A che punto siamo? I diritti umani sono ancora diritti e sono ancora universali.

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Nel 10° anniversario della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea
                     A 70 anni dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani
                                    A che punto siamo?
                I diritti umani sono ancora diritti e sono ancora universali.
                     Roma , 6 Novembre 2019 – Aula dei Gruppi Parlamentari

Il diritto umano all’acqua : un diritto disatteso.
Contributo a cura di R. Lembo – Presidente CICMA (segreteria@contrattoacqua.it )

Vorrei ringraziare gli organizzatori di questo Convegno che consente di approfondire un tema di grande
rilevanza quello dei diritti umani con riferimenti a due prospettive :
> la Dichiarazione universale dei diritti umani a livello di comunità internazionale
> la Carta dei Diritti Fondamentali a livello Europeo

Il «progresso» della civiltà umana si è sempre fondato sull'affermazione di “principi”. Senza principi non
c'è «stato di diritto», non c'è giustizia né libertà e democrazia.
La storia dimostra che, una volta affermati, i principi danno agli esseri umani una grande forza
emancipatrice, una legittimazione inalienabile, un potere di lotta e di rivendicazione che nessuna
«potenza» può, nel lungo termine, cancellare o indebolire. La mobilitazione della società civile e le
conquiste dei Movimenti a difesa dell’acqua sono un esempio concreto di come è possibile mobilitarsi a
difesa dei diritti umani a partire da principi condivisi a livello universale.
In questa prospettiva di difesa dei “principi” sanciti dalla alla Dichiarazione Universale dei diritti umani, si
inserisce la risoluzione approvata nel Luglio del 2010 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha
dichiarato “il diritto all'acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici un diritto umano essenziale al pieno
godimento della vita e di tutti i diritti umani». Approvata con 124 voti favorevoli, 42 astenuti e nessun
contrario, questa risoluzione presentata da un gruppo di 35 paesi del sud del mondo, principalmente
America latina, Asia e Africa ma senza nessun paese dell'Unione Europea, è stato il risultato di 10 anni di
mobilitazione da parte del Comitato italiano Contratto Mondiale sull’acqua(CICMA) e di Movimenti
associati, attivi in diversi paesi dell’America Latina. Questo processo ha preso il via dopo la guerra
dell’acqua nel villaggio di Cochabamba (Aprile 2000) in Bolivia per contrastare la vendita da parte del
dittatore boliviano Panzer Suarez al Consorzio Aguas del Tunari,controllato dalla londinese International
Water (sussidiaria della multinazionale statunitense Bechtel Corporation) con la partecipazione della
spagnola Abengoa. La guerra di Cochabamba portò alla Presidenza della Bolivia Evo Morales che come
primo atto creò il Ministero dell’acqua pubblica e avanzò la richiesta presso l’assemblea dell’ONU.
Dopo 62 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, il diritto all'acqua viene quindi formalmente
riconosciuto dall'autorità politica mondiale più importante a livello di comunità internazionale : l’ONU.
Questo riconoscimento giuridico, a livello di diritto internazionale, ha sancito il diritto umano all’acqua
come un diritto universale,autonomo e specifico. Si è colmato cosi una lacuna della Dichiarazione
Universali dei Diritti umani consentendo di superare lo status del diritto all’acqua come “diritto implicito”
sancito solo da alcune Convenzioni (diritto alla salute, alla alimentazione, al cibo etc.) ma assente dalla
Dichiarazione approvata nel 1948.
Il nuovo scenario
Le principali innovazioni introdotte dalla risoluzione ONU del 2010 e da quelle successive adottate dal
Consiglio dei diritti umani sono cosi sintetizzabili :
> il diritto all’acqua potabile è riconosciuto come un diritto essenziale e precondizione di tutti i diritti
dell’uomo.

