Cattura e Stoccaggio della CO2 Evoluzione del Quadro Normativo e Prospettive di Filiera Industriale

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Convegno CCS – 18/10/2011                                                           Sintesi dei lavori

                               Cattura e Stoccaggio della CO2
           Evoluzione del Quadro Normativo e Prospettive di Filiera
                                 Industriale
                                Roma, Piazza Albania, sala conferenze BNL

                                           - 18 Ottobre 2011 -

 Nel contesto della “Settimana della Chimica”, WEC Italia (Comitato Nazionale Italiano del
 Consiglio Mondiale dell’Energia) e AIDIC (Associazione Italiana di Ingegneria Chimica), in
 collaborazione con Gruppo Italia Energia, hanno organizzato a Roma la conferenza “Cattura e
 Stoccaggio della CO2: evoluzione del quadro normativo e prospettive di filiera industriale”.
 Rappresentanti di istituzioni, associazioni di categoria, aziende e università sono stati invitati
 a dibattere sulle tematiche connesse alla direttiva europea per lo stoccaggio geologico del
 biossido di carbonio (2009/31/CE), con specifico riferimento alla pianificazione e allo sviluppo
 dei progetti, alla gestione e al monitoraggio dei siti di storage e al tema della responsabilità di
 lungo periodo a questi connessa. Una sessione specifica, inoltre, ha ospitato le presentazioni
 di aziende internazionali su processi, tecnologie e progetti in fase di sviluppo in Italia e
 all’estero per condividere una più ampia conoscenza della tecnologia di cattura e stoccaggio
 della CO2 (CCS).

 La giornata ha visto l’intervento di oltre cento partecipanti.

                                             MATTINO

 Francesco Giorgianni, Vice Presidente WEC Italia ha aperto i lavori riportando il saluto
 dell’On.le Stefano Saglia, Sottosegretario di Stato allo Sviluppo Economico.
 “ Con riferimento alla CCS è anzitutto doveroso sottolineare come l’Italia rappresenti ormai
 da anni un’importante attore sul piano internazionale, sensibile alle tematiche sul
 cambiamento climatico. Il recepimento della direttiva europea sullo stoccaggio del biossido di
 carbonio attraverso il D.lgs 162 del settembre 2011 ne rappresenta, infatti, una tangibile
 testimonianza. Il raggiungimento dell’obiettivo di salvaguardia ambientale richiede una
 rivoluzione delle tecnologie energetiche che coinvolga un portafoglio di soluzioni praticabili: in
 questo contesto la CCS potrà svolgere un importante ruolo. L’aspetto importante da
 sottolineare è la necessità di un completo coinvolgimento delle comunità locali e regionali,

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 nonché la loro costruttiva partecipazione ai progetti di cattura e stoccaggio della CO2,
 affinché tutti i portatori di interessi, operatori industriali e comunità locali, ne condividano e
 riconoscano il ruolo di pubblica utilità. Il compito intrapreso dai ministeri e dagli organi
 amministrativi preposti, sarà proprio quello, attraverso un processo trasparente e
 partecipativo, di consentire la diffusione e l’accettazione di tale tecnologia con successo anche
 in Italia. Il traguardo appena raggiunto dell’entrata in vigore del D.lgs 162, apre tuttavia
 scenari ben più ampi dove ancora molto impegno dovrà essere profuso per la diffusione delle
 tecnologie CCS nel nostro paese. E’ quindi opportuno che il dibattito sulla cattura e stoccaggio
 della CO2 sia sviluppato per favorire lo scambio culturale e di conoscenza su tali tematiche. E’
 altresì utile ricordare - ha aggiunto Saglia - le importanti implicazioni che la diffusione delle
 tecnologie CCS possono avere per il tessuto industriale italiano, configurandosi come
 un’importante arena competitiva nella quale le competenze tecniche delle industrie italiane
 potranno essere valorizzate costituendo un importante volano per i settori più avanzati
 dell’intero comparto sia sul fronte nazionale che internazionale, rappresentando
 un’importante opportunità di business”.
 Il Vice presidente Giorgianni ha successivamente tracciato un quadro delle problematiche e
 delle opportunità connesse allo sviluppo della CCS partendo dall’attuale situazione del settore
 elettrico italiano. Sotto il profilo del costo dell’energia elettrica, l’Italia è in difetto nei
 confronti degli altri paesi europei: le imprese italiane hanno un gap competitivo sul costo
 dell’energia pari a circa il 70% nei confronti di quelle francesi e di circa il 20% rispetto a
 quelle tedesche. A seguito del processo di liberalizzazione del settore elettrico avviato nel
 1999, il successivo ampio ricorso al gas naturale per l’efficientamento delle vecchie centrali
 dell’Enel, non ha consentito al nostro paese di sviluppare adeguatamente tecnologie base
 load come il carbone o il nucleare. Tuttavia in un’ottica di sicurezza del settore energetico
 nazionale, va considerato che il carbone, risorsa abbondante per molti decenni ancora,
 rappresenta una soluzione praticabile sia dal punto di vista economico sia ambientale, grazie
 anche a tecnologie avanzate come la CCS. Nel prossimo futuro la CCS rappresenterà una
 componente industriale significativa nella produzione di energia elettrica da carbone. Secondo
 gli scenari presentati dell’International Energy Agency, gli obiettivi di riduzione delle emissioni
 di GHG al 2035 potranno essere raggiunti grazie all’efficienza energetica (48%), alle
 rinnovabili (21%) e alla CCS (19%). In un contesto mondiale dove le capacità di stoccaggio
 sono ampiamente disponibili (almeno per 400 anni), è importante, dunque, che i principali
 emettitori di CO2 (Cina 13%, USA 7% ed Europa 6,9% sul totale), colgano le opportunità che
 le tecnologie CCS offrono. A livello mondiale sono numerosi i progetti dimostrativi in fase di
 sviluppo: ben 12 solo in Europa. In Italia, sia enti pubblici sia privati sono impegnati nella
 ricerca e tre sono i progetti pilota in fase di start up: a Brindisi, a Porto Tolle e nel Sulcis.
 Segnali positivi di sostegno a tali iniziative provengono anche dall’Unione Europea che
 prevede di destinare circa l’80% dei fondi strutturali e di coesione previsti per il periodo
 2014- 2020, alle tecnologie low carbon.
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 Nello sviluppo e diffusione delle tecnologie CCS, il tema dell’accettazione pubblica assume un
 ruolo fondamentale. A livello nazionale diverse sono le iniziative volte a sensibilizzare una
 poco informata opinione pubblica; tra queste il Vicepresidente Giorgianni ha ricordato
 l’”Osservatorio CCS” promosso dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile.
 Il prossimo appuntamento internazionale si avrà il 25 novembre 2011 a Varsavia, dove si
 terrà la quinta conferenza sulle strategie energetiche dell’Europa e dove si discuteranno le
 iniziative da sostenere tramite il Set Plan nei prossimi anni.
 Per l’Italia , forte del tempestivo recepimento della direttiva comunitaria sulla CCS, sarà una
 importante occasione per far valere la propria visione sul tema.

