CATALOGNA: AUTODETERMINAZIONE - SENZA SECESSIONE di Manolo Monereo - sollevazione

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CATALOGNA: AUTODETERMINAZIONE - SENZA SECESSIONE di Manolo Monereo - sollevazione
CATALOGNA: AUTODETERMINAZIONE
SENZA SECESSIONE di Manolo
Monereo

[ mercoledì 16 ottobre 2019 ]

Il prossimo 10 novembre gli spagnoli tornano al voto.

I sondaggi danno il PSOE di Sanchez e Ciudadanos in grande
difficoltà, mentre le destre del Partito Popolare e Vox in
grande sarebbero in grande spolvero. Difficilmente prevedibile
l’esito per Podemos dopo la scissione di Íñigo Errejón che ha
fondato Mas Pais.
Risultato che sarà fortemente condizionato dalla vicenda
catalana. Continuano infatti le proteste in Catalogna dopo le
dure condanne di alcuni esponenti indipendentisti da parte
della Corte suprema spagnola.
Quale sarà l’esito dello scontro in atto tra lo Stato spagnolo
e gli indipendentisti catalani? Pubblichiamo l’ultima parte
dell’intervista rilasciata a Cuarto Poder da Manolo Monereo —
compagno di lotta di Julio Anguita, intellettuale di punta
della sinistra sovranista spagnola, ex parlamentare di
Podemos.

* Traduzione a cura della redazione

* * *
D.Più Spagna. Sovranità del popolo spagnolo. Hai fatto molti
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riferimenti alla Spagna. Al momento, ritieni ancora che lo
stato spagnolo sia uno stato plurinazionale? Ritieni che il
rapporto tra i diversi territori debba essere regolato dal
loro diritto all’autodeterminazione?

R. Ciò che sta arrivando non è la fine degli stati-nazione, ma
il loro rafforzamento. Penso che li si debba rafforzare. È
vero che i globalisti hanno inimicizia verso gli stati-
nazione, che vogliono disaggregarli come strumento di dominio.
Credo profondamente nell’unità del Paese, ma il Paese, però,
deve essere un altro. Di contro alla destra e all’estrema
destra, secondo me la Spagna va considerata un progetto in
costruzione e deve essere costruito dal basso, come Repubblica
federale e solidale. Le regioni più ricche devono essere
solidali con le più povere. Dobbiamo vivere in uno spazio
comune di libertà, diritti sociali e democrazia economica.
Rinunciare a questo equivale lasciare la Spagna all’estrema
destra.

Questa Spagna dev’essere di tutti, come si vede ogni giorno in
Andalusia, Estremadura o nei Paesi Baschi. C’è una grande
maggioranza di spagnoli che si sentono spagnoli e per molti
essere spagnolo è un modo di essere basco, spagnolo, catalano,
valenciano o andaluso. La situazione in Estremadura e in
Andalusia è dovuta ai trasferimenti di reddito tra le regioni,
in particolare quella che riceve di più è Madrid. Uno Stato è
un progetto comune in cui diverse federazioni si strutturano
entro una convivenza e federale.

Se si segue questa strada non andremo verso la segregazione,
andremo piuttosto verso una nuova guerra civile o, peggio
ancora, ad un altro colpo di stato. Sul diritto
all’autodeterminazione, parto dall’idea di ciò che è il demos
spagnolo. Mettere in discussione che la Spagna è un demos ci
porta a una guerra civile. Dopo la Jugoslavia non può esserci
ingenuità con l’autodeterminazione, non può esserci ingenuità.
La mia visione è cambiata dopo la Jugoslavia. Disarmare uno
stato-nazione avrebbe conseguenze anzitutto in Catalogna, si
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rompe la convivenza, ma poi, per una parte della Catalogna, è
una crisi esistenziale.

          Manolo Monereo

Se vieni da Jaén e vivi a Sabadell [città della Catalogna,
Ndr], ed io questo l’ho vissuto, dopo che hai combattuto per i
diritti sociali, linguistici e nazionali della Catalogna, ti
dicono che devi scegliere tra essere andaluso o catalano. Si
crea una crisi esistenziale, queste persone [ si riferisce ai
tanti emigranti andalusi che vivono in Catalogna, Ndr]
diventano una minoranza nazionale. Il giorno in cui ci fosse
una repubblica catalana, avremmo una minoranza nazionale
spagnola che dovrebbe essere difesa, questo gli
indipendentisti si rifiutano di ammetterlo. Ficcarsi in questo
pasticcio porta al crollo della comunità catalana e alla
destrizzazione della Spagna. La Spagna è più di destra dopo il
Procés [il Procés è l’ondata indipendentista catalana, Ndr].
Uno stato non si suicida. Se non siamo in grado di capirlo,
non troveremo una soluzione.

