’immaginario collettivo e di
mettere in comunicazione le vite collettive e i significati condivisi all’interno
della società. Si può così parlare del videogioco come di un new medium “il
videogioco è digitale, comunica i suoi contenuti a milioni di persone, ricicla e
reinventa i codici e i linguaggi di vari media tradizionali per creare qualcosa di
completamente nuovo che non è né cinema, né televisione, né carta stampata ma
sintesi di tutti questi.”19 In un tempo in cui tutti i media si incrociano e
incontrano, i protagonisti dei più famosi videogame20 entrano a far parte della
vita quotidiana dei soggetti alla stregua di attori, cantanti, personaggi famosi che
hanno acquistato il “diritto” di vedere la propria faccia o le proprie gesta su
riviste, giornali, tv e oggetti di uso quotidiano. Tale situazione è sicuramente resa
possibile da quello che oggi è chiamato cross media, un andirivieni costante tra
media diversi che un tempo erano separati e divisi dalla propria specificità e con
un proprio “pubblico” e che oggi si incontrano e incrociano grazie proprio al

18
   M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, pp. 255-256.
19
   B. Fraschini, Videogiochi & New Media, in M. Bittanti, Per una cultura dei videogames, op.
cit., pag. 100.
20
   Il personaggio che permise di dare un volto ai videogames e che ebbe (e ha tuttora) un enorme
successo tanto da diventare una celebrità fu la pallina quasi informe di Pac-Man. L’altro
personaggio celebre fu sicuramente il piccolo, grassottello e baffutto idraulico di origini italiane
Mario.

                                                13
mondo digitale eliminando sempre di più i confini massmediali.
Non dobbiamo poi dimenticarci del lavoro svolto, certo sulla spinta dell’industria
videoludica, in campo grafico e di meccanica di gioco che rendono i videogiochi
esteticamente attraenti e affascinanti, accattivanti, coinvolgenti con trame e
schemi che attirano i soggetti permettendo, come abbiamo detto, alti gradi di
immersività e interazione. Sicuramente i videogiochi agiscono sulla molla del
piacere di giocare, sull’essere divertenti e sull’istinto di competizione (e
superamento dei propri limiti) che da sempre appartiene all’uomo. Anzi
possiamo affermare che uno dei motivi del grande successo dei videogiochi sia
proprio quello di stimolare virtualmente il più potente degli istinti dell’uomo:
quello di sopravvivenza. Ma non solo, un’altra particolarità del videogioco è la
sua capacità di “limare” le differenze sociali dei giocatori, svolgendo una
funzione di equalizzatore sociale. Se da un lato anche il videogioco contribuisce
ad aumentare la distanza e la differenza tra chi può acquistarlo o accedervi,
suddividendo           ancora      di    più     il   mondo,   dall’altro   crea   un   sistema
egualitario/meritocratico tra i giocatori. Tutti possono diventare abili, tutti
possono vincere e soprattutto non ha importanza né da dove si viene, ne a quale
ceto si appartiene, né il sesso del giocatore. E questo, come afferma la Hertz, fu
una delle “rivoluzioni” non volute di quei luoghi di “perdizione” chiamati sale
giochi: “la sala giochi era più o meno una meritocrazia. Non contava cosa
guidavi per arrivare in sala. Se non ci beccavi con Asteroids, non valevi nulla.”21

3. Da Pong a Super Mario e oltre: i mille volti del videogioco

La parola videogioco abbiamo più volte detto non ci aiuta a definire un fenomeno
di massa che si consuma ormai da decenni e che non si fermerà sicuramente ma
anzi progredirà velocemente continuando a proporre novità sempre più
sofisticate, novità soprattutto nel campo dei generi e dei tipi di videogiochi. Così
21
     J. C. Hertz, Il popolo del joystick, op. cit., pag. 57.