 A seguire, Bob Pegler, General Manger Europe del Global CCS Institute ha riferito sullo stato
 di avanzamento dei progetti CCS a livello mondiale. Nel 2011, l’istituto ha censito 74 large-
 scale integrated projects (LSIPs) in fase di sviluppo in tutto il mondo, rispetto ai 64 censiti nel
 2009. Ad oggi, sono 8 i progetti LSIP già operativi (5 nel Nord America, 2 in Norvegia e 1 in
 Algeria) e altri 6 sono in fase di costruzione (5 nel Nord America e 1 in Australia). Nel
 complesso, i progetti sono localizzati nel Nord America (34), in Europa (21), in Australia (7)
 in Cina (6), nel Medio Oriente (3), in Asia (2) e in Africa (1). Negli ultimi dodici mesi, sono
 stati avviati due nuovi progetti: Boundary Dam, Estevan, Saskatchewan, Canada e Kemper
 County Mississipi, USA. Sotto il profilo del sostegno finanziario ai progetti, circa 23,5 miliardi
 di $ sono gli impegni messi a disposizione dai governi di tutto il mondo per i LSIPs, di cui
 circa il 55% è stato assegnato a specifici progetti. Gli Stati Uniti rappresentano il paese che
 ha stanziato il maggior numero di fondi (7,4 mld.$), seguiti dall’Unione Europea (5,6 mld.$).
 Passando ai settori di applicazione, le tecnologie di cattura della CO2 riguardano
 sostanzialmente la generazione di energia elettrica, con un egual numero di progetti basati
 su tecnologie di cattura pre-combustione e post-combustione e il processamento del gas
 naturale, dove la tecnologia maggiormente utilizzata è quella della cattura pre-combustione.
 A livello mondiale, da circa 40/50 anni si pratica la cattura e lo stoccaggio della CO2 e i paesi
 che presentano il maggior potenziale di stoccaggio (in formazioni saline o in giacimenti
 esausti di idrocarburi) sono gli Stati Uniti con circa 78 MTpa CO2, seguiti dall’Europa con circa
 35 MTpa CO2) e da Australia e Nuova Zelanda con circa 17 MTpa CO2.
 In merito ai rischi legati al ciclo di vita dei progetti di CCS, Pegler ha sottolineato come i
 maggiori pericoli si presentino durante le ultime fasi di iniezione della CO2,
 per poi ridursi rapidamente dopo la chiusura del sito.
 Prerogative imprescindibili per lo sviluppo di un progetto CCS, ha concluso Pegler, sono un
 quadro normativo chiaro e l’accettazione pubblica. In Europa diversi paesi (ndr tra cui l’Italia)
 hanno già dato il via alla fase di recepimento della direttiva europea sulla cattura e stoccaggio
 dell’anidride carbonica; si auspica che gli altri seguiranno tempestivamente.

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 Come i grandi progetti industriali, la costruzione di un progetto dimostrativo di CCS è un
 processo complesso che richiede tempo, quindi, nella fase di pianificazione, la valutazione dei
 rischi e dell’economicità dello stesso devono essere adeguatamente eseguiti.