D. La sentenza della Corte Suprema ai leader dell’indipendenza
sta per arrivare è prevista. Viene anticipata dall’arresto di
attivisti CDR [ Comitati di Difesa della Repubblica:gli
organismi che nel 2017 animarono la mobilitazione
indipendentista in Catalogna, Ndr] qualche giorno fa. Pensi
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che ci sia un’operazione statale che si sta dirigendo verso
un’umiliazione della Catalogna, come indicato da alcuni
settori catalani?

R. Che ci sia un’azione statale contro l’insurrezione in
Catalogna è fuori discussione.

D. Che ruolo dovrebbe avere la sinistra spagnola in questo?
R. Penso che ci sia molto dilettantismo nell’indipendentismo
catalano. Quando vedo la borghesia catalana della CIU
[Convergenza e Unione, la forza della destra indipendentista
capeggiata da Jordi Pujol, Ndr], i miei tanti amici di ERC
[Sinistra Repubblicana di Catalogna, Ndr] e la CUP
[candidatura di Unità Popolare, movimento indipendentista
catalano di estrema sinistra. Ndr] tutti insieme, sono pieno
di tenerezza, sto per iniziare a levitare. Ma soprattutto
credono che con la forza che hanno, essi sono metà della
Catalogna, spezzeranno lo Stato spagnolo. Questo per giocare
la rivoluzione. Che gli eredi del (borghese e corrotto) Jordi
Pujol faranno una rottura con lo Stato spagnolo verso una
repubblica socialista catalana, quest’idea mi riempie di
tenerezza. Non sanno cos’è la Spagna e non sanno cos’è
l’Unione europea. Essere al contempo sostenitori della UE e
del diritto all’autodeterminazione significa non comprendere
in che mondo ci troviamo.

Penso che devi trovare una base che combini due cose, l’unità
dello Stato e dare la voce al popolo della Catalogna. Ciò
significa uno stato federale. Il problema politico della
Catalogna non ha come alternativa l’indipendenza della
Catalogna. Proporre l’indipendenza della Catalogna implica non
comprendere cos’è la UE, che è terribile, né la Spagna, che in
parte lo è anche.

Ci si doveva rendere conto che aver infranto la legalità dello
stato della Catalogna avrebbe avuto conseguenze legali. Nel
processo di risoluzione e negoziazione politica di questo
conflitto, si deve anche giungere a una soluzione che
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comprenda il destino di coloro che sono in prigione. Se tutto
ciò non viene preso in considerazione, se andiamo a uno
scontro diretto tra metà della Catalogna e lo Stato spagnolo,
andiamo in una situazione di guerra civile o verso un colpo di
stato e la destrizzazione della Spagna.

Ciò che è stato negativo del nazionalismo catalano è la
rinascita con tale forza del nazionalismo spagnolo. Oggi, le
tre forze di destra rappresentano oltre il 40% della mappa
politica spagnola. Sono riuscite a far risorgere un
nazionalismo spagnolo che era molto diffuso ed ora, un
nazionalismo che fa della Catalogna e dell’unità della Spagna
il proprio elemento centrale. E questo è molto trasversale.

D. Ribellione, sedizione… Condividi queste accuse?
R. La qualificazione giuridico-legale è stata eccessiva. Lo
stato spagnolo si è scontrato con dei dilettanti, credevano di
poter fare tutto ciò che gli piaceva perché avevano una sorta
di salvaguardia globale. Pensavano che la UE e la Germania
avrebbero accettato l’indipendenza della Catalogna. Non è
successo.

Dobbiamo ristabilire le leggi della realtà. Oggi, in Spagna e
in Europa, la possibilità di indipendenza non è praticabile.
Insistere su quella strada ci porta solo alla rottura della
comunità catalana e alla destrizzazione della Spagna. Gli
stati non si suicidano.

La risposta dello Stato sarà molto dura [l’intervista è stata
rilasciata prima della sentenza del 14 ottobre con cui la
Corte suprema spagnola ha condannato Oriol Junqueras e gli
altri indipendentisti catalani, Ndr].

Come sinistra dobbiamo perorare il negoziato politico, ma
anche essere chiari su quale progetto di Paese abbiamo.

Siamo indipendentisti? Giochiamo con l’indipendentismo? [in
vista delle prossime elezioni politiche i capilista sia di
Podemos che di Mas Pais sono due noti indipendentisti, Ndr]
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Dobbiamo definire la nostra proposta di stato in modo molto
preciso, per quanto ne so, siamo federalisti. Abbiamo optato
per una federazione plurinazionale e crediamo di dover
articolare un processo e un progetto in cui le peculiarità
nazionali abbiano il riconoscimento costituzionale per dare
soluzione alla crisi statale. È tempo che Unidas Podemos
definisca un progetto di Stato che riguardi tutto il
territorio.