                                                      14
come per la definizione è difficile fare una classificazione ufficiale dei
videogiochi che è valida solo per l’anno in cui viene scritta, fino al nuovo genere
o tipo di videogioco lanciato sul mercato. Di nuovo per introdurre i generi
possiamo farci aiutare da Caillois e dalle sue 4 categorie. Contengono i
videogiochi l’agon, l’alea, la mimicry, l’ilinx? Sì, senza dubbio spulciando i vari
titoli e analizzando i vari giochi troviamo tutte e 4 le categorie. Senza dubbio la
categoria predominante è l’agon. Tutti i videogiochi sono di tipo competitivo.
Questo ci conduce anche ad un altro tipo di riflessione legata alla lezione di
Huizinga quando parla appunto del ruolo fondamentale della gara all’interno
della cultura. E se i videogiochi fossero i nuovi agonali del postmoderno? Se qui
l’uomo trovasse il luogo di sperimentare il suo istinto di lotta e di gara?
Lotta e gara ovviamente simulate e virtuali dopo vengono messe alla prova
capacità e forze fittizie ma dove grazie alle proprie competenze (o a quelle che il
personaggio sviluppa o ha di “corredo”) è possibile vincere o contro se stessi o
contro un altro (il computer o altri personaggi virtuali come si può vedere in
molti giochi on line): “il videogioco, rappresenta una forma di agon, applica
naturalmente questi principi. L’affermazione del giocatore, la dimostrazione
delle proprie capacità, della propria competenza, ha caratterizzato la sua struttura
fin dai primordi, assumendo forme estremamente differenti: dal concetto di
distruzione a quello di vittoria, dal concetto di record a quello di risoluzione.”22
E così come succede in tutti i giochi che rientrano nella categoria dell’agon si
possono avere anche nei videogiochi gare che richiedono destrezza fisica (in
maniera particolare con l’uso della motricità fine, con l’utilizzo della capacità
oculomanuale etc.) oppure videogiochi che invece richiedono l’utilizzo di
capacità logiche, cognitive, strategiche (capacità di risolvere enigmi, trovare
soluzioni, gestire proprietà, beni, risorse etc.).
All’interno dell’agon videoludico è possibile trovare anche giochi dove la
componente fondamentale è di tipo aleatorio: giochi di carte, solitari, simulazioni

22
  I. Fulco, Lo zero ludico. Decostruzione del videogioco e fondamenti di pulsione ludica, in M.
Bittanti, Per una cultura dei videogames, op. cit., p. 76.

                                              15
di giochi d’azzardo etc., gli esempi posso essere molteplici. Ma spesso la
componente aleatoria è all’interno del gioco stesso, non è dominante ma presente
come accade per esempio per i bonus che solo casualmente il personaggio può
trovare e ottenere (ma senza i quali il gioco procede ugualmente). La componente
aleatoria non è spesso fondamentale perchè i videogiochi sono strutturati in
maniera tale che il soggetto giocante riesca a vincere o comunque a concludere il
gioco; e il rapporto tra la casualità, l’imprevedibilità e le abilità del giocatore
deve essere sempre ben equilibrato.
Ma importante è sicuramente la categoria della mimicry la quale trova nella
costruzione di un alter ego e nell’identificazione con i personaggi un nuovo
modo di entrare nel mondo. Il videogioco, abbiamo più volte sottolineato, è un
regno fittizio in cui il giocatore volontariamente entra per essere qualcos’altro.
La mimicry nel videogioco si evidenzia in modi molteplici e con gradi di
identificazione diversi a seconda del genere di videogioco, in alcuni videogiochi
la trasformazione del soggetto in qualcos’altro è meno evidente e necessaria in
altri, che prevedono la costruzione e personalizzazione del personaggio giocante,
la mimicry rappresenta un fattore fondamentale del gioco. Questo fenomeno è
rintracciabile soprattutto nei giochi di ultima generazione e in quelli che
apparterranno alla categoria dei role play game.
Infine abbiamo la categoria dell’ilinx. Ogni partita di un videogioco richiede e
prevede un certo grado di ilinx in quanto l’immersione all’interno del videogioco
è comunque una specie di perdita della percezione corporea. In genere la
vertigine sensoriale è data dai suoni, dalla ripetività della musica, dai colori
vivaci o psichedelici, dai movimenti bruschi (o appunto di vertigine) richiesti al
giocatore che si trovano in alcuni giochi.
Come abbiamo visto le quattro categorie di Caillos sono ben presenti nel mondo
videoludico, ma l’una o l’altra risultano (così come per tutto il mondo ludico)
secondo il genere di videogiochi anche se spesso si incrociano e incontrano nel
medesimo gioco. È quindi il momento di provare a classificare e catalogare i vari
videogiochi. Compito rischioso e complesso per due motivi principali: il primo