 Sean McCoy, analista energetico per l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), ha delineato
 l’evoluzione del quadro normativo per le attività di cattura e stoccaggio della CO2 a livello
 internazionale. Nel 2009, la IEA ha elaborato un’ambiziosa roadmap in linea con gli obiettivi
 di riduzione delle emissioni globali di gas serra previsti dallo scenario “virtuoso” 450 PPM, che
 comporterebbe un aumento esponenziale del numero dei progetti CCS nel mondo, sia nei
 paesi OECD sia in quelli non OECD. Già al 2020 sarebbero necessari circa 100 progetti CCS,
 un traguardo, questo, molto ottimistico se si considera che attualmente solo 8 sono operativi.
 Lo sviluppo tecnologico, finanziamenti adeguati e un quadro normativo chiaro, sono aspetti
 chiave per il realizzarsi di tali obiettivi.
 Dal punto di vista temporale, due sono le pietre miliari funzionali allo sviluppo dei progetti
 CCS: necessità del miglioramento del quadro normativo esistente al fine di favorire lo
 sviluppo dei progetti CCS, già dal 2011 nei paesi OECD e dal 2015 negli altri;
 perfezionamento di un quadro giuridico e normativo adatto allo sviluppo di LSIPs entro il
 2020.
 Nella sua edizione 2011 del Legal and Regulatory Review sulla CCS, la IEA ha portato
 l’attenzione su quattro aree prioritarie: il recepimento della direttiva comunitaria sullo
 stoccaggio geologico del biossido di carbonio, il cui termine ultimo - 25 giugno 2011 - è stato
 rispettato solamente da 11 Stati Membri UE sui 27, e il rilascio di quattro documenti guida
 per facilitarne la trasposizione; l’inserimento della CCS nel Clean Development Mechanism in
 merito al quale molti passi sono stati fatti già a partire dal novembre 2010; i trattati
 internazionali sulla protezione dell’ambiente marino con la risoluzione sulla modifica
 dell'articolo 6 del protocollo di Londra (ottobre 2009) e con la convenzione per la protezione
 dell’ambiente marino del nord-est Atlantico (OSPAR); considerazioni pratiche in merito
 all’adeguatezza del quadro normativo sulla CCS.
 Con riferimento alla responsabilità di lungo periodo, altro argomento di capitale importanza,
 McCoy ha evidenziato come il tema sia connesso sia alle attività d’iniezione sia ai
 rischi associati alla gestione post-operativa di un sito di stoccaggio. A livello internazionale
 non esiste ancora una posizione condivisa sul trasferimento della responsabilità di lungo
 termine connessa a un sito di stoccaggio della CO2, ad esempio tra l’azienda operatrice e un
 soggetto diverso sia pubblico che privato.

 Eric Drosin, Direttore Comunicazione della Zero Emission Platform, ha portato l’attenzione
 sui costi di cattura, trasporto e stoccaggio della CO2. La ZEP, grazie alla collaborazione con
 oltre 100 professionisti e due anni di lavoro, ha pubblicato il rapporto “The Costs of CO2
 Capture, Transport and Storage”. Nello studio si fa riferimento principalmente a centrali

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 termoelettriche a carbone, lignite e gas. In questi impianti, l’utilizzo della CCS determina un
 incremento dei costi di produzione: nel caso dei combustibili fossili solidi si passa da circa 50
 €/MWh a circa 70 €/MWh e nel caso del gas si passa da circa 70 €/MWh a circa 95 €/MWh.
 Gli obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra imposti dall’Unione Europea assoggettano
 il comparto termoelettrico al sistema dell’Emission Trading Scheme e il prezzo delle quote di
 emissione potrebbe modificare i valori in gioco. Qualora il prezzo della CO2 si stabilizzasse a
 35 €/t, infatti, gli impianti a carbone o lignite troverebbero convenienza ad applicare la
 tecnologia di CCS. Per gli impianti alimentati a gas, invece, l’utilizzo di tale tecnologia
 diverrebbe cost-competitive solamente con un prezzo delle quote di emissioni fissato a 90
 €/tCO2. Anche la fase di trasporto dell’anidride carbonica pesa notevolmente sul bilancio
 complessivo. Le opzioni ad oggi percorribili sono due: pipeline (onshore o offshore), dove i
 costi sono naturalmente legati sia alla distanza sia ai volumi trasportati e rappresentano più
 del 90% dei capex (capital expenditure); nave, dove i costi di trasporto rappresentano circa il
 50% dei capex. Nel lungo termine, un’oculata pianificazione strategica e la
 rimozione delle restrizioni transfrontaliere potrà consentire un notevole risparmio. Passando
 ai costi di stoccaggio, anch’essi importanti, si valuta che possano variare da 1 € a 20 €/tCO2
 a seconda del sito che si intenderà utilizzare (falde acquifere saline o giacimenti esausti di
 idrocarburi), della localizzazione (onshore o offshore), della capacità del sito e delle modalità
 di iniezione. Anche Dorsin, inoltre, ha affermato la necessità di condurre un’efficace azione di
 sensibilizzazione dell’opinione pubblica, che metta in risalto la CCS e le sue esternalità
 positive sullo sviluppo, sull’occupazione e sulla lotta ai cambiamenti climatici.