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LA SIRIA, LA RUSSIA E                                     IL
TRAMONTO   DELLA NATO                                     di
Alberto Negri

  I combattenti dell’ESL (Esercito Siriano Libero),
ovvero gli ascari dell’esercito turco nella battaglia
      per cacciare i curdi dal Nord della Siria
[ mercoledì 16 ottobre 2019 ]
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IN UNA SETTIMANA IL MONDO è
                CAMBIATO
                       di Alberto Negri
In una settimana il mondo è cambiato: è arrivato il Capo,
quello vero. Questa non è una guerra come le altre: il mondo
uscito dal crollo del muro di Berlino nell’89 è cambiato
ancora una volta. In pochi giorni sono stati bruciati 30 anni
di storia, forse li ha guadagnati Putin diventato il vero co-
gestore della politica internazionale.

Mentre gli Usa rinunciavano a proteggere i curdi, la loro
«fanteria» contro il Califfato. Le truppe russe ora colmano il
vuoto lasciato dagli Stati uniti e fanno interposizione tra i
due Raìs, Assad ed Erdogan, e i curdi. Un sincronismo quasi
perfetto da apparire concordato.

LA RUSSIA vede davanti a sé un obiettivo: stabilire che niente
sarà più fatto contro gli interessi di Mosca. Non ci sarà più
un altro Kosovo (’99), non ci dovrà più essere neppure
un’altra Libia (2011) e nemmeno rivoluzioni «colorate»,
Venezuela compreso. Quanto all’allargamento futuro della Nato,
l’atlantismo, nemico giurato della Russia, sembra sul viale
del tramonto. Il fatto più evidente è che la Turchia ha
disgregato un’Alleanza che da 70 anni sembrava la più solida
del mondo. Erdogan ha sbeffeggiato gli appelli di Trump,
dell’Europa e del segretario Nato Stoltenberg, ormai uno
stralunato e imbarazzante commesso viaggiatore. Si tratta di
un evento epocale: gli americani che avevano nei curdi i loro
maggiori alleati nella lotta all’Isis li hanno abbandonati per
non scontrarsi con la Turchia, membro della Nato dal 1953, che
ospita 24 basi e i missili puntati contro Mosca e Teheran.

UNA SITUAZIONE assurda. In queste condizioni la Nato non ha
più senso, a meno che non venga radicalmente riformata.Cosa
non semplice, non si può dare un calcio alla Turchia come con
la finale 2020 di Champions a Istanbul, l’unica vera sanzione
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che forse sarà attuata davvero. La Turchia viene cooptata nel
fronte occidentale negli anni Cinquanta per fare da antemurale
all’Unione Sovietica, cioè a quel mondo comunista che veniva
ritenuto il nemico più micidiale. E ora Erdogan, che usa i
jihadisti contro curdi ma anche contro l’Occidente e ricatta
l’Europa con i profughi, è diventato l’avversario più
pericoloso.

NON SOLO: Putin, che con l’Iran sostiene Assad, è l’unico che
può frenare Erdogan o negoziare con lui non da perdente ma da
protagonista serio su cose serie come Idlib, il Rojava, il
futuro della Siria, il sistema anti-missile S-400, il
nucleare, il gas russo di cui Ankara è il maggiore acquirente.
Certo, come scriveva lunedì sul manifesto Manlio Dinucci, è
dura ammettere che si è rivoltato contro un alleato in cui la
Nato ha investito 5 miliardi di dollari e che rappresenta un
succulento mercato bellico occidentale.

MA TECNICAMENTE la Nato non ci serve più a niente visto gli
Usa hanno rinunciato al loro ruolo di guida dell’Ovest: in
poche parole Trump non solo ha abbandonato i curdi ma anche
l’Europa e il Medio Oriente in mano alla Russia, l’unico stato
che oggi fa vincere le guerre e non abbandona gli alleati.
Tanto è vero che Putin è andato in Arabia Saudita a
rassicurare Riad di fronte all’Iran, alleato di Mosca in
Siria.

L’unica notizia positiva per gli americani, riportata dal Wall
Street Journal, è che stanno vendendo ai sauditi delle
centrali nucleari.

L’importante per Trump, in fondo, è fatturare. Per gli Usa
Europa e Medio Oriente non sono più strategici: sono mercati
dove vendere armi e infrastrutture militari, mercenari
compresi che presto useremo anche noi al posto dei soldatini
di cioccolata.