                                        16
guarda al fatto che nel campo videoludico ciò che vale oggi domani è già
obsoleto, vecchio e superato vista la continua evoluzione e creazione di nuove
forme e di nuovi generi di gioco. L’altra è data dalla molteplicità dei generi che
spesso si confondono e si incrociano tra di loro rendendo incerta e fluttuante
qualsiasi classificazione. Oggi siamo, ad esempio, in presenza di fenomeni di
ibridazione e contaminazione tra i generi. All’interno degli studi sul videogioco
vi è tutt’ora un grosso dibattito sulla classificazione che vede schierati approcci
di tipo semiotico ad approcci narratologici e ludologici. Spesso si sono usati i
criteri di classificazioni usati per altri medium, come le forme narrative, la
letteratura e il cinema.
Troppi sembrano essere, dunque, i fattori che influenzano il videogioco, senza
dimenticare che in esso “il genere non è determinato solo dall’ambientazione,
dalla natura del racconto, dal tono ironico o serioso e dagli altri parametri
assodati per le opere di fiction; ma soprattutto dal tipo di interazione che viene
proposto al giocatore, dagli obiettivi che questo deve conseguire, dal punto di
vista che adotterà nel gioco”23.
Anche in Italia si sono avuti vari tentativi di classificazione dei videogiochi.
Interessante appare quella di Antinucci24, il quale partendo dagli stadi piagetiani
divide i videogiochi in tre categorie, arrivando ad avere: 1) giochi di abilità, nei
quali rientrano gli arcade che richiedono destrezza e velocità di riflessi; 2)giochi
di avventura, dove il giocatore si fa protagonista di una storia che attraverso
prove di vario tipo (combattimenti, risoluzione di misteri, indovinelli, etc.) lo
condurrà verso un finale; 3) giochi di simulazione, giochi di tipo strategico,
decisionali e di costruzione.
Dall’altro lato troviamo le classificazioni dei videogiochi proposte dal mercato,
qui le categorie svolgono una funzione di tipo pratico, legate alla necessaria
chiarezza che deve condurre all’acquisto del genere preferito o più soddisfacente
per l’utente. Catalogazione quella del mercato che cambia velocemente (con

23
     C. Ascione, Videogames. Elogio del tempo sprecato, op. cit. p. 40.
24
     F. Antinucci, Piaget vive nei videogiochi, “Psicologia contemporanea”, 19, 1992.

                                                 17
alcune categorie che rimangono però stabili nel tempo) e che intrecciano generi e
console. Classificazione che spesso è combaciata con quella degli studi sul
videogioco. Si possono così avere: i picchiaduro (traduzione italiana di beat-‘em-
up) giochi di combattimento come il celebre Street fighter; sparatutto (shoot-
‘em-up) di cui fanno parte i più celebri giochi da sala e i capostipiti del
videogioco da Space invaders a quelli in prima persona come Doom e Call of
duty; puzzle game come Tetris e Puzzle Bubble; gli sport games (da tutta la serie
Fifa al tennis, alla Formula I); i platform games giochi che vedono il personaggio
che si muove in un ambiente (piattaforma) da sinistra a destra, il completamento
della piattaforma coincide con il superamento del livello, titoli celebri sono la
serie Mario Bros, Donkey Kong e Sonic. Sono il genere che più di tutti ha subito
modificazioni ibridandosi spesso con i giochi di avventura. Negli adventure, il
giocatore deve guidare il personaggio attraverso gli eventi di una storia che offre
una serie di situazioni che richiedono la risoluzione di misteri, di giochi di abilità
e di indovinelli. Troviamo poi i Role Play games, trasposizione informatica dei
classici giochi di ruolo. Prevedono la costruzione di un personaggio e la sua
conduzione attraverso una storia complessa, esempi celebri la serie Final
Fantasy, Dragon Quest, Zelda. Per arrivare infine ai giochi di simulazione, God
Games e gestionali dove il giocatore può essere creatore di un mondo e
governare sulla propria costruzione. Titoli celebri Sim City, Civilitazion. Ai
giochi da tavolo, qui siamo in presenza della trasposizione dei più famosi giochi
tradizionali, dal backgammon agli scacchi al Majong in versione digitale. A
queste categorie negli ultimi anni si sono aggiunti gli Educational, giochi di
esercitazione della memoria, di apprendimento della matematica o delle lingue
straniere e i giochi centrati sul fitness come quelli proposti per la Wii di yoga o
allenamento (sempre più rivolti ad un pubblico adulto).
Uscendo però dalle categorie proposte dal mercato e per condurre ancora una
volta una riflessione più approfondita che ci conduca verso una modalità di
classificazione meno frammentaria e più obiettiva facciamo riferimento agli studi
di provenienza anglosassone i quali mettono in evidenza come per comprendere