 Liliana Panei, dirigente divisione Stoccaggio gas naturale, cattura e stoccaggio dell’anidride
 carbonica del Ministero dello Sviluppo Economico (MSE), ha descritto lo stato della normativa
 sulla CCS in Italia. Con la direttiva 2009/31/CE del 23 aprile 2009 l’Unione Europea ha deciso
 di dare una cornice comune ai regolamenti che disciplinano lo stoccaggio del biossido di
 carbonio. L’Italia, percorrendo la strada tracciata dalla direttiva comunitaria, ha emanato il
 D.lgs 162 del settembre 2011, frutto di una stretta collaborazione tra MSE e Ministero
 dell’Ambiente avviata già dal 2009. Numerosi stakeholders riuniti all’interno dell’Osservatorio
 CCS, hanno collaborato attivamente alla stesura del decreto. La normativa attuale definisce
 diversi aspetti connessi alla realizzazione dei progetti di cattura e stoccaggio sul suolo
 nazionale – tra cui, i soggetti preposti al rilascio dell’autorizzazione, le modalità di
 realizzazione degli impianti, il monitoraggio e l’ispezione, l’individuazione del sito idoneo, le
 fasi di chiusura e post chiusura, la responsabilità di lungo periodo e l’informazione al pubblico
 – e mette il Governo nella condizione di poter gestire adeguatamente lo sviluppo dei progetti
 CCS in Italia. La necessità di approfondimenti e l’importanza di alcune tematiche quali, ad
 esempio, l’individuazione dei siti idonei allo stoccaggio della CO2, sono stati rimandati a
 decreti attuativi successivi per gli aspetti ancora da definire. Nel frattempo le autorizzazioni
 potranno comunque essere rilasciate, per essere poi confermate in un secondo momento. In

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 chiusura, la Panei, ha sottolineato la soddisfazione per il clima di fattiva collaborazione messa
 in atto dagli attori coinvolti nel sistema della CCS.

 A seguito degli interventi di apertura lavori, si è svolta la tavola rotonda dal titolo “Il sistema
 Italia dinnanzi all’opportunità CCS” moderata da Diego Gavagnin, Gruppo Italia Energia.

 Marcello Capra, Senior Advisor per il Dipartimento dell’Energia del Ministero dello Sviluppo
 Economico, ha portato l’attenzione sullo stato della ricerca sulla CCS a livello nazionale e
 comunitario. Per l’Italia, la novità più importante è l’essersi dotata di un quadro di riferimento
 legislativo vigente. Ciò permetterà al nostro paese di presentarsi sul panorama comunitario
 con tutte le carte in regola per avere un riconoscimento sia per il lavoro fatto negli anni
 passati, sia per i progetti dimostrativi e industriali di CCS in fase di start up: progetti di Porto
 Tolle e del Sulcis in parte finanziati dai fondi europei New Entrant Reserve 300 e, in
 precedenza, dall’European Energy Programme for Recovery.
 Sin dai tempi dell’adesione al Carbon Sequestration Leadership Forum, il MSE, in
 collaborazione con l’ENEA e il CNR, si è mantenuto molto attivo nel campo della ricerca: ha
 sviluppato due piani triennali all’interno della ricerca di sistema elettrico nazionale e ha
 investito tra gli 8 e i 10 milioni di € all’anno. Tutti i rapporti prodotti, come ad esempio
 l’indagine sulla capacità nazionale di stoccaggio della CO2, sono stati messi a disposizione
 degli operatori. Capra ha, inoltre, sottolineato l’importanza di riuscire a indirizzare parte dei
 fondi strutturali dell’Unione Europea sulle infrastrutture energetiche, attualmente i fondi
 destinati a tali opere pesano solo per il 3-4% sul totale.

 Sebastiano Serra, della Direzione Generale per lo Sviluppo Sostenibile, il Clima e l’Energia
 del Ministro dell’Ambiente, ha focalizzato l’attenzione sul contributo che la CCS porterà nella
 lotta ai cambiamenti climatici. Per rispettare le previsioni riportate nel blue map scenario
 della IEA, l’Italia dovrà sequestrare circa 60-70 milioni di tonnellate di CO2/anno. La
 direttiva comunitaria identifica canoni e criteri specifici per raggiungere gli obiettivi fissati. E’
 verosimile ipotizzare che il traguardo di riduzione delle emissioni in Italia sarà raggiunto
 grazie all’applicazione della CCS quasi esclusivamente al sistema termoelettrico (carbone e
 gas) e in misura inferiore alle raffinerie e alle cementifici; ciò considerato, il dualismo
 carbone-gas naturale per l’applicazione della CCS passa in secondo piano. Serra ha inoltre
 ricordato come la direttiva europea per lo scambio di quote di emissione (2009/29/CE),
 prevede che dal 2013 il 50% dei fondi ricavati dalle aste per le quote di CO2 verrà messo a
 disposizione di progetti per la salvaguardia ambientale, CCS inclusa: fondi, questi, in futuro
 disponibili, auspicabilmente anche per la ricerca nel settore.