I PIÙ STUPIDI sono i sauditi del principe assassino Mohammed
bin Salman cui Trump ha venduto armi per 100 miliardi di
dollari e sono stati colpiti in casa da un attacco che ha
ridotto di metà la produzione petrolifera. Ma queste armi non
servono a nulla perché gli imbelli sauditi stanno perdendo in
Yemen contro gli sciiti Houthi appoggiati da Teheran. E quindi
abbracciano anche Putin.

MA AVEVATE creduto veramente che gli Stati Uniti fossero
ancora disposti a morire per i curdi, gli arabi o gli europei?
Dopo i fallimenti dell’Afghanistan e dell’Iraq, a Washington
nessuno vuole morire per la nostra sicurezza. Non la pensa
così solo Trump. Anche Obama nel 2011 si era ritirato
dall’Iraq lasciando il Paese nel caos e poi in mano al
Califfato. La guerra all’Isis agli americani non è costata
neppure un morto Usa: sono stati uccisi invece 11mila curdi.

Se Erdogan ci ricatta, Trump ci prende in giro
sanguinosamente. I jihadisti europei scappano dalla carceri
curde? Se li volete andate a prenderveli, dice Trump. Più
chiaro di così.

Ma i sepolcri imbiancati che governano l’Europa dicono una
stupidaggine dietro l’altra. Per esempio decretano l’embargo
di armi contro la Turchia. Peccato che siamo proprio noi con
Leonardo-Finmeccanica a costruire le armi in Turchia: per
esempio i magnifici elicotteri Mangusta dell’Agusta-Westland.

EPPURE eravamo così felici quando incassavamo dai turchi:
commesse e posti di lavoro, che cosa vuoi di più? Alcuni
vorrebbero mettere sanzioni ad Ankara. Ebbene il 70% dei
prestiti delle aziende turche sono con banche europee e sono
centinaia se non migliaia le società delocalizzate in Turchia:
volete boicottare la pasta Barilla o Benetton adesso?

* Fonte: il manifesto del 16 ottobre 2019
Agli europei il Nuovo Mondo, senza una Nato vera, senza legge
e senza mediazioni, ma pieno di contraddizioni e con Putin al
comando, è piombato addosso come un treno in corsa. E ora il
tempo è scaduto.

12 OTTOBRE: I GUFI MASTICANO
AMARO

[ martedì 15 ottobre 2019 ]

Stefano D’Andrea, presidente del FSI non si smentisce mai.

In Italia si svolge la prima manifestazione di piazza per
l’Italexit, e lui cosa fa? Ovviamente l’attacca. Fin qui nulla
di male, l’uomo e lo stile sono quelli. Però a tutto c’è, o ci
dovrebbe essere, un limite.
Evidentemente il D’Andrea mastica amaro. Prima ha provato (in
compagnia di quattro rancorosi che si sono spinti fino
all’infamia) a sabotare la manifestazione dicendo che sarebbe
fallita; poi, di fronte all’evidente successo, si inventa che
noi saremmo i sovranisti dell’«io», mentre lui
rappresenterebbe il «noi». E qui siamo alle comiche. Alla
manifestazione hanno aderito 33 (trentatre) associazioni
(incluse quelle da lui citate), ma mancando per sua scelta il
suo Fsi noi saremmo quelli dell’«io»…
D’Andrea conosce bene i promotori della manifestazione. E sa
benissimo che essi sono tutti per il «noi», cioè per
l’organizzazione cosciente dei patrioti costituzionali. Ma, a
differenza della sua cronica autoreferenzialità, i promotori
del 12 ottobre hanno voluto allargare il campo della
partecipazione, raccogliere molteplici spinte. In una parola,
hanno teso ad unire anziché dividere. E, piccolo particolare,
ci sono riusciti. Riflettere su questo dato forse non sarebbe
male. Sta di fatto che la prima manifestazione di piazza per
l’Italexit si è tenuta e ad essa il D’Andrea non c’era.