                                         18
le varie tipologie videoludiche dobbiamo considerare 3 microelementi che
influenzano il videogioco e la sua interattività. Questi 3 elementi sono:
piattaforma, modalità di gioco (mode), stile grafico-estetico (milieu)25. Il primo
riguarda il “luogo” di gioco, la piattaforma appunto sulla quale il gioco si svolge
e che viene a condizionarlo. Spesso, infatti, i videogiochi nascono appositamente
per specifiche macchine. Possiamo così parlare di arcade games, giochi da sala,
giochi (ormai in netto declino), che adesso, soprattutto nei titoli ormai storici, è
possibile rigiocare, grazie ad internet, sul proprio computer. Home console game:
giochi per specifiche console che si attaccano al televisore di casa. Vi sono titoli
che vengono prodotti solo ed esclusivamente per una determinata console.
Computer game: giochi da computer. E infine giochi pensati e creati per le
console portatili. La piattaforma è dunque un elemento importante in quanto
come afferma Apperley “consequently, the experience of playing the game may
be drastically different because of adjustments made to cope with a different
style or controller or graphic interface. Furthermore, the platform used will often
dictate the spaces, and social relations, in which the game takes place”26.
L’altro elemento è il mode. La modalità di gioco è un importante fattore che
concorre a determinare il genere e il tipo di interattività richiesta al giocatore. La
modalità di gioco risiede nella struttura profonda del videogioco ed è decisa dal
costruttore del gioco stesso.
Non meno importante è il milieu che viene a rappresentare la cornice ludica e
determina l’ambientazione (spesso simbolo specifico di un genere di videogame)
nella quale il gioco si svolge.
Fatte queste necessarie premesse su ciò che sono le basi di un gioco possiamo
adesso, sempre d’accordo con Apperley, sintetizzare i generi videoludici secondo
una combinazione tra i 3 macroelementi e le dinamiche di interazione principali

25
   Cfr.T. H. Apperley, Genre and game studies: Towards a critical approach to video game
genres, in “Simulation & Gaming”, vol. 37, 1, march 2006.
26
   Ibidem, p. 10. “Di conseguenza, l’esperienza di gioco può essere drasticamente diversa a
causa degli aggiustamenti fatti per adeguarsi ad un differente stile di controllo o di interfaccia
grafica. Inoltre la piattaforma utilizzata determina spesso lo spazio, le relazioni sociali, in cui il
gioco si svolge” (traduzione nostra).

                                                 19
presenti. Avremo così il macromodello della simulazione (senza dimenticare che
tutti i videogame sono forme di simulazione), possono appartenere a tale modello
i videogiochi che prevedono la simulazione della guida, di sports e alcuni God
games o giochi gestionali. Il secondo macromodello è rappresentato dagli
strategie games, cioè da quei videogiochi che mettono al centro le capacità
strategiche del soggetto, capacità necessarie per poter condurre il gioco. Questi
giochi necessitano di attenzione e attento uso dell’interfaccia, nonché capacità di
utilizzare al meglio le risorse che il gioco mette a disposizione integrando tutte le
informazioni possibili. Rappresentanti ideali di tali giochi sono di nuovo i God
games.
Il terzo macromodello è quello rappresentato dai giochi d’azione in prima e terza
persona. Possiamo trovare qui i cosiddetti shoot em up e i beat em up (o fighting
games) tradotti in italiano con sparatutto e picchiaduro. Fanno parte di primi i
più vecchi e celebri giochi di guerra come Space invaders, Asteroids. Il compito
è quello di difendersi, sparando, contro l’attacco di nemici alieni o umani.
Categoria che si è evoluta con la grafica e che è ancora ben presente sul mercato.
Simile e sullo stesso livello troviamo i fighting game caratterizzati da una serie
infinita di combattimenti, con un livello narrativo bassissimo e una massiccia
dose di violenza. Ma fanno parte del terzo macromodello anche molti adventure
e platform game.
L’ultimo macromodello riguarda i role play game dove simulazione, azione e
strategia si riuniscono e si armonizzano per dar vita a cornici di gioco fantastiche
e particolari, dove è richiesta una maggiore impersonificazione con i personaggi
protagonisti del gioco. Gli RPG sono particolarmente legati ad un contesto
narrativo, all’interpretazione di un personaggio e al dipanarsi di una storia.