 Andrea Ketoff, Direttore Generale di Assomineraria, ha messo in evidenza l’importanza
 industriale dei progetti CCS e ribadito la necessità di una mappatura a livello nazionale dei
 potenziali di stoccaggio della CO2.

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 Assomineraria è fortemente impegnata nel campo della CCS per il cospicuo numero di
 associati coinvolti nel settore: compagnie petrolifere (giacimenti), compagnie elettriche
 (sequestro della CO2), compagnie di stoccaggio (stoccaggio, monitoraggio e gestione dei
 siti), compagnie EOR (enhanced oil recovery) e aziende detentrici di know how. Il business
 potenziale delle aziende di Assomineraria nel segmento CCS, è molto più ampio all’estero che
 in Italia: circa 15 volte superiore sia per fatturato sia per numero di progetti. Tali aziende
 hanno interesse quindi a partecipare alla realizzazione di progetti pilota in Italia e in Europa
 per acquisire competenze da poter poi esportare verso il mercato mondiale della filiera CCS.
 Ketoff, in conclusione del suo intervento, ha sottolineato l’importanza degli investimenti in
 ricerca e ha descritto i comparti che verranno coinvolti nel comparto della CCS.

 Giovanni Bertolino, in rappresentanza Assoelettrica, ha delineato il ruolo del settore
 elettrico nel campo della CCS. L’Europa ha preso l’impegno di neutralizzare le emissioni di
 CO2 da produzione elettrica al 2050. In tale ambito la CCS giocherà un importante ruolo - un
 contributo valutato tra il 20 e il 30% della riduzione complessiva delle emissioni - dal
 momento che nel prossimo futuro le fonti fossili verranno ancora largamente utilizzate. Per
 questo motivo tutto il settore elettrico europeo sta investendo con impegno nella ricerca
 lungo tutta la filiera della cattura e stoccaggio della CO2. La CCS, con le attuali tecnologie,
 ha un notevole impatto sull’efficienza di una centrale elettrica: una centrale a carbone con
 un’efficienza di conversione energetica del 40%, vedrebbe ridurre con la CCS questa
 efficienza di circa il 12%. Data l’incertezza che accompagna l’implementazione di tali
 tecnologie, gli investimenti privati da soli non sono sufficienti, ma dovranno essere
 accompagnati da contributi pubblici (EPR, NER 300, aste della CO2 e Fondi Strutturali).
 Bertolino ha poi ricordato come il mercato della CO2 stia soffrendo un’incertezza regolatoria
 che ne compromette la funzionalità in Europa così come a livello extraeuropeo. Per non
 compromettere gli investimenti di medio lungo termine sulla CCS, che avverranno solamente
 dopo il 2020 (oggi siamo ancora in una fase dimostrativa), Bertolino ha sottolineato
 l’importanza di strutturare già da ora un mercato della CO2 robusto, impostato secondo le
 linee guida della direttiva comunitaria sulla cattura e stoccaggio della CO2.

 Fedora Quattrocchi, Responsabile Unità Funzionale “Geochimica dei Fluidi, Stoccaggio
 Geologico e Geotermia” per l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, si è soffermata
 sullo stoccaggio geologico della CO2 in Italia. Il recepimento della direttiva sulla CCS ad
 opera del nostro paese è stato possibile grazie alle notevoli competenze del settore geologico
 nazionale. L’INGV infatti è il più grande istituto in Europa che si occupa di risk assessment
 legato al sottosuolo. Il suo scopo è quello di collaborare con tutti gli operatori del sistema
 della CCS per preservarli da aumenti dei costi legati sia all’attività di individuazione sia a
 quella di gestione dei siti di stoccaggio della CO2. La Quattrocchi ha, inoltre, fatto riferimento
 al tema dei fondi europei: la ricerca nel campo del risk assessment geologico rischia di non
 beneficiare delle risorse messe a disposizione dai grandi fondi per i progetti pilota. Tale
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 attività infatti non rientra negli ambiti individuati poiché è considerata di “nicchia”. Fondi di
 minore entità ma maggiormente mirati sarebbero più utili in tal senso.
 In Italia, la capacità di stoccaggio è molto grande, ma passa attraverso la definizione di dove
 queste zone di stoccaggio non siano interferite da faglie sismo genetiche.
 Anche la Quattrocchi si è soffermata sul tema della public acceptance. La credibilità dei centri
 di ricerca pubblici è vitale affinché la collettività comprenda e accetti le attività di stoccaggio
 sul territorio e, per questo, il sostegno agli enti ricerca rappresenta uno dei punti nodali per
 rendere la CCS una soluzione tecnologica sostenibile.

 Paolo Masoni, Responsabile del Laboratorio LCA ed Eco-progettazione, ENEA e Vice
 Presidente SETAC Europe, ha affrontato il tema dell’analisi del “ciclo di vita” della CCS. La
 Carbon Capture and Storage, essendo per sua natura una tecnologia applicata alla fine del
 ciclo di produzione (end of pipe) ha sì un beneficio ambientale ma comporta costi aggiuntivi
 e una riduzione di efficienza energetica. Nel momento in cui sorge un trade off di questo tipo,
 la metodologia più adatta per analizzarlo, seppur con tutti i suoi limiti (costosa, complessa,
 difficilmente comparabile), è la valutazione del “ciclo di vita”. Infatti, considerando il sistema
 nella sua interezza, la LCA consente di analizzare, attraverso un set piuttosto ampio di
 indicatori di impatto, tutti i trade off che si presentano e permette di capire dove sia possibile
 intervenire per ottimizzare tutto il processo.