                          *   *   *

Ecco cosa scrive il D’Andrea nel
suo delirio…

«Noi abbiamo impiegato 7 anni a mettere assieme quasi 1000
persone con due o tremila simpatizzanti. E l’entusiasmo degli
iscritti cresce continuamente e da tre anni non va via nessuno
che si sia impegnato. La disciplina è massima, la fede alta,
la contentezza di stare in questo partito generale. Ebbene a
un certo punto gente che non ha costruito nulla che ha fallito
quasi dieci volte, che le ha tentate tutte eppure non è
riuscita a muoversi dal punto di partenza, organizza una
manifestazione nella quale non devono esserci i simboli di
partito. Ma stiamo scherzando? Vuoi far fuori gli unici che
hanno dimostrato di saper fare qualche cosa? Che crescono di
numero non subiscono scissioni si candidano in comuni e
regioni e almeno dimostrano di raccogliere le firme e
diffondono in 300 un editoriale tutti i giorni su facebook?
Perché li vuoi fare fuori? Perché del movimento non ti
interessa niente. Cerchi quel ruolo che la storia ha
dimostrato non devi avere. Dico vuoi non per riferirmi a te ma
a chi ha organizzato la manifestazione. Non c’è processo
aggregativo che non sia anche non processo di selezione. Far
fuori e toglierci dalle balle quelli che hanno fallito più
volte è vitale. Adesso speriamo che Vox si consolidi (non sono
certo che riuscirà ma mi auguro di si). Poi noi e vox
organizzeremo una manifestazione nella quale tutti dovranno
avere un simbolo di partito o associativo. Gli individui
individualisti, gente che non sta con noi non sta con vox non
sta con altra direzione non sta con senso comune perché chi sa
chi credono di essere, anche se non ne hanno mai azzeccata
una, hanno rotto le balle. Il problema sono loro ma ancora per
poco, uno o due anni al massimo.
Stefano D’Andrea»

… e la risposta di un nostro
compagno

Stefano D’Andrea ci sono nel tuo post tante inesattezze quante
sono le righe.
Per cominciare parli come se la tua organizzazione fosse una
azienda che deve conquistare quote di mercato, con un proprio
marketing e un logo da estendere. Con te stesso come
amministratore delegato, presidente, ragioniere e contabile.
Noi contro loro, noi contro tutti. Voi i migliori, gli
illuminati, i più disciplinati, gioiosa armata alla conquista
del mondo, loro i falliti, quelli che non riescono a muoversi
dal punto di partenza. Una filosofia politica che puzza di
competizionismo e neoliberalismo da ogni poro.

Poi però scopriamo che “i falliti” portano 3.000 persone in
piazza sotto una unica bandiera quella della indipendenza e
sovranità popolare. Allora tanto falliti non sono.

In un soprassalto di narcisismo passi ad identificarti con la
Storia, il supremo giudice che caccerà i reprobi (gli
organizzatori del 12 ottobre che non devono avere nessun posto
nella storia) e metterà al loro posto i valorosi dell’FSI, i
quali a passo di lumaca si faranno spazio tra le folle
conquistando il mondo!

Alla fine dal narcisismo, con scatto felino e volo pindarico,
passi addirittura alle minacce, alla caccia all’untore,
rivolgendo un accorato appello urbi et orbi “a far fuori
quelli che hanno fallito” (che sono sempre quelli del 12
ottobre senza bandiere di partito).

Stefano D’Andrea qui forse ci vuole un bravo terapista, perché
stiamo andando oltre i confini del politico, in una terra dove
primeggiano quelle che Spinoza chiamava passioni tristi,
l’odio, il senso di rivalsa, la competizione, etc, che non a
caso sono il concime, ma sarebbe meglio dire il letame del
neoliberismo.

Dulcis in fundo concludi con una delle tue solite perle :
“Far fuori e toglierci dalle balle quelli che hanno fallito
più volte è vitale”. Gli individui individualisti, gente che
non sta con Fsi perché chi sa chi credono di essere, anche se
non ne hanno mai azzeccata una, hanno rotto le balle. Il
problema sono loro ma ancora per poco, uno o due anni al
massimo”.
Qui l’aria diventa quasi irrespirabile e si sente tanfo di
squadrismo ideologico. Se non fai parte di qualche setta
sovranista, che non siano quelle gradite al “Guru” non sei
nessuno. E se sei fuori da queste, hai un tempo di vita
brevissimo! Tocchiamoci gli zibidei mi verrebbe da dire.
Faccio un accorato appello personale a tutti i militanti del
Fronte Sovranista: costruiamo insieme un fronte unitario per
la liberazione nazionale e date un po’ di calmanti al vostro
“leader maximo”. Se questi non bastano trovate un bravo
terapista!

                                             Mauro Pasquinelli

19 OTTOBRE: RESTATE A CASA!
di Sandokan
[ lunedì 14 ottobre 2019 ]

«La Lega non ha in testa l’uscita dall’euro o dall’Unione
europea. Lo dico ancora meglio: l’euro è irreversibile».

                               Matteo Salvini, 13 ottobre 2019

                            * * *
C’è chi ci dice che non esiste più la “dicotomia destra-
sinistra“.

Lo ripetiamo: dal fatto che la sinistra (tutta o quasi) si sia
inabissata, che abbia subito una mutazione genetica, non
significa che sia scomparsa questa distinzione storica,
simbolica e politica.