4. Videogiochi ed educazione

Nel momento attuale sono ormai quasi tre le generazioni di uomini e donne che

                                         20
sono cresciuti con i videogiochi e che hanno visto, partecipandovi, il mondo
cambiare andando sempre più verso forme di digitalizzazione, forme che hanno
visto il videogioco come attore primario delle trasformazioni tecnologiche. Non
possiamo dunque parlare del mondo videoludico come fenomeno passeggero,
non possiamo certo far finta che i videogiochi non siano fortemente presenti nella
nostra realtà quotidiana. Così come non possiamo permetterci di ignorare le loro
implicazioni sociali, culturali ed educative, come già ci ricordava Hertz nel 1997
“non stiamo parlando di una sottocultura. Stiamo parlando di cinquanta milioni
di adulti, la cui memoria e immaginazione è stata colorata da Atari, Nintendo e
Sega, esattamente come quella delle generazioni precedenti era stata colorata
dalla televisione, dal cinema, e dai dischi in vinile.”27 Così come dobbiamo
ricordarci che a differenza di altre tipologie ludiche il videogioco non è solo un
gioco da bambini, bensì ha riaperto lo spazio e il mondo ludico a tutte le
generazioni, con i suoi pro e i suoi contro certo, ma ha permesso all’adulto di
riscoprire il fascino e la magia del gioco.
Ma quali sono le caratteristiche di coloro che sono cresciuti in questo contesto
sempre più tecnologico, digitale e virtuale? Marc Prensky ha coniato per definire
tale generazione la dizione di digital natives28, guardando al mondo digitale
come una nuova terra con i suoi nativi, i quali fin dalla nascita ne apprendono la
geografia e la lingua, e gli “immigrati” che sono coloro, anche formatori, che si
sono ritrovati catapultati in questo nuovo pianeta e che hanno dovuto imparare a
conoscerla senza però sentirsi completamente a loro agio.
Ma oggi non solo ci sono i digital natives, non solo c’è il popolo del joystick
bensì siamo in presenza di un’ulteriore generazione la wired generation, la
generazione dei connessi, cresciuta con internet e la sua capacità di essere e di
vivere in rete, sempre online, surfando sulle onde del mondo virtuale.
Dove si collocano qui i videogiochi? I videogiochi sono stati spesso i maestri
inconsapevoli di queste generazioni, rendendo i soggetti sempre più capaci e a

27
     J. C. hertz, Il popolo del Joystick, op. cit., pag. 11.
28
     Cfr. M. Prensky, Digital Natives, Digital Immigrants, in “On the Horizon”, 5, 2001.