 In chiusura di tavola rotonda Marcello Garozzo, Vice Presidente Osservatorio CCS,
 Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, ha definito la CCS uno strumento di protezione
 ambientale. Per poter rispettare l’obiettivo di limitazione dell’incremento della temperatura
 globale al di sotto dei 2˚C, si dovranno ridurre le emissioni globali da 62 Gt/anno di oggi a 14
 Gt/anno nel 2050. Secondo la IEA, ha continuato Garozzo, la CCS contribuirà per il 19% al
 raggiungimento di tale obiettivo (stessa percentuale è prevista per le rinnovabili). Dal canto
 suo, l’Europa si è imposta di ridurre dell’80% le sue emissioni di GHG entro il 2050, rispetto
 ai livelli del 1990. Nell’ambito di tali onerosi obiettivi, la CCS svolgerà un ruolo determinante,
 poiché rappresenta l’unica soluzione carbon free percorribile per applicazioni industriali
 diverse dalla generazione di energia elettrica.
 Nel 2011 la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile ha promosso l’Osservatorio CCS come
 sede esperta e indipendente per la valutazione delle tecnologie CCS nel quadro della lotta ai
 cambiamenti climatici. Contemporaneamente, l’Osservatorio funge da punto di aggregazione
 per tutti gli stakeholders del settore; vi fanno parte i ministeri dello Sviluppo Economico e
 dell’Ambiente, tutti gli enti di ricerca nazionali, diversi dipartimenti universitari e tra le altre
 aziende ENEL ed ENI.

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                                           POMERIGGIO

 I lavori del pomeriggio hanno ospitato interessanti presentazioni su progetti integrati di cattura
 trasporto e stoccaggio della CO2, best practice e tecnologie in fase di sviluppo da parte di aziende
 internazionali nei diversi segmenti della filiera CCS e nella conversione e utilizzo della CO2.

 Luciano Amorese, Vice Presidente dell’Associazione Italiana Di Ingegneria Chimica (AIDIC),
 sottolineando nuovamente come la CCS potrà rappresentare un valido strumento nella lotta al
 cambiamento climatico nei prossimi anni, ha introdotto i lavori passando la parola al Chairman
 Ezio Nicola D’Addario, Presidente del gruppo di lavoro Carbon Capture and Storage (CCS)
 dell’AIDC. Sebbene le tecnologie proposte nel campo della CCS siano già oggi disponibili, ha
 affermato D’Addario, i margini per l’attività di ricerca appaiono ancora ampi; così come ampie e
 numerose sono le tematiche da affrontare prima di superare la fase dimostrativa nella quale
 attualmente ci troviamo.

 Stefano Malloggi, Responsabile dello Sviluppo e dello Scouting Tecnologico della Divisione di
 Ingegneria ed Innovazione dell’Enel, ha descritto lo stato di avanzamento del progetto
 dimostrativo CCS di Porto Tolle Partito nel 2006. Il progetto si articola in quattro macrofasi: la
 prima (conclusa nel 2009) riguarda la sperimentazione di laboratorio sulle tecnologie di cattura, la
 seconda l’impianto pilota di Brindisi da 10.000 Nm3/h, la terza la localizzazione e la
 caratterizzazione del sito geologico preposto allo stoccaggio e la quarta la realizzazione del demo
 plant. Attualmente, sono in fase di sviluppo sia lo studio di fattibilità che la caratterizzazione dei
 solventi sul progetto pilota di Brindisi. La selezione della tecnologia di cattura è stata frutto del
 confronto tra quattro soluzioni scelte tra quelle disponibili a livello internazionale. La validità della
 soluzione tecnologica selezionata, è in fase di testing nell’impianto pilota di Brindisi (in attività già
 dal 2010 con 2.500 h/anno di funzionamento e 5000 tonnellate di CO2 sequestrata). Con
 riferimento al sito di stoccaggio, si è conclusa la fase di pre-screening e la CO2 verrà iniettata
 attraverso un pozzo in una formazione geologica con una capacità di 200 milioni di tonnellate di
 CO2. In conclusione Malloggi si è soffermato sulla perdita di efficienza energetica che le centrali
 elettriche subiscono con l’applicazione delle tecnologie di CCS: oggi siamo ad una perdita pari a
 circa il 15%, tra 10 – 15 anni si scenderà al 9% e nel lungo termine si dovrebbe ridurre
 ulteriormente fino a raggiungere il 5%.