Non foss’altro perché la destra non solo non è sparita, ma è
più forte che mai, ciò proprio grazie alla scomparsa della
sinistra, sia liberale che radicale. Nello spazio politico non
ci sono quasi mai vuoti: qualcuno occupa sempre il posto
lasciato vacante da altri.
In Italia, come sempre strategico laboratorio politico
europeo, sono stati i due “populismi”, cioè M5S e Lega, a
trarre vantaggio dalla metamorfosi globalista e
cosmopolitica.
Roma, 12 ottobre

Come non ci sono spazi vuoti, tutto si muove, anzitutto quando
un sistema conosce una crisi organica.

Il sistema sembra stia riuscendo a chiudere la faglia apertasi
col terremoto elettorale del 4 marzo 2018 da cui sorse il
governo giallo-verde. Il voto unanime per il radicale taglio
dei parlamentari è infatti la prova provata che si vuole
tornare al bipolarismo della seconda repubblica: da una parte
una finta sinistra, dall’altra una vera destra.
Tutti uniti per sventrare la Costituzione e seppellire quel
che resta della democrazia.

         Roma: 12 ottobre

Qui cade la manifestazione di sabato prossimo, 19 ottobre,
indetta dalla Lega salviniana. Com’era prevedibile è diventata
una kermesse unitaria delle destre parlamentari e sistemiche.
Ci sarà la Meloni (che votò, non dimentichiamolo, per il
pareggio di bilancio in Costituzione), e ci sarà anche Forza
Italia.

Una manifestazione che diversi illusi speravano sarebbe stata
“sovranista”. Mai abbaglio fu più colossale. Il neoliberismo è
il colore dominante della tavolozza del 19 ottobre.

Berlusconi ha confermato oggi a IL GIORNALE , sostenendo,
udite udite, che va messa in costituzione la cifra esatta che
lo Stato deve rispettare per onorare l’impegno del pareggio di
bilancio. Una roba che avrebbe suscitato l’ilarità anche dei
liberisti più incalliti come Milton Friedman e Von Hayek.

Ma la dichiarazione più scandalosa, proprio alle porte del 19
ottobre l’ha rilasciata a IL FOGLIO proprio Matteo Salvini.
Egli, oltre a ribadire la “fedeltà atlantica senza se e senza
ma” ha testualmente affermato:

 «La Lega non ha in testa l’uscita dall’euro o dall’Unione
 europea. Lo dico ancora meglio: l’euro è irreversibile».

Ecco quindi che il piatto è servito.
Quella del 19 ottobre sarà una manifestazione contro il Conte
bis, certo, ma delle destre liberiste. Per essere più precisi:
una manifestazione specchietto per le allodole per dare una
mano alla desovranizzazione del nostro Paese.

Insomma, il 19 ottobre restate a casa!

La sola manifestazione per la sovranità democratica e popolare
è stata quella di sabato scorso LIBERIAMO L’ITALIA.

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12 OTTOBRE: BILANCIO A CALDO
                 [ domenica 13 ottobre 2019 ]

           UNA SINFONIA DI LIBERTÀ
                12 ottobre, un primo bilancio

              comunicato del Comitato promotore

Diversi sono i criteri per valutare se una manifestazione è
stata un successo oppure no.

Certo, anzitutto da quanti hanno raccolto la sfida. Aver
motivato più di tremila cittadini venuti a Roma da tutto il
Paese, la gran parte con mezzi propri, è un grande successo.
La data del 12 ottobre sarà una data da ricordare.
Un grande successo, per niente scontato quindi, confermato dal
diversi fattori.

Avevamo detto che il 12 ottobre sarebbe stato il primo passo,
l’inizio di un cammino, quello che dovrà dare vita ad un
movimento popolare, indipendente e trasversale, per liberare
l’Italia dalle gabbie dell’Unione europea e del neoliberismo.
La volontà, non solo nostra, ma dei tanti che erano in piazza
è che sì, si deve andare avanti in questa direzione. Non
demordere, agire, organizzarsi, per costruire LIBERIAMO
L’ITALIA come nuova comunità politica, democratica, ribelle,
patriottica e internazionalista perché solidale con gli altri
popoli. La Costituzione del 1948 come nostra stella polare.

Sappiamo che il terreno è in salita, ma i tantissimi cittadini
che ieri ci hanno avvicinato offrendo la loro disponibilità ad
essere protagonisti di questo cammino di libertà, ci riempie
di gioia e ci da tanta forza. La responsabilità è enorme,
sappiamo che il difficile comincia adesso, che non possiamo
permetterci errori.

Non li faremo se sapremo fare tesoro della lezione che ieri ci
è venuta.

Ieri, in piazza, era palpabile il clima di soddisfazione: per
lo spirito unitario, plurale ma inclusivo della
manifestazione.