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> il diritto umano all’acqua deriva dal diritto alla vita ed alla dignità. L'ONU ha quindi sancito che la vita,
cioè l’acqua non è una merce.
Successive risoluzioni del Consiglio dei Diritti Umano hanno identificate alcune obbligazioni a tutela del
diritto umano all’acqua a carico degli Stati : “il diritto umano all'acqua si concretizza attraverso l’accesso
progressivo,il monitoraggio, la non discriminazione, la consultazione delle comunità, la garanzia di
accessibilità ai servizi anche se gestiti da terzi. Viene introdotta la figura dello Special Rapporteur a tutela di
questo diritto che dovrà presentare alla Assemblea dell’ONU rapporti di implementazione della risoluzione.

A distanza di 10 anni dal riconoscimento del diritto all’acqua come umano e universale da parte dell’ONU
si deve però, con profonda amarezza, constatare che :
     • il diritto umano e universale all’’acqua, pur essendo stato riconosciuto come presupposto per
         garantire tutti gli altri diritti, non è stato ancora formalmente inserito tra i diritti citati nella
         Dichiarazione dei diritti umani del 1948
     • gli Stati non hanno dimostrato nessuna volontà politica di applicare la Risoluzione dell’ONU, cioè di
         concretizzare il diritto umano all’acqua, facilitati in questo dal carattere non vincolante della
         risoluzioni dell’ONU. Il diritto umano all’acqua resta quindi accolto dagli Stati solo a livello
         “declaratorio”anche nei Paesi che hanno introdotto questo principio nelle loro Costituzione.
     • Il diritto umano all’acqua non è stato riconosciuto come un obiettivo di sviluppo sostenibile della
         Agenda ONU 2030. E’ opportuno ricordare che fino al Giugno del 2015 il diritto umano all’acqua
         era presente nelle Bozze dell’Agenda; fu successivamente sostituito, su pressione di alcuni Stati e
         delle Multinazionali con l’accesso universale all’acqua attraverso una gestione efficiente ed un
         prezzo equo. Gli Stati hanno cioè deciso di delegare agli operatori privati la gestione dell’accesso
         al diritto alla vita, cioè il diritto umano all’acqua.
Purtroppo come segnala il Rapporto ONU sullo stato di attuazione del SDG 6 (accesso universale)
dell’Agenda 2030, presentato a Luglio del 2018, l’obiettivo di garantire a tutto l’accesso all’acqua potabile
attraverso un prezzo equo, non sarà raggiunto da nessuno Stato entro il 2030. Alcuni rapporti di Agenzie
dell’Onu stimano infatti che saranno circa 20 milioni le persone che in 25 Città del mondo, nel 2030,
rischieranno di non avranno accesso all’acqua potabile perché in condizioni di povertà e quindi non in
grado ci pagare il costo “equo” dell’accesso all’acqua che sarà diventato a crescere perché l’acqua dolce
disponibile per uso umano è destinata a ridursi.

Occorre quindi prendere atto, con un senso di sconforto, che i “principi di universalità ” alla base dei
diritti umani fanno paura agli Stati e il riconoscimento del diritto umano all’acqua come diritto alla vita
è concepito come una “minaccia” e non come una segno di “civiltà”.
Nell’arco di questi 10 anni si è assistito infatti non soltanto alla mancata concretizzazione del diritto umano
all’acqua ma all’affermarsi di un processo di “deregulation”, attivato dagli Stati e sostenuto dalle stesse
Nazioni Unite, che hanno consentito la trasformazione del diritto umano all’acqua :
     ¾ da diritto umano in bisogno individuale che ciascuno soddisfa in funzione del potere di acquisto.
         Questo passaggio è avvenuto attraverso la mercificazione dell’acqua ( acqua è una merce, un
         prodotto) e la cocalizzazione (l’acqua potabile per uso umano è quello in bottiglia di plastica e non
         quella degli acquedotti)
     ¾ da diritto universale in diritto di accesso economico subordinato al pagamento di un “prezzo
         equo” , principio introdotto con l’Agenda 2030 .