 A seguire, Ivano Miracca, Manager dello Sviluppo Processo e Tecnologie all’interno del Gruppo di
 Innovazione Tecnologica della Business Unit Engineering & Construction della SAIPEM, si è
 soffermato sul binomio cattura della CO2 – raffinerie. Dopo le centrali elettriche e i cementifici, le
 raffinerie rappresentano il terzo settore per emissioni di CO2 al mondo con 800 milioni di
 tonnellate emesse annualmente (6% del totale). Le differenze tra una centrale elettrica ed una
 raffineria sono numerose: i punti di emissione dei fumi (numerosi per una raffineria, singolo per

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 una centrale elettrica), la marcia dell’impianto (in una raffineria è costante mentre una centrale
 elettrica presenta una maggiore flessibilità) e lo spazio libero dedicabile alle apparecchiature per la
 cattura della CO2 (scarso nelle raffinerie, abbondante nelle centrali elettriche).
 In una raffineria le principali fonti di emissione derivano dalla produzione di idrogeno con i processi
 di steam reforming e di autothermal reforming (per ogni tonnellata di idrogeno se ne producono 8
 di CO2), dall’unità di Fluid Catalytic Cracking per la produzione di benzina (un’unità che tratta
 60.000 bbl/giorno emette circa un milione di tonnellate anno di CO2) e da un vasto numero di
 caldaie e scambiatori (possono arrivare a produrre complessivamente anche 2 milioni di tonnellate
 di CO2 annue). Miracca ha, dunque, affermato che la complessità degli impianti e la diversità della
 materia prima utilizzata possono richiedere l’impiego contemporaneo di diverse soluzioni
 tecnologiche (pre-combustione, post-combustione, oxy firing).

 Nicola Pezzella, Pumps Valves and Systems Product Manger per la GE Oil & Gas, ha descritto le
 soluzioni tecnologiche messe a disposizione dalla GE per supportare lo sviluppo dei progetti CCS.
 L’azienda è presente in tutte e tre le tecnologie di cattura della CO2 maggiormente diffuse (pre-
 combustione, post-combustione e oxy fuel) mediante la fornitura dell’intero ciclo combinato: unità
 di ricircolo dei gas esausti per il recupero energetico, isola completa di gassificazione IGCC,
 compressori per la separazione dell’aria e compressori e pompe per la ricompressione e il
 pompaggio della CO2. Anche per la fase di trasporto della CO2 vengono proposte diverse soluzioni
 sia per il pompaggio nelle pipelines che per il monitoraggio delle strutture di trasporto. Con
 riferimento allo storage poi, la GE offre specifiche soluzioni, con divisioni dedicate per ogni diversa
 metodologia di stoccaggio.
 Pezzella ha poi descritto il contributo più specifico della GE sulla CCS, ovvero una pompa ad alta
 pressione per l’iniezione di CO2. Lavorando a più di 7.600 giri, la pompa è in grado di sviluppare
 più di 400 bar di pressione differenziale (a partire da un valore di circa 100 bar), riuscendo così a
 ottenere CO2 supercritica (stato intermedio tra quello gassoso e quello liquido dove la CO2 può
 essere compressa sino al 20%) a condizioni ambiente con un notevole risparmio energetico. In
 conclusione Pezzella si è soffermato su una soluzione tecnologica della GE in fase di sviluppo che
 prevede l’integrazione di un compressore con una pompa centrifuga capace di garantire un
 risparmio energetico che può andare dal 15 al 25%.

 Luca Mancuso, Process Manager nella Power Division della Foster & Wheeler italiana, ha
 incentrato il proprio intervento sullo stoccaggio di energia negli impianti di generazione di energia
 elettrica con cattura dell’anidride carbonica. Alla luce dell’incremento significativo delle fonti
 rinnovabili, gli impianti di produzione di energia elettrica devono necessariamente far fronte ad una
 richiesta di energia variabile. Anche gli impianti con cattura e stoccaggio della CO2 dovranno
 rispondere a questa esigenza. Per tale motivo, la Foster & Wheeler sta ultimando uno studio che
 ha l’obiettivo di identificare i maggiori fattori che possono limitare la flessibilità operativa degli
 impianti CCS per poi valutare la fattibilità tecno-economica di stoccaggio dell’energia, come mezzo
 per migliorare la flessibilità operativa e il ritorno economico degli stessi. Per far ciò le soluzioni
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 prese in considerazione nello studio sono tre: lo stoccaggio di idrogeno o combustibile ad elevato
 contenuto di idrogeno, lo stoccaggio di ossigeno e lo stoccaggio di solvente. Nello studio si arriva
 alla conclusione che lo stoccaggio di energia negli impianti CCS consente di mantenere una
 flessibilità operativa analoga a quella degli impianti senza cattura e offre l’opportunità di migliorare
 il ritorno economico dell’investimento.