È stata come una sinfonia: tante le voci uno solo l’annuncio:
LIBERIAMO L’ITALIA!

Di più. Grazie ai fratelli stranieri presenti (greci,
francesi, spagnoli, inglesi, austriaci, ma anche africani) e
di quelli non presenti (saluti sono giunti da diversi altri
paesi), la manifestazione ha voluto esprimere il sentimento di
fratellanza verso tutti i popoli che soffrono sotto il giogo
delle oligarchie liberiste e della finanza predatoria globale.

Solo uniti vinceremo, uniti procederemo, uniti ce la faremo.

Il Comitato promotore
13 ottobre 2019

* Fonte Fonte: Liberiamo l’Italia

ECCO A VOI                     LA      DESTRA             di
Sandokan
[ venerdì 11 ottobre 2019 ]

Roma, 10 Ottobre 2019. «Raccoglieremo firme per l’elezione
diretta del Presidente della Repubblica”ì».

Così Matteo Salvini, accompagnato da suoi sodali (anche
Bagnai, sic!) ha depositato in Corte di Cassazione una
proposta di legge di iniziativa popolare per la repubblica
presidenziale, per di più affiancata da una legge elettorale
super-maggoritaria.

Ascoltate per credere:

Idem con patate la Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia.

Segnala l’ANSA. ROMA, 9 Ottobre: «Domani mattina i
parlamentari di Fratelli d’Italia depositeranno in Cassazione
la proposta di legge di iniziativa popolare per l’elezione
diretta del Capo dello Stato e cominceremo subito la raccolta
delle 50 mila firme necessarie ad avviare l’iter del
provvedimento. Alla luce del grande sostegno che abbiamo già
riscontrato con la nostra petizione sul presidenzialismo,
confidiamo di raggiungere questo obiettivo in pochi giorni.
Dopo il voto favorevole di Fratelli d’Italia al taglio del
numero dei parlamentari, è la nostra risposta al no della
maggioranza gialloverde prima e rossogialla dopo ai nostri
emendamenti per introdurre in Costituzione il
presidenzialismo: vogliamo che siano i cittadini a
scegliere”.

Anche in questo caso, ascoltare per credere.

Di regime presidenzialisti ce ne sono di ogni tipo, ma quello
a cui pensano Salvini — “voglio i pieni poteri” — e la
Meloni implica uno scardinamento della Costituzione e un
concentramento dei poteri sull’esecutivo a danno del
Parlamento. Come se non bastasse Salvini vuole una legge
elettorale uninominale secca, per cui il primo arrivato,
magari anche solo col 35-30% piglia la maggioranza assoluta
dei seggi.

Ci vuole poco a capire che con ciò verrebbe definitivamente
seppellita la già moribonda democrazia italiana.

L’altri ieri titolavamo L’AMARA VERITA’ l’articolo con cui
denunciavamo l’unanimità raggiunta sulla legge per ridurre i
parlamentari. Anche Salvini e la Meloni hanno votato Sì,
assieme ai partiti di governo.

Tutti assieme appassionatamente, ma alla fin fine, saranno
solo le destre a trarre vantaggio da questo scempio che fa
strame della democrazia e della Costituzione.

Abbandonata la battaglia sovranista per uscire dall’euro le
destre italiane tornano ad essere quel che son sempre state:
destre reazionarie.

NAZIONE    E   PATRIOTTISMO
(repetita juvant) di Moreno
Pasquinelli
[ venerdì 11 ottobre 2019]

«La libertà di pensiero ce l’abbiamo. Adesso ci vorrebbe il
pensiero».
                                                     Karl Kraus

                                *   *   *

Ci risiamo.
La scassata armata Repubblica-Espresso-Micromega ritorna
all’attacco contro il “rossobrunismo”. Per la verità essa
occupa la prima linea di un fronte ben più vasto che va da
certa sinistra ultras a giornaloni come CORRIERE DELLA SERA e
LA STAMPA, passando per il manifesto e LEFT. Nel tempo abbiamo
tentato di rubricare questo vero e proprio assedio.
L’ultimo assalto anti-rosso-bruno, tra il patetico e
l’implausibile, l’ha portato Micromega, con un
articolo, L’Italia siamo noi. La sinistra e
l’identità nazionale dello studioso Jacopo Custodi
(l’ostentata erudizione non è garanzia per evitare bufale e
fake news): dove se la prende con noi e con Fassina ed alcuni
suoi amici.