A questa delegittimazione del diritto umano all’acqua si deve associare quello del principio che l’acqua è
vita, quindi non è una merce, sancito di fatto dall’Assemblea ONU con la risoluzione del 2010.
La visione promossa dalle Nazioni Unite e dagli Stati dopo il 2010 è stata invece quella di trasformare
l’acqua da bene comune, patrimonio dell’umanità e fonte di vita, dapprima in “merce” poi in un “bene a
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valenza economica”. Oggi,nell’era dello sviluppo sostenibile , l’acqua è considerata e classificata come un
“Capitale naturale”, superando quindi la visione di “ acqua come fonte di vita e patrimonio della umanità”.
L’approccio del “dare valore monetari ai beni della natura (dal suolo agli ecosistemi) si è affermato con
forza in questo ultimo decennio ed è stato giustificato dalle scarse risorse pubbliche degli Stati e alla
perdita della loro sovranità e motivata con la necessità di stimolare investimenti privati a sostegno della
sostenibilità ambientale e dalla possibilità di attivare una rilancio della crescita economica. Sono stati
così adottati nuovi strumenti come la green economy, i servizi eco sistemici, l’economia circolare.
Si punta cioè a creare valore aggiunto attraverso il riuso dei beni della natura anziché modificare gli usi,
ridurre i consumi e gli sfruttamenti attraverso i cicli produttivi.
Diversi Stati, tra cui l’Italia hanno già adottato l’approccio economico di classificare i beni della natura come
Capitale Naturale; il Ministero dell’Ambiente ha infatti redatto il 2° Rapporti nazionale che dopo
l’inventario punta ad attribuire valore ai beni naturali al fine di adottare una “contabilità ambientale” come
poste di Bilancio.
Gli Stati da tutori e garanti dei diritti umani si sono quindi trasformati in regolatori dell’accesso ai diritti e
anche il diritto umano all’acqua ha subito questa evoluzione. Questo passaggio è stato possibile perché i
diritti da umani e universali sono stati trasformati in diritti economici, sociali, culturali e quindi subordinati
alla disponibilità di risorse da parte degli Stati. Al diritto si sostituisce l’accesso, quando è possibile al
minimo vitale,che viene delegato alle politiche di welfare‐state e in genere riconosciuto solo per le fasce più
povere. Nel caso del diritto umano all’acqua si assiste al paradosso che la governance mondiale, cioè la
definizione delle regole è affidata ad una struttura privata : il Consiglio mondiale dell’acqua, finanziata e
controllata dalle Multinazionali e dagli stakeholders, in assenza di una Autorità sovranazionale o di una
Agenzia dell’ONU.
Nel secolo scorso in Italia (dopo la nazionalizzazione della gestione del servizio attivata dal Governo Giolitti)
la tariffa dell’acqua era fissata dalla Politica attraverso un apposito Comitato interministeriale. Oggi il
prezzo dell’accesso all’acqua viene fissato da una Authority dei servizi sottoposti alla regole del mercato e
della concorrenza (ARERA). In molti paesi la funzione di controllo e regolamentazione è affidata a strutture
non pubbliche.
Inoltre non essendo il diritto umano all’acqua riconosciuto a livello legislativo o dalla Costituzione italiana
né quantificato in termini di “ minimo vitale legato alla dignità della vita” non è possibile per i cittadini
attivare azioni di rivendicazione del diritto e azioni di giustiziabilità a tutela delle violazioni, in caso di
sospensione del servizio di erogazione dell’acqua potabile. Con la società di gestione il cittadino/utente
sottoscrivere un contratto di servizio di erogazione, cioè di accesso, che è di natura privatistica.

2. Il “diritto umano all’acqua” in Europa.
Per tutti i cittadini europei i principi di riferimento sono quelli contenuti nella Carta dei diritti
fondamentali nella versione approvata dal Parlamento europeo nel novembre 2000 e sottoscritta dal
presidente dell’Unione Europea. Pur non essendo integrata nel Trattato, la Carta ha lo stesso valore
giuridico.
La prima constatazione è la presa d’atto che il diritto umano all’acqua non figura nella Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea(CDFUE) al pari di altri diritti universali.
Questa omissione è causale. E’ riconducibile infatti in parte al mancato sostegno di una buona parte dei
Paesi membri alla risoluzione ONU in fase di approvazione nel luglio del 2010. Solo undici paesi hanno
infatti votato a favore della risoluzione ‐ tra essi l'Italia,Francia,Belgio,Germania, Norvegia, Spagna. Voti
contrari hanno espresso il Regno Unito e altri 15 paesi tra i quali la Svezia, la Danimarca, i Paesi Bassi,
l'Austria, la Polonia, la Repubblica ceca. Questa spaccatura spiega perché nessun Stato e la stessa
Commissione si siano fino carico di promuovere un aggiornamento della Carta.