 Lee, Ji-Hyun, Senior Researcher per il KEPCO Research Institute (KEPRI), ha descritto il processo
 di assorbimento della CO2 mediante l’utilizzo di solventi liquidi costituiti da miscele contenenti
 ammine sviluppato dalla Korea Electric Power Corporation. La KEPCO è la più grande compagnia
 elettrica a partecipazione statale della Corea del Sud ed è responsabile del 93% della produzione di
 energia elettrica del paese. In seguito agli impegni presi dal paese per la riduzione delle emissioni
 di GHG, la KEPCO, in collaborazione con numerosi attori del sistema, ha messo a punto tecnologie
 di cattura della CO2 con soluzioni pre-combustione, post-combustione e oxy-fuel. Nel 2008 la
 compagnia, con la collaborazione sia del governo coreano che di 12 partners, ha dato il via a un
 progetto di ricerca denominato Advanced CO2 Capture System per lo sviluppo di soluzioni di
 ammine per la cattura post-combustione, articolato in tre fasi: la prima (2008 -2011) dedicata a
 un banco di prova da 0,1 MW per la ricerca sui solventi e la diminuzione del consumo energetico
 per la rigenerazione degli stessi, la seconda (2012 -2014) dedicata alla realizzazione di un
 impianto pilota da 10 MW con il quale si prevede di sequestrare 200 tonnellate di CO2 al giorno e
 la terza (2015 -2020) dedicata alla realizzazione di un impianto dimostrativo da 500 MW. Grazie
 alla sperimentazione effettuata nella prima fase , la KEPCO ha individuato solventi molto efficaci
 (KoSol-series) che permettono di ridurre del 35% l’energia necessaria per il processo di
 rigenerazione, del 90% la degradazione e del 93% la corrosione dei materiali. Lee ha concluso il
 suo intervento descrivendo le fasi iniziali della seconda fase, ovvero quelle relative alla costruzione
 dell’impianto da 10 MW.

 Egidio Zanin, Energy Sector Business Developer per il Centro Sviluppo Materiali e membro della
 Zero Emission Platform Taskforce – Technology, ha ricordato come la CCS sia una soluzione già
 praticabile dal punto di vista tecnologico. Tuttavia, bisogna trovare soluzioni che la rendano cost-
 competitive. I materiali (strutturali, necessari per i processi di combustione o di trasporto, e
 funzionali, utilizzati nel processo di cattura della CO2) possono giocare un importante ruolo in tale
 processo. In Europa, USA, Giappone e Australia, sono state avviate numerose attività di ricerca per
 lo sviluppo di materiali adatti all’implementazione della CCS.
 A seconda della tecnologia che si intende utilizzare, varia la tipologia di gas da separare (post-
 combustione con separazione di CO2 e azoto, pre-combustione con separazione di CO2 e idrogeno,
 oxy-fuel con separazione dell’ossigeno dall’azoto) e conseguentemente variano i materiali da
 utilizzare (solventi, liquidi, solidi, membrane ,tecnologie che prevedono un looping chimico).
 L’attività di laboratorio però, indipendentemente dal materiale prescelto, tende ad ottimizzare
 sempre le stesse variabili: la cinetica dei materiali utilizzati, la selettività dei materiali stessi, la

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 resistenza meccanica e le proprietà termiche. I meccanismi che vanno ad influenzare il
 funzionamento dei materiali sono i seguenti: la degradazione chimica, la degradazione termica,
 l’ossidazione, l’attrito e l’interazione con altri elementi (minori inquinanti, particolato e acqua). Per
 ovviare a tali problemi bisogna per prima cosa identificare le caratteristiche intrinseche dei
 materiali, per poi individuare le tecniche per preservarli dall’usura, il tutto al minor costo possibile.
 Zanin si è, poi, soffermato sull’importanza di realizzare pipelines per il trasporto della CO2 con
 materiali che non si prestino a usura e che quindi non diano vita a perdite. Fino ad oggi il trasporto
 dell’anidride carbonica è avvenuto solamente in zone non densamente popolate dove un’eventuale
 perdita non rappresenterebbe un problema. Volendo invece attraversare zone densamente
 popolate l’integrità della pipeline diviene un must. Per tale motivo a luglio del 2011, in Europa è
 partito il progetto SARCO2 con l’obiettivo di identificare i requisiti che le linee di trasporto della
 CO2 devono avere per attraversare, senza pericolo di perdite, zone densamente popolate.

 In conclusione della giornata ha preso la parola Michele Aresta, Direttore del CIRCC, che si è
 soffermato sulla possibilità di riciclare il carbonio. Quando si parla di utilizzazione della CO2,
 bisogna tenere in considerazione tre aspetti: quello ambientale, quello energetico e quello
 economico. La chiave del successo del riciclo della CO2 risiede però nello sviluppo e
 nell’implementazione di tecnologie innovative che non facciano affidamento sulle fonti fossili
 tradizionali. Tutti i principali emettitori di anidride carbonica (Cina, USA, UE, Giappone) stanno
 guardando con interesse al riutilizzo della CO2. E’ stato misurato infatti che la quantità di CO2 che
 si evita di immettere in atmosfera nel momento in cui si sviluppa un processo basato sul suo
 riciclo, è pari a circa 6 tonnellate per ogni tonnellata di prodotto. Aspetto da non trascurare è poi
 quello che l’utilizzo della CO2 permette di non utilizzare altri composti che presentano un impatto
 ambientale di gran lunga maggiore.
 In conclusione Aresta ha sottolineato come la a CO2 venga utilizzata già da molto tempo. Ad oggi,
 principalmente per la produzione di chemicals, se ne utilizzano circa 13 milioni di tonnellate annue
 e questo valore è previsto in forte crescita.

                                          www.wec-italia.org

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