EXCLUSIONARY VS. INCLUSIONARY

Del suddetto avevo avuto modo di leggere il suo
saggio Populism, Left-wing Populism and Patriotism. A
contribution to the theorization of Left-Populism, uno studio
sui populismi di sinistra in America latina e quelli
rinascenti in Europa — rigorosamente ed eslcusivamente nella
lingua dell’Impero, come si esige nel mondo accademico. Un
saggio tanto ponderoso
quanto nozionistico, come capita spesso agli esegeti di
Ernesto Laclau e, soprattutto Chantal Mouffe i quali esegeti
finiscono, al netto dei funambolismi teorici, per ripetere a
pappagallo, se non addirittura impoverire quanto già detto e
scritto dai due controversi intellettuali.
Custodi ammette, in questo saggio, sulla scia di Laclau e
Mouffe, che contro l’avanzata dei populismi di destra, ahinoi,
la tradizionale narrazione marxista è impotente e che contro
di essi si deve oppure il “populismo di sinistra”. Un
populismo di sinistra deve perciò riscoprire come positivi i
concetti di nazione e di sovranità nazionale, e può utilizzare
come arma politica il valore del patriottismo.

Fin qui nulla di male, come converranno i nostri più assidui
lettori, che si chiederanno dunque come mai il nostro se la
prenda con la sinistra patriottica italiana. Il fatto è che
Custodi, restando intrappolato nella trama narrativa di Laclau
e Mouffe ed accettando il loro fondamentale paradigma teorico,
finisce per ingarbugliare il tutto, svuotando i concetti di
popolo, nazione e patriottismo della loro sostanza storico-
politica, quindi giungendo ad un’idea di patriottismo non solo
lontanissima dalla nostra ma alquanto sbilenca e discordante
rispetto a quella dello stesso Laclau.

Un’idea di nazione e di patriottismo, quella di Custodi, del
tutto simile, se non addirittura conforme, con quella del
filosofo tedesco Jürgen Habermas, ovvero l’idea astratta e
cosmopolitica della “cittadinanza costituzionale
universalistica”, concepita come antitesi alla nazione
storica. Un pensiero, quello di Habermas pervasivo assai,
avendo plasmato non solo le teste d’uovo della sinistra
globalista di regime, ma pure quelle della sinistra radicale,
per contaminare addirittura, nella forma sghemba di un “nuovo
costituzionalismo europeo“, amici come Stefano Fassina. Segno
di una soggezione teorica difficile da superare.
Alla fine, del saggio di Custodi — sorvolando sulla sciocca
vulgata liberale secondo cui “gli orrori del ‘900” sarebbero
stati commessi dai nazionalismi, non già dagli imperialismi —
tra le mani rimane ben poco. Nulla viene aggiunto a quanto
già sapevamo del populismo. E per quanto attiene all’
opposizione ed alla differenza tra populismo di destra e di
sinistra; il nostro si limita a segnalare che il primo tende
ad escludere, il secondo ad includere. Nozione non solo
superficiale ma deviante, quindi sbagliata, visto che di
questi tempi l’egemonia fa premio ai populismi di destra, che
evidentemente, in quanto maggioritari, riescono ad essere ben
più inclusivi di quelli di sinistra. En passant: i modelli
preferiti di populismo di sinistra sono per Custodi SYRIZA e
Podemos…

IL PARADIGMA TEORICO DI LACLAU

Qual è dunque il paradigma teorico di Laclau e Mouffe e che
entrambi hanno posto come decisivo malgrado le loro fasi e le
loro reciproche differenze? E’ l’accettazione di uno degli
enunciati peculiari di certo post-strutturalismo (e post-
modernismo), per cui, contro ogni pretesa ontologica, contro
ogni idea che supponga l’esistenza di universali o fondamenti
ultimi, si afferma che nulla avrebbe più sostanza o essenza,
né tantomeno valore storico-oggettivo. Tutto sarebbe mero
discorso, forma simbolica, narrazione linguistica.

  Ernesto Laclau e Chantal Mouffe
 Filosoficamente parlando una forma radicale di nominalismo o,
più precisamente, di arbitrarismo ockahamiano. Ma non ci
complichiamo la vita.
Se all’inizio del suo tragitto Laclau utilizzava questo
paradigma per contrastare l’economicismo ed il determinismo
dei certo marxismo ossificato —per cui il socialismo sarebbe
stato un parto dello sviluppo capitalistico ed il soggetto
politico non sarebbe che un’ostetrica che a cui era affidato
il compito di assecondare la venuta alla luce del nascituro
—, strada facendo è diventato una forma estrema di
soggettivismo politico élitista, per cui tutto verrebbe a
dipendere dall’élite politica, dalla sua capacità di
costruire, ex nihilo, il popolo e la nazione. Non ci sono, nel
paesaggio di Laclau e Mouffe, leggi economiche e sociali
sistemiche obiettive —tra cui quella marxiana di Valore —,
nemmeno di ultima istanza, né classi sociali oggettive.
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