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Il secondo fattore chiama infatti in causa la Commissione il cui posizionamento è stato ed è ancor oggi
molto diverso da quello espresso dal Parlamento europeo sia sul diritto umano all’acqua che sulla
classificazione del bene “acqua”.
Il Parlamento europeo si è espresso a favore del diritto umano all’acqua prima e dopo la risoluzione
dell’ONU. Prima lo ha fatto,su sollecitazione del Contratto Mondiale sull’acqua e dei vari Comitati associati
attivi in diversi paesi (Italia, Francia, Belgio, Portogallo),con riferimento al posizionamento dell’Europa
rispetto ai Forum Mondiali dell’acqua :
¾ nel 2003 il Parlamento ha riconosciuto che l'accesso all'acqua potabile pulita in quantità e qualità
  congrue costituisce un diritto umano fondamentale (2003)
¾ nel 2005 e 2006 ha riconosciuto l’acqua un bene comune dell’umanità e affermato che la gestione
  delle risorse idriche non deve essere assoggettata alle norme del mercato interno», cioè privatizzata
Dopo la risoluzione ONU del 2010, nel 2015 ha approvato un Risoluzione a sostegno di una Iniziativa di
Cittadinanza europea (ICE Right2Water) con la quale 1,7 milioni di cittadini che hanno sollecitato il
riconoscimento del diritto umano all’acqua , rilanciando un impegno per adottare la risoluzione dell’ONU.
Anche rispetto alla natura del servizio idrico, cioè dell’accesso all’acqua, il Parlamento con un
emendamento approvato all’unanimità (2006) ha sancito che i servizi idrici dovevano essere esclusi dalle
obbligazioni del mercato unico .
Purtroppo la Commissione Europea e gli Stati membri attraverso il Consiglio hanno sempre ignorato
queste risoluzioni del Parlamento.
Per la Commissione europea, la risoluzione ONU è suonata infatti come uno schiaffo politico e morale.
L’Europa è nata per creare mercato di libero scambio di merci e servizi, non la tutela dei diritti dei Cittadini
e dei beni della natura presenti sui territori dei paesi membri. Dopo la risoluzione Onu del 2010, la
Commissione ha infatti apertamente preso posizione a favore della mercificazione dell'acqua ed espresso
con forza la propria preferenza per l'inclusione dei servizi idrici tra i servizi di rilevanza economica e quindi
disponibili alle regole del mercato unico europeo.
Rispetto alla concretizzazione del diritto umano all’acqua, la posizione della Commissione è di apparente
“neutralità”, motivata dal rispetto della sovranità degli Stati sui diritti umani. Nella prassi, le direttive
emanate dalla Commissione finalizzate alla tutela la dimensione ambientale della ”buona qualità”
dell’acqua, di fatto hanno sancito a livello di “ principi” che l’acqua è una merce, non come le altre, ma
pur sempre una merce,cioè un prodotto, introducendo due principi: quello che l’accesso attraverso un
servizio comporta la presa a carico da parte del cittadino/consumatore di tutti i costi necessari, ivi
compreso al remunerazione del capitale e il secondo principio che l’acqua si può inquinare, sfruttare a
condizione di pagare un costo( principio che “chi inquina paga”). La conseguenza è che i Paesi che non
rispettano i criteri standard fissati dall’Europa sulla qualità sono condannati a pagare multe, come nel caso
dell’Italia, multe che paghiamo tutti noi come cittadini con la fiscalità anziché chi ha inquinato !
E’ opportuno ricordare che nonostante la Commissione uscente si fosse impegnata a concretizzare la
richiesta di riconoscimento del diritto umano all’acqua sollecitata dai cittadini di diversi paesi europei
attraverso ICE, attraverso la nuova Direttiva sulla qualità dell’acqua per uso umano (Drinking water) questa
promessa è stata delusa. La proposta presentata dalla Commissione al Consiglio dei Ministri nel Giugno del
2019 prevede infatti solo una sollecitazione agli Stati a favorire l’accesso all’acqua potabile nei luoghi
pubblici con particolare attenzione alle fasce più povere, senza formulare raccomandazioni per gli Stati per
al concretizzazione del diritto umano all’acqua.
Per l’Europa ancor oggi l’acqua non è vita, non è un diritto umano, nonostante la risoluzione dell'ONU.