                                                 21
loro agio nella vita digitale e virtuale.
Anzi, così come afferma Pecchinenda parlando dell’homo game, è stato proprio
l’utilizzo del medium videoludico a permettere la diffusione del computer e
dell’informatica29.
Il videogioco, così come tanti altri fenomeni che si sono venuti a sviluppare nel
corso del ‘900, ha scatenato da un lato feroci polemiche e dall’altro
un’incondizionata approvazione. Apocalittici e integrati ancora una volta hanno
trovato un fertile terreno di scontro. Terreno di scontro che si consuma anche sul
piano dell’educazione e della riflessione pedagogica. Opinioni pro e opinioni
contro i videogiochi, dibattito che coinvolge tutta la vita sociale e l’opinione
pubblica come dimostrano gli interventi del mondo politico (con atti spesso
sensazionalistici), e i frequenti articoli giornalistici, etc.
Per poter comprendere il dibattito ancora in atto ci appare necessario guardare le
maggiori accuse che negli anni hanno caratterizzato lo scontro su questo medium
videoludico. Tre sono le accuse principale: causare un eccessivo isolamento ed
un’estraneazione dalla realtà; generare la violenza; indurre dipendenza.
Sicuramente l’accusa di generare comportamenti o reazioni violente nei
videogiocatori elevando il grado di aggressività è forse quella più nota e dibattuta
e che ha generato più preoccupazione anche nell’opinione pubblica in quanto
spesso la consuetudine di giocare ai videogiochi è stata associata a fatti tragici di
cronaca come la strage di Columbine negli Stati Uniti. Correlazione questa che
grazie proprio all’esaltazione mediatica ha dato l’avvio a quello che Wark ha
definito moral panic. Il moral panic porta ad una riflessione etica sul videogioco
esacerbando le correnti di pensiero opposta senza però condurre ad una vera e
propria riflessione critica. Correnti contrapposte dove la prima afferma che la
simulazione della violenza condurrà ad una sua messa in pratica nella realtà,
mentre l’altra afferma che la violenza simulata nei videogame può avere una
funzione catartica e liberatoria senza danno reale.
Le ricerche condotte sul rapporto tra violenza e videogame (e su aumento
29
     Cfr. G. Pecchinenda, Videogiochi e cultura della simulazione, op. cit., p. X.

                                                  22
dell’aggressività e videogiochi) non hanno portato a nessun risultato o dato
definitivo, talvolta hanno dimostrato l’inesistenza di una correlazione tra
esposizione ai videogiochi e aumento del tasso di aggressività. Ma la
preoccupazione è lecita e legittima, e pensiamo che sia necessario affrontare
l’argomento in maniera realmente critica dove non trovino spazio idee
moraleggianti e pregiudizievoli che più volte abbiamo visto rincorrersi sui
giornali. La visione più corretta sull’argomento ci appare quella che: analizza
obiettivamente la presenza della violenza nel contesto dei vari giochi senza
dimenticare che siamo comunque e sempre all’interno di un circolo magico
governato da regole specifiche e che la violenza è da sempre presente in altri
media e in forme di narrazione che esistono da secoli.
Inoltre è utile ricordare che i videogiochi con forti contenuti violenti non sono né
gli unici sul mercato né rappresentano la fetta di mercato maggiore, sono solo
quelli che più di altri finiscono sui giornali. Sono pensati e creati per adulti e se
finiscono in mano ad un bambino la domanda da porci è: come ci sono arrivati?
Non vogliamo con questo affermare che non possa esistere un rapporto tra
videogiochi ad alto tasso di violenza e violenza messa in atto, vogliamo solo
affermare che probabilmente la causa dello scatenarsi di atti violenti non ha le
sue radici nel videogame (non possono essere l’unica causa), ma in un contesto di
vita già a rischio (marginalità, deprivazione relazionale e affettiva etc.) il loro uso
prolungato può aumentare il rischio di messa in atto di azioni violente.
Un’altra accusa da osservare meglio è quella legata all’isolamento che il
videogioco produrrebbe. Isolamento che è senz’altro vero, in quanto il
videogioco è un’attività che spesso viene svolta in solitario, certo però non più di
tante altre. Da sempre l’uomo alterna momenti di socializzazione a momenti di
solitudine. I bambini stessi svolgono giochi in solitudine e giochi di tipo sociale.
Una delle attività considerate più formative è forse quella più solitaria e
immersiva: la lettura, e sicuramente nessuno oserebbe metterla in discussione o
proibirla.
Oggi poi sappiamo come il medium videoludico si sia orientato verso un livello