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Tra le cause di questo atteggiamento “neutrale” dell’Europa rispetto alla tutela dei diritti umani, vi è la
natura giuridica della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e le competenze “limitate”
dell'Unione, che rispetto ai diritti umani, si può impegnare a promuovere solo i principi a livello di
sussidiarietà ma non della tutela giuridica dei diritti universali.
La Carta Europea enuncia infatti, come riferimento, solo i diritti civili, politici, economici e sociali dei
cittadini europei identificando i principi, cioè i valori comuni condivisi nella dignità, libertà, uguaglianza,
solidarietà, cittadinanza, giustizia. I diritti umani sanciti dalla Dichiarazione dei Diritti umani non sono
richiamati nella Carta dei cittadini Europei, non sono quindi tutelati dall’Europa e restano quindi affidati
alla ”discrezionalità” degli Stati membri. Una delle criticità di questo posizionamento dell‘Unione risiede
nella presa d’atto che la protezione dei diritti umani non era prevista nel Trattato istitutivo della Comunità
Economica Europea e quindi sono rimasti esclusi.
Solo per effetto di una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Atto unico europeo del 1986)
almeno formalmente i diritti umani sono entrati a far parte del sistema comunitario e i cittadini in caso di
violazione possono “a titolo personale”, rivolgersi alla Corte.
Adottare il riconoscimento del diritto umano all’acqua nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione
Europea comporta quindi una modifica del Trattato e l’avvio di un processo negoziale per arrivare alla
unanimità è assai difficile alla luce anche della cultura sovranista e populista oggi prevalente.
Paradossalmente la posizione dell’Unione Europea non è la stessa con riferimento alle relazioni esterne,
cioè commerciali e politiche con i Paesi terzi. Il rispetto dei diritti umani è una condizione indispensabile
per i paesi terzi che intendono stringere accordi commerciali o di altro genere con l’UE (cosiddetta “clausola
di condizionalità”) ma anche in questo caso spesso prevale l’ambivalenza.
Concludiamo questo contributo con un cenno sul posizionamento dell’Italia.
A livello italiano il diritto umano all’acqua a tutt’oggi non è presente nella Costituzione italiana e solo
alcuni Comuni hanno inserito in Statuti comunali questo principio che resta però a livello “ declaratorio”.
L’Italia ha sostenuto la risoluzione ONU e nel corso del processo negoziale della’Agenda 2030 ha
sostenuto anche l’inserimento del diritto umano all’acqua tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
A livello di Parlamento si deve prendere atto che a tutt’oggi mancata la volontà politica di tutti i Governi
e Parlamenti a procedere al riconoscimento del diritto umano all’acqua nonostante dei cittadini italiani. Il
referendum del 2011 che ha abrogato l’obbligo della messa a gara del servizio idrico e la soppressione del
tasso di profitto garantito per i gestori, e sancito due principi : che l’acqua non è una merce e sull’acqua
non si può fare profitto, questa richiesta dei cittadini. Questa richiesta popolare è stata e resta disattesa.
Dal 2014 giacciono infatti in Parlamento due proposte di legge di iniziativa parlamentare che nei primi due
articoli prevedono il riconoscimento del diritto umano all’acqua e della acqua come bene comune, ma l’iter
di queste proposte non si è mai concluso.
Rispetto alle modalità di concretizzazione del diritto umano all’acqua, cioè a come garantire la
universalità dell’accesso all’acqua attraverso la presa in carico del costo del minimo vitale, le posizioni
delle forze politiche restano infatti contrarie rispetto alla copertura del costo del diritto umano ( minimo
vitale) attraverso la fiscalità generale; si puntano sull’opzione di attivare solo strumenti di welfare‐state
come il bonus idrico che garantisce l’accesso gratuito ai primi 50 lt/per/gg per le categorie più disagiate. Q
E’ opportuno ricordare che il bonus idrico provvedimento è entrato in vigore in Italia solo nel 2018, dopo
due anni dalla decisione da parte di ARERA ma trova scarsa concretizzazione proprio nelle zone più povere
del nostro Mezzogiorno.

E’ possibile superare queste criticità? Come Contratto Mondiale sull’acqua sia convinti che sia possibile
soprattutto se i cittadini e in particolare i giovani tornano a mobilitarsi a difesa dei loro diritti umani come
condizione per un futuro diverso. Segnalo alcune proposte che si potrebbero realizzare
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A livello internazionale, per concretizzare il diritto umano e universale all’acqua sarebbe possibile avviare
un negoziato internazionale per adottare un Secondo Protocollo Opzionale al Patto internazionale per i
diritti economici, sociali, culturali per il Diritto umano all’acqua, che definisca le modalità formali e
sostanziali con cui gli Stati possono o devono garantire il diritto umano all’acqua, a partire dall’accesso
garantito ad un minimo vitale. Anche papa Francesco ha più volte sollecitato la comunità internazionale ad
adottare strumenti giuridici vincolanti a tutela del diritto umano all’acqua. Come CICMA abbiamo redatto
una proposta di Protocollo che abbiamo presentato presso il Consiglio dei Diritti umani ai rappresentanti di
alcuni Paesi nel Giugno del 2019. Dato che l’Italia entrata nel Consiglio dei diritti umani sarebbe
auspicabile che il nostro Paese si facesse sostenitore di questa proposta.
A livello Europeo, la nuova Commissione che ha dichiarato con la sua Presidente di volersi impegnare sulla
sostenibilità ambientale, potrebbe rilanciare agli Stati la proposta di reinserire nella Direttiva Drinking
Water il riconoscimento del diritto umano all’acqua o avanzare un proposta che porti ad adottare un
aggiornamento della Carta dei cittadini europei rispetto al diritto umano all’acqua.
A livello italiano è auspicabile che il Parlamento, in questa legislatura, approvi la proposta di legge
giacente in commissione Ambiente che riconosce il diritto umano all’acqua ed introduce un nuovo modello
di governo pubblico dell’acqua e di gestione del servizio idrico.
Con riferimento agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030, dato che la maggioranza delle Città
italiane non si sono dotate ancora di Agende urbane di sviluppo sostenibile, come CICMA abbiamo lanciato
la proposta di adozione di una Carta delle Città per il diritto umano all’acqua che contiene un piano di
azioni per garantire l’accesso universale e affrontare alcune delle criticità che si prospettano per il ciclo
dell’acqua. Inoltre abbiamo avviato un progetto di educazione alla cittadinanza ‐ Le Città e la gestione
sostenibile dell’acqua e delle risorse naturali”(progetto AID 11788 Cofinanziato dall’Agenzia di cooperazione) ‐
che prevede entro il 2020 la realizzazione di percorsi educativi nelle scuole , una consultazione nazionale
sulla qualità dell’acqua, incontri con i cittadini e amministratori per stimolare l’adozione di buone pratiche.
Invito chi fosse interessato a visionare i nostro sito : www.contrattoacqua.it.

Mi piace concludere questa contributo ricordando a tutti noi e in particolare ai giovani che:
    ‐ L’acqua non appartiene all’Uomo. E’ l’uomo che appartiene all’acqua perché è presente nel corpo
       umano nella misura di almeno il 70% e perché nessuno può vivere senz’acqua
    ‐ L’acqua non appartiene alla Terra . E’ la terra che appartiene all’acqua perché l’acqua costituisce i
       2/3 del pianeta ed è essenziale per la sopravvivenza della vita. Senza acqua non c’è vita sulla terra.
    ‐ L’acqua è titolare di diritti che al pari del diritto umano all’acqua, devono essere tutelati e garantiti.

Senza Acqua non c’ vita . Invito quindi tutti a mobilitarci a difesa dell’acqua.
GRAZIE per l’attenzione.

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