                                          23
sempre più alto di socializzazione. Certo andando a creare e sviluppare forme di
socializzazione diverse dal passato come le comunità virtuali, i giochi in
multiplayer, ma anche forme di socializzazione “classiche” che si sviluppano
però attorno al nuovo medium come avviene ad esempio grazie alle nuove
console che permettono a più giocatori presenti in uno stesso luogo di giocare
insieme (e penso proprio ad quelle di ultime generazione come la Wii, Kinect,
etc.) in avvincenti sfide. Anche in questo caso non è l’oggetto che aumenta la
solitudine o l’isolamento ma l’uso (e l’abuso) che ne viene fatto.
Ribadiamo non vogliamo con questo affermare che nel videogioco non ci siano
rischi, pericoli e problematiche da affrontare, non siamo interessanti a schierarci
né dalla parte degli integrati né da quella degli apocalittici. Vogliamo solo
affermare la necessità di guardare al problema in maniera più obiettiva e critica
possibile, partendo dal presupposto che come tutti gli strumenti e i mezzi il
videogioco richiede una lettura senza pregiudizi, inutili moralismi e allarmismi.
La virtù dunque, ancora una volta, sta nel mezzo e la questione non è se il
videogioco fa bene o fa male, se è pericoloso o innocuo ma l’uso che se ne fa e
che spesso è improprio o eccessivo. Siamo assolutamente d’accordo che il
videogioco utilizzato come baby-sitter sia dannoso, il videogioco come unica
esperienza ludica nella vita quotidiana è senza dubbio pericoloso.
Ed è qui che si deve porre, a nostro avviso, la riflessione su tale medium
soprattutto la riflessione pedagogica. Una riflessione, ripetiamo, che deve essere
critica e obiettiva, che guardi al videogioco come risorsa utile per
l’apprendimento e che al contempo non minimizzi né amplifichi i rischi e i
pericoli dello strumento.
Risorsa per l’apprendimento dei digital natives che, grazie al contesto anche
digitale nel quale sono cresciuti, hanno uno stile cognitivo nuovo e diverso e
necessitano di didattiche nuove rispetto alle generazioni precedenti. Come ci
ricorda la Greenfield30, i videogame producono varie sollecitazioni cognitive.
Sicuramente velocizzano la risposta ad                  uno stimolo, potenziando la
30
     Cfr. P. M. Greenfield, Mente e media, Roma, Armando, 1985.

                                              24
coordinazione oculo-manuale, permettono lo sviluppo di capacità relative alla
gestione di situazioni complesse dove sono presenti molteplici variabili
(potremmo dire allenano a sviluppare capacità multitasking). Queste unite al
piacere e al divertimento che il medium produce possono rendere l’ambiente
videoludico un contesto motivante verso l’apprendimento.
Ciò che è necessario, d’accordo con Calvani e con Tanoni31, è uno sviluppo da
parte del mondo dell’educazione di forme di mediazione e di integrazione tra il
sapere “tradizionale” e la sua trasmissione e le nuove forme di conoscenza,
sviluppando al contempo conoscenze appropriate e riflessioni critiche su questi
nuovi mezzi.
La media education potrebbe rappresentare, oggi, la risorsa più utile per
affrontare tali problematiche e potrebbe farlo agendo e lavorando su tre piani
distinti. 1) sviluppando percorsi di formazione e di riflessione nei formatori
(insegnanti, educatori, ma anche genitori) spesso appartenenti al pianeta degli
immigrants native e diffidenti nei confronti delle nuove tecnologie; 2) condurre i
digital natives verso una riflessione sul videogioco partendo dalla domanda “cosa
c’è dietro lo schermo”? Smontando il videogioco, cercando le sue logiche, le sue
ideologie, i suoi contenuti, sensibilizzando ai rischi e ai pericoli etc. così da
rendere i soggetti consapevoli dello strumento che utilizzano; 3) Sviluppare e
introdurre il videogioco come strumento didattico utile agli apprendimenti.
Oltre queste strade di studio, di ricerca, di sensibilizzazione e formazione sarebbe
ancora una volta necessario offrire ai bambini spazi e tempi di gioco. Spazi per
permettere loro di giocare con il gruppo di pari a giochi diversi da quelli
tecnologici, dove possano sperimentare e mettere in atto molteplici forme
ludiche, dai giochi tradizionali di movimento, ai giochi simboli, ai giochi in
scatola etc.

31
 A. Calvani, Educazione, comunicazione e nuovi media. Sfide pedagogiche e cyberspazio,
Milano, Utet, 2001; I. Tanoni, Videogiocando s’impara, Torino, Erikson, 2003.

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